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Incontro con Vito Rosario Ferrone

Incontro con Vito Rosario Ferrone, autore di “ Immobilità Centrale”

di Mario Coviello

ferrone“Immobilità Centrale”, youcanprint edizioni, euro 14,90,in formato pdf a 2,99 euro è il terzo romanzo di Vito Rosario Ferrone ed ha sempre come protagonista il suo alter ego il commissario Lombino.

Ecco cosa racconta: “Scorre tranquilla la vita nel centro lucano dove il commissario Lombino è nato ed ha trascorso la prima parte della sua vita. Boschi incontaminati, cibi genuini, esistenze fermamente legate alle tradizioni della propria terra, e sempre ispirate a solidi principi morali: onestà, dignità, ospitalità. Ma è davvero tutto così immobile? Per un assurdo scherzo del destino il commissario si trova costretto a indagare su diverse persone che gli sono state vicine nell’infanzia e nell’adolescenza, persone alle quali non può non essere legato da sincera riconoscenza.

E i lettori affezionati ritrovano Lombino in tutta la sua sensibilità e umanità, con le ansie e i dubbi di un uomo comune.

E mentre indaga il commissario, per puro diletto, si interroga su Galileo Galilei e sul suo processo. E’ stata immobile la chiesa cattolica nella sua posizione rispetto allo scienziato? E’ stato immobile Galilei nella sua ostinata difesa del sistema copernicano contrapposto a quello tolemaico?

Questi, fra i tanti, gli interrogativi che l’originale autore suggerisce ai lettori attraverso la voce del commissario.”

Anche in questo episodio Lombino indaga su più fronti e ancora una volta fa centro.

Vito Rosario Ferrone lucano d’orgine napoletano di adozione. Sposato. Un figlio.  E’ docente di Chimica e Tecnologie chimiche. Ha al suo attivo esperienze di lavoro nel campo della ricerca applicata, della formazione e della sicurezza industriale. “Nucleo centrale” è il suo primo romanzo.

Lo abbiamo intervistato.

 

1Con questo terzo romanzo sei tornato nel tuo paese d’origine. Cosa rappresenta la Lucania per te ?

La Lucania è per me il luogo della memoria. È il ricordo che si fa presente. Ho vissuto a Napoli la maggior parte degli anni della mia vita e qui ho avuto la possibilità di incontrare una moltitudine di persone, uomini e donne, che ciascuno a modo suo mi ha dato, e anche tolto, qualcosa; di crescere perché sollecitato; di non appassire perché sempre in continuo confronto con una realtà ricca, complessa, difficile, interessante, pericolosa, imperdibile, odiata, amata. È fin troppo evidente che nel percorso che mi ha portato fin qui nel tempo Napoli è stata più che decisiva. Però. La bontà e la concretezza di quell’humus originale non sono mai venute meno. Ciò che io sono oggi, dopo circa quaranta anni di vita nella città di Partenope, ha comunque le radici in quella memoria. Perché ha fatto da contro altare impervio, interessante e fertile ad una realtà nel quotidiano completamente diversa. Realtà mai immota. Che ha subìto, favorito e prodotto capovolgimenti così radicali che in molti suoi aspetti hanno stravolto ciò che era. O era stata. Avere, in questo autentico tsunami sociale, politico ed economico, un punto fermo, per certi versi immobile, a me è servito. Per non farsi trascinare. Per ricominciare. Con consapevolezza e lucidità. Perché la parola che da sempre, per quello che mi riguarda, accompagna la parola Lucania è: dignità. Oserei dire che sono sinonimi. Tanto che il mio smarrimento a volte è proprio quello di vedere con triste consapevolezza che quella parola, dignità, ha come perso consistenza, spessore, forza. Oserei dire popolarità. Fra la gente di Lucania. Che in troppi si ostinano a chiamare Basilicata.

 

2.  Nella tua terza fatica fai riferimento agli amici di sempre. Perché è importante l’amicizia per Vito Ferrone/ commissario Lombino ?

Io senza amici non so campare. Perché? Non lo so. So che è così, e basta. L’unica cosa che mi viene in mente per dare consistenza e forma a queste frasi così perentorie e sintetiche è ricordare un bellissimo film di qualche anno fa. “Le conseguenze dell’amore”, con Toni Servillo. Che confinato in un’arida città della Svizzera a riciclare danaro per un potente clan mafioso, in una scena commovente e disperata, cerca inutilmente di spiegare, senza molto impegno devo dire perché evidentemente ha capito che è inutile, ad un figlio piuttosto scettico, se non riottoso, che se si è amici lo si è per sempre. E non contano né il tempo né lo spazio. Cioè le distanze. O gli inciampi della vita. È un’alchimia che resiste. Dà forza, incoraggia, fa compagnia, rassicura, risolve. Basta alzare lo sguardo. O il telefono. E sentirsi rispondere: “Non ti muovere. Sto arrivando”. In tutte le lingue del mondo. In tutti dialetti del mio amato sud.

 

3. Nei tuoi romanzi emerge una vasta gamma di figure femminili forti. Sono madri, mogli, amanti e assassine. Ci vuoi raccontare il tuo universo femminile?

L’universo femminile? Un illustre sconosciuto. Se qualcosa, poco, ci ho capito e ho cercato di riportare nei miei libri, non è merito mio ma di chi, per motivi legati alla propria complessità e che io non conosco, ha deciso con gratuità, intelligenza pazienza e curiosità di svelarsi. In qualche modo. Almeno un po’. Così qualcosa sono riuscito ad imparare. Sono pur sempre uno attento. E ho riproposto. Senza nessuna pretesa di averci preso. Il personaggio che amo di più è Carmelina. Tata o presunta tale. Perché Carmelina rappresenta e presenta il cuore di Napoli. Di una Napoli che in una certa misura non c’è più. Certamente la Napoli popolare. Ma non solo, direi. Con tutta la sua generosità, la sua saggezza, la sua ironia, la sua perspicacia, la sua capacità di affrontare le avversità della vita e della storia ma anche con le sue paure, le sue invidie, le sue piccole o grandi meschinità, la sua cattiveria. Carmelina è il dottor Watson di Lombino. Lombino in fondo risolve perché conosce, ascolta, vede, sente, percepisce. Non perché è geniale, enciclopedico, politicamente corretto, con tutte le pene del mondo sulle sue spalle, scientifico, triste, disperato, con un passato che non si può dire e un presente che lasciamo perdere, tecnologico o, Dio ce ne scampi e liberi, perché esperto di profili. Psicologici. No. Il commissario, ad oggi vicequestore, Lombino sa di che si sta parlando. È uno normale. Normodotato, se così posso dire. Che conosce i suoi polli. E quando Carmelina comunica, lui afferra. A tempo e luogo. Si capisce. L’universo di cui prima ovviamente non inizia né finisce con Carmelina. C’è Rosaria. L’amica che tutti vorremmo avere. Bella, intelligente, sincera, appassionata, fidata, affidabile. Non esiste un’amica così nella realtà? Io dico di sì. Con Margherita, dottoressa Scarfoglio, poi ho passato i guai miei. Le mie poche e appassionate lettrici e amiche me ne hanno dette di tutti i colori. Qualcuna è arrivata perfino a scomodare Freud. Che io appena so come si scrive. Una proiezione dei miei più ancestrali e inconsci desideri. E proprio perché inconsci io non sapevo di averli ma le mie lettrici ed amiche sì. Loro lo sapevano. Io volevo solo creare un contrasto forte e speravo, spero, interessante, tra uno sbirro che viene dalla zolla, non sempre a suo agio e non sempre sicuro di quello che sta facendo o pensando o dicendo, e un magistrato e una donna spigliata, brillante, glamour con natali e magione sulla collina più chic, che più chic non si può, Posillipo. Anche con i cognomi sono stato attento. Scarfoglio. Che dire di più. E Lombino. Cognome di emigranti. Al di là dell’oceano. Ma a chi lo dici? Alle mie lettrici e amiche è di sicuro tempo perso. Poi dovrei ricordare Assunta Imperio, donna di camorra. Adriana Ferrigno, capo della squadra catturandi. Antonietta, agente scelto della polizia di stato. Annalisa. Maddalena. Rachele. Annamaria. Un universo, l’abbiamo detto. Con un immarcescibile centro di gravità permanente. Rosaria. Mia moglie.

 

4.  Ti occupi nel tuo libro, raccontando il processo a Galileo Galilei, di cattolicesimo e pensiero laico. Perché hai avuto la necessità di affermare attraverso Galileo che “ la ricerca è sempre frutto di una scelta. Morale….. , e che…non è vero che la scienza debba rispondere solo a se stessa.” ?

Galilei. Vorrei partire da un elemento di chiarezza. Sincera. Mischiare teologia e scienza sperimentale è stato da parte della Chiesa un errore. Che difatti non ha più commesso. Però. Da questo a sostenere che tra la fede, in quanto riconoscimento di un mistero, e la scienza, quale espressione più fulgida della ragione (o della razionalità?), c’è un vulnus insanabile, foriero di scontri ineluttabili e drammatici e di scelte forti, secondo me è sbagliato. Perché non è così. Voglio solo ricordare alcuni dei nomi che hanno fatto la storia della scienza. Sperimentale. Quella di Galilei per intenderci. Pascal, Maxwell, Ampère, padre Secchi. E non vorrei dimenticare Copernico o Keplero o lo stesso Galileo. Lo so. Si può sempre pensare di opporre a questo elenco, molto parziale devo dire, altri nomi. Odifreddi, per esempio. Ma a parte, come dire?, il diverso spessore scientifico, ciò non toglie che molti di quelli che hanno cambiato la scienza, sono uomini di fede. Cattolica. O cristiana. Piaccia o no. Questo è. E allora? Allora è tutto in quiz. Perché mai coloro che più di tutti si preoccupano di noi e di me e della mia intelligenza e della mia coscienza, si sono guardati bene dal dire che Galilei non aveva nessuna, dico nessuna, prova sperimentale certa e definitiva? Tanta arroganza sì. Ma prove inequivocabili nessuna. C’è voluto Foucault con il suo pendolo. Parecchi, ma veramente parecchi, anni dopo. E il quiz continua. Perché gli illuminati dalla ragione e troppe volte dai troppi soldi o più maldestramente dall’ideologia hanno dimenticato di dire parecchie cose? Sono sicuro che l’hanno fatto per il ben nostro. Io li ringrazio, ma il problema resta. Perché non ci hanno detto che Galilei non ha mai pronunciato la frase “eppur si muove”? Che non è stato incarcerato? Che non è stato torturato? Che non gli è stato impedito di continuare i suoi studi? Che ha potuto incontrare i suoi allievi, confrontarsi con altri studiosi e scrivere la summa del suo pensiero scientifico? Dopo il famoso processo. Perché? Perché si sono dimenticati di dircelo? Anzi hanno sostenuto il contrario. Allora, una volta saputo e capito, ho cercato di rispondere. Al quiz. Senza pregiudizi. Nel rispetto dei fatti certi. Storicamente certi. Accettando il rischio di farlo. Sì il rischio. Perché Galilei e il suo processo rientrano a pieno titolo in una lotta senza quartiere. Anzi sono l’alfa e l’omega. Di questa lotta. Scatenata da quel capitalismo finanziario d’assalto globale che ha affamato mezzo mondo se non qualche cosa in più e che ha i soldi, quelli veri, per orientare, diciamo così, la ricerca scientifica. Che fa sempre di più, in molti campi, da catalizzatore di un nuovo umanesimo. Se questo non bastasse, nel nostro disastrato paese abbiamo i buoni, i bravi e i belli che come sono acculturati loro, nessuno mai. I quali, in nome e per conto di una laicità a loro uso e consumo, si sono accodati. Hai visto mai. Non ci saranno prigionieri. In questa guerra. Ma ho deciso di farlo lo stesso. Perché non se ne può più. Io non ne posso più. Dei nuovi sacerdoti della ragione e dei custodi dell’assioma del relativismo della verità. E delle nuove e splendenti e inarrestabili conoscenze scientifiche. Che renderanno tutto e, soprattutto, tutti noi un’altra cosa. Liberi e immortali. O quasi. Felici e potenti. Più o meno. E finalmente aiuteranno a cancellare le differenze. Tutte le differenze. Fra uomini e donne. Prima di tutto. Che so’ ste stronzate? Ste differenze? Siamo tutti li stessi! E non in dignità e diritti come è giusto che sia. No, no. Siamo, o se non proprio siamo, lo saremo, tutti la stessa cosa. A buon peso, certo. Non è che stiamo a spaccare il capello. Ma nessuna differenza di genere. Mai più. La scienza darà una grossa mano anche in questo. Ha già dato una grossa mano. Gli scienziati, non tutti, certo e per fortuna, hanno scelto. Quanto liberamente non saprei, ma lo hanno fatto. La cosa bella è che lo hanno fatto, dicono loro, perché la ricerca di per sé risponde solo a se stessa. Non ha limiti. Non può e non deve avere limiti. È difficile credere che siano sinceri. Anche in considerazione dei miliardi di dollari che ci vogliono ogni anno. Per la ricerca che non conosce limiti. Ma solo la coscienza di sé. Lo stesso voglio dare credito. E allora dico: non è così. E anche se non è proprio elegante, aggiungo: ricordatevi dei gas usati fin dalla prima guerra mondiale grazie al meglio della fisica tedesca, delle armi chimiche e di quelle batteriologiche. Tenete sempre bene a mente che l’apice dell’intelligenza e della genialità di molti scienziati fu la bomba atomica. In fondo, caro Mario, mi sono preso un rischio per amore di quello che Lombino chiama la fisica, e dintorni. E per il rispetto profondo di tutti quelli che ancora ci credono nella fisica, e dintorni. Questa è la verità.

 

5.       Nella quarta di copertina ci racconti che “ Nucleo centrale “ è il tuo primo romanzo, che ”Relatività centrale “, che noi abbiamo letto per secondo, è invece la tua terza fatica e che “Immobilità centrale “ è il tuo secondo romanzo. Ci vuoi spiegare ?

“Immobilità Centrale” è stato pubblicato dopo “Relatività Centrale” è vero, ma ti posso assicurare che l’ho cominciato a scrivere molto prima. E una prima, lunga e faticosa stesura definitiva, così pensavo, ha preso forma timidamente e per un brevissimo periodo come “Centro Immobile”. Poi mi sono deciso a fare tutto d’accapo, perché non riuscivo a dare un compimento convincente ad un libro difficile. Difficilissimo, per me. In un certo senso sbagliato. Uno dei miei più cari amici, autorevole componente del mio competente, affettuoso e quasi mai tenero gruppo dell’editing, per tutto il tempo che io sono stato impegnato con “Centro Immobile”, prima, e “Immobilità Centrale”, dopo, ha continuato a ripetere: un libro funziona tanto più quanto più autore e protagonista sono distaccati. Distanti. Autonomi. Io non è che non l’ho ascoltato, l’ho fatto, ma per certi versi non gli ho dato retta. Così la fatica è aumentata. E il tempo è passato. Le revisioni e le riscritture si sono rincorse e sovrapposte. Tant’è che ho avuto il tempo di scrivere anche il quarto: “Assenza Centrale”. Di pubblicazione programmata dopo l’estate. Ne è valsa la pena? Tutta questa faticata. Non sta a me dirlo. Posso solo ricordare quanto amava ripetere Hemingway, i cui romanzi sono stati sempre ispirati a persone da lui conosciute o addirittura frequentate abitualmente. A tutti quelli che con un’ostinazione degna di miglior causa andavano cercando le persone dietro ai personaggi e la cronaca dietro ad una storia, diceva: è solo un romanzo. Lo voglio ridire: è solo un romanzo. Niente di più. E il coinvolgimento personale dell’autore? Se c’è, non ha alcuna importanza. Perché ciò che conta è la parola. La sua capacità di nascondere e svelare, di raccontare e far pensare. Di affabulare.

 

6.       Hai già il titolo del tuo quarto romanzo “Assenza centrale “ e “ un quinto pensato “. Ci puoi anticipare qualcosa ?

I nuovi romanzi. “Assenza Centrale”, l’ho detto, è già stato licenziato. L’ultima stesura mi ha convinto. E i miei fratelli/coltelli dell’editing di noi altri – coltelli, e giustamente, solo in questo, perché mi vogliono bene e mai mi manderebbero allo sbaraglio con un prodotto che non sia più che dignitoso, e interessante. Naturalmente l’editing di noi altri ha una pecca grave, purtroppo, perché cazzutissimo sulla forma e sui contenuti non capisce un accidente di mercato e di mercato editoriale. Insomma sono malmesso, ma va bene così – i miei fratelli/coltelli, dicevo, erano soddisfatti. Il più critico da sempre, Alberto, in un momento di debolezza penso, si è spinto addirittura a dire che sono stato bravo. Quasi bravo. A voler essere pedanti. Con “Assenza centrale”. Non ti racconto il mio stupore. E la commozione. Comunque, siamo a Napoli con Lombino promosso vice-questore con delega all’ordine pubblico. E sposo. Di Margherita. Rosaria non c’è. Si e messa a studiare e ovviamente è all’estero. In compenso c’è Carmelina alle prese con un nuovo amore. Suppergiù. Diciamo con un potenziale fidanzato. Toccherà naturalmente al neo vice-questore fare in modo che la potenza diventi atto. Ovviamente c’è un omicidio. Efferato. Nella Napoli bene. Così detta. Di una donna che Lombino ha amato. E c’è Ettore Majorana, il più grande di tutti. A via Panisperna. Che con i suoi silenzi e la sua scomparsa sembra suggerire una strada, un percorso. Non solo alla fisica. E a Lombino. Ma a tutti noi. “Centrale”, infine, è un cantiere aperto. Le poche cose certe. È l’ultimo romanzo di Lombino. Forse ci sarà altro ma il vice-questore, già commissario, Arcangelo Lombino, non più. Con “Centrale” torno ai temi della grande criminalità e Margherita come pubblico ministero avrà un ruolo molto più decisivo che negli altri romanzi. La fisica, e dintorni, riguarderà la particella di Higgs. La particella di Dio. Dio stesso. E non so altro. Solo che sarà decisivo il fattore umano. La centralità della persona. Come sempre.

 

7.       In “ Immobilità centrale “ parli di te stesso e racconti le tue radici, tuo padre e soprattutto tua madre. Come sei veramente ? E che significato ha oggi per te il rapporto con tua madre ?

Come sono veramente, mi chiedi. Di preciso, francamente, non saprei bene cosa dire. Però penso questo. Se uno legge con attenzione, qualcosa ci capisce. In quanto a mia madre permettimi di augurale ogni bene per molti anni ancora.

F. Folgheraiter, Non fare agli altri

folgheraiterFabio Folgheraiter, Non fare agli altri. Il benessere in una società meno ingiusta
Erickson 2014

La grande crisi che stiamo vivendo porterà a un cambiamento inevitabile, ma sarà positivo o negativo? Fabio Folgheraiter analizza il difficile periodo storico attuale e attraverso le pagine del suo ultimo libro porta alla luce l’evidenza: senza un recupero della sensibilità smarrita nel dispositivo attuale che induce a focalizzarsi soltanto su se stessi, senza l’assunzione di una prospettiva dialogante, gli squilibri di equità nelle relazioni a tutti i livelli, sia nel campo economico sia in quello sociale, si vanno facendo più profondi e costituiscono un potenziale detonatore di ulteriori degradazioni della coesione sociale.
Ci sono alternative alla sempre più dura competizione egoistica, o alla più fredda indifferenza, tra i soggetti sociali? Possiamo coltivare sensate speranze di un riallineamento negli attuali squilibri di potere e di possibilità? Possiamo migliorare l’equità sia nella spietata vita economica, sia nei rapporti ordinari della gente comune, sia tra terapeuti e utenti dentro le stesse Istituzioni di welfare?
Pur osservando il presente con criticità l’autore conserva sempre la sua speranza e fatica a credere che saremo costretti a tornare alle origini per ripartire, ricorda inoltre che: Ogniqualvolta persone comuni ed esperti professionali — tutti dotati di sufficiente premura per il bene comune nel rispetto dei reciproci ruoli e priorità — formano una rete intelligente e operosa, in cui tutti agiscono secondo il principio orizzontale della parità, si vede all’opera autentica sussidiarietà relazionale.
Il rispetto della semplice regola non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te appare oggi come una legge capace, se rispettata, di cambiare il futuro prossimo, capace di donare aspettative e far emergere il meglio in ognuno di noi.
I giovani oramai disillusi sono già alla ricerca di qualcosa di diverso: L’insegnamento che i nostri giovani hanno tratto, in questi anni difficili per tutti ma per loro in particolare, è che consegnare la propria libertà in mano a quel moloch che in altri tempi andava di moda chiamare «Sistema» non è un grande affare.
Ma dobbiamo davvero prepararci a vivere senza una politica sociale, senza il welfare, senza protezione pubblica, o ci sono altre soluzioni?

Scheda libro: http://bit.ly/NonFareAgliAltri

Fabio Folgheraiter è professore di Metodologia del lavoro sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove coordina il corso di Laurea triennale in Servizio sociale e il corso di Laurea Magistrale in Politiche sociali e servizi per le famiglie, i minori e le comunità. È co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, dove dirige la collana «Metodi e tecniche del lavoro sociale» e la rivista scientifica «Lavoro Sociale». È autore di numerosi studi sul Social Work e sulle politiche dei Servizi sociali.

A. Bajani, La scuola non serve a niente

Andrea Bajani “ La scuola non serve a niente” Editori Laterza, la Repubblica, maggio 2014

di Mario Coviello

 

bajani2E’ uscito questa settimana “La scuola non serve a niente” di Andrea Bajani, editori Laterza e la Repubblica, euro 6,90, disponibile anche in ebook, un agile saggio che consiglio al mondo della scuola ai genitori e soprattutto ai politici che ci governano perché spiega con passione perché abbiamo bisogno di una scuola che “ faccia uscire i ragazzi con la capacità di immaginare un mondo diverso da quello che hanno consegnato loro , e non solo essere bravi ad inserirsi dentro caselle già disegnate.”

In 136 pagine il libro contiene non solo il saggio di Bajani, ma anche articoli di Massimo Recalcati,Marco Lodoli,Christian Raimo e Maria Pia Veladiano nella sezione intitolata “In questione “ e in “ Pagine dal fronte” le testimonianze di Silvia dai Prà, Chiara Valerio, Marco Lodoli e Christian Raimo, tutti docenti e scrittori.

Andrea Bajani aveva avuto grande successo con il reportage narrativo del 2011 “ Domani niente scuola “ nel quale aveva raccontato , con divertita e divertente partecipazione, una “gita” scolastica di una classe di adolescenti.

In “ La scuola non serve a niente “ racconta la scuola italiana come specchio di un paese di separati in casa: insegnanti in crisi di legittimazione e ragazzi asserragliati in difesa dietro i banchi delle ultime file. Poco più in là, famiglie sfiduciate che per i figli vorrebbero più certezze e lavori sicuri che dubbi e un sapere considerato stantio. È lo specchio di un’Italia in cui tutti vorrebbero insegnare e nessuno ha voglia di imparare più niente. È il ritratto di un’Italia di solitudini tenute insieme dentro la stessa penisola.

Al Salone del libro di Torino, durante un laboratorio di scrittura, una   ragazza di quindici anni confessa a Bajani che ha deciso di lasciare la scuola “ perché non serve a niente”.

Lo scrittore per spiegare a cosa serve la scuola racconta due storie.

Quella di una docente di seconda media che durante il terremoto in Emilia raccomanda ai suoi ragazzi “ State tutti insieme”.., perché la scuola è una comunità. “ Una comunità di persone il cui stare insieme è il senso del loro andare a scuola e che cercano gli occhi di un maestro, per la semplice ragione che lui conosce il mondo , e di quella conoscenza si prende cura ”.

E la storia di un amico che non sapeva come comportarsi con la signora che lo aiutava in casa che gli cambiava continuamente la disposizione dei mobili del soggiorno. Il padrone di casa, ogni volta che tornava a casa dall’università dove insegna. rimetteva a posto.

Un giorno, sfinito, si è buttato sul divano come lo aveva posizionato la signora delle pulizie e aveva scoperto “che da lì vedeva il campanile..La cosa lo aveva così sorpreso, l’aveva reso così felice che da quel momento in poi aveva lasciato tutto come aveva deciso la signora…”

“Quella storia- scrive Bajani – è quello che io intendo quando penso alla scuola. E ai libri. E alla cultura. A che cosa serve un romanzo ? A che cosa serve la scuola ? A niente… A che cosa servono gli insegnanti ? A niente . O al più a spostare i mobili… “ .

E continua .. “ Ci servono insegnanti che abbiano la forza di spostare quei mobili ogni volta che i ragazzi si aggrapperanno alla versione precedente. Ci servono insegnanti che siano autorevoli perché di quel mondo, di quella nuova disposizione del mondo , si assumono la responsabilità.

E ci serve uno Stato che a questi insegnanti riconosca questa responsabilità e le dia un valore economico e un valore – soprattutto- politico. “

Il saggio contiene una preziosa appendice, con grafici a colori, con la situazione, aggiornata al 2014, della scuola italiana ( iscritti, alunni con cittadinanza non italiana, i livelli di competenza in lettura… ), una cronologia delle riforme del sistema scolastico dal 1977 di Salvo Intravaia e una preziosa bibliografia essenziale.

La scuola è nata perché le solitudini fra insegnanti e alunni, docenti e famiglie, giovani e società venissero ricucite con un alfabeto uguale per tutti. Non si può che ripartire da lì. Perché la scuola non serva a qualcosa, ma piuttosto sia necessaria per immaginare un paese migliore.

bajaniLo scrittore è stato intervistato sulla sua ultima fatica da Antonello Guerrera. Ecco come ha risposto alle sue domande.

Insomma, Bajani, perché oggi «la scuola non serve a niente»?
“È un paradosso: oramai è diventato un mantra della nostra società per qualsiasi cosa, dall’economia al lavoro. Invece, bisogna uscire da questa logica utilitaristica: la scuola non deve soltanto “servire”, alla stregua di una chiave inglese. Bisogna tornare a quello che c’è dentro la scuola”.

E cosa c’è dentro?
“C’è la cultura. E la cultura contiene il verbo “coltivare”: le nozioni, certo, ma anche la convivenza, oltre a una lettura del mondo. Non a caso, la scuola è il nostro primo — e forse ultimo — luogo di aggregazione, comunità, condivisione. E quindi è indispensabile in un’epoca di profonde solitudini come la nostra”.

E invece si allarga il fenomeno del «rinuncianesimo», come lo chiama nel libro una giovane partecipante a un suo seminario. E cioè una scuola di rinunciatari passivi.
“È una parola tremenda e bellissima, a metà tra ideologia e religione. Risuona quasi come un atto di fede, ma purtroppo è una mesta chiave per capire che cosa sta succedendo alla scuola italiana: da un lato, gli studenti tendono sempre più a “disarmarsi”, a rinunciare ad aggredire la vita quotidiana. Dall’altro, considerano gli insegnanti degli impiegati statali e fannulloni. I quali, bisogna dirlo, a volte si attaccano conservativamente al vecchio mondo. E così perdono autorità”.

Perdita di autorità legata anche alla “scomparsa dei padri” nella società odierna, come ha scritto Massimo Recalcati che lei cita nel libro.
“È vero. Come il “Padre padrone”, non esiste più il “maestro Manzi”. Oggi, l’unica cosa che può fare un padre, spiega Recalcati, è testimoniare la propria paternità. E l’unica cosa che può fare un insegnante, di fronte al discredito collettivo, è dare testimonianza di sé, plasmando l’istruzione con entusiasmo e metodi concreti, alternativi alla tradizione. Come diceva Hannah Arendt, del resto: “L’insegnante è il testimone del mondo”. Ma qui c’è un ulteriore passaggio fondamentale”.

Quale?
“L’insegnante è parte integrante dello Stato. E lo Stato deve aiutarlo a restituirgli quell’autorità: dall’immaginario collettivo ai compensi, fino all’agibilità degli edifici. Un insegnante deve avere le spalle coperte. Da solo non ce la può fare”.

Invece, l’istruzione pare spesso trascurata dallo Stato italiano.
“Assolutamente. È inquietante che le riforme degli ultimi anni siano state tutte dettate da esigenze economiche e dai numeri più che da un nuovo approccio pedagogico o di insegnamento”.

Riforme che tra l’altro non hanno allineato l’Italia all’Europa. Un valido paragone nel libro è quello della Germania, dove la lezione è ultrapartecipativa, il professore “supera il fossato” e responsabilizza gli studenti.
“Esatto. In Germania, dove vivo, non c’è, almeno in apparenza, un rapporto di superiorità, perché il docente permette all’alunno di prendere in mano l’oggetto (ossia l’argomento) e di smontarlo e rimontarlo a piacimento. Così si sviluppano dialettica e senso critico. Negli studenti, ma anche negli insegnanti. Da noi, invece, si è sviluppata una passività sempre più marcata”.

Per questo lei scrive che la scuola deve ripartire dalle “parole”. Perché?
“Perché solo le parole possono salvarci. I ragazzi dei miei seminari li lascio sbizzarrire con neologismi perché diano un nome alle cose, che così escono dal buio e diventano conoscibili. È una delle grandi sfide: insegnare agli studenti come farsi certe domande e scegliere, per dare una forma al mondo. Soprattutto nel magma di Internet, dove hanno a disposizione tutta l’informazione possibile. Che però, senza il filtro della scuola, è merce senza valore”.

Dio c’è

Dio c’è

di Antonio Stanca

vaticanoLa santificazione dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, avvenuta a Roma in Piazza San Pietro Domenica 27 Aprile 2014 ad opera della Chiesa di Papa Francesco, è stata un evento che, a differenza di altri uguali del passato, non è rimasto entro i limiti degli ambienti religiosi ma ha suscitato un grande clamore in ogni parte del mondo. La cerimonia è stata seguita da milioni di persone perché le sue immagini sono giunte ovunque, nei paesi, nei luoghi più lontani dalla città di Roma.

E’ il segno, è la prova che dappertutto si vogliono recuperare i valori dell’anima, si vuole partecipare alle manifestazioni dello spirito. L’uomo moderno aveva perso Dio, quello contemporaneo lo vuole ritrovare perché smarrito si è tra quanto di nuovo, di diverso, di sorprendente, d’imprevisto, di pericoloso è sopraggiunto ed in maniera tale da non poter essere seguito e capito. La caduta dello spirito, la corsa della materia, la violenza, la guerra, la povertà, la fame, la malattia, la morte, tutto ciò che forma gli aspetti della vita dei nostri tempi ha mosso l’uomo a rifugiarsi in se stesso, a cercare una fede, a pensare a Dio, a quel Dio che sempre, ovunque si è mostrato disposto a rispondere, soccorrere, aiutare.

Due esempi di questo Dio sono stati i due papi, due esempi concreti, reali, veri, due modi con i quali Egli si è manifestato in terra, si è fatto uomo ed ha incontrato quell’umanità che lo cercava. Di questo si è detto, si è scritto nella circostanza della santificazione, di come è avvenuto tale incontro, di quanti, diversi aspetti ha assunto. Con i due Giovanni Dio è stato in mezzo agli uomini a farsi vedere, toccare, a concedersi loro, a identificarsi col loro bene. Ed erano uomini che ne avevano bisogno, erano i padri di quelli che Domenica sono accorsi a sentire che con i due papi il mistero si è svelato, il divino è diventato umano. Il miracolo è stato riconosciuto, si può essere certi e lo possono essere tutti quanti verranno in seguito ed in ogni posto perché valore ufficiale, universale, eterno è stato ad esso attribuito tramite la santificazione.

Con questo avvenimento la religione cattolica si è confermata prima tra le altre, ha mostrato di superarle con semplici opere di bene, di amore, di pace. Il Vaticano ha visto accresciuta la sua funzione di richiamo per i fedeli di tutto il mondo e Roma, sede di tanto, è stata guardata come città di Dio. La storia ha visto una sua epoca arricchita del Suo segno.

O. Roman, La Scuola privata non è Scuola pubblica

La Scuola privata non è Scuola pubblica

di Maurizio Tiriticco

Finalmente un libro con cui si fa estrema chiarezza circa l’annosa questione dei rapporti tra Stato e scuole private. O, se vogliamo, se, come e perché lo Stato debba in qualche misura sostenere la “scuola privata”: le virgolette stanno a significare la genericità dell’espressione, perché di fatto, sotto questo nome rientra un eterogeneo pot pourri di offerta educativa non statale, da una scuola di sci a una scuola per interpreti a un asilo di suore.

Ma veniamo al libro.
La polemica ormai è ultradecennale. Lo Stato garantisce a ciascun cittadino l’istruzione pubblica, cioè istituita, governata e amministrata da scuole statali di ogni ordine e grado. Comunque un cittadino può avvalersi di altri canali d’istruzione, i cui percorsi e i cui titoli siano riconoscibili e riconosciuti dallo Stato, ma i cui costi siano assolutamente non a suo carico. E non è un caso che i Padri costituenti stabilirono il principio secondo cui “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (Costituzione, art. 33, c.3). Però, secondo la capziosa lettura di alcuni, il “senza oneri” per l’istituzione non significa “senza oneri” per l’organizzazione e il funzionamento, che in effetti è un’altra cosa.

Occorre, però, obiettare che andare oltre la scrittura dei Costituenti è impresa ardita, stante il fatto che i Costituenti hanno adottato vocaboli che, al contrario di quanto avviene a volte in testi legislativi, non intendono mai dar luogo, né effettivamente lo danno, a interpretazioni altre. Quindi nessun ciabattino vada oltre la sua scarpa! Nessuna norma può dar luogo a stanziamenti statali in favore di scuole private. Se poi, in taluni casi sia avvenuto il contrario, ciò non è affatto imputabile a una discutibile lettura del testo costituzionale né all’applicazione della legge 62/2000, come invece da più parti si dice o per ignoranza o per consapevole provocazione.
La legge 62/2000 venne pensata e varata in un contesto istituzionale e amministrativo del nostro Stato ormai molto diverso rispetto al dettato costituzionale del ‘47.

L’area dell’effettivo esercizio della democrazia ormai si era allargata, e di molto, rispetto a quanto poteva avvenire nell’immediato dopoguerra. In atre parole, il nostro Stato è sempre stato dall’Unità al 1946, anno d’istituzione della “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, uno Stato fortemente autoritario e centralistico, fondato anche su palesi discriminazioni di classe e addirittura di genere. Basti ricordare che l’accesso al voto per decenni era riservato ai cittadini di un certo censo economico e sociale e che le donne votarono per la prima volta solo nel 1946.
Quindi “democrazia”, in quanto partecipazione e “lavoro” in quanto diritto erano concetti e atti tutti da costruire ex novo nell’immediato dopoguerra. E “democrazia” e “lavoro” sono i concetti che connotano la nostra Repubblica. Comunque, dal ‘46 al 2000 compimmo passi da gigante. E il nostro Paese divenne maturo per cominciare a rompere la struttura fortemente centralistica ereditata dal passato e dare avvio a un nuovo processo, quello delle autonomie.

Basti accennare alla profonda differenza che corre della definizione di Stato e della sua organizzazione tra i due articoli della Costituzione 114, quello del ‘47 e quello di cui alla riscrittura del 2001. Nella prima redazione leggiamo: “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”. Nella seconda leggiamo: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.
Si noti la “verticalità” della prima scrittura e l’“orizzontalità” della seconda. Da un “si riparte” si passa a un “è costituita”. I Comuni che nella prima versione sono all’ultimo posto, secondo una visione verticale e gerarchica, nella seconda sono al primo, secondo una visione orizzontale e democratica. E lo stesso Stato sembra perdere il concetto che da sempre lo ha caratterizzato secondo tutte le interpretazioni filosofiche e politologiche per assumere una connotazione più “famigliare”, potremmo dire, quella di un organo “quinto” a cui competono certi poteri legislativi e non altri, come si evince dall’articolo costituzionale 117.
Per quanto riguarda l’istruzione, lo Stato ha poteri in materia di norme generali e di Livelli essenziali delle prestazioni.

Si potrebbe obiettare che tali modifiche sono state apportate con la legge costituzionale 3 del 2001 e che la legge 62 è del 2000, quindi precedente. Ma va fortemente sottolineato che tale legge trae diretta ispirazione dalla legge delega 59/97, la famosa “legge Bassanini”, con cui si detta “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. È la legge da cui discese tutta una serie di provvedimenti attuativi dell’autonomia nei diversi comparti dello Stato. A tale proposito è opportuno ricordare il D.Lgs. 112/98, concernente “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”, nonché quel DPR 275/99 concernente il “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche”.
Si tratta di una serie di provvedimenti di diverso rango normativo, provvedimenti che alla fine dello scorso secolo riscrivono l’intero assetto costituzionale del nostro Paese. L’esercizio della democrazia avanza e cambia lo stesso Stato nella sua struttura organizzativa e funzionale. Basti pensare al fatto che nuovi concetti giuridico/costituzionali vennero introdotti nel novellato Titolo V, quali, ad esempio: sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, solidarietà, equità, responsabilità, differenziazione, adeguatezza, iniziative autonome.

E non fu un caso che, con il varo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, lo stesso Ministero delle Pubblica Istruzione cominciò a cambiare anch’esso nella sua struttura, a partire da quel dlgs 300/99 concernente “Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”. Il fatto poi che l’autonomia delle istituzioni scolastiche ancora oggi proceda con tutte le difficoltà che conosciamo e che il Miur possa non essere giunto a rinnovare la sua organizzazione interna e i suoi rapporti con le istituzioni scolastiche è altro discorso, su cui i pareri, ovviamente, non sono concordi.
L’articolato della legge 62/2000 va, quindi letto e interpretato alla luce dei cambiamenti in atto in quegli anni nell’organizzazione non solo della scuola, ma anche di tutti gli apparati della Pubblica Amministrazione, che in effetti era già sta investita da una serie di provvedimenti, a partire da quella legge 241/90 concernente “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. E va anche ricordata tutta la normativa concernente la Carta dei servizi e il Progetto d’istituto, di cui ai Dpcm 19 maggio e 7 giugno 1995: tutti cambiamenti funzionali a una progressiva svolta autonomistica.

È alla luce dei suddetti cambiamenti normativi che vanno lette e interpretate le norme dettate dalla legge 62/2000. Altrimenti si cade nella lettura di quanti artatamente vogliono forzatamente vedervi l’oscuro disegno dei comunisti pronti a sacrificare la scuola di Stato alle bramosie dei cattolici e dei democristiani. E magari anche in forza di quel compromesso storico vagheggiato da Moro ed Enrico Berlinguer! Nessuna lettura può essere più infantile e più volutamente disinformata di questa! Le ragioni di quella legge sono ben altre: e sono ragioni che fin dal ‘47, cioè fin da quel già citato disposto costituzionale che vieta allo Stato il finanziamento di “scuole e istituti di educazione”. Infatti per decenni nessun governo DC o di coalizione si è mai preoccupato di dare corpo e forma al comma 4 del citato articolo costituzionale n 33, che così recita: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. E ciò per ovvie ragioni: finché manca una legge, ogni arbitrio è possibile! Quindi sarebbero possibili finanziamenti alle scuole private a iosa! Pertanto, solo un governo “altro” poteva e doveva preoccuparsi di por mano al disposto costituzionale per decenni volutamente ignorato. E questo fu il primo governo di centrosinistra. Quindi la legge 62/2000 non nasce da chissà quale perversa volontà di “dare soldi alle scuole dei preti”, ma dalla necessità, fino ad allora evasa, di dettare norme precise che dessero corpo e forma ai rapporti tra Stato e scuole private.

Alla nettezza della legge 62 del 2000 segue l’anno successivo la confusa riscrittura del Titolo V, almeno in materia di istruzione. Dalla riscrittura si evince che tutto ciò che non è “norma generale sull’istruzione” e che non rientra nei Lep è di pertinenza delle Regioni! Al comma 3 dell’articolo 3 della legge costituzionale 3/2001 leggiamo tra l’altro: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale… Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Si tratta di una dizione così equivoca – almeno a mio parere – per cui le Regioni possono legiferare in materia di legislazione concorrente e l’istruzione non solo è materia esclusiva dello Stato ma è anche materia di legislazione concorrente. Si tratta di affermazioni che non possono non dar luogo a conflitti di cui poi la Corte costituzionale si è dovuta far carico.
E la conflittualità Stato-Regioni in materia non solo d’istruzione, ma anche d’istruzione e formazione professionale costituisce, almeno a mio parere, uno dei punti più dolenti dell’intero “Sistema educativo di istruzione e formazione”, di cui all’articolo 1 della legge 30/2000. Pertanto, è proprio in ordine al contesto normativo costituzionale riscritto dalla legge costituzionale 3/2001 che ogni Regione può fare buono e cattivo tempo. Così sostegni diretti o indiretti, con il sistema dei bonus, doti, borse di studio e quant’altro, vengono erogati ex lege all’istruzione privata, in barba al disposto della legge 62, di rango inferiore rispetto al novellato Titolo V della Costituzione… o malnovellato, per le incertezze e confusioni interpretative a cui ha dato e dà luogo.

Eppure la distinzione tra scuola privata e scuola paritaria è netta nella legge 62. Sono paritarie solo quelle scuole che dimostrino di possedere una serie di requisiti, assai numerosi e chiaramente individuati e descritti negli articoli 4 e 5. E si tratta di requisiti assolutamente conformi con la lettera e lo spirito di quel dettato costituzionale che è bene riprendere (articolo 33, comma 4) là dove prescrive che è la legge che deve stabilire quali sono le condizione per chiedere e ottenere la parità. E la legge 62, dopo anni di silenzio normativo in materia, ha inteso finalmente rendere operativo questo assunto.

Osvaldo Roman si addentra in una materia estremamente complessa e denuncia tutte le violazioni che sono state apportate sia al precetto costituzionale del ‘47 che alla legge applicativa di Berlinguer che per primo ha inteso mettere ordine in una materia sulla quale dal ‘47 al ‘60 tutto è stato possibile per quanto riguarda finanziamenti pubblici, quindi non solo dello Stato, alle scuole private.
A mio giudizio, è un libro che fa estrema chiarezza sulla complessità di una materia sulla quale sono stati in molti, soggetti e istituzioni, a far finta di nulla. “Se il diritto tace, tutto è lecito”, dice un vecchio adagio. Ma il diritto non tace affatto, anzi parla e scrive! Ma non c’è peggior soggetto di chi non vuole né ascoltare né vedere.

Per queste ragioni ritengo che Roman abbia scritto un testo di cui tutti avevano bisogno, e soprattutto il legislatore, nazionale e regionale. Il faticoso cammino compiuto per dare un assetto a una materia complessa è puntualmente ricostruito dall’autore. Ma è un cammino su cui per troppi anni hanno voluto marciare falsi ciechi e falsi sordi. Non ci sono più alibi per aprire e chiudere scuole private, per chiedere e dare finanziamenti. Non ci sono più alibi per non riconoscere che la prima legge costituzionale – possiamo chiamarla così! – di un governo di centrosinistra ha individuato condizioni serie e giuridicamente valide per dar vita a un sistema nazionale in cui scuole statali e scuole paritarie svolgono con pari dignità un pubblico servizio.

E il principio del “senza oneri per lo Stato” è pienamente rispettato. Il comma 9 dell’articolo 1 della legge 62 così recita: “Al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie nell’adempimento dell’obbligo scolastico e nella successiva frequenza della scuola secondaria e nell’ambito dell’autorizzazione di spesa di cui al comma 12, lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante l’assegnazione di borse di studio di pari importo eventualmente differenziate per ordine e grado di istruzione…”. Lo Stato non finanzia scuole, ma provvede a sostenere famiglie.

Tutto ciò che è accaduto dopo in materia di finanziamenti pubblici alle scuole private, laddove si sono verificati, non è imputabile alla legge 62, ma a provvedimenti che, qualunque fosse la parte politica che li ha adottati, la travalicano e la violano.
Nel dibattito attuale sul funzionamento delle scuole paritarie e delle scuole private e sulla questione del loro funzionamento e finanziamento il dibattito è aperto.
Tutte le opzioni sono possibili, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare! E non diamo a Berlinguer ciò che non gli appartiene!

La Scuola privata non è Scuola pubblica, Roma 5 maggio 2014

David Cronenberg, A Dangerous method

COMMENTO AL FILM: “A Dangerous method” (2011), di David Cronenberg – Nota essenziale di Gianfranco Purpi

NARRATIVA E LETTERATURA DEL FILM:

…”””A Dangerous method”””, …è l’ultimo capolavoro cinematografico di David Cronenberg.
Forse, però, pochi hanno letto il libro di John Kerr, Un metodo molto pericoloso, cui il regista canadese s’è ispirato per la sua sceneggiatura dello stesso film.
La storia narra interpretativamente anche se,allo stesso tempo, con rigore storiografico/teoretico e paidetico/scientifico,…fatti realmente accaduti agli inizi del secolo scorso,… e ruota attorno a tre personaggi coinvolti in un denso intreccio intellettuale e umano: Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, Carl Gustav Jung, suo intimo collaboratore, e Sabina Spielrein, giovane ebrea russa, paziente di Jung e poi allieva di Freud.
…Fu lo psicanalista Aldo Carotenuto a rendere pubblico , per la prima volta …, il carteggio privato tra i tre, rinvenuto in uno scantinato ginevrino negli anni Settanta.
…Il manoscritto fu pubblicato nel 1980 come “””Diario di una segreta simmetria”””, … e, forse, allora nessuno immaginava che quel prezioso documento sarebbe un giorno diventato un film di successo. Anzi, due, perché una prima sceneggiatura fu proposta in opera cinematografica nel 2002, da Roberto Faenza, con il film dal titolo :”””Prendimi l’anima””””, destinato tuttavia a non destare lo stesso clamore del film ultimo di Cronenberg : ”””A Dangerous method””” .
…La storia in questione, dunque, è nota.
…Tuttavia, là dove il film del 2011 …spegne i riflettori accendendo il piacere delle emozioni, il libro prosegue alimentando la voglia di sapere di più.

Caratterizzazioni cinematografiche del Film in questione: ”””A Dangerous method”””

…Quei due intensi mesi d’analisi avviano da un lato la suddetta donna/paziente originaria: Sabina Spielrein ,verso una lunga e sofferta reazione surrealista e paranoica che, nonostante tutto, la condurrà catarticamente …alla temporanea guarigione e al riscatto di sé; …dall’altro faranno progressivamente precipitare Jung in una tormentata malattia interiore, agitata dal crescente coinvolgimento analitico-amoroso sempre più transferiale e sublimante …con questa paziente dall’irresistibile carica psichica emozionale/affettiva trasfigurante …e dalla pervasiva veicolazione irrefrenabile a carattere libidinoso/pulsionale e identificativo/relazionale fortemente immedesimante/proiettivo!.
… Jung così si sentirà talmente disarmato da chiedere aiuto a Freud (Viaggo Mortensen), più anziano ed esperto ,…e per molti versi pluridimensionalmente più divergente dalle prospettive junghiane monocordi:..è l’inizio del delirio e della psicosi più schizofrenica di Gustav Carl.
… E’ questo il primo caso noto di supervisione in analisi.
…Acuto e impeccabile, Freud contribuirà a districare la matassa relazionale non senza traumi, avviando la storia di tutti e tre i protagonisti verso un epilogo conflittuale ma inevitabile e, al contempo, indirizzando la storia della Psicoanalisi verso l’evoluzione storicamente nota e dentro i recinti epistemologici del più recente eterogeneo dibattito.
…A spingere verso il baratro ,il giovane Jung ,…contribuisce Otto Gross (interpretato da un intrigante Vincent Cassel), eccentrico medico e figlio di un noto criminologo.
…In quei mesi Otto viene affidato a Jung perché argini i suoi comportamenti trasgressivi e nichilistico/sadomasochistici ,in un’epoca impregnata di perbenismo e moralismo neopositivista: è un altro caso di lotta contro il padre, come era stuccesso a Sabina Spielrein; …in più è un erotomane, cocainomane, assertore del diritto alla poligamia e del suicidio.
…Quanto basta perché Otto e Jung vadano subito d’accordo.
…”Sono due gemelli psichici” avvolti solo da una patina solo formale e analogica di diversità temperamentale,antropologica e fisio/psichica;… risucchiati nel vortice di una reciproca analisi, da cui Otto uscirà sconfitto, bruciando precocemente la sua romanzesca vita al fuoco dei suoi stessi archètipi, …mentre Jung, corrotto dai suoi mefistofelici consigli, si fermerà a quell’oasi sospirata di contemplazione disnomica e di trasgressività dignitosamente pseudospeculativa.
…Busserà, cioè, all’ipnotica porta di Sabina, cedendo definitivamente al suo abbraccio, tanto casto quanto nichilistico e azzerante il vivere olistico.
…A volte si deve fare “qualcosa” d’imperdonabile per continuare a vivere …ed è ciò che sta per fare Jung.
…Il film non è, dunque, solo la storia di tre personaggi.
…E non è nemmeno la storia d’amore tra Jung e Sabina, perché un’altra relazione profonda si pone in primo piano: quella tra Jung e Freud.
…L’anima di tutta la vicenda trascende i singoli attori e protagonisti dei rispettivi vissuti esistenziali storicistici sia in prospettiva diacronica che sincronica (…in antesignana clinica “epistemologia genetica” Piagettiana), …perché, la vera protagonista è “la Psicoanalisi…delle diverse sottodiscipline teoretiche e interdisciplinari della Psicologia”!
…E’ la storia del pensiero e delle ricerche epistemologiche di Jung, di Freud …e delle patologie e disnomie con cui essi vengono giornalmente in contatto attraverso i loro pazienti.
…Perché è indubbio che il pensiero di ricerca epistemica e il profilo storico/culturale di ognuno, …è sempre debitore di coloro con cui si entra in risonanza cibernetica e interpersonale/sistemica strutturalizzante.
…Il film questo lo racconta e didascalizza davvero bene, …in maniera molto suggestiva e coinvolgente, …focalizzando la psicoanalisi non solo attraverso le sue teorie ma soprattutto puntando sul carattere polimorfo e diversificato dei suoi metodi e delle sue criterialità antropologiche …di indagine teoretico/filosofica e di sperimentalità scientificamente analogica,…tutti centrati sulle tanto bramate dialogicità cliniche interpretative e sull’ermeneutica subliminale denotata dalla transferialità linguistico/comunicazionale sollecitante introspezione e circospezione,…sull’ascolto decodificante e induttivamente/deduttivamente cibernetico ,…e sulla umanisticamente problematizzazione fenomenologica dei diversi dati storici di riferimento alle diverse variabili esistenziali di ontologia psico/sociale/storicistica.
…Tutto ruota, dunque, attorno a quell’alchemica coinfettazione e contaminazione simbiotica quasi mistica…tra terapeuta e paziente …e relative variabili sistemiche personalistiche,da cui tutti escono inevitabilmente modificati e per certi versi snaturati per quanto concerne le certezze scientifico/sperimentali da ottimismo scientista e positivista antipopperiano e da filosofia del linguaggio neo kantista!
Il film riesce a dialogare a più livelli, catturando anche lo spettatore  ignaro di psicoanalisi o di quadratura epistemologica interdisciplinare di ricerca euristica/filosofico/ermeneutica e di psicologia generale paideticizzante;…e comunque non a conoscenza della storia dei diversi prospetti di storia contemporanea delle scienze umane sempre configurantisi in quanto scienze pedagogiche!
…Il susseguirsi delle scene è cadenzato con un ritmo scenicamente e rappresentativamente plausibile , …soppesato come il respiro di un atleta, …sincronico come il tempo scandito da un orologio in cui lo spazio ne è sempre funzione di dialettica della gnoseologia ontologica;…ciò, anche grazie alla congruenza e appropriatezza artistica dei dettagli, …alle ambientazioni realistiche/esistenziali della storiografia fondante e di costante riferimento narrativo,… e alla fedeltà dei dialoghi e monologhi dei tripolati soggetti umani …”analisti e analizzati”.
…Si assapora l’aroma narcisitico ,al postutto…,di sigari e pipe simboli di cultura mistica e sacralizzante …e da intellettualismo romantico/illuministico allo stesso tempo,…reificanti e di sola apparente problematicità del vero naufragio teoretico del dubbio esistenziale in quanto tale; …sfoggiati da mani inguantate …e allusivi d’altre viziose dipendenze!
…In fondo,… si respira la brezza marina di un vento di Maestrale da Naufragio fine a se stesso ed alla propria curiosità di superare prima di tutto  – sia Gutav Carl che Sigmund-   il loro Io/penso emozionale e pulsionalmente dalla genetica edipicità di intellettuali monocordi narcisistici e accademicamente presi solo dalla vera solitudine della convivialità non da verace cenacolo “erga omnes”!
…Ciò,in particolare,…durante il viaggio di Freud e Jung verso l’America ,…mentre i due duellano con dialettiche aporetiche e di aforismi antinomici …frutto soprattutto di agilità di fioretti linguistici essenzialmente nominalistici;…da pungenti battute di paradossalità sofistiche e fenomenologicamente denotate da scaltrito eloquio di evanescente retorica  velleitariamente di cartapesta ; …e così…si palpa il misterioso “cigolio” suggestionante e paranoico duale della libreria di Freud, …anticipato da quel significativo calore nel diaframma di Jung durante uno dei loro colloqui.
…Che sia un puro caso o una curiosa risonanza telepatica di sincronicità …non viene nè esplicitato e nemmeno reso empiricamente osservabile;…ma è smaliziatamente lasciato alla sensibilità di ogni spettatore.
…Mai una sbavatura, …dunque, …mai una forzatura di sceneggiatura e di antinomica drammatizzazione teatralizzante espressiva …si rinviene  rispetto alla trama della storicità in questione ed ai diversi dati esistenziali di riferimento …al reale intersoggettivo!
… Nemmeno durante le scene d’intimità tra una Sabina masochisticamente e sadicamente spregiudicata… prostrantesi non senza sotterranea compiacenza nichilistica e da primati dell’istinto alla libidinosità espressiva,…”alle sculacciate herbartiane”…di Jung, …che è amorevole complice ma solo parzialmente partecipe.
…La narrazione è così velata da convincere lo spettatore che i vissuti sottaciuti o mistificatamente occultati scenicamente ,…o anche solo illusionisti sul piano della esplicitante iconica ricostruzione cinematografica ,… sia monumentale rispetto alla evidenziazione fattuale e neorealisticamente palpabile ,…come nell’attimo in cui s’allude alla perduta verginità di lei tra le braccia di lui,Guastav Carl, …dettaglio assolutamente significativo e di fondamentale valorialità organistica/orgasmica,… che è clamorosamente ignorato dall’attenzione coscienziale irreversibilmente e rigidamente percettiva di un fanciullesco sincretico Jung.
…Le allusioni erotiche e i sottintesi concettuali di latente pulsionalità e di sessualità travolgente ,…frammiste a voglia di possedersi simbioticamente fino alla sadica o mistica penetrazione totalizzante e di euristico olismo organistico di analista e paziente, …riempiono lo schermo cinematografico …fino all’ultimo fotogramma,…e la partecipazione catartica e trasfigurante degli spettatori …è tale …che si approda alla fine del film…con rammarico e quasi con convinzione di …inesaustività ontologica della ricerca epistemica e della dualità psicanalitica comunque sperimentale tanto bramata e forse mai raggiungibile una volta per tutte.
… Il Film si conclude insieme a Jung – più malato dell’anziano Freud – …con lo sguardo rovesciato su un lago apparentemente calmo…schermo rifrangente del tempo spazializzato e coscienzialmente consapevole di non poter e non dover imprigionare e costruire nessuna convinzione metodologica e scientifico/teoretica ,…nessuna inconfutabilità di prospettiva di metodo e di antropologia dell’Umano Patologicoa o della Normalità …”di rito”.
… E questo pare davvero un lago che viene rivissuto e si pone quale specchio dell’anima di Gustav Carl, …su cui incombe l’angoscia di un sogno premonitore di tragedie calamitose e di scissioni schizoidi da sciagure annunciate a guisa addirittura da fabulazioni e premonizioni magico/animistiche.
…Il suo delirio è forse il prezzo necessario alla rinascita dell’Umano personale e da Inconscio Collettivo,… perché solo il “medico ferito”…può redimersi e raccogliere i cocci improbabili della sua guarigione!
…Accanto a Jung, …la vita sboccia in grembo a una Sabina forte della sua conquistata e travolgente sublime femminilità dorsale, …a sua volta rinata e sposata con un medico che presto la deluderà e la abbandonerà per sempre al sua destino di vita angosciante solitaria sul viale dei ricordi e delle rievocazioni disperate delle diverse possibilità di vita che le si erano radicate ,quand’era con Jung…e questi era stato 8e forse lo sarà per sempre nella temporalizzazione estatica!)…ineludibile tesoro di speranze toccate e agognate con mano!
…Così….nella visibilità fenomenologica e nei vissuti estemporanei ,la donna sarà quasi sempre pra di ad una immeritata inaffettività di mesta singolarizzazione esistenziale disamorevole,… a conferma che la crescita e il cambiamento esistenziale …sono un susseguirsi di vita e di morte, …di involuzione e di involuzione,…di fusione e di “interrotte” depressive separazioni dei propri “Io/Divisi”.
…L’immagine del figlio della donna,…che questa porterà ineluttabilmente nel naufragio patetico della vita agra,…dona un brivido e un pietismo commoventi e di digitante afflizione costante ,…ma anche d’illusorio sollievo del tutto fugace, perché il destino di Sabina, pur premiato dal successo come psichiatra,… sarà troncato dalla falce nazista a cui la stessa Sabina si consegnerà ingenuamente e quasi senza speranza di reazione…insieme alla sua famiglia ultima.
…All’orizzonte, poco prima che sullo schermo scorrano i titoli di coda, …compare lo spettro della prima guerra mondiale e l’imminente separazione delle strade dei due grandi psicoanalisti : Jung e Freud,… e la…Distruzione Jaspersiana e Luckasciana della Ragione …e della Storia della Civiltà Occidentale laico/cristianizzante costellata nei valori etici ed estetici personalistici  del Bene Comune e della Dignità di Persona diffusi evangelicamente sulla terrestrità da Jesus storicistico.

Il Libro:

…John Kerr, l’autore di questo bel libro edito in Italia dalla Casa Editrice Frassinelli, si è professionalizzato e geneticamente formato …come (per così dire!)… “psicologo clinico” alla New York University.
…Con quest’ultimo saggio, Kerr ha voluto ripercorrere dalla genesi … i sentieri sottodisciplinari e teoretico/filosofici della Psicoanalisi in quanto Scienza Composita …e delle Psicologie umanistiche e psico/neuro/fisiologiche, interpretandole come la profonda interazione tra i principi epistemologici del suo Padre Simbolico Genetico …Sigmond Freud ,…e quelle dell’allievo dissidente Carl Gustav Jung .
… In questa lettura storica e dalla narrativa assolutamente verista, …Sabina Splielrein diventa il ‘giro di vite’ nel percorso evolutivo dello stesso  Jung, …in parte ingenuamente deterministico nel suo distacco da Freud.
…La separazione di percorsi di studi e l’affrancamento culturale/professionale ed epistemologico ,…tra questi due uomini simbolo della nascente Psicanalisi,…rappresenta per entrambi la fine di un’avventura umana e intellettuale che nessuno dei due riuscirà mai a colmare ,  a ricucire ed a univocare in dialettica feconda e in un confronto proficuo filosoficamente criteriato …auspicalmente fondati in determinazione criticistico/sistemica  ed in fondamento dialogico laico/laicistico.
… Insieme, Freud e Jung, hanno aperto un immenso orizzonte su un nuovo modo di affrontare il “paziente/terapeuta” e ,più in generale…,ogni affiorante o presunta suggestionante “Divisione dell’Io”, …o pur anche in  permanente o rapsodico “Bord/Line” psicotico!
…Ciò,…attraverso l’ascolto clinico e la dialogicità , …la linguistica delle semantiche e delle sintassi catartiche e transferiali,…la parola delle empatie confortevoli e amorevoli di comprensione quasi sacralizzante;… dove persino il silenzio diventa una modalità di dialogo stesso …e di reciproca comprensione introspezionante e fonte di introitante autoconsapevolezza autogena e catartica … d’ogni vissuto esistenzial/problemico o comunque naufragante/fenomenologico.
… La vera tragedia è, invece, quella di non essere riusciti a fare del metodo psicoanalitico/libertario e normativamente destrutturante … uno strumento grammaticale scientificizzante e una sintassi criteriale/univocamente euristica in prospettiva pedagogico/formativa.
Questo dramma è ben profilato nel libro di Kerr …che comincia a narrare vissuti e spaccati molto antecedenti a quelli dell’inizio della trama del film in questione del 2011;…dove quest’ultimo finisce quando…apre una seconda sceneggiatura centrata sul delirio e sui sogni di Jung,… ferito ma fermo nella volontà di ritrovare il proprio velleitario equilibrio e la propria sperata disincantata coscienzialità ,…serena e non angosciata,…pur certo che mai riuscirà a demistificare assolutamente e ideologicamente …se stesso e ogni suo stato di alienazione reificante e fuorviante dei vissuti pur sempre alterati/alienati dalle passioni e dalle emozionalità affettive fondate pur sempre sulla Libido e sugli Istinti diffusi trasversali della Vita o della Morte;…di Eros e Thanatos;…di un Olismo risultante…al postutto ,…scaltrito e truffante siero di una Fattura Misteriosamente ontica e Inconoscibile fino in fondo,…per porsi in quanto anestetico “ignorante/ignaro” delle genesi e delle Fenomenologie essenzialistiche del Dolore e dell’Angoscia … sempre sottesi feticisticamente alla sofferenza ed al disagio tribali di chi , con occulta magia di scomparse come i tesori delle Fiabe Artificialistiche…, assaporano l’esplodere delle gioie e delle euforie  umani felicitanti…con incipiente effimero sincronico dramma di ripulsa…per il costante prendere corpo del Grande Terrore che prima o poi si abbiano ad oblunare come in ogni tramonto crepuscolare del Sole e della Luna vitalistiche (…simbolizzanti ,al postutto…, le vie Lattee del Dio premonitore ed autista di sicurezze illuminanti le balorde trappole caduche della terrestrità ineffabile contingentista)!
L’epilogo storico ed esistenziale del rapporto umano e culturale tra i due psicoanalisti ,…è emblematicamente segnato da una data precisa: il 7 settembre 1913, quando si apre il IV Congresso Psicoanalitico Internazionale.
…All’Hotel Beyerischer Hof di Monaco si riuniscono ottantasette illustri medici, tra cui Freud e Jung…Presidente del convegno.
…Lo scisma tra i due “CAPISCUOLA” è aspro e ormai insanabile.
Sabina Spielrein non è presente. La sua gravidanza, del resto, non avrebbe reso fecondo ai due uomini il loro continuo finale scontro e sofistico contrapporsi antidialettico, …poiché avrebbe evocato dolorosamente le origini del loro divorzio intellettuale ed eticamente epistemologico/ANTROPOLOGICO (…PERALTRO FONDAMENTALMENTE PAIDETICO e UMANISTICO!).
… Una notte, per autodifesa psichica, Sabina sogna persino di uccidere Jung, nell’inconscio tentativo di liberarsi dal bambino ancora conflittualmente vivo in lei: Sigfrido, l’eroe martire, il bambino senza padre CHE PARE CHE FOSSE l’amato Jung.
…Poche settimane dopo, Sabina partorirà invece Renate, una femmina, una bambina forte e sana, battezzata simbolicamente con il nome della rinascita, …intenzionalmente così nominalizzata per allontanare definitivamente lo spettro della morte e di ogni angoscia di delirante “perdita della realtà” e di ogni felicitante “amor fati”!
Tutto ciò risultò devastante per Jung: la rottura con Freud, la vendetta di Sabina, l’incerto futuro delle coordinate antropologico/epistemologiche e culturalizzanti/terapeutiche delle ricerche produttive di psicoanalisi dei protagonisti.
…Tuttavia, la cruda realtà sembra nichilizzare le turbe interiori che devastano Jung stesso,…che è alle prese, da tempo ormai, con i suoi crescenti deliri psicotici e addirittura schizoidi dualisticamente dissociati/dissocianti;…e Lui pare non abbia scampo di riscatto e di salvezza d’anima interiore e di cuore sentimentale intenzionato alla vera felicità amorevole e cristianizzante!
…Sente di dover affrontare le sue immaginazioni asettiche e di fantasticherie assolutamente fabulanti ,…e di trasfigurarle in positiva visione umanistica d’esistenza dolce produttivamente positiva ed empatica,…conviviale;… per poter rinascere.
…E’ nell’ottobre dello stesso anno, durante un viaggio in treno, che Carl Gustav ha per la prima volta una terrificante allucinazione,…che lo porta a “stravedere” immaginativamente e in delirio di allucinazione surrealistica … l’intera Europa sommersa dalle acque.
…In questo sogno …che lascia allibiti sul suo “ricavabilissimo” significato di morti e catastrofi da “premonition” incredibilmente suggestionante e verosimilmente storicistica,…Lui si rappresenta oniricamente e forse trascendentalmente …un’alluvione catastrofica che sommerge ogni nazione, ogni città, …e laddove solo la Svizzera resta indenne sul piano geo/storico!
…JUNG STESSO…SCRIVERA’ ,… ALLA FINE DELLA SUA ESISTENZA DA TREGENDA ESTATICA E SCHIZOIDE“, così:
“”” …(…)…Vedo i flutti giallastri, le fluttuanti macerie delle opere della civiltà, gli innumerevoli morti, e infine il mare divenuto sangue …”.
…Qualche settimana dopo, le allucinazioni e le alterazioni rappresentative …e di dissociante frammentazione logico/cognitivizzante …si ripresentano ancor più laceranti e terrificanti.
… E al drammatico scenario di sangue pare che si venga ad aggiungere una voce mortifera che condanna Jung in un più grave deterministico e necessitaristico …tormento maliardo;…E lui,di contro,…assicurerà così ,…scevro da ogni dubbio di ritorno al Principio della Realtà: “”“Guarda bene, è tutto vero, sarà proprio così, non c’è motivo di dubitarne.”!
…Affranto dalla crescente inquietudine, il 27 ottobre del 1913, Jung scriverà  a Freud una lettera di dimissioni, rinunciando categoricamente all’incarico di curatore del Jahrbuch, la rivista psicoanalitica che, da quel giorno in poi, …si sarebbe ribattezzata “Jahrbuch der Psychoanalyse”.
…Jung “si ritira” da ogni impegno e ruolo accademico e culturale/istituzionalmente, … definitivamente, …per dedicarsi solo a se stesso, …alle sue paure …e ai suoi fantasmi sadomasochistici e di ineffabile reificazione totemica e alienante;… confinandosi nella solitudine narcisistica più completa e sadomasochistica.
… Carl Gustav non aveva mai profilato ,…nella sua natura caratteriale , di formazione e di temperamento,…il chiedere aiuto ,…anche se nessuno avrebbe potuto aiutarlo…nella “fattispecie” !
…Per un lungo periodo, così …,Jung s’abbandona inerme e passivizzante …in preda alle allucinazioni e ai deliri più impressionanti,… avvalendosi della sua solitudine certosina e di reificazione narcisistica assoluta …per realizzare esperimenti assurdi ed eticamente discutibilissimi ,…con sogni e fantasie inenarrabili…e con pretese velleitarie ,…per demolire e azzerare con temerario e irresponsabile pseudo/coraggio di irresponsabile temerarietà,…le incalzanti accuse della sua coscienza ;…”oltrechè” le sprezzanti e denigratorie invettive dell’Accademia Culturale e Istituzionale/Scientifica dei Circoli più in vista gli studiosi del tempo.
…Jung sotterra così il suo Io …negli abissi marini di sé medesimo, …a tal punto da ritrovarsi e sentirsi spesso come trasbordato ad Atlantide o ad Aldebaran,… o su una terra di Cimiteri e di Morti, in cui immagini simboliche e feticistiche sembrano riportarlo neotenicamente e totemicamente …a livello di “Gran Ritorno” freudiano nello stato inerme di quiete e di  metaforica simbolizzante “voglia/di/ritorno/all’utero/materno”;…risucchiandolo in una dimensione mistico-religiosa molto più vicina alla morte e al nichilismo di “interramento” …che alla rinascita vitalizzante e convivialmente paidetica.
…Una mattina, si sveglia nel suo letto a Küsnacht in preda al panico.
…Nel cassetto del comodino …prende immediatamente la pistola di servizio, …carica …e pronta per uccidere.
… Jung sente che se non fosse riuscito a decodificare ed a profilare le semantiche oniriche e le relative pseudologiche subliminali semantiche …“da meccenismi di fuga imperforabili” …delle sue rappresentazioni fabulistiche e di pura esaltazione delirante e dissociante/dissociata, …si sarebbe dovuto certamente sparare e suicidarsi.
…Paradossalmente, …abbandonarsi senza difese  e con dei meccanismi di fuga assolutamente ingenui,… pure al suo Io Cosciente,…diventa la sua “arma vincente” …da “uovo di Pasqua” coscienziale e cultural/credenziale!
… Jung conia ,…così,…in questo DRAMMATICO E TRIBOLATO PERIODO FINALE DELLA SUA ESISTENZA ,…l‘espressione,la semantica e ogni possibile sintassi di pragmatica della comunicazione esistenziale,…del concetto di  ‘immaginazione attiva’, riferendosi proprio a quest’arrendevole rimettersi fabulisticamente e indifeso …alle fantasie ed alle immaginazioni creativizzanti/fuorvianti di surreali alienanti stati esistenziali …e di volatili schizoidi “interruzioni totali” dell’organicità unitaria della personalità ,… con le percezioni della vigilanza autentica coscienzialità comunque verosimilmente plausibili in orizzonte di magia e di mitologie deresponsabilizzanti: solo così facendo lo psicoanalista Carl Gustav sembra poter conquistare il pieno controllo su di esse e uscirne vittorioso.
…Azzerandole in questa dinamica di giochi mentali paradossali e trasgressivi/divergenti,…infatti, …riesce ad esorcizzarle inconsciamente  ed a  considerare inesistenti …i suoi fantasmi schizoidi… ridotti a “personaggi”’ ludici e cartografici …confinati …in una dimensione propria di asetticità totalizzante e di fabulazione tanto più regressiva…quanto più audacemente sconvolgenti le logiche del senso comune delle cose e delle persone di questo mondo; …certamente terribili e di disperata vivibilità,ma sempre preferibili rispetto all’immedesimarsi in loro e con loro.
…Il 20 aprile 1914, Jung si dimette anche dalla presidenza dell’Associazione Internazionale Psicoanalitica.
…Invierà una lettera a Freud informandolo della sua determinazione e siglando la fine del foglio con il contrassegno : “+ + +”,… il simbolo esorcizzante con cui per tradizione si allontanava,a quel tempo…, simbolicamente…, il Diavolo e Satana dalle grammatiche maligne e superstiziose di ogni mitomania brada e impazzita.
…Poche settimane dopo, sarebbe scoppiata la prima guerra mondiale ,… e i flutti giallastri, le fluttuanti macerie delle opere della civiltà, gli innumerevoli morti e il mare di sangue ,…sarebbero divenuti realtà storica e storiografica.
…Freud e Jung, i due amici/nemici e “genealoidi”,…studiosi di demoni e sogni,…di parricidi e di stratificazioni funzionalmente romantiche dell’Io,…e di metafore mitomani metastoriche e antropologiche,… si separeranno per sempre, dunque; …dopo il primo incontro avvenuto il 3 marzo 1907 che li tenne assieme d’un sol colpo…in un colloquio durato tredici ore di seguito.
…Si saluteranno con un mefistofelico , surreale e incredibile amaro silenzio, …dopo aver condiviso un intenso itinerario curricolare di studi …e di pseudo/creative metodologie e antropologie della conoscenza psicologica intuizionista,…sempre sul filo della fusione del loro profilo identitario di formazione e di professionalità,…e…sempre intenzionati alla scissione inevitabile flagellante di ogni possibilità di comunione teoretica e produttivo/terapeutica …rigorosamente da psicologia olistico/umanistica scientificamente e sperimentalmente criteriata (…al postutto,filosoficamente/paideticamente fondata e univocamente determinata!)…
…Freud, …con la sua razionalità epistemica/romantica … e con il suo pansessualismo meta/temporale e con il suo antropomorfismo totemico/mitologico;… e Jung, con la sua esigenza mistica/contemplativa e speculativa …di esplorare paranoicamente …l’invisibile noumenico “esserci” fabulante, …resteranno tuttavia i protagonisti di uno dei più affascinanti , suggestivi e fecondi/edonistici  movimenti culturali di tutti i tempi.
…Una delle ultime immagini descrittive ricavabili nel libro …è quella di un dottor Jung sempre più solitario, …ritiratosi nella sua casa di campagna di Bollingen, alla fine della sanguinosa Grande Guerra.
…Nella casa che ha costruito da sé, …Jung passerà il tempo rubato al suo totalizzante lavoro di “quasi” psico/analista …e di quasi “apprendista/stregone” sacralizzante,… dedicandosi all’ “intaglio della pietra”.
…E, paradossalmente, resta proprio “scolpita” nella OPACITA’ E COSALIZZANTE DUREZZA DELLA PIETRA…la testimonianza di una delle ossessioni che lo accompagnerà fino alla vecchiaia e alla morte.
… Tra i suoi ultimi libri ,infatti, …VI SI RINVIENE METAFORICAMENTE …un trittico …in PIETRA INTAGLIATA… il cui soggetto è l’Anima spiritualistica o deterministico/necessitaristica e ineluttabilmente naturalistica entro metafore iconiche e di essenziale primitiva ontologia della regressivizzante linguistica neotenica!.
…La prima tavola del “trittico”, …mostra un orso curvo che spinge con il naso una pallina.
…Sotto, …reca la scritta: “E’ la Russia che manda avanti le cose!” …
…Quest’immagine sembra voler evocare l’amara, eppur preziosa, eredità culturale di Logos e Sentimenti Pulsionale …lasciatagli dalla giovane Sabina, …incarnata monisticamente e immanentisticamente,…per sempre ,…irresistibilmente e in metaculturalità meta temporale,…nella tormentata coscienza schizoide di Jung stesso.
…Qui finisce anche il libro,…ma non LA PASICANALISI  MITOLOGICA ,…e …LE PSICANALISI E LE LORO ANTROPOLOGIE ED EPISTEMOLOGIE SPERIMENTALI/SCIENTIFICHE DI FONDAMENTO E DI PAIDEIA, …che tuttora vivono e che, senza il rigore ROMANTICO E CREATIVIZZANTE HEGELIANO di Sigmund Freud, …senza GLI INTUIZIONISMI  QUASI BERGOSONIANI  E  MASLOWIANE di Carl Gustav Jung ;…e SENZA  LA  SENSIBILITA’  TELEPATICA  E  DI FEMMINILITA’/SIRENA  ALLA  CASSANDRA  … di Sabina Spielrein; … non sarebbero certamente diventate ciò che sono oggi,…peraltro anche per merito di più contemporanei studiosi e ricercatori creativi e innovativi come il cileno Mattèe Blanco E ALTRI A CUI RIMANDIAMO.

CONCLUSIONE:

…Film e Libro …sono alcuni dei più pregevoli tentativi di realizzazione sublimante e da tesoreggiare,…nel raccontare col vero cinema e con la letteratura,…termini e pretesti scientifico/paidetici,…psicologico/sociologici …ed antropologico/epistemologici;…e affatto romantico/idealistici ; …di temi e pretesti di psicanalisi e di psicologia del Profondo,…in prospettiva generativa di simbiosi interdisciplinare/transdisciplinare neurobiologica e di correlata psicofisiologia anatomo/funzionale e psicoterapeutica…
…Ma forse questa fondamentalità sistemica e strutturalistica di epistemologia euristica e di ricerca …rigorosamente scientifico/sperimentale …e peraltro intuizionistico/clinica,…i MERI PSEUDO/PSICOLOGI imperniati in totalizzazione di formazione umana e culturale…solo sulle tecniche meccanicistiche e associazionistiche di una presunta psicoterapia da vulgata “acchiappasoldi” (…CHE PROCEDONO PER TENTATIVI  ED  ERRORI FETICISTICI E COSALIZZANTI!),…nè lo capiscono fino in fondo,…e ovviamente nemmeno lo fanno capire,…restando solo ebbrezza paradisiaca illusoria di “roselline di maggio” …da slogans consumistici e feticistici ;… di vittime cristologiche pervase fino al midollo inconsapevole e ignaro dal Post/Moderno nichilistico e sadomasochistico di rigetto verso i Classici Maestri Totemici e Accademici…della Vera Cultura Umanistica del Logos fertile polisemico e poligonico/polifonico,…da fondazione teoretica e laico/cristianizzante di autentica Paideia ,…e…che dovrebbero invece porsi paideticamente criteriati in ragione di una quantomeno essenziale visione integralizzante da un Umanesimo Olistico Criticistico…rigorosamente oggettivo/intersoggettivo e universalizzantemente etico ed estetico autenticante!!

http://www.youtube.com/watch?v=PSNefANl4z4

Francois Ozon, Giovane e Bella

“”…Recensione essenziale al film: <Giovane e Bella> , di  Francois Ozon, con una  sublime e inarrivabile Marine Wacth ed una matura e travolgente Gèraldine Pailhais”””… –

NOTA di GIANFRANCO PURPI

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http://www.youtube.com/watch?v=vqTD1CmqovA

1: TRAMA ESSENZIALE E DESCRITTIVA DELLA NARRATIVA DEL  FILM:

…Isabelle è una giovane e bellissima studentessa di diciassette anni. E’ una bellezza eterea e decadente, una sorta di figura mitologica che si aggira, con una malinconica curiosità, nel caos della complessità naturalistica e metropolitana  …tanto invadente quanto palpitante.
…Incontriamo Isabelle per la prima volta attraverso gli occhi del suo giovanissimo fratello, che la scruta di nascosto, mentre si lascia accarezzare da un sole impietoso su una spiaggia isolata.
…Sempre su quella spiaggia , la ragazza ancora adolescente …ha il suo primo flirt e il suo primo (insoddisfacente) rapporto con un ragazzo “snob” della qualunquista borghesia tedesca ,…rinvenendo da questa esperienza sporadica e decadente …solo delusione e terrificante diffidenza verso i coetanei e la frivolezza dei costumi giovanili (scopre che,contemporaneamente,lo stesso Peter era stato e continuava ad essere sincronicamente …rapsodico amante della madre per soddisfare brame solo pulsionali di quest’ultima!)…
…Una volta tornata a casa in città…Isabelle riprende gli studi e conduce una doppia vita: decide quasi per gioco,inaffettivamente e senza un briciolo di pulsionalità amorosa autentica per alcuno (…forse solo per riscattarsi dalle ipocrisie metabolizzate dal mondo esterno e subite dalle relazioni con gli immaturi suoi coetanei di scuola e di svago!) ,… di abbracciare scelte e linguaggi di vita bugiarda e inautentica …attaverso l’elusione della trasparenza etica sentimentalizzante della sua personalità in continue crisi di certezze …e in preda a dubbi esistenzialistici sul senso del Bene e del Male ,…e peraltro assolutamente compromissorie della gratificazione del suo tacito bisogno di una vera figura paterna o di una figura di compagno di vita felice totalizzante che avesse potuto transferializzare la sua sotterranea prepotente esigenza di amore davvero simbiotico!
… Così,quasi per caso …, decide repentinamente,…con non pochi turbamenti emotivi e con sindromi ansiogene vibranti ma ben dileguate all’osservabilità dei familiari e delle sue amiche (…e ,prima di tutto,…oblunate alla sua coscienziale consapevolezza …affatto eticamente responsabile …e sfuggenti alla sua comprensione del gioco erogeno feticistico di ruoli erotici perversi,…senza scrupoli morali ,…entro cui stava decadendo!)…, di diventare una Escort…
…Almeno fino a un episodio che la tradisce e la smaschera…
…Isabelle (Lea per i clienti) avrebbe potuto continuare in eterno il suo gioco di prostituzione e di doppiezza spietata della sua identità pseudo/personalizzante di dominio, …ma c’è qualcosa che spezza quel circolo vizioso edonistico ….istintualmente brado e cinicamente inaffettivo,… anche se mai reso pubblicamente umiliante e oltraggioso ai personaggi della storia e della famiglia…
… Isabelle, attraverso un dolore, invecchia.
…Smette di essere innocente, e quindi giovane.
…E’ una piccola odissea privata e noi spettatori siamo solo ombre in quel lento dispiegarsi di stagioni e canzoni leggere che seguono i vissuti e i protagonisti.
…François Ozon mostra come il sesso e l’arte siano ostinatamente legati in e da …un linguaggio che scavalca ogni pregiudizio e aiuta a superare l’umiliante, quella sì per davvero, solitudine che alberga in ogni cliente che cerca falso conforte nella prostituzione di una giovane ragazza potenzialmente candida e dolce come la sua bellezza …”rossa come il sangue e bianca come il latte”,…ma anche nella stessa Isabelle

…Come diceva Artur Rimabud, citato dagli insegnanti di Isabelle, nessuno è davvero serio a diciassette anni e questa sembra essere la giustificazione che spinge la madre e il patrigno ad affrontare con superficialità egoistica il problema della figlia.
…Il dolore dei genitori viene prima rispetto alla reale motivazione del desiderio ossessivo di Isabelle …ed egoisticamente è posto in contrasto con i valori perenni e universalizzanti che sentono e comprendono espiativamente …di non aver mai trasmesso e nemmeno indirizzati paideticamente alla ragazza…
… Ciò,… che nessuno sembra cogliere davvero …è quanto Isabelle sia cosciente di sé stessa rispetto a ciò che la circonda e le denota ogni frammento del suo Esserci storico/esistenziale…
…Lei…è sempre dentro una vita distaccata, fredda, calcolatrice, inaffettivamente cinica e forse demotivata ad ogni senso di impegno e di solidarietà caritatevole…da “I Care” etico/politico e sociale alla Don Milani!
…Pare e forse lo è …una sottile dominatrice che si aggira come una silenziosa Giuditta fra la piccola grassa borghesia francese di vulgata …che ostenta una finta cultura e una illusoria disinibizione …al postutto regressiva e nichilistica,…sadomasochistica!
… E’ consapevole di essere bellissima e ama appunto esplicitare quella potenza di carica espressivamente orgasmica e organismica,… che le dona anche è la sua adolescenza fatata di casualismo gioioso e gaio…e irresposabile,…su corpi già maturati e ormai abbandonati alla disillusione di una vita piena e carica di motivazioni…
…Non vi è nessuna aspirazione in Isabelle …(non spende mai il suo denaro per interessi suoi di voglia e di elargizione materiale) , se non quella di sentirsi desiderata …o curata attraverso sedute psichiatriche ordinategli dai medici per le terapie che le possano far recuperare la sua quasi salute psichica e decompressiva…dopo le sue esperienze di prostituzione e di dolore che le hanno lasciato comunque cicatrici esperenziali tanto occulte…quanto depressive e letali!
… Isabelle ha entrambe le figure genitoriali, ha una famiglia allargata, fratelli, amici….
…Ogni ricerca di interpretazione forzatamente psicologica delle sue disnomie e delle sue distonie da”deregulation” moralmente sempre dualistica …e forse bipolarmente “divisa/interrotta”,…non ha esiti di riscatto umano etico e di ritorno alla gioia responsabile di vivere;… esattamente come fallisce ,in questo,…il suo psichiatra…
…Isabelle non è umana in senso stretto; …incarna soltanto,…forse,…quella figura mitologica demoniaca e di brado vigore biologico/pulsionale …che è Eros allo stato selvaggio,…che questa “giovane e bella” sprigiona laddove la sua psichè e la sua sensibilità esclusivamente regolate dal freudiano Principio del Piacere le vengono a richiedere irrefrenabilmente e irresistibilmente!
…Ozon non giudica e  …non può fare altro che assistere impotente al mistero perenne dell’adolescenza che ai nostri giorni è però sottoposta a pressioni che si manifestano nichilisticamente e violentemente ,…autodistruttivamente,…sempre preda di lussurie e di profili soggettivistici a guisa di “macchine desideranti”,…in misura esponenziale rispetto al passato…; da spinta mortale e fatale di un deteriore crepuscolare Post Moderno azzerante il senso della vita e dei suoi valori perenni umanistici…
…Questo ci coglie ancora più in imbarazzo perché persuasi, e ormai illusi, che in realtà il tempo spazializzante e romaniticamento scandito dalle corde di sentimenti sublimi di felicità e di speranze (…nelle prospettive olistiche dell’Umano e del senso dignitante di Persona!), …non esista più o risulti paradossalmente spersonalizzante,reificante,feticistico e mistificante di brutto!)…
…E,al postutto…,lo spettatore finisce per convincersi che al procedere del nostro “consumarci organismicamente”,…si possa sempre porre rimedio contingentista e pragmatista…da arido deserto di sole,mare,cuore e anima,…da tragica terrorizzante assenza dei riflessi di Dio sempre in corpo e nello spirito …entro  una religiosità comunque nostra intersoggettiva,…anche se sempre criticisticamente neo kantiana e da esistenzialismo sublimante di Gabriel Marcel!
…La regia è di questo film è fredda, malinconica, e quindi profondamente artificiosa nella sua tensione spasmodica e persistente …di ritrarre storia e psicologia delle antropologie e delle sociologie descrittivamente disincantanti/disincantate ,…e…senza alcun quadrante teleologico di speranza e di idealizzazione progettualizzante quantomeno autenticamente umanistica “erga omnes”!
… Unica pecca: i protagonisti forzatamente relegati in ruoli temporanei …e incatenati di continuo entro meccanismi di difesa psicanalitici deprivati di ogni fessura di luce o di raggio di sole da introspezione catartica autenticante/autogena,…non hanno modo di emergere entro la ribalta di una soggettività comunque coscienzialmente e significativamente volontaristica ed espressiva;…anche se ,…in realtà ,…hanno su Isabelle una profondissima “forza distruttiva primordiale”…di variabili funzionalistiche,assegnate,sistemiche,deterministiche… e antropologiche, …strutturalisticamente incardinata entro risultanze storicistiche drammatiche e comunque di forte impatto energetico esistenzialmente testimoniale…
…Andavano sicuramente caratterizzati di più, perché corresponsabili di quella giovinezza deterministicamente e fatalisticamente “sfiorita” della …Nostra “Bella e Ipersensibile Isabelle”,…fulcro centrale descrittivo dello stesso film…
…Pregevole davvero,come diremo anche in seguito,l’interpretazione di Marine Vacth.

2:   COMMENTO TEORETICO/CRITICISTICO AL FILM:

…Questo Film…(USCITO NELLE SALE ITALIANE NEL NOVEMBRE DEL 2013)…è certamente da illustrare e didatticizzare paideticamente a tutti i ragazzi adolescenti ,…e poi da pensare e ripensare dialetticamente e criticisticamente (e comunque storicisticamente)…per rinvenire e comprendere … “le colpe” interdisciplinari del sistema educativo policentrico della Società Civile e Politica odierna …veicolanti ,anche mediaticamente e con la cultura della “strada scolastica”,…l’Antropologia e la Paideia socio/interpersonali di giovani e persone …che non si amano e si vorrebbere addirittura inconsciamente autodistruggere,…azzerandosi nel nichilismo più avvilente e nelle vie della perdizione etica ,…della prostituzione feticistica ,…e della perdita eterna del senso e della brama del vero amore …olisticamente personalistico…

…Questo…è decisamente il film più  artistico e significativo di Francois Ozon,con una  sublime e inarrivabile Marine Wacth (pregevole,come detto!) ed una matura e travolgente Gèraldine Pailhais,…trasfigurantisi scenicamente  e straordinariamente destreggiantisi in una prospettiva interpretativa cinematografica …che rende meravigliosamente alla catarsi dello spettatore …l’esistenzialità consapevole ed immediatamente espressiva drammatizzante di una possibile umanità geneticamente gioiosa …e da potenziale letizia francescana,…laddove purtuttavia vengono storicamente vissute ed epocalmente declinate in squallide “vite vendute” a ruoli sociologici/psicologici deterministici ,… in mercificazioni di cuori e anime …pur sempre perennemente alla disperata ricerca della Speranza riscattante e di un Dio “nascosto” …contingentista …relegato dietro le nuvole delle alienazioni inaffettive e delle spersonalizzazioni del denaro vile (…colorato solo dall’assassina civiltà consumistica mercificante!)…
…Dunque,…alla ricerca di un Dio paterno misericordioso e di assiologie etiche universalizzanti …che non rinverranno mai temporalisticamente e in orizzonte di Logoi secolarizzanti, …perchè cercati radicalmente solo nella terrestrità bio/istintuale …e nell’antiumanesimo estetico di un Post/Moderno squallido materializzante,… pateticamente assassino dei valori della Grande Bellezza criticistica e della metafisica occidentale fondata sul Principio cristiano/laico/laicistico di Persona Integrale … “onto/teo/logica”…

D. Ianes, L’evoluzione dell’insegnante di sostegno

ianesL’evoluzione dell’insegnante di sostegno
Verso una didattica inclusiva
Erickson 2014
di Dario Ianes

Partendo dal presupposto che tutti desiderano un’integrazione scolastica migliore, Dario Ianes presenta una tesi che sicuramente farà discutere il mondo della scuola, ma capace di avviare un profondo confronto: L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva, Erickson 2014.

Il volume punta inizialmente il dito sull’insoddisfazione attuale dei docenti di sostegno, considerati spesso insegnanti di serie B, e sulle problematiche quotidiane che devono affrontare le famiglie di alunni con disabilità.

Successivamente, propone una tesi shock per realizzare compiutamente i valori di equità e partecipazione che sono alla base dell’integrazione scolastica e che l’hanno ispirata: superare radicalmente la figura professionale «speciale» dell’insegnante di sostegno come è oggi, trasformandola profondamente.

Non eliminare l’insegnante di sostegno ma trasformarlo, valorizzando le sue competenze, la sua passione, per creare una squadra di insegnanti titolari capaci di creare una didattica ordinaria più inclusiva.

È pensabile una scuola senza più insegnanti di sostegno, come siamo abituati a considerarli oggi? Senza più aule di sostegno? Non sarà facile. Ma credo che sia possibile e che possa portare a numerosi vantaggi per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e, in prospettiva, per una didattica realmente inclusiva.

Una tesi forte, coraggiosa, capace di sollevare obiezioni e pareri favorevoli, ma l’obiettivo più volte ricordato dallo stesso Dario ianes è realizzare un’integrazione scolastica di qualità: un dovere di tutti i docenti.

Scheda libro: http://bit.ly/Evoluzione_Insegnante_Sostegno

Dario Ianes Docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. È co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, per il quale cura alcune collane, tra cui le Guide e i Materiali. Autore di vari articoli e libri e direttore della rivista “Difficoltà di Apprendimento”.

Incontro con Antonio Ferrara

Incontro con Antonio Ferrara

di Mario Coviello

ferrara2Lo scrittore Antonio Ferrara, il cui ultimo romanzo “ Il ragazzo e la tempesta “ è uscito da meno di un mese edito da Rizzoli, incontrerà il 14, 15 e 16 maggio 2014, nell’ambito della settima edizione del Torneo di lettura di undici scuole in rete della provincia di Potenza, coordinate dall’Istituto Comprensivo di Bella, i ragazzi delle scuole superiori di Muro Lucano, Rionero e Potenza e i genitori e gli alunni di Bella. A questi ragazzi Ferrara ha fatto leggere in anteprima i primi tre capitoli della sua ultima fatica e li ha invitati a finire la storia. Nei laboratori di scrittura di maggio si confronterà con questi adolescenti alla ricerca del senso della vita e i loro docenti.

La tempesta a cui allude il titolo del libro non è solo la bufera di neve che sorprende Bruno, suo padre e la sorellina Dora tra i sentieri e i crepacci di montagna, trascinandoli in un’avventura drammatica che cambierà per sempre la loro vita. E’ il tormento quotidiano di un ragazzino che sta crescendo a tu per tu con il padre, ex guardiacaccia, tornato a casa dopo essere stato cinque anni di ospedale, in coma, in seguito a un brutto incidente in montagna. E’ una persona indurita dall’esperienza quest’uomo che Bruno stenta a riconoscere come suo papà: nervoso, taciturno, talvolta assente e spesso severo più del dovuto. Bruno, che ha tredici anni, lo osserva di continuo; un po’ lo teme – i suoi castighi forti e sbrigativi lo umiliano, ogni volta li sente come una lama che gli trafigge il cuore – ma nello stesso tempo lo adora, ne ha un’ammirazione sconfinata, vuole corrispondergli, assomigliargli, essere apprezzato in ciò che fa, imparare a diventare un uomo come lui. L’occasione giusta per stare insieme e conoscersi si presenta con la proposta di un’escursione verso le rocce e la vetta di quella montagna traditrice che ha cambiato per sempre suo padre. Una sfida da raccogliere ma piena di incognite. Il ragazzo e la tempesta (Rizzoli; 10,50 euro) è una storia intensa che parla di crescita, di emozioni e di coraggio. Di amore di figlio e amore di padre che non sempre sono sulla stessa lunghezza d’onda. Essenziale, senza fronzoli, a volte tagliente ma mai privo di tenerezza, il linguaggio di Antonio Ferrara, premio Andersen 2012 – indimenticabile autore di Batti il muro e Ero cattivo – ci accompagna attraverso un racconto di formazione che rapisce anche il lettore adulto.

Lo abbiamo intervistato. Ecco le sue risposte.

Figura centrale del tuo ultimo romanzo “ Il ragazzo e la tempesta” è un padre che non ha nome, che non fai mai chiamare papà, che si sveglia dal coma, causato dalla caduta in un crepaccio, dopo cinque anni e diventa il punto di riferimento del figlio. Bruno ha tredici anni, ed impara ad amarlo anche se tutti in paese e a scuola lo chiamano pazzo.  “Il padre” ha gli occhi azzurri “ duri come due biglie di vetro”, è alto come la montagna alla quale vuole tornare, parla poco; ha un raro sorriso timido che sembra prenderti in giro. Nelle spalle un’aquila tatuata vola quando coglie la frutta e spacca la legna.

Nell’epoca in cui, come sostiene lo psichiatra Massimo Recalcati, e prima di lui già dal 1968 Lacan, i padri si sono evaporati, perché hai voluto affrontare questo tema in un libro che si rivolge agli adolescenti ?

Proprio per riportare al centro la figura paterna, ultimamente appunto così defilata. In casa e a scuola ormai l’educazione dei figli è quasi completamente delegata a figure femminili (mamme, maestre, professoresse), dimenticando che i bambini e gli adolescenti – sia maschi che femmine – hanno un urgente bisogno di punti di riferimento anche maschili, che proprio Recalcati sottolinea quanto siano portatori di regole, limiti e dunque perfino di desideri. Nel senso che il padre è colui che indica il confine oltre il quale non si può andare e entro cui egli stesso è tenuto a rimanere, ma all’interno del quale si può e si deve assolutamente desiderare. Il Padre salva dal delirio di onnipotenza infantile, ti insegna che non puoi volere tutto. Che devi “sceglierti” per bene i desideri. Il padre di Bruno non ha nome perché è il Padre di tutti.

Dedichi questo libro a tuo padre “ che non aveva paura di niente e di nessuno “

Chi era tuo padre per te ? Somiglia al padre de “ Il ragazzo e la tempesta “ che ha le rughe, i capelli grigi, i peli lunghi sulla faccia, le dita delle mani rosse e pelose, fa ombra al sole “?

Somiglia a questo padre con una rabbia dentro così grande che lo porta a fare a pezzi con la scure le cassette della frutta e cataste di legna; una carogna, a volte, con Bruno,capace di dargli uno schiaffo, di mettergli un coltello alla gola. Un padre che lo spinge a bere il vino, a fumare, a lavorare sodo con lui, contro la moglie che dice che Bruno è piccolo e invece lui fa così perché “ era ora di imparare e che per crescere bisogna fare “ ?

Mio padre faceva il poliziotto, era un tipo davvero un po’ matto, imprevedibile, facile agli accessi d’ira, ma anche decisamente generoso e notevolmente coraggioso. Non temeva il confronto con niente e con nessuno, non era mai in soggezione, mai subalterno coi potenti. Da piccolo mi vergognavo del suo essere sfacciato, invadente con gli estranei, ma intanto ne ammiravo profondamente il coraggio anche nelle situazioni più difficili.

Bruno è un adolescente che ha paura ma “ vuole capire le cose che gli capitavano “, che si sente fuori posto, che ha una madre e una sorella che parlano sempre fra di loro e vuole piacere allo sconosciuto che è risuscitato e fa la carogna con lui e con la sorella che butta fuori dal lettone e corre a prendergli le sigarette.

Vuole conquistare un padre che lo costringe a mangiare la frutta che odia, un padre che ha negli occhi “ una luce che non c’era negli occhi di nessuno”, “ occhi ostinati che ti bucavano la pelle… ti entravano dentro come un coltello “ un padre che finalmente gli dice “ vieni con me “.

E Bruno impara a lavorare senza sosta, a star male per la fatica e a non dire niente perché vuole essere uguale a lui. E finalmente suo padre dice “ E’ come me .”

E’ stato così tuo padre con te.? Sei stato così per tua figlia.. ? Di padri come quello del tuo romanzo hanno bisogno gli adolescenti che conosci in giro per l’Italia, quelli che ascolti, fai divertire, educhi con i tuoi libri, i laboratori di scrittura ?

ferrara1Mio padre non è stato un padre molto attento ai suoi figli (a me e a mia sorella). Ho imparato presto che dovevo farmi bastare quel poco che riuscivo a cavarne. Sono in fondo stato come Bruno, che, dal poco padre (e nel poco tempo) che riesce ad avere, cerca di mettere a punto una specie di autopedagogia, cerca di osservare e di capire cosa voglia dire crescere, essere autosufficienti, cavarsela. E cerca di farlo molto in fretta.

I ragazzi oggi hanno una formidabile sete di padri, di solidi muri contro i quali cozzare. Di un’autorità che ostacoli il gigantismo dell’Io. Senza regole non c’è trasgressione, e senza trasgressione non c’è ricerca del sé.

Con mia figlia ho provato ad essere un padre esemplare, ma non credo proprio di esserci sempre riuscito. Ho capito, da padre, che il coinvolgimento affettivo è una molla potente d’amore ma anche un elemento che comporta scarso distacco nella valutazione delle situazioni. Ti porta ad enfatizzare vizi e virtù. E l’educazione (come in fondo la scrittura, a pensarci) è invece distacco e tenerezza. Tenerezza, certo, ma anche distacco.

Mentre in altri tuoi romanzi come “ Batti il muro “ le donne sono protagoniste ne “ Il ragazzo e la tempesta “ l’universo femminile è più defilato. C’è la madre che è meno stanca da quando il marito è tornato, prega e porta i fiori alla Madonna, cucina, fa il caffè, lucida la frutta con lo sputo ed è innamorata del marito “ e lo guardò e gli occhi gli brillavano e dentro gli occhi se ci guardavi bene ci trovavi l’amore per mio padre “.Ha paura che un’altra disgrazia lo porti via, questa volta per sempre.

Devono essere così le donne ? Quanto sono importanti per Antonio Ferrara le donne nella vita ?

Le donne sono così, nel senso che possiedono biologicamente e culturalmente una formidabile energia che le porta a contenere, a prendersi cura, ad essere empatiche, a cogliere prima e meglio il dolore degli altri. Sono però meno allenate a staccarsi, a tagliare i legami, a spingere i figli nel mondo. E per questo ci sono (o dovrebbero esserci) i padri.

Il padre, col suo arrivo, porta a Bruno il pensiero razionale, concreto, pragmatico, che si confronta con la realtà e lo allontana progressivamente dal mondo magico dell’infanzia.

Ma veniamo alle “mie” donne.

Mia madre, che ha studiato fino alla quinta elementare, ha sempre creduto ciecamente in me, ed è stata il primo, vero, potente motore della mia motivazione e della mia autostima.

Mia moglie, suscitando in me l’amore e il desiderio adulti, mi ha fatto crescere di colpo, mi ha staccato quasi violentemente dalla mia infanzia, e mi ama teneramente, e la sua stima è sempre stata per me un talismano contro i mali e le sfortune della vita. E’ stato proprio per far colpo su di lei (che recitava in una compagnia teatrale) che da ragazzo mi sono messo a studiare tutto il teatro moderno di Ibsen, Beckett, Ionesco, Eduardo, Fo. E, sempre per conquistarla, (era in un’altra città, fidanzata con un altro) ho cominciato a scrivere, a scriverle struggenti lettere d’amore, che alla fine per fortuna hanno funzionato. E poi, per raggiungerla, ho cambiato anch’io città, staccandomi così fisicamente dalla mia famiglia.

Con mia figlia ancora adesso provo a puntellare la sua ancora traballante autostima, a spingerla a mettersi in gioco, ad andare all’estero, a studiare, a lavorare, a imparare le lingue, a faticare senza lamentarsi troppo, a correre dei rischi, perché ho sperimentato sulla mia pelle che se non corri dei rischi non cresci.

Un’altra bella figura femminile è la prof. di scienze che ama la suamateria, la natura, la montagna e gli alberi e sa disegnare le foglie alla lavagna e le conosce , invita a mangiare la frutta, mette in guardia sui pericoli del fumo, si mette il camice e fa gli esperimenti, conosce i suoi alunni.

In un’altra occasione ti ho già fatto questa domanda che voglioriproporti. Come sono le donne insegnanti che incontri in giro per l’Italia ? Sono cambiate nel corso di questi anni..?

La prof del romanzo è una sorta di sintesi di quello che dovrebbe essere un’insegnante: una figura portatrice di cure, di passione, di regole, di stimolo alla curiosità, di pensiero ludico e laterale. Un padre e una madre insieme, ecco.

A scuola, e soprattutto con la letteratura, si può fare educazione sentimentale e spirituale, si può insegnare a nominare e a condividere le emozioni. Hermann Melville in Moby Dick insegna l’importanza di avere delle ossessioni, delle tenaci passioni. Joseph Conrad in Linea d’ombra insegna la consapevolezza di cosa voglia dire l’autonomia e l’indipendenza, ma anche la solitudine che ne deriva.

Ne trovo, di insegnanti così, in giro per l’Italia, e quando le trovo me le tengo strette. Tante altre le trovo sole, demotivate, depresse. Ma per fare l’insegnante non si può essere depressi, né si può aspettare la Grande Riforma della scuola, per cominciare a lavorare.

Nel tuo romanzo , dopo Bruno e il padre, prima dell’incidente guardia forestale, è protagonista la montagna che il padre tornato in vita guarda sempre dalla finestra di casa e dalla quale aspetta un richiamo. La montagna è stata importante nella tua vita? Quali sono state le montagne che hai dovuto scalare tu per crescere ?

La montagna è solo una metafora, non ci sono montagne topograficamente vere, nella mia vita. Le mie montagne, da ragazzo, sono state in primis una devastante timidezza che mi paralizzava anche i pensieri, che mi impediva di parlare in pubblico e di manifestare le mie emozioni. Poi la paura di andar via da casa, di non farcela da solo, di perdere le mie sicurezze e le mie amicizie di ragazzo. Poi la paura di entrare nel mondo del lavoro. Poi la paura di non riuscire ad essere un bravo genitore. E tante altre paure-montagne quotidiane che vanno e tornano, perché maturi non si diventa mai, si cresce sempre.

La montagna brucia a causa di un folle e la rabbia del padre aumenta. E con il figlio decide di agire. Scala la montagna e su di essa si compie il rito sacrificale, fatto di neve, fatica, lacrime, freddo, fuoco, vino e sangue . Il sacrificio è necessario perché “ l ‘ albero che brucia butta i semi lontano “. E’ qui che il ragazzo cresce e finalmente “ mi sentivo capace come un bambù che cresceva tutto d’un colpo.. sto crescendo proprio adesso, pà…Davvero sai…sento che mi si allungano tutte le ossa .”

Ho capito bene ? Perché hai chiuso così il “ Ragazzo e la tempesta ?

Sì, il romanzo finisce con una specie di rito sacrificale, propiziatorio della crescita di Bruno, del piccolo uomo che comincia adesso la sua vita. Per crescere devi “ammazzare” tuo padre dentro di te, e comunque io personalmente mi sono sentito veramente adulto soltanto quando mio padre è venuto a mancare fisicamente. Il muto sacrificio dei padri, il loro fare in silenzio cose sacre ai tuoi occhi, ti orienta il cammino.

Márquez, in nome dell’uomo

Márquez, in nome dell’uomo

di Antonio Stanca

 

marquezGiovedì 17 Aprile 2014 in una clinica di Città del Messico è morto lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez. Aveva ottantasette anni, era nato nel 1927 ad Aracataca, un piccolo paese della Colombia Settentrionale. Era cresciuto, aveva studiato, si era formato in posti diversi della sua nazione. Aveva abbandonato gli studi universitari perché altri interessi lo avevano attirato quali quelli di un’attività giornalistica volta a denunciare, a cercare di migliorare, di risolvere le gravi situazioni di arretratezza, di sfruttamento sofferte da alcune popolazioni latinoamericane o asiatiche. A tal fine si era impegnato anche in politica, si era mosso tra Europa ed America perché importante era divenuto per Márquez lavorare, collaborare per far giungere la giustizia, la libertà dove mancavano, per mostrarle come valori necessari, indispensabili nei luoghi, negli stati che ne erano privi. La difesa, la diffusione dei principi fondamentali della vita, della storia hanno animato Márquez giornalista e politico e da questi interessi sarebbero venuti i motivi ricorrenti nelle sue opere di scrittore. Oltre alla narrativa, racconti e romanzi, si è dedicato anche alla saggistica ma soprattutto nella prima produzione è risaltata una maniera che lo ha distinto fino alla fine. Si sarebbe parlato di “realismo magico” volendo intendere lo stile di uno scrittore capace di procedere esprimendo tutto quanto faceva parte della sua gente, della storia, del mito, delle leggende, delle favole, delle religioni, delle credenze, dei misteri di questa, tutto quanto era la sua vita. Con Márquez scrittore l’uomo latinoamericano è visto in ogni suo aspetto, è il protagonista della vita, è il suo attore principale, ne è anche la vittima ma suo rimane l’ambito di ogni situazione.

Dopo alcuni racconti iniziali il romanzo Cent’anni di solitudine del 1967 avrebbe mostrato e fissato per sempre tale tipo di scrittura. Nel 1982 il Premio Nobel per la Letteratura l’avrebbe riconosciuta come di alto livello e valore. In seguito altri lavori di narrativa ed altri riconoscimenti sarebbero venuti.

Márquez ha sorpreso, ha interessato fin dall’inizio della sua attività di scrittore perché diverso, nuovo era rispetto ad una narrativa quale quella che altrove era allora diffusa. Questa si era fermata a dire della crisi dei valori morali sopravvenuta nei paesi più emancipati, nelle società più evolute a causa degli sviluppi della scienza, della tecnica, dei danni comportati dalla massificazione dei costumi, dalla sempre maggiore diffusione di interessi legati alla materia. Sconfitto era in questa letteratura l’uomo che era rimasto legato ai valori dello spirito, l’intellettuale, l’artista che ne parlava e si trasformava spesso nel protagonista delle sue opere. Una vittoria, invece, rappresentava quella di Márquez perché il suo uomo agiva nella vita, nella storia, credeva nelle sue capacità, era convinto di queste. Un nuovo umanesimo s’iniziava con Márquez ed altri autori dell’America Latina di quel momento. Il fenomeno non poteva che suscitare ammirazione. Anche la morte, quindi, ha rappresentato un’occasione perché si tornasse a dire di quanto importante è stata l’opera di questo autore in un contesto che le era completamente diverso, del significato, del valore che ha assunto per sempre.

Z. Bauman, La scienza della libertà

Le Edizioni Erickson presentano il nuovo libro di Zygmunt Bauman
La scienza della libertà. A cosa serve la sociologia?

baumanZygmunt Bauman, La scienza della libertà. A cosa serve la sociologia?
Introduzione di Mauro Magatti, traduzione di Riccardo Mazzeo
Edizioni Erickson

 

Attraverso una serie di fluide e scorrevoli conversazioni con Michael Hviid Jacobsen e Keith Tester, svoltesi tra il gennaio 2012 e il marzo 2013, il famoso sociologo affronta una tematica quanto mai attuale: la crisi della sociologia.
Partendo dall’affermazione che oggi la sociologia viene considerata di poco valore e affrontata con estremo scetticismo Zygmunt Bauman ci consegna un libro che è una dichiarazione appassionata, militante e cruciale dell’utilità delle scienze sociali.

(…) se la sociologia vuole essere rilevante, è necessario che si apra alle persone e che cominci a pensare nuovamente come faceva quando io ero uno studente di sociologia: che siamo qui per raccogliere le evidenze e impegnarci in un dialogo continuo con l’esperienza e per cercare di aiutare le persone nella loro lotta contro la doppia piaga dell’ignoranza e dell’impotenza.

Zygmunt Bauman si fa portavoce di una sociologia che non si chiude nell’autoreferenzialità accademica e che non si dimentica di concepire l’essere umano, oggetto dei suoi studi, come un soggetto attivo, capace di compiere scelte autonome.

I sociologi, se vogliono essere all’altezza della propria missione, non devono limitarsi a condurre studi «oggettivi» e quantificabili come i fisici e i geologi, ma devono invece guardare al vissuto più intimo delle persone e, entrando in conversazione con loro, aiutarle a comprendere come le loro vicende umane vissute singolarmente si riflettano in contesti sociali più ampi e ne siano irrimediabilmente influenzate.

La sociologia può rendere la gente felice?
Può – se capire il mondo che plasmiamo per plasmare ta nostra condizione ci rende più felici di quanto lo saremmo nel caso contrario. Per contro, vi sono poche probabilità di essere felici nel chiudere gli occhi o nel volgere lo sguardo dall altra parte ed è una probabilità, quest’ultima, davvero effimera, come quella offerta dall’ubriachezza o dalle droghe – con un prezzo salato da pagare. Nella valuta della frustrazione, al momento in cui si smaltisce la sbornia.

Perché a questo serve, in fondo, la sociologia, ad aumentare la consapevolezza delle persone e, in tal modo, la loro libertà.

Scheda libro: http://bit.ly/LaScienzaDellaLiberta_Bauman

Zygmunt Bauman Uno dei più importanti e amati pensatori viventi del mondo, il sociologo polacco ha insegnato all’università di Leeds dagli anni Settanta e si è affermato dapprima come teorico della postmodernità e, dal Duemila, con i suoi scritti sulla modernità liquida. Fra i suoi ultimi libri, Conversazioni sull’educazione e Le sorgenti del male, Edizioni Erickson.

D. Cillo – F. Sansotta, Fare il dirigente scolastico

DIRIGERE COME

 di Maurizio Tiriticco

fare_dsDario Cillo ha voluto regalare ai suoi colleghi dirigenti scolastici un meraviglioso libello! Il diminutivo non intende togliere valore alla pubblicazione! Il fatto è che Dario è così avanti nelle nuove tecniche di lettura e scrittura, quali indotte dalle TIC, che riesce a dire… cose grandi con parole piccole! Con quante pubblicazioni ci siamo imbattuti recentemente sul dirigente scolastico, soprattutto in vista dei recenti concorsi? Volumi grossi così: anche perché chi scriveva doveva dire tutto di tutto, stante l’enciclopedismo dei programmi d’esame e delle competenze richieste alla nuova dirigenza: dalla cultura organizzativa alla puntuale conoscenza dell’amministrazione pubblica e della sempre più copiosa normativa relativa alla scuola. In effetti, non si doveva più formare un direttore didattico o un preside: altre professionalità per una scuola altra, non autonoma. Oggi un dirigente pubblico che operi in uno Stato rivisitato e corretto da un novellato Titolo V, in una scuola rivisitata e riformata da un regolamento sull’autonomia è tutt’un’altra cosa!

Per non dire poi del quotidiano lavoro concreto, o meglio delle molteplici mansioni che competono a un dirigente pubblico, responsabile di una scuola che, in quanto “autonoma”, deve darsi le “leggi” da sola! E non è un’esagerazione! Agire sul territorio, operando in una scuola a tempo pieno e a spazio aperto non è affatto cosa facile! Per queste ragioni il lavoro è tanto e si esplicita in più direzioni. Riassumere questa complessità in un libello – inteso nel suo etimo, ripeto – non è compito agevole, ma… Occorreva una lunga esperienza, di insegnamento, di direzione e di insegnamento a tanti neodirigenti. Per non dire, poi, della esperienza più che decennale alla direzione della prima rivista online tutta dedicata alla scuola: edscuola.it è sul web dal lontano 1996 e contiene tutto di tutto ciò che riguarda il funzionamento del “sistema educativo di istruzione e formazione”. Occorreva questo ricco insieme di conoscenze, abilità e competenze – per dirla con un’espressione oggi familiare – per produrre questo manuale – proprio nel senso di maneggevole – intitolato “Fare il dirigente scolastico”, edito da Uil Scuola e da Educazione & Scuola.

Lo vedo sulla scrivana di ogni dirigente, pronto ad essere aperto e consultato per ciascuno delle miriadi di problemi a cui un dirigente scolastico deve dare risposta minuto dopo minuto: e non è un’iperbole. In effetti si tratta di un manuale… quotidiano, nel senso letterale del termine: da aprirsi, cioè, giorno dopo giorno. Dario Cillo e Franco Sansotta, sindacalista dell’Uil-Scuola, noto ai lettori per una sua pregevole ricerca, “Dal Congresso di Vienna alla proclamazione del Regno d’Italia”, del 2011, l’anno del Centenario, hanno voluto seguire la via diaristica, o meglio del quotidiano lavoro a cui si trova di fronte il dirigente, dal primo all’ultimo giorno di scuola. Ciascuna operazione è sostenuta dall’adempimento normativo, primario o secondario che sia, per cui il dirigente è sempre confortato dalla legittimità dell’operazione che è tenuto ad eseguire.

Particolare importanza assume l’appendice, in cui sono richiamate e riportate tutte le funzioni che nella scuola autonoma competono non solo al dirigente scolastico, ma a tutte le altre componenti: il Dsga, il Consiglio di Istituto, la Giunta esecutiva, il Collegio dei docenti, i Consigli di classe. Dirigere una scuola in regime di autonomia non è cosa facile: le componenti che attendono a più funzioni sono numerose e il lavoro di coordinamento, direzione vigile e responsabile, autorevole e non autoritaria, non è affatto facile. So per esperienza che a volte la “paura di sbagliare” – anche perché l’insieme delle norme a volte costituisce una vera e propria selva selvaggia – finisce con il rallentare l’azione. Oggi, con l’agile manuale sempre pronto sulla scrivania questo rischio non si corre! E’ per tutte queste ragioni che questo libello dalla copertina azzurra – è il colore che simboleggia la riflessione e la produttiva capacità di comunicare con gli altri – avrà la fortuna che merita. E alla fine dell’anno scolastico ogni pagina avrà la sua orecchia! Ciascuna per ogni giorno di consultazione.

Ma i nostri dirigenti possono stare tranquilli! A settembre, a ogni inizio di anno scolastico, avremo una nuova edizione! Perché anno dopo anno le norme crescono, forse più di numero che di qualità: ma questo è un altro discorso. Comunque, un’edizione anno dopo anno la riterrei necessaria! E non so se chiudere con un punto esclamativo o un punto interrogativo! Dipende da Dario e da Franco! Un augurio e un impegno? Non so! Io e tutti i nostri dirigenti sono in attesa, settembre dopo settembre…

L. Levi, La notte dell’oblio

Degli Ebrei sempre sospesi…

di Antonio Stanca

fotoLia Levi ha ottantatré anni, vive a Roma dove è giunta nel 1938, quando aveva sette anni, con la famiglia di origine ebrea. Era nata a Pisa nel 1931. A Roma ha studiato, si è laureata, si è sposata, ha avuto figli, ha svolto la sua attività di giornalista, sceneggiatrice, scrittrice. Per molti anni ha diretto “Shalom”, la rivista mensile degli Ebrei di Roma che lei ha fondato. Al 1994, quando era sessantenne, risale l’inizio della sua produzione narrativa. L’ha continuata fino a tempi recenti scrivendo anche libri per ragazzi e ottenendo numerosi riconoscimenti. Del 2012  è uno degli ultimi romanzi, La notte dell’oblio, che nel 2013 è stato ristampato dalla casa editrice E/O di Roma nella serie Tascabili (pp. 193, € 9,00). Anche qui ritorna quella che è sempre stata la sua maniera di scrivere, cioè “il racconto della storia”. La Levi tende a dire, nella sua narrativa, di quanto è successo agli Ebrei presenti in Italia durante la prima metà del Novecento, delle tristi situazioni che hanno vissuto dopo le leggi razziali del 1938 che limitavano la loro vita in ogni aspetto e preparavano quella che sarebbe stata una vera persecuzione. Erano state anche le situazioni vissute da lei fin da bambina, dalla sua famiglia e spesso queste si possono intravedere nei romanzi, spesso una nota autobiografica è da essi contenuta. Non è rimasta, però, la sua narrativa un semplice riflesso della realtà, non si è limitata ad una funzione di trascrizione, di riporto di vicende accadute dal momento che le ha sempre mostrate percorse, animate da idealità, aspirazioni diverse. Ha sempre avviato un confronto la Levi tra quanto avveniva e quanto si sarebbe voluto che avvenisse, tra rassegnazione e speranza, necessità del corpo e voci dell’anima, urgenza della realtà e richiami dell’idea. E’ stata la rappresentazione di questo confronto e del disagio che procurava a chi lo soffriva a far superare al suo “racconto della storia” quei limiti che lo avrebbero fatto rimanere una semplice cronaca. Era il disagio sofferto dagli Ebrei, da gente che viveva lontano da quanto era suo, che doveva adattarsi a circostanze nuove e quello avrebbe mosso la scrittura della Levi, l’avrebbe trasformata in un’indagine continua di pensieri e sentimenti. In qualunque posto siano giunti gli Ebrei hanno mostrato di volersi ritrovare, riunire. Così potevano continuare a praticare i loro usi, i loro costumi, coltivare la loro fede, salvare le loro cose dall’esterno che le minacciava. Questa condizione sospesa tra sé e gli altri ha voluto rendere la scrittrice con la sua opera, di essa ha voluto fare il suo motivo ricorrente.

Anche ne La notte dell’oblio la Levi dice di una famiglia ebrea, i genitori, Giacomo ed Elsa, e due ragazze adolescenti, Milena e Dora, che vivono nella Roma fascista, che hanno sofferto le privazioni iniziate con le leggi razziali e che ora, durante la seconda guerra mondiale, sono fuggiti, si sono nascosti in una canonica non molto distante dalla città. Questa è occupata dai tedeschi che, considerandosi traditi dagli alleati italiani, commettono ogni genere di efferatezza. Giacomo ha un negozio a Roma e col commesso continua ad avere rapporti anche per ricevere da lui quanto gli spetta delle entrate del negozio perché necessario al mantenimento della famiglia. Si reca, quindi, di nascosto ogni mese nella città per avere dal commesso la sua parte dei guadagni ma una volta viene scoperto dai tedeschi, arrestato e deportato. Di lui non si saprà più niente, la famiglia perderà il negozio che diventerà proprietà del commesso. Si sospetterà di questi. Alcuni parenti vorrebbero fare delle indagini ma Elsa li ferma perché è convinta che in tal modo si creerebbe in casa un’atmosfera di misteri, sospetti, paure, rivelazioni e che questa sarebbe dannosa per la crescita e la formazione delle figlie. Rinuncia, quindi, e fa rinunciare gli altri ad ogni tipo d’inchiesta e affronta il disagio economico che ne è conseguito iniziando a lavorare da sarta. Continuerà a farlo quando, liberata Roma dalla forze alleate, tornerà con le figlie nella loro casa romana. Si farà conoscere Elsa per il suo lavoro, sarà apprezzata, la sua diventerà una sartoria nota e grazie ai guadagni le ragazze potranno studiare. Dopo le scuole superiori Milena, la più bella, la più sicura di sé, si sposerà, contro i voleri della madre, con un uomo d’età avanzata e di condizioni agiate. Dopo pochi anni, però, dopo la fiammata iniziale il matrimonio naufragherà né servirà a salvarlo la nascita di un figlio. Dora, più timida, più schiva, più remissiva, continuerà a studiare, completerà gli studi universitari, inizierà a svolgere qualche lavoro ed infine s’innamorerà di Fabrizio, un ragazzo molto semplice, molto spontaneo. Col tempo penseranno di sposarsi ma la scoperta che Fabrizio era figlio di quel lontano commesso che aveva fatto arrestare Giacomo sconvolgerà Dora, l’intera famiglia e lo stesso Fabrizio. Cesserà ogni pensiero relativo al matrimonio, ne deriverà una situazione sospesa, indefinita e così si concluderà l’opera.

Ancora una volta le vicende vissute da una famiglia ebrea e da quanti, congiunti ed altri, le erano vicini nell’Italia del primo Novecento erano state dalla Levi narrate con il suo linguaggio semplice, chiaro, molto scorrevole, ancora una volta le aspirazioni di alcuni Ebrei erano venute a confrontarsi con una realtà ben diversa, erano state da questa sopraffatte. Non sarebbero, tuttavia, cambiate, identiche sarebbero rimaste poiché rispetto a quella realtà erano più forti, venivano da lontano, erano di gente antica, l’avevano sempre distinta e non avrebbero accettato di modificarsi pur a costo di far rimanere eternamente sospeso chi le nutriva.

USR Puglia, Praticare l’Europa

PRATICARE L’EUROPA: LA DIMENSIONE DELL’INSEGNAMENTO DEL XXI SECOLO

di CARLO DE NITTI

praticareCon il volume Praticare l’Europa, pubblicato per i tipi delle “edizioni la meridiana”, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia avvia – come scrive, nella sua Prefazione, La comunicazione nella società della conoscenza. Il ruolo strategico della Scuola (pp. 7 – 10), il Direttore Generale, FRANCO INGLESE – “l’attivazione di un processo di informazione/ documentazione/diffusione/riflessione del <fare Scuola>, ma anche dell’<essere Scuola>, in un contesto che si riconduce geograficamente al territorio pugliese – di qui il titolo della collana Puglia@scuola -, ma che si propone di intercettare la dimensione europeistica e, ancora oltre, la dimensione internazionale del pensiero nel suo continuo evolversi” (p. 8).

Una finalità nobile ed un progetto giustamente ambizioso che sono “frutto di una riflessione, elaborata in questi anni, sulle possibilità di mettere in atto strategie e, unitamente, azioni che possano coniugare il bisogno di innovazione, quale prospettiva di sviluppo della società, della quale la Scuola è parte come elemento-motore, ma anche bisogno di riflessività sui processi di innovazione in atto” (pp. 7-8). Comunicare nella scuola del XXI secolo significa implementare le otto competenze chiave di base e trasversali così come definite nelle Raccomandazioni dell’Unione Europea  del 2006 nell’ambito del Lifelong e Lifewide Learning.

In questa prospettiva, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia ha dato alle stampe, curato da ROSSELLA DIANA, il volume Praticare l’Europa: esso è diviso in due parti (Il contesto e Le pratiche) e corredato da un’Appendice di documenti. Tematizza, a partire dall’Introduzione di ANNA CAMMALLERI, La Scuola laboratorio d’Europa. Un’analisi sulla scuola pugliese, la dimensione europea dell’insegnamento/apprendimento a partire dagli obiettivi fissati per Europa 2020 – “migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione nell’UE, facilitare a tutti l’accesso ai sistemi di istruzione e formazione; aprire i sistemi d’istruzione e formazione al resto del mondo” (p. 12) – attraverso le pratiche della scuola di Puglia (cfr. pp. 14 – 21), “terra fertile nell’elaborazione di processi di coesione e solidarietà, terra disponibile alle idee nuove” (p. 13).

La Puglia si è sempre distinta positivamente nell’interazione con l’Europa, innovando contenuti e metodologie di lavoro, formando i docenti, ampliando l’offerta formativa ed implementando l’uso delle tecnologie: l’Europa ha modificato profondamente l’approccio delle scuole italiane alla progettualità e di quelle pugliesi in particolare.

E’ il modo migliore – argomenta DONATELLA AMATUCCI, nel suo contributo Internazionalizzazione: una sfida per la scuola italiana – per trasformare l’economia europea (ed italiana) e consentirle di uscire dalla crisi mediante strategie prioritarie per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva (cfr. pp. 33 – 34), vincendo quattro sfide strategiche: l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita; la qualità dell’offerta formativa e la sua efficienza in termini di risultati; l’equità sociale e la cittadinanza attiva; l’innovazione e la creatività.

L’Europa dei cittadini non può non passare attraverso la scuola come luogo privilegiato di formazione alla crescita ed alla cittadinanza europea: l’UE deve essere vissuta dai cittadini come un luogo politico di riconoscimento e fruizione dei propri diritti. Sostiene ANTONIO PAPISCA: “Gli aggettivi <intelligente, sostenibile, inclusiva> imputati all’auspicata <crescita> assumono significato non retorico secondo questo modello olistico di riferimento che comporta, prima di tutto, che lo scopo finale della crescita economica non è né la competitività né la salute dei mercati, ma la piena realizzazione dell’essere umano in città inclusive e in un’Europa inclusiva” (p. 80).

Quella inclusività che è il punto di imputazione della nuova cittadinanza europea, così come postulata da LUCIANO CORRADINI, La dimensione europea dell’istruzione, nel contesto di Cittadinanza e Costituzione (pp. 97 – 116): “Le trasformazioni politiche e giuridiche interne ed internazionali dovrebbero essere pensate in prospettive di senso criticamente aperte, capaci di mobilitare intelligenze, affetti, volontà di convivenza e di superamento di ostacoli, nella consapevolezza dei valori personali, civili e  politici che sono in gioco” (p. 109).

E’ il senso profondo del <fare scuola>, oggi, in una dimensione europea: come non ripensare, leggendo questo passo, al significativo esergo – tratto dall’intervento di Karl Raymund Popper, Libertà e responsabilità dell’intellettuale – collocato in apertura della Prefazione del volume qui presentato? Una società nazionale del XXI secolo che ha l’Europa come orizzonte di riferimento non può non assumere come compito primario quello di “garantire una formazione completa ed adeguata a ciascun alunno […] all’interno di una cornice semantica che faccia dell’idea di cittadinanza  la chiave interpretativa ed esistenziale dell’intero esito formativo” (p. 129).

Da questa idea-forza prende abbrivo il contributo di ROSSELLA DIANA, “Fare scuola” in dimensione europea (pp. 129 – 146) che chiarisce il suo pensiero in appresso: “<Educare alla cittadinanza> significa, infatti, formare un cittadino consapevole, capace di comprendere la realtà e di esprimere in libertà il proprio pensiero, animato sia dalla capacità di rispettare le regole sociali che da una tensione  a costruire nuove forme di convivenza civile, attraverso l’affermazione di  quei principi democratici basati sui valori della giustizia pace e legalità” (p. 129).

Il luogo specifico in cui, nelle singole scuole, in tutte, si può/deve progettare la propria dimensione europea è il Piano dell’Offerta Formativa, “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche” che “esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”. Ottimi paiono i suggerimenti  per un metodo di lavoro con caratteristiche che consentano di mettere capo ad un P.O.F. ‘a dimensione europea’ (cfr. pp. 139 – 140): interdisciplinarità; orientamento al valore; pensiero critico e problem solving; approccio multi metodologico; tecnica euristica concordata; decisionalità partecipata; rapporto global/local.

All’interno del quadro concettuale qui solo sommariamente delineato – né poteva essere diversamente a causa della tirannide dello spazio – si situano le ottime “pratiche” che l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia e le scuole autonome hanno progettato, realizzato ed ancora implementano: l’esperienza di un Comenius Regio (pp. 149 – 153); l’e-Twinning (p. 155 – 167); il progetto Europapuglia.it (pp. 169 – 177); il Parlement Européen des Jeunes (pp. 179 – 184); il progetto FELJEU, acronimo di Festival Européen du Livre et de la Lecture Jeunes (pp. 185 – 189); l’utilizzo dei Fondi Strutturali Europei (pp. 191 – 201); i Fondi Europei per l’Integrazione (pp. 203 – 212); la certificazione linguistica  (pp. 213 – 218); l’inclusione dei diversamente abili (pp. 219 – 226); il Piano per l’Europa dell’istruzione dell’USR per la Puglia (pp. 235 – 238).

Per chi scrive, pensare a questa progettualità così seria, competente, articolata, mirata su obiettivi specifici che consentano alla scuola pugliese di crescere migliorandosi significa riflettere sul presente di una scuola che lavora alacremente cercando di incidere sulle realtà culturali, affettive, sociali ed economiche in cui opera e di consegnare ai giovani un’idea fondamentale: “Il futuro è decisamente aperto. Esso dipende da noi, da tutti noi. Dipende da quello che noi e molte altre persone facciamo e faremo; oggi e domani” (K. R. POPPER, p. 7).

R. Anglisani e M. Maglietta, Giungla

Giungla di Roberto Anglisani e Maria Maglietta

di Mario Coviello

giunglaLa solidarietà e l’indifferenza, l’amicizia e la generosità, il coraggio ma anche, e soprattutto, lo sfruttamento minorile, i pregiudizi, la discriminazione di fronte ai diritti dell’uomo e a quelli dei bambini sono il perno attorno al quale gira  ‘Giungla’ il libro di Roberto Anglisani e Maria Maglietta edito da Rizzoli  che i ragazzi delle scuole medie di Bella, Rionero, Barile, San Fele e Potenza hanno letto nella seconda fase del Torneo di lettura di undici scuole in rete della provincia di Potenza che si conclude con le finali il 10 e 14 aprile 2014. Oltre 300 alunni, guidati da insegnanti appassionati si sono preparati a rispondere a domande, cruciverba, completamenti su Giungla.

Liberamente ispirato a ‘Il libro della giungla’ di Kipling, nel libro la giungla è la Stazione Centrale di Milano e Sherekhan è il trafficante di bambini dal lungo cappotto in finta pelliccia tigrata attorno a cui si muovono otto, forse dieci ragazzini stranieri di diverse età, invisibili nella folla dei pendolari che tornano a casa dal lavoro.

Uno di quei ragazzini, Muli,che viene dall’Est, scappa nei sotterranei della stazione perché non vuole più essere costretto, a suon di botte, a rubare. Con questa fuga si apre la coinvolgente narrazione di una ‘giungla di città’ dove si muove un’umanità con regole diverse di vita, a volte ridotta in condizioni bestiali, e dove spesso il principio assoluto è la legge del più forte, i valori formulati in base al proprio tornaconto.

È in questo contesto ‘selvaggio’ che Muli incontrerà tanti personaggi, i cui nomi ricordano quelli scelti da Kipling, da Baloon il barbone a Bagheera, e con questi veri amici partirà per compiere la sua missione: distruggere Sherekhan e cercare di liberare i suoi amici.

giunglaRoberto Anglisani riesce a coinvolgere  e a trasmettere  emozioni  con  un racconto che non lascia indifferenti e che si muove con impatto e forza come se fosse un film d’avventura.

“ Ridere o piangere,questo è il dilemma. Amleto aveva ragione.” Ecco come descrive le sue emozioni Luca un giovane lettore: “ Nel libro  GIUNGLA di Roberto Anglisani è difficile capire che emozioni ti stanno passando per la testa. A volte sei felice perché Muli, il bambino protagonista ha finalmente trovato dimora presso Bageera, una donnona nera dalle lunghe treccine e dall’aspetto burbero; successivamente hai il groppo alla gola perché Muli ha molta nostalgia di Nina , una bambina che era come lui sotto la schiavitù della malvagia tigre (Sherekhan) e del suo losco tirapiedi Tabacco. Muli ha così tanta nostalgia e soprattutto senso di colpa per aver abbandonato Nina sotto le grinfie di Sherekhan che decide insieme a Baloo, un barbone che dopo la sua fuga da Sherekhan lo ha ospitato nella sua baracca, di andare a salvare lei e tutti gli altri bambini prigionieri. “

Quest’opera commuove anche gli alunni più …duri diciamo così per la sua semplicità e chiarezza. I giovani lettori hanno sofferto con questi bambini abbandonati o dimenticati che a volte noi  dimentichiamo o almeno FINGIAMO di dimenticare.

E Roberta, un’altra giovane lettrice aggiunge “Anglisani ci ha voluto comunicare questo.  Viviamo nelle nostre città con mille e più impegni e vicino al portico di casa nostra c’è un bambino che chiede l’elemosina, noi ci passiamo davanti e non lo guardiamo neanche. Per questo mi viene da pensare che noi siamo ciechi.

Quando ragioniamo sulla povertà ci viene da pensare all’Africa o all’Ucraina e dentro di noi pensiamo “Se potessi fare qualcosa per loro lo farei sicuramente’’. Poi usciamo e ignoriamo quei bambini cenciosi che sono appoggiati ai muri del centro a cento metri da te e chiedono un tozzo di pane che poi servirà a sfamare venti e più persone. Noi li ignoriamo. In fondo abbiamo dato i nostri 50 centesimi alla settimana per quei bambini in Africa, la nostra buona azione l’abbiamo già fatta.”

Roberto Anglisani e Maria Maglietta sono attori, registi, autori di testi teatrali. Il loro sodalizio artistico, iniziato nel 1983, ha sempre coltivato un vivo interesse per il mondo dell’infanzia e ha portato alla creazione di spettacoli per ragazzi e giovani amati dal pubblico e più volte premiati dalla critica. Piccoli Angeli (Premio Stregatto 1993), Bambine (Premio Stregatto 1997) e Nemici per la pelle sono tuttora portati in scena in diversi Paesi europei. Il romanzo “ Giungla” nasce dall’omonimo spettacolo teatrale vincitore del Premio Enriquez 2011 e viene rappresentato con grande successo da Roberto Anglisani in Italia e all’estero.