I Congresso ANIEF

I Congresso ANIEF: Pacifico rieletto presidente

Il I Congresso nazionale ANIEF, tenutosi l’8 dicembre a Cefalù (PA), ha visto la rielezione per acclamazione di Marcello Pacifico alla carica di presidente nazionale.

Il Congresso, inoltre, ha approvato all’unanimità il documento di programmazione dell’attività sindacale dell’ANIEF per il quadriennio 2013-2016, che dona un respiro europeo all’azione del giovane sindacato.

 

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MANIFESTO ANIEFApprovato dal I Congresso – Cefalù, 8 dicembre 2012

L’EUROPA CHE VOGLIAMO
Una scuola italiana per la UE, un moderno sindacato europeo per:

  • Pensare e sviluppare un neoumanismo sindacale che parta dalla tutela dei diritti acquisiti dal civis europensis, maturati in quanto ζῷον πολιτικόν
  • Ribadire il valore del diritto come ius rispetto al privilegio
  • Superare corporativismi nazionali e transnazionali, e attivare battaglie sindacali europee adeguate alle sfide dell’economia di mercato globale
  • Interloquire con il legislatore comunitario, nazionale e regionale in favore della cultura e del suo patrimonio materiale e immateriale
  • Promuovere la scuola come interlocutrice principale e partecipe della vita pubblica, ripristinandone valore, rispetto e considerazione
  • Riconoscere la peculiarità dell’alta professionalità della funzione docente
  • Riportare l’Italia agli standard della Ue per investimenti nel settore della conoscenza (strutture e remunerazioni, ruoli e competenze)
  • Sconfiggere la precarietà come ordinario strumento di organizzazione del lavoro
  • Esercitare il ruolo di guardiani della lex, di fronte all’arbitrio o alla contingenza, attraverso il costante e sapiente ricorso alla giustizia

 

Una premessa: il sindacato, l’Europa, l’Italia

Nel 1957, a Roma, a distanza di quasi dieci anni dall’approvazione della Carta costituzionale che intende garantire, nel dopoguerra, alcuni diritti, quasi inalienabili, per i suoi cittadini, nasce il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che insieme al diritto comunitario oggi regola la vita dei suoi ventisette stati membri (art. 117 della Costituzione italiana). Il premio Nobel per la pace è l’ultimo dei riconoscimenti che rende evidente come un’impostazione comune verso i diritti e i doveri degli Stati membri e dei cittadini da parte della UE diventi un esempio di valori condivisi e condivisibili, un faro luminoso in quest’epoca difficile, tanto più in un momento politico dove i Governi cedono sempre più la propria autorità nazionale.

L’ANIEF, sindacato che fin dalla sua nascita ha sempre fatto propri i riferimenti alla cultura, alla giustizia, all’etica, al lavoro assunti nelle carte europee, nel prossimo quadriennio, quattro anni dopo la sua fondazione, intende sposare questo manifesto per costruire una nuova scuola italiana che possa ridisegnare una nuova Europa attraverso una militanza attiva dei propri associati, in primo luogo uomini di cultura che vogliono creare quel terreno fertile per far fiorire i semi della conoscenza indispensabili per il buon governo di una società giusta e pacifica, quale intende essere quella europea. Non è un caso se nel Trattato è data priorità alle politiche della UE (art. 2, art. 6), nel rispetto delle politiche sociali (Titolo X, art.. da 151 a 164), della trasparenza (art. 15 c. 3, art. 24, art. 226, art. 227), dell’esercizio della giustizia (art. 81, art. 82), mentre l’attuale bilancio copre per più della sua metà spese legate alla formazione, all’istruzione dentro e fuori i confini dell’Unione, per sconfiggere la diseguaglianza attraverso l’uso della cultura e superare la coesione economica e sociale tra le diverse realtà territoriali.

Un sindacato moderno, specialmente se radicato nella scuola, deve partire da essa per orientare le scelte del legislatore comunitario e nazionale, così da esercitare il ruolo di tutore non soltanto dei diritti dell’uomo maturati nel corso di una storia millenaria che ha portato all’affermazione delle democrazie moderne, ma anche di promotore di un nuovo umanismo che riscopra, grazie alla valorizzazione del sapere, la dimensione sociale dell’uomo stesso.

Un documento da cui partire: EUROPA 2020

La UE, con la strategia Europa 2020, si è data 5 obiettivi di crescita fino al 2020, due dei quali riguardano il mondo dell’istruzione e della ricerca.

Nel campo della ricerca, le indicazioni sono quelle di uniformare al 3% del PIL gli investimenti nel settore da parte degli stati membri, secondo quanto più volte ribadito dall’ANIEF: attualmente, infatti, l’Italia investe in ricerca e sviluppo meno dell’1% del PIL, mentre il nostro sindacato ha chiesto sempre negli ultimi anni l’aumento almeno di 1 punto percentuale per raggiungere la media europea. È evidente che i Paesi più sviluppati economicamente ritengono strategico il finanziamento del settore della conoscenza. Nel campo dell’istruzione, si richiede di abbassare al 10% la dispersione scolastica giovanile e di incrementare quella universitaria al 40% quella universitaria nella fascia 30-34 anni, proprio mentre l’Istat certifica il più alto tasso di mancate iscrizioni all’università. Attualmente gli indicatori per l’Italia prevedono il 18,2% di abbandoni nella fascia di età 18-24 anni (non compaiono dati per le fasce di età inferiori) con un target del 15% nel 2020, e il 20,3% di istruzione universitaria per i 30-34enni con un target del 26% nel 2020. Tali indicatori sono individuati tra le cause principali che porterebbero 14.757.000 persone a rischio povertà in Italia nel 2011, tra le quali ben 10.938.000 a rischio povertà a seguito di transfert sociale. In questa quota rientra a pieno titolo il personale della scuola, a cominciare dai docenti e dagli ATA per via del blocco del contratto, dei mancati aumenti stipendiali, della mancata attivazione di una carriera, dei tagli alle risorse economiche del comparto, delle inadempienze e incapacità della classe politico- sindacale, che in generale hanno lasciato gli stipendi fermi a vent’anni addietro, senza tener conto dell’aumento del costo della vita. Il consueto ritardo nella firma dei contratti è stato sostituito dal blocco imposto dal legislatore, con l’accordo delle organizzazioni sindacali rappresentative che invece di scioperare hanno, in questi anni, concordato con il Governo la sottrazione di risorse alla scuola.

ANIEF fin dalla sua costituzione ha denunciato come la linea del rigore e della armonizzazione della spesa imposte negli ultimi anni hanno avuto il solo obiettivo di ridurre 200.000 posti nella scuola, 2/3 rispetto a tutto il pubblico impiego, segnando la fine di 4.000 scuole autonome e l’attribuzione di reggenze a titolo gratuito, in palese violazione di quei principi europei richiamati.

Soltanto l’ANIEF si è opposta seriamente a questo politica di tagli, anche nei confronti del personale ATA, come le recenti iniziative giudiziarie confermano. Eppure la sua azione ha trovato più ostacoli nel mondo del sindacalismo concertativo piuttosto che nel Governo. Il compito di un sindacato moderno, pertanto, deve puntare a ritrovare la sua stessa ragione di essere e di ottenere il raggiungimento di quegli obiettivi europei che agli occhi dei più attendi indicano in 8.000 euro l’aumento di stipendio dovuto a fine carriera, al netto degli aumenti contrattuali per gli ultimi tre anni.

Alla strategia Europa 2020, d’altronde, fa esplicito riferimento il documento inviato lo scorso mese dalla Commissione Ue al Parlamento Europeo, significativamente intitolato “Ripensare l’istruzione: investire nelle abilità in vista di migliori risultati socioeconomici”. Due aspetti del documento, in particolare, denunciano il grave ritardo che l’Italia ha accumulato negli ultimi anni rispetto al resto dell’Unione. Il primo è il forte richiamo alla necessità di investire nell’istruzione per uscire dalla lunga spirale di crisi economica che negli ultimi anni ha interessato l’Europa e non solo, necessità che in Italia sembra non trovare riscontro, mentre, ad esempio, in Brasile sono stati assegnati alla scuola i proventi del settore petrolifero. Il secondo, invece, riguarda la distribuzione percentuale per età (fotografata al 2010) dei docenti di scuola secondaria inferiore e superiore, in cui a fronte del primato per numero di insegnanti con età superiore a 50 anni, l’Italia si classifica ultima per numero di docenti nella fascia 30-39 anni. Per non parlare del numero di insegnanti under 30, per i quali l’Italia – caso unico in tutta Europa – è addirittura fuori scala, non registrandosi alcuna presenza.

Distribuzione percentuale, per età, degli insegnanti dell’istruzione secondaria inferiore e superiore (2010) Fonte: Base dati Eurostat, raccolta di dati UOE.

Ecco dove ci hanno condotto, nell’ultimo quinquennio, i tagli di oltre 8 miliardi di euro all’istruzione, il blocco del turn over e quello dei percorsi abilitanti nel periodo tra la chiusura delle SSIS e l’avvio dei TFA, per non parlare della decisione di tornare ai concorsi per la scuola, escludendone però i laureati non abilitati degli ultimi dieci anni. Sono dati che raccontano crudamente come l’Italia, almeno nel settore della scuola e dell’istruzione, sia già fuori dall’Europa. Se non ci sarà un’immediata inversione di tendenza, il rischio di essere relegati ai margini dell’Unione appare pericolosamente concreto, come dimostra la stasi economica che attanaglia il Paese dal 2000.

 

Un caso emblematico: la crociata ANIEF contro la precarietà

La battaglia per l’applicazione della direttiva 1999/70/CE nel pubblico impiego e in particolare nella scuola in Italia, iniziata dall’ANIEF nel 2009, deve essere combattuta con analogo vigore nella XVII legislatura dopo che gli interventi della magistratura hanno costretto il legislatore nazionale a intervenire con norme di natura interpretativa derogatorie della normativa comunitaria, trovando in alcuni casi sostegno nelle organizzazioni sindacali rappresentative che hanno cambiato la progressione di carriera dei neo-assunti con la sospensione del primo gradone stipendiale a dispetto di chiare pronunce della Corte di Strasburgo. Dai giudici d’Oltralpe ci giunge un chiaro monito pure sulla ricostruzione di carriera come sugli automatismi di carriera legati ai maggiori oneri di lavoro, tutti principi presenti, peraltro, nella nostra Costituzione, negli articoli relativi al lavoro.

La necessità di tutelare le lavoratrici ed i lavoratori della scuola della Repubblica contro gli abusi nella reiterazione dei contratti a tempo determinato è stata e rimane una battaglia di civiltà, per il rispetto in Europa del diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione che permette di realizzarsi, di costruire una famiglia e di essere attore del progresso economico e civile della propria nazione e della comunità sovranazionale. La crociata ANIEF contro la precarietà, che ha portato nei giorni scorsi al deposito di una denuncia circoscritta a Bruxelles, negli uffici della Commissione:

  • rappresenta una concezione del lavoro diversa da quella intesa dai nostri governanti, non un’opportunità ma un dovere civico che deve essere garantito per la crescita della nazione ad ogni professionista;
  • richiama il punto nodale della lotta al “precariato a tempo indeterminato” che oggi in Italia impedisce a centinaia di migliaia di lavoratori di pianificare la propria vita e il proprio futuro, e li getta in un eterno presente senza prospettiva, abbattendo la dimensione umana;
  • ricerca la piena parificazione tra lavoratori e tempo indeterminato e lavoratori a tempo determinato, non soltanto dal punto di vista economico ma anche sul versante contrattuale, perché soltanto riconoscendo la pari dignità tra lavoratori si creano le condizioni per punire di chi ritiene il lavoro una merce da barattare in nome di qualcosa;
  • implica l’utilizzo sinergico di tutte le attività che un sindacato moderno deve approntare, dal dialogo con le istituzioni europee alla richiesta di attivazione di una procedura di messa in mora con conseguente condanna alle spese dello Stato non ottemperante;
  • consente di porre a tema da un diverso punto di vista il rapporto tra Unione Europea e Stati membri.

Lungi dall’essere una conquista che possa ormai considerarsi acquisita, l’Europa appare ancora oggi un traguardo da costruire quotidianamente. Se non vogliamo che l’Unione si riduca a una fredda macchina burocratica utile solo a chi vorrebbe imporre il dominio della finanza sulla vita dei cittadini europei, dobbiamo porre innanzi a tutto il diritto di questi ultimi ad una vita piena e realizzata, come già previsto dalla nostra Costituzione oltre sessant’anni fa. E il sindacato ha il dovere di declinare e tutelare questo diritto senza svenderlo al mercato, attraverso una linea ferma che deve partire dalla scuola e non può avere compromessi. L’ANIEF crede che l’Europa, come l’Italia, debba essere (ri)fondata sul lavoro perché il lavoro e l’istruzione sono le più importanti scommesse su cui la UE deve puntare. L’ANIEF crede che un’Italia migliore passi attraverso un’Europa migliore, e che l’esperienza italiana in campo culturale e scolastico possa e debba rappresentare un contributo fondamentale per l’Europa che verrà. Difendere e valorizzare la scuola, per l’ANIEF, vuol dire difendere il futuro dell’Italia e dell’Unione.

 

Una linea d’azione: il neoumanismo sindacale

Le profonde trasformazioni determinate dalla società contemporanea hanno avuto una ricaduta anche sulla funzione della scuola che necessita di una ridefinizione della professionalità e di un vero e proprio sostegno etico–giuridico anche a livello sindacale. Nella società attuale, nel complesso scenario della cittadinanza europea – costituita da una molteplicità di attori sociali, di sottosistemi culturali ed economici, di funzioni sociali – il ruolo e la prassi della tutela sindacale devono necessariamente assumere una nuova prospettiva di senso incentrata sul riconoscimento e la rivalorizzazione pragmatica a sostegno dei diritti dell’uomo. ANIEF si è da sempre proposta come testimone del carattere fondativo della nostra Costituzione e dei valori della Carta europea dei diritti dell’uomo (CEDU), ed è stata capace di negoziare una molteplicità di rapporti interni ed esterni tra istituzioni scolastiche e politiche, alla ricerca di una giusta prassi sindacale che – nella visione etica e politica del nostro tempo – ridetermina in concreto i modelli costituzionali nello scenario nazionale in cui opera confrontandoli con quello europeo, definendo costantemente una nuova forma di umanismo sindacale. L’obiettivo perseguito in questi anni, che rilanciamo anche per il prossimo futuro, è quello di disegnare una traiettoria di efficace intervento giuridico, che non è solo il frutto dell’idea di costituzionalità ma anche delle sue diverse varianti e caratterizzazioni sul territorio nazionale, come anche di un’azione ad ampio raggio che tiene imprescindibilmente in considerazione quello spazio di cittadinanza collettiva che è l’Europa. Oggi, infatti, un credibile soggetto sindacale non può fare a meno di confrontarsi con lo scenario europeo, ponendosi di fronte a tutta la società e alle istituzioni, soprattutto quelle scolastiche e formative, come attore che muove da quegli stessi valori fondanti e dai diritti costituzionali.

ANIEF è un’associazione sindacale pluralista, capace di dialogare trasversalmente con tutti gli interlocutori politici e gli attori sociali, che ha dimostrato in questi anni di essere sempre pronta a inserirsi con determinazione, competenza e successo nel dibattito culturale, parlamentare e giurisprudenziale del nostro sistema paese, non soltanto in tema di scuola e istruzione, ma anche – in un’ottica confederale – per tutto il pubblico impiego. Ora è arrivato il momento di agire in Europa, sempre partendo da quella scuola italiana che ha subito umiliazioni dovute all’affermarsi di prassi legislative non di rado incostituzionali e non corrispondenti alla normativa comunitaria. Agire in Europa significa rilanciare il Paese nel rispetto del principio dell’obbligo di conformità del diritto interno al diritto dell’Unione che risiede nell’obbligo etico-politico di cooperazione. L’osservanza di tale adesione non può che venire dai tribunali della Repubblica, sotto la lente di ingrandimento e la capacità organizzativa del sindacato, vero protagonista della vocazione umanistica della politica europea.

ANIEF è la coscienza della necessità di una nuova paideia socio-politica della scuola, che richiami il legislatore all’insopprimibile esigenza di porre maggiore attenzione al rispetto della Costituzione della Repubblica e del diritto europeo, per realizzare una stagione di pace e giustizia sociale. Questa buona prassi sindacale deve ripartire da una nuova valorizzazione del settore della conoscenza, richiamandosi alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La tutela dei diritti fondamentali può, in virtù dell’azione sindacale nel suo slancio umanistico, essere una risposta efficace all’indebolimento del mondo scuola e alla sua salvaguardia per il futuro, riconoscendone il ruolo di faro della società civile. Soltanto un’educazione permanente dei professionisti della scuola tesa alla riscoperta del proprio ruolo di promotori di cultura e di educatori, di tutori ed esperti dei diritti dell’uomo, a riconoscersi come animale sociale e non soltanto prodotto di consumo, può aprire la strada a buone pratiche del sapere e del potere rispondenti alle esigenze del terzo millennio.

Ricordati… per il merito a scuola… 2+2=5

Ricordati… per il merito a scuola… 2+2=5

di Enrico Maranzana

La situazione della scuola è sotto gli occhi di tutti; sorprendente il fatto che nessuno si curi d’individuare i responsabili del disservizio. Tra questi risaltano:

  • I docenti che hanno nei libri di testo il loro Vangelo.

In essi trovano sicurezza, sicurezza contrapposta all’ansia indotta da una nuova professionalità fondata sulla progettazione, sull’ideazione di percorsi su terreni inesplorati. Eppure, per ridar credibilità e incisività al servizio, sarebbe sufficiente far emergere, finalizzare e coordinare parte della loro ordinaria operatività.

  • I dirigenti scolastici che difendono a oltranza lo stantio modello organizzativo gerarchico: l’essere al vertice della struttura di comando è gratificante.

La loro responsabilità primaria sarebbe quella di orientare gli organismi di governo alla progettazione di itinerari finalizzati al conseguimento della finalità del sistema: la promozione e il consolidamento delle capacità e delle competenze degli studenti;

  • I sovraintendenti scolastici e i ministri dell’istruzione che non hanno onorato il punto più qualificante del mandato loro conferito: governare l’attività delle scuole affinché fluisca nell’alveo istituzionale;
  • La scuola nel suo complesso che si rifiuta di progettare, impermeabile ai dettami delle scienze dell’organizzazione.

 

Lo sguardo dei bambini di Scampia

da La Repubblica ed. Napoli 9 dic. 2012

Lo sguardo dei bambini di Scampia

di Franco Buccino

 

Sono state brave le maestre di Scampia a non far vedere ai loro alunni la scena del delitto nel cortile della scuola, e il personale dell’Asia a togliere rapidamente le terribili macchie di sangue. Ma alcuni bambini quella scena l’hanno già vista e tanti altri la vedranno nei prossimi giorni, settimane e mesi. Fuori della scuola, sotto casa, davanti alla parrocchia, per strada. Così come vedono chi si prepara agli agguati, chi minaccia, estorce, spaccia la droga. Li vedono anche i bambini che vivono chiusi nei parchi, quelli che appartengono a famiglie impegnate nel sociale. Ancora di più li vedono gli alunni che abitano nelle Vele, nei lotti; quelli che appartengono alle vittime dei camorristi, costrette ad aiutarli o a non vedere, e quelli che fanno parte di famiglie camorriste. Diversi di loro saranno tra non molto reclutati dalla camorra. Lì svolgeranno tutta la loro carriera: da vedette a pusher, al gruppo di fuoco; da gregari a capi, c’è chi precocemente prenderà il posto del padre.

Le mamme dei bambini vanno a chiedere protezione alla polizia, altre vanno dai boss a chiedere una punizione esemplare per quelli che hanno sconfinato nella scuola. Non sono sacre le scuole, sono sacri i bambini: e questa sacralità viene sistematicamente violata, fuori della scuola spesso, qualche volta anche dentro: violenze su alunni, insegnanti picchiati, ragazzi sottratti alla scuola. Giovanni ucciso davanti al supermercato sulla residenziale, Cesare camuffato da adulto ucciso con una revolverata, Davide che sfida con lo sguardo i rapinatori, suoi coetanei, che l’ammazzano.

Circa quindici anni fa, una fredda mattina di febbraio alcuni di noi, davanti a un motorino, un cappellino e un mucchio di segatura sparsa sul sangue di Giovanni, che a quell’ora doveva stare a scuola, ci incolpavamo di non averlo saputo trattenere nell’aula, ci rammaricavamo di essere arrivati in ritardo al supermercato, teatro dell’esecuzione. Poi avemmo una folgorazione: eravamo nel quartiere testimoni oculari di quel delitto, del precedente e del successivo. In realtà conoscevamo non solo le vittime, ma i sicari, i mandanti, il movente.

Le periferie di Napoli, che vanno oltre Napoli e riguardano vaste aree di comuni limitrofi, hanno i problemi di tutte le periferie ed altri ancora, come gli spostamenti, vere e proprie deportazioni, di migliaia e migliaia di persone, accentuati dal terremoto dell’Ottanta, che hanno stravolto le caratteristiche della popolazione residente. La costruzione di veri e propri “reclusori” accanto ad agglomerati normali ed anche a parchi dignitosi, e sistemi viari spropositati, cavalcavia inutili, che rubano spazio alla campagna. Tutto di pessima qualità, come la vita degli abitanti, nuovi o vecchi che siano. Servizi, per usare un eufemismo, carenti: scuola, sanità, trasporti; disoccupazione e precarietà alle stelle; primi tra i primi in tutte le classifiche negative che vedono maglia nera Napoli e la Campania. Una fetta di popolazione resistente, società civile militante e non da salotto, contrapposta a un vero esercito di malavitosi, organizzato e florido.

Le periferie di Napoli non sono solo il frutto dei fenomeni che hanno riguardato tutte le grandi città, sono state create, volute come sono, e mantenute in tale situazione. Chi, sicuramente in buona fede, pensa di affrontare l’emergenza e la straordinarietà della situazione con interventi straordinari, le condanna definitivamente. La polizia e l’esercito a Scampia cosa normalizza se non le contraddizioni e la miseria. La miriade di progetti a Scampia, molti con i soldi dei fondi europei, oltre a piccoli vantaggi per i partecipanti, quali cambiamenti determinano nel territorio. Le periferie richiedono interventi ordinari, efficienti e tempestivi. Richiedono, soprattutto nei governanti, un cambiamento culturale, come si dice con un’espressione abusata, e cioè ci si deve liberare da un pregiudizio “razzista” secondo il quale le periferie non sono semplicemente un luogo geografico diverso dal centro, ma un concentrato di negatività, con una responsabilità non secondaria dei residenti. Se lo capissero, gli esponenti delle istituzioni non sceglierebbero Scampia per le loro passerelle.

La situazione delle scuole è emblematica, a Scampia come in tutte le periferie napoletane, colpite dalla dispersione scolastica. Sono tagliati posti di insegnanti, si applicano le ultime riforme con i tempi scuola abbreviati, gli edifici non sono a norma e spesso cadono a pezzi, la mensa, se parte, parte in ritardo. E i governanti, responsabili di tale scempio o comunque senza alcuna volontà di cambiare, presentano proprio a Scampia improbabili progetti di lotta alla dispersione scolastica, che proprio loro contribuiscono ad alimentare. E il massimo che si riesce a pensare per i bambini di Scampia, è di non farli assistere, almeno a scuola, a tristi spettacoli di morti ammazzati. Tutto il resto, fuori, possono continuare a vederlo.

Il Governo Monti ha i giorni contati, per la scuola non è una buona notizia

da Tecnica della Scuola

Il Governo Monti ha i giorni contati, per la scuola non è una buona notizia
di A.G.
Le dimissioni previste entro fine anno, subito dopo il sì alla legge di Stabilità. Diversi provvedimenti che il ministro Profumo avrebbe dovuto portare in porto entro fine legislatura rischiano ora di arenarsi. Come il nuovo concorso a cattedra, la revisione delle classi di concorso, la valutazione delle scuole (di cui si erano già perse le tracce) e l’anagrafe degli edifici a rischio. Via libera, invece, per il “concorsone” che partirà il 17 dicembre e per i Tfa (con qualche dubbio su quelli speciali).
Il Governo Monti ha i giorni contati. La sfiducia palesata dal Pdl farà chiudere la breve avventura dell’esecutivo dei tecnici con almeno tre mesi di anticipo rispetto alle previsioni. Il premier Monti lo ha ammesso nella serata dell’8 dicembre, dopo essersi recato a colloquio con il capo dello Stato, Giorgio Napolitano: le parole di sfiducia del segretario Pdl, Angelino Alfano, pesano come macigni. E senza l’apporto del partito con il maggior numero di parlamentari non ci sono più le condizioni per proseguire. E che toglierà il disturbo “entro fine anno”, subito dopo l’approvazione della legge di Stabilità.
La domanda è d’obbligo: quali conseguenze potrebbe avere sul mondo dell’istruzione questo inatteso esito del Governo che avrebbe dovuto portare il Parlamento italiano a fine legislatura? Diciamo subito che sull’immediato, sull’anno scolastico in corso, ne avrà ben poche. La scuola italiana, infatti, è un ingranaggio complesso e difficile da avviare. Ma che una volta partito, pur tra mille difficoltà, arriva sempre a compiere il suo percorso annuale.
Lo stesso discorso vale per il concorso a cattedra (realizzato con l’80% delle vecchie regole) che tra meno di dieci giorni vedrà coinvolti 321mila abilitati o laureati di vecchio corso con le prove preselettive. Anche in questo caso, la procedura e la sua organizzazione, oltre che il bando, sono già stati approvati e non vi saranno problemi.
Come non vi saranno problemi per i tirocini formativi attivi. Sia per i “normali”, che hanno già vissuto la loro, pur discussa, fase selettiva. Sia per i “speciali”, riservati agli abilitati, per i quali mancano solo alcuni dettagli finali. Ma che possono contare su un impianto generale già sostanzialmente approvato. L’unico intoppo, di non poco conto, potrebbe essere quello del mancato ok del ministero dell’Economia. In tal caso l’avvio della procedura potrebbe essere a rischio, poiché non vi sarebbero garanzie sulla copertura finanziaria.
Nubi tendenti al nero si addensano, invece, su altri progetti di riforma in corso. Ad iniziare da quelli sui nuovi concorsi. Quelli, per intenderci, che avrebbero dovuto portare regole innovative e cadenza di inidizione biennale. E per i quali il ministro Profumo si era tanto speso negli ultimi mesi del suo mandato.
Per approvare le nuove modalità selettive, infatti, il Miur deve necessariamente chiedere l’autorizzazione al ministero della Funzione pubblica e a quello delle Finanze. E siccome le regole sono ancora in fase di definizione, questo doppio passaggio sarebbe dovuto arrivare nelle prossime settimane. Viene da sé che venendo meno i ministeri interessati, il nuovo modello di concorso a cattedra entrerà in una fase di stand by. Facendo così saltare i programmi di indizione del nuovo bando entro la prossima estate. E l’avvio dell’innovaivo”concorsone” (cui avrebbero dovuto partecipare gli idonei ai Tfa normali e speciali, nell’autunno del 2013). Il rischio concreto di arenarsi c’è poi anche per le nuove classi di concorso degli insegnamenti. A meno che viale Trastevere non riesca nel “colpo di mano”, annunciato proprio in questi giorni, di introdurle attraverso un proprio regolamento: una procedura già contestata dalla Flc-Cgil, poiché non proprio in linea con quanto previsto dalla normativa e dalla legge 133/08.
Con la caduta del Governo Monti e del dicastero dell’Istruzione guidato da Profumo, inoltre, si assisterà ad una brusca frenata (forse anche ad un affossamento) dei nuovi modelli che avrebbero dovuto portare alla valutazione e all’autovalutazione negli istituti. Per non parlare delle procedure che già con velocità fortemente ridotta stavano portano verso l’anagrafe degli edifici a rischio e degli interventi urgenti da attuare per la manutenzione degli istituti.

Al XXIV Congresso Uciim, Stellacci attacca i sindacati

da Tecnica della Scuola

Al XXIV Congresso Uciim, Stellacci attacca i sindacati
Tra gli intereventi al XXIV congresso Uciim, riferisce un comunicato stampa dell’Unione cattolica, anche quello del Capo Dipartimento Istruzione del Miur, Lucrezia Stellacci, che ha sferrato un duro attacco ai sindacati, responsabili del mancato miglioramento della condizione dei docenti.
Il ventiquattresimo congresso dell’Uciim ha aperto i battenti nei giorni scorsi con la relazione del presidente uscente Giovanni Villarossa sulla attività svolta e con l’insediamento degli organi congressuali.
I lavori sono proseguiti con tre interventi su : In dialogo per un nuovo modello di società, tenuti, il primo, dal prof. Gian Cesare Romagnoli, ordinario di politica economica dell’università Roma Tre che ha messo in rilievo, tra l’altro, l’importanza di un recupero del dialogo con le nuove generazioni.
Il secondo tenuto dal prof. Giuseppe Zanniello, presidente del corso di laurea di Scienze della Formazione dell’università di Palermo, che ha sviluppato il suo pensiero su cinque punti fondamentali, tra gli altri, ha messo l’accento sulle aspettative sociali della scuola, su quale scuola e quale società civile vogliamo e sulla necessità di favorire l’associazionismo scolastico.
L’ultimo è stato tenuto dal Capo Dipartimento Istruzione del Ministero dell’istruzione, università e ricerca che ha sottolineato come la scuola sia determinante sempre per lo sviluppo della società. Ha, poi, puntato l’indice contro il mancato utilizzo da parte delle scuole, dei fondi per l’alternanza scuola-lavoro. Ci sono a disposizione 26 milioni di euro che spesso non si sanno utilizzare o si utilizzano male. Occorre, ha continuato Stellacci, ripensare all’organizzazione scolastica, bisogna porre al centro della didattica un metodo laboratoriale, trasformare i propri metodi in laboratorio, in modo che i ragazzi si sentano costruttori del proprio sapere. Il sapere deve essere unitario, il miglior settore della nostra scuola è quello primario, i settori successivi sono disuniti, frammentati. Infine, un duro attacco ai sindacati, responsabili, secondo il capo dipartimento, del mancato miglioramento della condizione dei docenti.

Perché si continua a infrangere la direttiva 1999/70/CE?

da Tecnica della Scuola

Perché si continua a infrangere la direttiva 1999/70/CE?
di Lucio Ficara
Perché in Italia si continua, ormai da troppi anni, ad infrangere la clausola 4 e la clausola 5 della direttiva europea dell’Accordo quadro 18/3/1999 allegate alla Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999? Qual è il motivo di questo conservatorismo che regola il reclutamento nei ruoli docente e nella mobilità? Per capire di cosa stiamo parlando riportiamo di seguito le clausole 4 e 5 della Direttiva 1999/70/CE, con relativi commenti:
Clausola 4 1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. 2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis. 3. Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali. 4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive. Clausola 5 1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati “successivi”; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.
Nel punto 1 della clausola 4 si afferma chiaramente che i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo determinato a meno che non sussistano ragioni oggettive. Nel punto 4 della clausola 4, l’accordo quadro si pone l’obiettivo di equiparare i criteri del periodo di anzianità del servizio tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, eccetto quando ci siano giustificazioni oggettive. Questa clausola è evidentemente infranta sia dal CCNL 2006-2009, ma anche da tutti i successivi CCNI sulla mobilità, che trattano con criteri diversi i casi di lavoratori a tempo determinato da quelli a tempo indeterminato. È utile fare un esempio per comprendere dove sta l’evidente infrazione. Prendiamo, per ordine di tempo, l’ultima ipotesi di contratto sulla mobilità 2013-2014 firmata il 6 dicembre 2012, ancora persiste la differenza di trattamento nel calcolo dell’anzianità di servizio tra il pre-ruolo e il ruolo, dove il servizio svolto con contratti a tempo determinato vale la metà di quello svolto a tempo indeterminato, con l’aggiunta che, per la tabella della mobilità d’ufficio, il servizio svolto a tempo determinato viene calcolato per i primi quattro anni la metà di quello svolto in ruolo e per gli anni successivi i due terzi dei primi quattro anni e quindi un terzo di quello di ruolo. Si tratta di una palese infrazione della clausola 4, che si reitera di anno in anno, con gli accordi contrattuali sulla mobilità. Perché questi criteri diversi tra il calcolo del punteggio del servizio pre-ruolo e quello di ruolo? Quali sono le motivazioni oggettive che giustificano tale differenza sul calcolo di detti servizi? Mentre tra Amministrazione e sindacati si continuano a fare accordi che non riconoscono l’incipit della direttiva europea 1999/70, continuano ad arrivare sentenze dei Tribunali favorevoli ai precari. Ultime, in ordine di tempo, le sentenze dei Tribunali di Roma e di Alessandria che si sono pronunciati positivamente rispetto ai ricorsi presentati da alcuni lavoratori precari della scuola. I giudici hanno dichiarato il diritto dei ricorrenti al riconoscimento dell’anzianità di servizio per i periodi di lavoro svolti con contratti a tempo determinato e al pagamento dei relativi scatti maturati. Con queste pronunce viene ribadito il principio già riconosciuto dalla normativa europea (1999/70/CE) che non vi può essere disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato. Un’altra sentenza recente, che va nella stessa direzione, è quella espressa dal Tribunale di Lanusei in Ogliastra che dichiara il diritto dei ricorrenti al riconoscimento dell’anzianità di servizio a decorrere dal primo contratto a termine stipulato, con ogni effetto economico e giuridico, ma condanna anche il MIUR ad un cospicuo risarcimento economico in favore dei ricorrenti. Con il continuo proliferare di queste univoche sentenze, che rilevano l’inadeguatezza dei nostri contratti rispetto alla Direttiva europea, sarebbe opportuno accogliere, nei prossimi accordi contrattuali, gli aspetti principali, giuridici ed economici, della direttiva 1999/70/CE.