Istruzioni di carattere generale relative all’applicazione del Codice dei contratti Pubblici

TOTALMENTE INSODDISFACENTI LE ISTRUZIONI MIUR: ANP NE CHIEDE IL RITIRO

L’ANP esprime il proprio disappunto per la recente pubblicazione delle “Istruzioni di carattere generale relative all’applicazione del Codice dei contratti Pubblici”.

In primo luogo, dissentiamo sul metodo che, in antitesi al principio della semplificazione, complica ulteriormente una materia già abbastanza complessa.

Ci spaventa, in particolare, la dicitura “quaderno n. 1” che sembra preludere alla pubblicazione di altri trattati del genere. L’idea di diffondere un piccolo manuale sull’argomento è apprezzabile ma dovrebbe evidentemente mirare all’efficacia.

Per quanto concerne il merito, osserviamo che il documento è:

 – una (malriuscita) copia di parti del D.lgs. 50/2016 e delle Linee guida ANAC n. 4: i dirigenti delle scuole e i direttori SGA non avvertono alcuna necessità di una nuova versione delle disposizioni esistenti ma, semmai, di agili schede di lettura che possano facilitare il loro già stressante lavoro;
– un manuale di complicazioni, dove anche l’atto iniziale (la determina a contrarre) è lunga ben nove (9!) pagine.

È appena il caso di ricordare che le istruzioni e le indicazioni fornite dal MIUR – che via via si autodefiniscono Raccomandazioni, Linee guida ecc. – non sono una fonte di diritto dalla quale è possibile discostarsi solo motivando.

I dirigenti delle scuole, di fronte alle 95 pagine di trattato più 132 pagine di allegati, si chiedono dove siano finiti l’anelito alla semplificazione amministrativa e la lotta alla eccessiva burocrazia.

Chiediamo, pertanto, il ritiro immediato delle istruzioni in questione e la loro sostituzione con poche e semplici indicazioni.

In caso contrario, l’ANP sarà costretta ad organizzare, per i propri iscritti, una serie di seminari in tutta Italia per interpretare – in senso orientato al codice dei contratti –l’intero volume con conseguente aggravio di lavoro per tutti.

Newsletter informativa

Newsletter informativa realizzata nell’ambito del Protocollo d’Intesa tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e la Croce Rossa Italiana.

La Croce Rossa Italiana, nell’ambito delle attività previste dal Protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, trasmette con cadenza bimestrale, a partire dal mese di febbraio, una newsletter informativa, a tutti gli istituti scolastici, con lo scopo di diffondere le opportunità disponibili in ambito formativo. È possibile visualizzare la Newsletter completa collegandosi al seguente link:

https://i0i9x.mailupclient.com/f/rnl.aspx/?nmk=_x/yw4fbmm=x5fm.=vy_5-f0bf=i9ie08l0e&x=pv&kgi&x=pp&y4&kc8cm4c:m=wzwyNCLM

Per maggiori informazioni contattare il Comitato Nazionale ai seguenti indirizzi mail/telefono: miur@cri.it; 06-55100583/56


Reclutamento e Quota​ ​100

Scuola. Reclutamento e Quota​ ​100: le nostre proposte per la fase transitoria

Sabato 9 febbraio CGIL, CISL e UIL manifesteranno unitariamente contro la legge di bilancio 2019 che lascia irrisolte molte criticità, non propone soluzioni incisive per il mondo del lavoro, non parla ai giovani.

Nella legge di bilancio sono contenute anche modifiche al sistema di reclutamento dei docenti della scuola secondaria: si tratta di un pacchetto di riforme inadeguate, incoerenti e sicuramente inefficaci per garantire l’avvio dell’anno scolastico, dare una risposta dignitosa al personale precario della scuola, assicurare il diritto all’insegnamento e al lavoro.

“La FLC CGIL ha lanciato a novembre la campagna #StabilizziamoLaScuola che propone una soluzione transitoria e straordinaria per risolvere i disastri di inizio anno scolastico che stiamo presentando in assemblee in tutta Italia. Vogliamo portare in piazza i problemi del precariato scolastico manifestando contro provvedimenti ancora una volta ingiusti e inefficaci”, afferma Francesco Sinopoli.

“L’attuale sistema di reclutamento, più volte rimaneggiato negli ultimi anni”, prosegue Sinopoli, “ha prodotto forti disfunzioni e manifestato scarsa efficacia, tanto che a settembre 2018 l’anno scolastico è partito con 32.217 cattedre non assegnate ai ruoli, e con altri 56.564 posti liberi da assegnare a supplenza tra deroghe sul sostegno e organico di fatto. A settembre 2019 se ne aggiungeranno oltre 40.000 che si libereranno per effetto di ‘Quota100’, consegnando l’avvio del prossimo anno scolastico ad un’ulteriore situazione di caos e di mancanza di insegnanti che avrà ripercussioni sulla continuità didattica. Senza contare l’aggravio di lavoro per le segreterie scolastiche”.

Ecco la nostra proposta di una fase transitoria. Occorre istituire una graduatoria per titoli che ricomprenda, in ordine, il personale già abilitato presente nelle seconde fasce d’istituto (dai docenti della scuola secondaria ai diplomati magistrali ai laureati in Scienze della formazione primaria) e, a seguire, coloro che sono presenti nelle terze fasce d’istituto della scuola secondaria e hanno maturato 3 anni di servizio.

I docenti collocati in posizione utile per la nomina sarebbero assegnati ad una scuola con incarico al 31 agosto e, contemporaneamente, seguirebbero un corso/concorso per l’abilitazione in servizio. Dopo la valutazione positiva del percorso svolto, il contratto sarà trasformato a tempo indeterminato. Il percorso formativo, svolto in collaborazione tra scuola e università, dovrebbero essere a carico dello stato. La fase a regime prevede concorsi con cadenza annuale, sulla base dei fabbisogni delle diverse regioni.

Conclude Sinopoli: “Prima di avviare un nuovo modello di reclutamento, abbiamo bisogno di uscire dalla condizione di emergenza che connota l’attuale sistema, con una fase transitoria coerente, solida ed efficace, che coniughi tempi ristretti nelle assunzioni e qualità della formazione in ingresso, con l’obiettivo di garantire un regolare avvio del prossimo anno scolastico”.

NO ALLA REGIONALIZZAZIONE DELLA SCUOLA

USB DICE NO ALLA REGIONALIZZAZIONE DELLA SCUOLA. NON ABBOCCHIAMO ALLA TRUFFA DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Il referendum del Veneto del 2017 sta producendo un iter legislativo che conduce pericolosamente quanto silenziosamente verso la regionalizzazione di servizi essenziali, in primis l’istruzione. Il referendum è stato reso possibile dalla riforma del titolo V della Costituzione, approvata nel 2001, che ha di molto ampliato le competenze delle regioni su materie essenziali, come appunto la scuola e la formazione. Il rischio concreto è quello di costruire una sistema scolastico regionale e quindi di creare inaccettabili differenze all’interno del sistema scolastico nazionale. La riforma del del Titolo V della Costituzione ha sottratto allo Stato l’esclusività in materia di istruzione lasciando nelle sue competenze esclusivamente le “norme generali”, “i livelli essenziali delle prestazioni” e i “principi fondamentali”. Questo federalismo aumentato (che coinvolgerebbe altri servizi essenziali, come la sanità) potrebbe non trovare alcun contrasto. La maggior forza di opposizione parlamentare è infatti quel PD che la riforma del titolo V volle fortemente. L’attuale governo Lega-Movimento Cinque stelle potrebbe pertanto non trovare alcun ostacolo ai progetti federalisti del Veneto. Non va poi dimenticato che se l’attuale pre-intesa è stata sottoscritta, oltre che dal Veneto, anche da Lombardia ed Emilia Romagna, già altre Regioni – tra cui Campania e Piemonte – hanno mostrato di volersi aggregare.

USB denuncia in primo luogo che questi progetti hanno lo scopo prioritario di mantenere il gettito fiscale all’interno delle regioni del Nord in assoluta violazione del principio di redistribuzione, che trova fondamento nella Costituzione ed è alla base dell’unità nazionale. Tanto più in un paese dove tanto peso ha avuto la migrazione interna della forza lavoro. La ricchezza del Nord è stata costruita anche e soprattutto dai lavoratori emigrati dal Sud. Questo vale ancor di più per la scuola, dove ormai da anni il problema della carenza di insegnanti genera difficoltà sempre maggiori per l’avvio dell’anno scolastico. Difficoltà il cui superamento è spesso legato alla disponibilità (e all’obbligo) dei docenti del Sud a trasferirsi al Nord per poter lavorare, visto che la mancata stabilizzazione degli organici nelle regioni del Meridione non consente trasferimenti ed assunzioni. La regionalizzazione della scuola, con il passaggio del personale neoassunto in capo alla Regione, creerà a nostro avviso un sistema in cui i trasferimenti dei docenti diventerebbero impossibili, creando ulteriori difficoltà e sofferenze, dopo quelle provocate dal famigerato algoritmo della L.107. D’altra parte i continui disinvestimenti e tagli, che paiono essere confermati da ogni governo, non potranno che portare a un aumento dei flussi migratori dal Sud al Nord del paese.

Ci sembra peraltro una promessa priva di fondamento lo sventolato aumento stipendiale, non solo perché da sempre i lavoratori della formazione regionale sono pagati meno di quelli statali, ma anche perché crediamo che nella modifica/rinnovo dei contratti si inseriranno clausole che favoriranno la precarietà, la licenziabilità e la ricattabilità dei neoassuti da parte dei capi di istituto. Lo affermiamo alla luce delle politiche portate avanti dal governo centrale e dalle regioni in questi ultimi 30 anni almeno. E non è possibile dimenticare che i vincoli di bilancio imposti allo Stato italiano dalle scellerate politiche di austerità europea, sono tali anche per le amministrazioni locali, perchè dunque dovrebbero esserci a disposizione più soldi per i docenti regionali?

Non possiamo dimenticare inoltre che il settore più regionalizzato del welfare, la sanità, è peggiorata in tutte le regioni, anche lì dove rappresentava un’eccellenza, come in Lombardia, con liste di attese interminabili nel pubblico, a favore dei privati, dei sistemi di welfare aziendali e delle assicurazioni. Questo anche perché regionalizzazione ha significato privatizzazione, ovvero messa a profitto della salute. Siamo sicuri di volere che anche l’istruzione sia messa a profitto?

Inoltre legare la distribuzione dei fondi statali a “fabbisogni standard” definiti in base al gettito fiscale di ogni regione, quindi in funzione della ricchezza dei cittadini di una certa zona geografica, è un pericolo rispetto agli organici, alla mobilità, ma anche rispetto al servizio erogato. La mobilità diverrebbe il frutto di eventuali accordi tra regione e regione o tra Stato e regione, in alcune regioni una parte dello stipendio degli insegnanti dipenderebbe dai contratti di secondo livello, da incentivi e da premi che farebbero lievitare gli oneri fiscali per i contribuenti, l’ente regionale diventerebbe il datore di lavoro dei nuovi docenti a fronte di altri lavoratori nelle medesime scuole che rimarrebbero dipendenti statali, con la presenza di differenti categorie che fanno lo stesso lavoro. Queste le prime indiscrezioni. E i lavoratori della scuola di Veneto e Lombardia sono circa 197mila.

USB contrasterà in tutti i modi l’istituzione di un sistema discriminatorio, che produrrebbe ulteriori disuguaglianze tra le regioni italiane e renderebbe la scuola pubblica sempre più asservita alle esigenze del sistema produttivo dei diversi territori.

Intendiamo portare in piazza il dissenso dei lavoratori della scuola, a partire dalla manifestazione del prossimo 15 febbraio a Roma.

Safer Internet Day: Italia esposta a cyberbullismo e fake news, Millennials i più colpiti

da Il Sole 24 Ore

di Al. Tr.

Sicurezza sul Web, Italia al 9° posto su 22 Paesi per l’esposizione ai rischi on line. Lo dicono i dati del Digital Civility Index 2019, la ricerca che analizza la percezione di adolescenti (13-17) e adulti (18-74) rispetto all’educazione civica digitale e alla sicurezza online, diffusa da Microsoft in occasione del Safer Internet Day. Secondo i numeri, cresce il fenomeno dei contatti indesiderati, delle fake news e del bullismo digitale. E per questo Microsoft mette a disposizione degli studenti un decalogo per il corretto uso della Rete.

La mappa dei rischi on line
Il 64,5% degli intervistati, dice Microsoft, dichiara di essere stato vittima diretta o indiretta di almeno uno dei tre principali rischi online: contatti indesiderati (per il 48% degli italiani, contro il dato globale che si ferma al 36%), fake news (62% contro 57%) e bullismo 52% contro 51%). I Millennials e le adolescenti, secondo l’indagine, sono le categorie che soffrono di più a causa dei rischi online, anche rispetto ai loro pari nel mondo: il 69% dei nati tra gli anni 80 e 90 e il 69% delle teenager dichiara, infatti, di provare molto disagio per questo tipo di esperienza. Dal Digital Civility Index inoltre emerge che il 44% dei teenager si rivolge ai propri genitori per chiedere aiuto (+2% rispetto alla media globale), «a dimostrazione – dice Microsoft – dell’efficacia delle campagne di sensibilizzazione da parte delle istituzioni e aziende sul tema».

Il decalogo per un Web sicuro
Per aiutare i più giovani ad assumere comportamenti responsabili online ed educarli a un uso consapevole e sicuro degli strumenti digitali, Microsoft ha realizzato un “chatterbox”, una sorta di origamiscaricabile a questo link in cui offre alcuni suggerimenti utili su come evitare i pericoli in Rete. I consigli vanno dall’utilizzo di password diversificate per ogni account, al non accettare inviti o richieste dagli sconosciuti sui social media, alla protezione dei dati sensibili e personali, comprese le foto. Fino all’uso di una connessione sicura e al costante aggiornamento di antivirus e impostazioni della privacy.

Anvur-Invalsi, verso la riforma

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

L’obiettivo è un nuovo modello di valutazione del sistema universitario e scolastico. Il primo passo è cambiare le due agenzie che ad oggi se ne occupano, Anvur e Invalsi. La delega al governo a legiferare in materia tramite decreto è prevista dal disegno di legge delega di semplificazione di vari settori, atteso in parlamento non appena arriverà il via libera finale della Camera, in calendario per i prossimi giorni, alla conversione del dl di Semplificazioni.

Il ddl delega, approvato salvo intese a dicembre, secondo quanto risulta a ItaliaOggi è stato diramato in una nuova versione dal Dagl di Palazzo Chigi ai vari ministeri interessati al fine di apportare le ultime limature.

Nella nuova versione è confermata la delega in materia di istruzione, università e formazione artistica, che già a dicembre aveva scatenato critiche. E su cui in parlamento si annuncia l’opposizione di chi difende l’attuale autonomia delle due agenzie. Già, perché nel mirino del governo c’è innanzitutto l’indipendenza dei due istituti rispetto alle politiche valutative ritenute strategiche dal Ministero nella declinazione degli atti di indirizzo fatta dai ministri pro tempore. La limitazione del ruolo dell’Invalsi e delle sue prove per il prossimo esame di maturità, voluta dal ministro Marco Bussetti, e è un esempio di correzione in corsa di una rotta già decisa.

L’articolo in materia si limita a prevedere «la razionalizzazione, anche attraverso fusioni o soppressioni, di enti, agenzie, organismi comunque denominati, ivi compresi quelli preposti alla valutazione di scuola e università ovvero trasformazione degli stessi in ufficio dello stato o di altra amministrazione pubblica, salvo la necessità di preservarne l’autonomia, ovvero liquidazione di quelli non più funzionali all’assolvimento dei compiti e delle funzioni cui sono preposti».

La soluzione finale dunque è ipoteticamente aperta, non escluso il mantenimento degli organismi così come oggi configurati. Le ipotesi ritenute credibilmente in campo invece sarebbero solo due: la fusione oppure la confluenza in una direzione ad hoc del ministero di Invalsi e Anvur. Le proposte operative, alla luce della delega, saranno oggetto del lavoro della commissione di 60 esperti, presieduti dal magistrato della Corte dei conti Vito Tenore, già insediatasi presso il Miur. E al lavoro sul riordino dei Testi unici di istruzione e università.

Tra i settori oggetto di intervento ci saranno anche gli organi collegiali territoriali della scuola, con l’obiettivo di eliminare «duplicazioni e sovrapposizioni di funzioni, ridefinendone la relazione rispetto al ruolo, competenza e responsabilità dei dirigenti scolastici». In vista anche una riallocazione di funzioni in merito alle pratiche per la cessazione dal servizio, le progressioni e ricostruzioni di carriera, ad oggi ricadenti sulle segreterie scolastiche.

Da ultimo lo sport, il ddl prevede infatti «il riordino e la promozione dell’attività sportiva studentesca in ogni ciclo di istruzione». In un difficile equilibrio con l’autonomia delle singole istituzioni, che viene incidentalmente richiamata, l’obiettivo è la costituzione di centri sportivi studenteschi e di una federazione nazionale dello sport scolastico.

Non si esclude, in ambienti parlamentari, che il ddl in arrivo possa anche essere il treno a cui agganciare gli emendamenti di maggioranza su scuola e università che sono stati espunti dal dl Semplificazioni nell’aula di Palazzo Madama. Per decisione della presidenza del senato che ha fatto propri i dubbi di compatibilità del Quirinale.

Straordinari certificati per i prof con l’obbligo dei rilievi biometrici

da ItaliaOggi

Anche i docenti dovranno utilizzare i sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza degli accessi a scuola, per consentire all’amministrazione di verificare l’osservanza dell’orario di lavoro. E ciò consentirà loro di ottenere più facilmente il pagamento delle ore di straordinario. È quanto si evince dal disegno di legge AC 1433 «Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo». Il provvedimento è stato approvato dal senato il 6 dicembre scorso ed è attualmente al vaglio delle commissioni riunite affari costituzionali e lavoro della camera in sede referente. L’assegnazione del provvedimento in sede referente comporta che le commissioni si limiteranno a votare un parere sul disegno di legge e poi l’iter di approvazione proseguirà in aula. Se il testo sarà approvato senza modifiche, sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale e diventerà legge. Altrimenti dovrà ritornare al senato e così via fino a quando entrambe le camere approveranno lo stesso testo.

Finora i docenti non sono mai stati assoggettati all’obbligo di timbrare il cartellino. Anche se, dopo l’avvento del registro elettronica, di fatto, anche gli insegnanti sono sottoposti a controlli automatizzati della presenza. Ma ciò vale solo per le attività di insegnamento. E la mancanza di strumenti documentali per accertare la presenza e la permanenza a scuola durante le attività funzionali all’insegnamento ha fatto sì che, finora, i sistematici sforamenti dell’orario di lavoro obbligatorio non abbiano mai dato luogo al pagamento dello straordinario.

La mancata applicazione dei controlli automatizzati discende dal costante orientamento della Suprema corte (tra le tante si veda la sentenza 11025 del 12 maggio 2006). Secondo il quale, l’obbligo di adempiere ad operazioni di rilevamento automatico delle entrate e delle uscite assume rilievo solo in capo al personale non docente. Perché tale obbligo può sussistere solo in presenza di una norma di legge o di contratto. Previsione che, per il personale docente, non esiste. In particolare, spiegano i giudici di piazza Cavour: «Dalla giurisprudenza di legittimità e da quella amministrativa si ricava il principio che per i dipendenti pubblici l’obbligo di adempiere alle formalità prescritte per il controllo dell’orario di lavoro deve discendere da apposita fonte normativa legale o contrattuale». E siccome questa fonte legale o contrattuale per i docenti non c’è, non esiste nemmeno l’obbligo. Ciò ha fatto sì che si radicasse la prassi deteriore, secondo la quale, a fronte di un numero di ore di insegnamento tassativo inderogabile, il monte ore delle attività funzionali all’insegnamento di natura collegiale (anch’esso tassativo secondo il contratto) potesse essere superato omettendo, pacificamente, di corrispondere la retribuzione aggiuntiva maturata dai docenti. Che anche a causa della difficoltà di dimostrare lo sforamento dell’orario ordinario, si rassegnano a lavorare di più rinunciando alla retribuzione. Fatto, questo, che viola il principio costituzionale della giusta retribuzione e che è sanzionato con l’invalidità dall’articolo 2113 del codice civile. Ma quando il disegno di legge per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo diventerà legge, tutto ciò non potrà più accadere.

Sebbene la ratio del provvedimento sia quella di individuare e punire i lavoratori inadempienti, l’effetto per i docenti sarà quello difendersi più agevolmente dagli eventuali inadempimenti dell’amministrazione. La sistematicità e il rigore scientifico degli accertamenti relativi ad accessi e permanenza dei dipendenti durante l’orario di lavoro determinerà, infatti, la formazione di vere e proprie prove. Che potranno essere utilizzate, anche in giudizio, per dimostrare il diritto dei singoli lavoratori alla retribuzione aggiuntiva in caso di prestazioni eccedenti gli obblighi contrattuali. Prestazioni eccedenti che, nella scuola e per i docenti, costituiscono la regola e non l’eccezione.

Il nuovo sistema di controllo, pertanto, sempre nel caso dei docenti, avrà l’effetto di costringere l’amministrazione scolastica a rispettare le disposizioni contrattuali in materia di orario. In caso contrario, infatti, a fronte della deliberazione dei piani annuali delle attività, che costituiscono dei veri e propri ordini di servizio, i dirigenti scolastici inadempimenti potrebbero andare incontro ai cosiddetti giudizi di responsabilità davanti alla Corte dei conti. Perché i docenti potrebbero agevolmente dimostrare l’esistenza dei propri crediti retributivi anche davanti al giudice. La documentazione di verifica prevista dalle nuove disposizioni, infatti, consentirebbe agli insegnanti interessati di ottenere dal giudice una pronuncia di ingiunzione (cosiddetto decreto ingiuntivo). E ciò potrebbe costituire presupposto ai fini dell’insorgenza del danno erariale e della relativa azione di responsabilità nei confronti dei dirigenti inadempimenti.

Infanzia, più oneri e stessi fondi

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Docenti della scuola dell’infanzia, più oneri, più responsabilità, stessi soldi. La proposta di legge attualmente all’esame della VII commissione del senato in sede redigente, As S641, prima firmataria Michela Montevecchi (M5S), prevede che gli insegnanti di scuola dell’infanzia e il personale Ata di questo segmento di istruzione dovranno frequentare corsi di formazione per imparare ad effettuare la manovra di Heinlich: una particolare terapia manipolativa che serve a disostruire le vie respiratorie in caso di inalazione di cibo o altri oggetti (si veda ItaliaOggi di martedì scorso).

L’acquisizione di queste competenze, si legge nella relazione, è finalizzata alla tutela della salute e dell’incolumità dei bambini della scuola dell’infanzia. Alla quale dovranno provvedere direttamente i docenti, senza che a ciò faccia seguito alcun incremento retributivo. Il provvedimento, infatti, è totalmente privo di copertura finanziaria. Ma nonostante questo, in caso di inadempimento, il disegno di legge prevede responsabilità in capo ai dipendenti interessati.

Il legislatore proponente, però, ha previsto espressamente l’ipotesi che le attività formative possano risultare inefficaci oltre che estranee al profilo professionale dei docenti interessati. E per questo motivo ha disposto la possibilità che «laddove sia richiesta una specifica professionalità non riconducibile al profilo professionale dei docenti della scuola dell’infanzia, le istituzioni scolastiche», possano stipulare, nei limiti delle risorse iscritte nei loro bilanci, contratti di prestazione d’opera con esperti, in possesso di titoli specifici. Dunque, sempre a saldi invariati per la finanza pubblica. La norma, se non subirà modifiche nell’ambito della discussione parlamentare, potrebbe risultare costituzionalmente illegittima sotto diversi profili.

L’incremento di oneri e responsabilità, conseguente all’obbligo di frequentare corsi di formazione finalizzati ad acquisire competenze di primo soccorso e all’adozione di misure conseguenti in luogo del personale sanitario, infatti, modifica unilateralmente la qualità e la quantità della prestazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia. Il tutto senza prevedere alcun corrispettivo. Pertanto, l’invarianza della retribuzione, a fronte dell’incremento degli obblighi di lavoro, potrebbe risultare in contrasto con il principio di giusta retribuzione contenuto nell’articolo 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro».

La violazione dell’art. 36 Cost. risulterebbe ancora più evidente per effetto della mancata individuazione delle risorse economiche per fare fronte ai nuovi oneri previsti nel disegno di legge. E ciò contrasterebbe anche con l’art. 81 della Carta, il quale dispone che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri debba provvedere ai mezzi per farvi fronte.

Un ulteriore profilo di incostituzionalità potrebbe essere rappresentato dal contrasto con l’art. 97, comma 3, della Costituzione. Che prevede l’obbligo, per il legislatore, di individuare le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari. Il disegno di legge, infatti, non definisce tali aspetti. E per quanto riguarda le responsabilità, si limita a un mero rinvio «al regime ordinario di responsabilità vigente per il personale scolastico e degli impiegati statali».

A ciò vanno aggiunte ulteriori considerazioni in riferimento ad ulteriori profili di illegittimità per contrasto con alcune norme di legge, che dispongono l’irrinunciabilità del diritto alla retribuzione e la inderogabilità delle mansioni per le quali il lavoratore sia stato assunto: principi generali del nostro ordinamento, che si collocano al di sopra dei principi costituzionali nell’ambito della gerarchia delle fonti.

L’irrinunciabilità del diritto alla retribuzione rileva dalle disposizioni contenute nell’articolo 2113 del codice civile. A questo proposito, infatti, la norma codicistica sanziona con l’invalidità accordi relativi a rinunzie o transazioni. Vale a dire, gli accordi che prevedano la rinuncia del lavoratore alla retribuzione oppure l’accettazione di retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali previsti per la prestazione ordinaria.

Quanto alla inderogabilità delle mansioni, la norma di riferimento è l’articolo 2013 del codice civile. Che prevede il divieto di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle per le quali sia stato assunto. Principio recepito e ribadito per i dipendenti pubblici dall’articolo 52 del decreto legislativo 165/2001.

In pratica, dunque, se il disegno di legge non sarà modificato prima dell’approvazione definitiva, il rischio che si corre è quello di incrementare il contenzioso con forti aggravi di spesa per l’erario. Il problema potrebbe essere agevolmente risolto trasformando gli adempimenti previsti dal provvedimento da obblighi a diritti. Perchè ciò precluderebbe l’insorgenza del diritto alla retribuzione a seguito dello svolgimento delle relative attività.

Tfr agli statali anche dopo 25 mesi dalla pensione La legge alla Consulta: rischio incostituzionalità

da ItaliaOggi

Franco Bastianini

Sta per essere esaminata nel merito dai giudici della Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale delle norme di cui all’articolo 12, comma 7, del decreto legge n. 78/2010, come modificato dall’articolo 1, comma 484, lett. a) della legge n.147/2013, che disciplina il trattamento di fine rapporto/servizio dei pubblici dipendenti, la buonuscita per il personale della scuola. È stata infatti fissata per il 17 aprile alle ore 9,30 l’udienza nel corso della quale i giudici della Consulta esamineranno un ricorso relativo tra l’altro appunto all’indebito ritardo del pagamento del Tfr ai pubblici dipendenti previsto del predetto comma 7: a) in un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 50 mila euro; b) in due importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 50 mila euro ma inferiore a 100 mila. In tal caso il primo importo annuale è pari a 50 mila euro e il secondo importo annuale è pari all’ammontare residuo; c) in tre importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione è complessivamente uguale o superiore a 100 mila euro. In tal caso il primo e il secondo importo annuale è pari a 50 mila euro, il terzo all’ammontare residuo.

È la prima volta che la questione di legittimità costituzionale del predetto articolo viene esaminata nel merito. In due precedenti casi, sentenza 8-11 ottobre 2012, n. 223 e sentenza 15-23 gennaio 2014, n. 7, i giudici avevano invece dichiarato la manifesta inammissibilità di una analoga questione di legittimità costituzionale sollevata dai Tar dell’Umbria e della Calabria.

A sollevare, ultima in ordine di tempo, la questione di legittimità presso la Consulta è stato un giudice del lavoro di Roma su un ricorso patrocinato dalla Confsal-Unsa il cui segretario Massimo Battaglia alla notizia della fissazione dell’udienza ha dichiarato tra l’altro che «finalmente, dopo un lungo e ostinato iter giudiziario, potremo esporre davanti alla Corte Costituzionale le ragioni di milioni di lavoratori che, dopo avere versato per decenni i contributi mensili, sono costretti ad attendere la prima rata del proprio Tfr ben oltre i 25 mesi previsti dalla norma in vigore».

L’udienza fissata per il prossimo 17 aprile riapre le speranza delle migliaia di dipendenti scolastici che sono appena andati in pensione e di quelli più numerosi che cesseranno dal servizio dal prossimo 1° settembre di avere la liquidazione spettante in tempi notevolmente più brevi e, comunque, nei tempi con cui viene liquidato il trattamento di fine rapporto ai lavoratori del settore privato.

Un primo passo verso una riduzione dei tempi di liquidazione del trattamento di fine rapporto/servizio, ivi compresa l’indennità di buonuscita del personale scolastico, potrebbe essere rappresentato dall’articolo 23 del decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4 che disciplina la possibilità di una anticipazione, seppure nella misura massima di 30 mila euro, di una quota dell’indennità di fine servizio maturata. Si tratta ora solo di attendere le nuova decisioni dei giudici della Consulta.

La strategia lombarda su formazione-lavoro

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Rafforzamento dell’alternanza, cooperazione con Academy aziendali, budget unico, un meccanismo incentivante di assegnazione delle risorse. La giunta della regione Lombardia rilancia i pilastri del modello regionale educativo unitario di istruzione, formazione e lavoro approvando, il 29 gennaio, la delibera di programmazione del sistema IeFp 2019-2020 con cui stanzia 245,7 milioni di euro per sostenerlo. «Mettendo a valore» sottolinea l’assessore regionale all’istruzione, formazione, lavoro Melania Rizzoli, «la sperimentazione del sistema duale e rilanciando la strategia unitaria per l’occupabilità dei giovani fondata sulla relazione sinergica tra formazione e lavoro».

Un milione mezzo di euro così è destinato al consolidamento del sistema IeFp che, rispetto al 2013, ha segnato un +10,7% di iscritti e moltiplicato di 20 volte il numero degli apprendisti. «Il primo punto di innovazione è il superamento della distinzione tra percorsi ordinamentali e duali», spiega Rizzoli, «i percorsi potranno combinare e variare nel loro sviluppo le ore dedicate all’apprendimento esperienziale, che sarà esteso anche alle prime annualità con metodologie formative protette»: gli allievi 14enni dovranno svolgerne almeno 200 ore. «Nell’ultimo anno per il conseguimento del diploma IeFp la formazione sarà svolta unicamente in modalità di alternanza rafforzata o in apprendistato». Così, 5 milioni di euro andranno al potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro rafforzata (minimo 400 ore annue) nei I e IV anno per 11.2000 studenti.

Altri 228,2 milioni ai percorsi di IeFp prevalentemente in alternanza rafforzata, interessando 53.800 iscritti. Infine, 11 milioni formeranno 2.000 apprendisti di I livello. «Un ulteriore punto di innovazione», prosegue Rizzoli, «è la promozione della stretta connessione tra il sistema delle istituzioni formative accreditate e le imprese meglio strutturate per lo sviluppo delle competenze tecnologiche e innovative, attraverso la valorizzazione dei training center e delle Academy aziendali e interaziendali».

I docenti aziendali, infatti, potranno non soltanto affiancare gli studenti durante i periodi di tirocinio in impresa, ma svolgere direttamente parte della formazione in aula accanto ai docenti tradizionali.

Invalsi, debuttano le nuove prove

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Prove uniche di italiano e di inglese per tutti gli indirizzi delle superiori. Tre tipologie distinte per quella di matematica per licei non scientifici e istituti professionali, istituti tecnici, licei scientifici. Per tutti somministrazioni con il computer. Nei seminari regionali promossi nei giorni scorsi dall’Usr Veneto prendono corpo le prove Invalsi in V superiore, che debutteranno tra il 4 e il 30 marzo (prova suppletiva 2-4 maggio). Si tratta, in base al decreto legislativo n.62 del 2017 di un’attività ordinaria dell’istituto e, anche se per questo anno scolastico non costituiscono requisito per l’ammissione alla maturità indipendentemente dal loro esito (la L.108/2018 l’ha rinviato al 2019/20), l’esito delle prove Invalsi confluisce nel curriculum dello studente in livelli descrittivi distinti per italiano (6 livelli), matematica (6 livelli) e inglese, quest’ultima sulle competenze ricettive di lettura (3 livelli) ed ascolto (3 livelli).

«La prova di italiano non è differenziata per indirizzi, poiché si riferisce ad ambiti di competenza comuni previsti nei traguardi di tutti gli indirizzi e non fa riferimento ad aspetti specifici di particolari tipologie di scuole», spiega Roberto Ricci, responsabile area prove Invalsi. «È una prova di comprensione del testo e non ha contenuti di storia della letteratura», precisa Ricci. «Le domande relative alla riflessione sulla lingua (conoscenze e competenze grammaticali) per l’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado sono organizzate intorno a brevi testi e fanno riferimento alla capacità di utilizzare le conoscenze e le esperienze acquisite per porsi in maniera linguisticamente consapevole di fronte ad essi. Queste domande sono orientate a sollecitare l’osservazione e la riflessione sui nodi linguistici ritenuti più significativi e necessari alla corretta decodifica dei testi».

Unica per tutti gli indirizzi anche la prova di inglese, che è riferita al Qcer (livello b2 e b1), quindi, riguarda gli aspetti comunicativi della lingua. Non una lingua settoriale. Testa le competenze di comprensione della lettura e dell’ascolto con esiti a 3 livelli: non ancora B1, B1 e B2. Quindi ha 3 task B2 e 2 task B1. «L’insegnamento della matematica nella scuola secondaria di secondo grado presenta elementi di differenziazione più rilevanti rispetto all’italiano e all’inglese, sia in termini di contenuti sia in termini di monte orario», osserva Ricci. «Nelle Indicazioni nazionali/Linee guida sono stati individuati gli elementi di contenuto e di processo comuni a tutti gli indirizzi di studi.

Sono stati confrontati gli esiti delle sperimentazioni condotte dal 2014 con quanto previsto dalle Indicazioni nazionali/Linee guida per cercare un riscontro empirico tra il curricolo previsto e quello insegnato». La prova che prevede 35-40 domande di tipologia diverse in base all’indirizzo di studi. La prova per i licei non scientifici e per gli istituti professionale prevede domande di manutenzione (M) sui contenuti fondamentali, in continuità con i traguardi della scuola media e del biennio delle superiori; e domande ricontestualizzate (R) che propongono situazioni simili a quelle incontrate in III media e II superiore ma che richiedono l’acquisizione di nuovi strumenti e contenuti matematici appresi nel biennio delle superiori.

A queste vi aggiungono domande di analisi matematica (T) per i solo istituti tecnici, sull’insegnamento dell’analisi matematica, propedeutica alle discipline professionalizzanti e che di norma è prevista al IV. Mentre ai quesiti M e R nella prova per tutte le opzioni di liceo scientifico si aggiungono domande di analisi matematica e di approfondimento contenutistico (LS), con contenuti e livello specifico e caratterizzanti questo percorso di studi.

Graduatorie istituto, inserimento elenchi sostegno: al via le domande. Le info utili

da Orizzontescuola

di redazione

Al via da oggi l’inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno ai sensi del decreto n. 73/2019.

Integrazione graduatorie di istituto

Il succitato Decreto disciplina l’integrazione delle graduatorie di istituto, nel triennio di vigenza, secondo quanto indicato dal DM 326/2015.

Nello specifico, il decreto prevede:

  • l’inserimento in II fascia delle graduatorie di istituto dei docenti che hanno conseguito il titolo di abilitazione oltre il previsto termine di aggiornamento triennale delle graduatorie ed entro il 1 febbraio 2019, i quali verranno collocati in un elenco aggiuntivo alle graduatorie di II fascia;
  • l’inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno dei docenti che conseguono il titolo di specializzazione per il sostegno agli alunni con disabilità oltre il previsto termine di aggiornamento triennale delle graduatorie ed entro il 1 febbraio 2019, i quali verranno collocati in coda agli elenchi di sostegno della fascia di appartenenza;
  • il consueto riconoscimento della precedenza nell’attribuzione delle supplenze di III fascia di  istituto, per i docenti che vi siano inseriti e che conseguono il titolo di abilitazione nelle more dell’inserimento nelle finestre semestrali di pertinenza.

Inserimento elenchi aggiuntivi di sostegno: interessati

Possono chiedere l’inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno:

  • docenti che hanno conseguito il titolo di specializzazione per il sostegno dopo il termine ultimo di aggiornamento triennale delle graduatorie (24/06/2017ed entro il 1° febbraio 2019.

Tali docenti verranno collocati in coda agli elenchi di sostegno della fascia di appartenenza.

Inserimento elenchi aggiuntivi di sostegno: presentazione istanza

I docenti interessati presentano l’istanza dal 4 al 22 febbraio 2019.

La domanda va presentata, compilando il modello A5 su Istanze Online, alla scuola destinataria dell’istanza di inserimento nelle graduatorie di istituto 2017/20 ovvero di inclusione negli elenchi aggiuntivi.

Gli interessati, come detto sopra, verranno inseriti in coda agli elenchi aggiuntivi di sostegno della fascia di appartenenza, secondo la finestra semestrale di riferimento (quella attuale è la terza).

In attesa del decreto annuale di inserimento negli elenchi aggiuntivi del sostegno delle graduatorie ad esaurimento (pubblicato in genere nel periodo estivo), i docenti iscritti nella I fascia delle graduatorie di istituto, che comunicano il titolo di specializzazione, sono collocati in coda agli elenchi aggiuntivi costituiti ai sensi del DM n. 506/2018 (quello relativo all’aggiornamento annuale delle GaE, avvenuto l’estate scorsa).

Inserimento elenchi aggiuntivi di sostegno: chi non deve presentare il modello A5

Non devono compilare il modello A5:

  • i docenti di I° fascia che hanno già presentato domanda di inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno delle GaE, ai sensi dell’art. 3 del D.M. 506 del 19/06/2018, i quali sono automaticamente trasposti nella I fascia delle graduatorie di istituto;
  • i docenti che chiedono anche l’inserimento negli elenchi aggiuntivi di II° fascia con il modello A3, in quanto potranno dichiarare il titolo di specializzazione nella sezione del modello A3 appositamente predisposta.

nota

decreto

Modello A5 (facsimile)

Graduatorie di Istituto, controllo titoli e servizi: chi, come e quali conseguenze

da Orizzontescuola

di redazione

Cosa succede nel caso si dichiari il falso nelle domande di aggiornamento delle graduatorie di circolo e di istituto del personale docente?  Chi effettua i controlli?

Rispondiamo ai succitati quesiti in riferimento a quanto previsto nel DM n. 374/2017, che ha disciplinato l’aggiornamento triennale (2017/20) delle graduatorie di circolo/istituto del personale docente.

Graduatorie di istituto: controlli alla stipula del primo rapporto di lavoro

L’articolo 8/4 del DM 374/2017 prevede che, in occasione della stipula del primo rapporto di lavoro, siano effettuati i controlli sulle dichiarazioni rilasciate dall’aspirante.

I controlli sono effettuati dalla scuola che gestisce la domanda, anche se richiesti richiesti da altre scuole interessate, e riguardano l’insieme delle situazioni dichiarate dall’aspirante per tutte le graduatorie richieste in cui è incluso.

Al termine dei controlli, il dirigente scolastico comunica alle altre scuole interessate la convalida dei dati contenuti nella domanda.

Graduatorie di istituto: conseguenze in caso di dichiarazioni mendaci

In caso di mancata convalida dei dati della domanda all’esito dei controlli, il dirigente della scuola capofila provvede alle conseguenti determinazioni, ai fini sia dell’eventuale responsabilità penale sia dell’esclusione dalle graduatorie o della rideterminazione dei punteggi e posizioni precedentemente assegnati al candidato.

Il dirigente, dunque, in caso di dichiarazioni mendaci le deve segnalare all’autorità giudiziaria e procedere a:

  • escludere l’interessato dalla graduatoria, nel caso in cui non sia in possesso del titolo di studio d’accesso

oppure

  • rideterminare punteggi e posizioni assegnati in graduatoria

Graduatorie di istituto: controlli titoli e servizi scuole paritarie

Alcuni USR hanno sollecitato le scuole a controllare titoli e servizi svolti presso scuole paritarie. Ultimo in ordine di tempo l’USR Campania.

Pensioni quota 100, chi lascia a 62 anni avrà l’assegno ridotto di oltre il 20%: l’Inps spiega perché

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Mentre si delinea chi, come e quando potrà presentare domanda per accedere a quota 100, viene a comporsi la reale consistenza dell’assegno.

Nei giorni scorsi, avevano fatto discutere le stime realizzate per docenti e Ata dal sindacato Snals, che arrivavano a prevedere tagli anche da 350 euro al mese. Ora, però, si scopre che sono decisamente realiste.

Tutto parte dalla minore quantità di contributi versati

Qualche settimana fa, il sottosegretario al lavoro, leghista, Claudio Durigon, aveva tenuto a dire che con quota 100 non ci sarebbero stati tagli all’assegno di quiescenza: “chi uscirà con quota 100 avrà una rata pensionistica basata sugli effettivi anni di contributi e non anche sugli anni non lavorati”, e comunque, aveva calcolato, si arriverà a percepire non oltre il 16% in meno rispetto all’uscita dal lavoro ordinaria.

Più pessimista era stato, in precedenza, l’Ufficio parlamentare di bilancio che aveva parlato anche del 30% lordo di riduzione (minimo il 5%) rispetto a chi lascia nei termini previsti dalla legge Fornero-Monti.

Il calo dei compensi, permanente, è comunque un fattore ineludibile. La consistenza sarà legata a varie ragioni: dalla minore quantità di contributi versati all’effetto coefficienti di trasformazione fino alla possibilità che sia minore la parte calcolata con il metodo retributivo rispetto a quella calcolata con quello contributivo

La riduzione più grande, come ha da tempo scritto La Tecnica della Scuola, scatterà per chi rientra per poco nei parametri richiesti: quindi, coloro che presenteranno domanda proprio con 38 anni di contributi e 62 di età. Per loro, il taglio, sarà quindi tra il 20% e il 30%.

Cosa significa, questo in termini pratici? Per un maestro di scuola primaria, che a 67 anni percepirebbe qualcosa di più di 1.700 euro netti, l’assegno con quota 100 si “sgonfierebbe” di molto, collocandosi sotto i 1.300 euro, sempre netti.

Le previsioni Inps

A parlare dell’anticipo pensionistico quota 100 è stato anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri, il 4 febbraio in una audizione al Senato.

Ad oggi, ha detto, sono arrivate all’Inps 18.000 domande per l’accesso alla pensione anticipata con Quota 100, un terzo delle quali da dipendenti pubblici.

Poi ha aggiunto che molte delle domande arrivano dalle regioni meridionali: 4 su 10 da Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

“Questo si spiega con il fatto – ha sottolineato Boeri – che abbiamo spesso a che fare con persone non occupate, più pronte a fare domanda di pensione. Questo dovrebbe far riflettere sull’idea che il pensionamento liberi posti di lavoro”, ha detto polemicamente il presidente Inps.

Boeri: gli anni di pensione però sono maggiori

Boeri, però, si è soffermato anche su altri aspetti: con quattro anni di anticipo, ha detto, “l’importo della pensione si riduce di più del 20%”.

Una riduzione dovuta, ha spiegato il numero uno dell’Inps, in via di estromissione dall’incarico, sia della correzione attuariale vigente sulla quota contributiva che del lucro cessante associato al minor versamento contributivo data l’interruzione della carriera (c’è il divieto di cumulo con l’attività lavorativa).

A fronte di questa riduzione di importo della pensione, ha continuato Boeri, chi dovesse uscire con 62 anni e 38 di contributi percepisce però la pensione per un numero maggiore di anni.

Questo porterà a un aumento della ricchezza pensionistica (calcolando l’importo che si riceve per il numero degli anni di speranza di vita residua) nell’ordine di 12.000 euro in valore attuale per un soggetto che anticipa quattro anni rispetto alla vecchiaia e di 20.000 euro rispetto all’anticipata.

I motivi della riduzione dell’assegno

Ma per quale motivo, scatterà la riduzione all’assegno di pensione? L’Ansa, come avevamo già riportato, ha calcolato che se si esce con la quota 100 pura (62 anni di età e 38 di contributi) si anticipa l’uscita dal lavoro rispetto all’età di vecchiaia (67 anni nel 2019) e alla pensione anticipata attuale (42 anni e 10 mesi di contributi se resteranno bloccati anche l’anno prossimo come annunciato dal Governo, sennò 43 e tre mesi) di circa cinque anni.

In questi anni non si verseranno contributi che quindi non andranno a rimpolpare il montante e quindi la pensione futura.

Ma per calcolare l’assegno il montante contributivo viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione che è tanto più alto più è alta l’età alla quale si accede alla pensione. Nel 2019 è prevista una riduzione per cui a 62 anni il coefficiente sarà a 4,790 (è 4,856 fino alla fine di quest’anno) mentre quello di uscita a 67 anni sarà a 5,604. Il montante più basso quindi si moltiplicherà per un coefficiente più basso riducendo l’assegno.

Il 1996 è l’anno-crocevia

E se si esce con quota 100 pura vuol dire che si hanno 38 anni di contributi e si è cominciato a lavorare nel 1980 quindi non si rientra tra coloro che a fine 1995 avevano già 18 anni di contributi.

Chi ha cominciato a lavorare dal 1978 in poi avrà calcolata con il sistema retributivo (più generoso) solo la parte tra il 1978 e il 1995 mentre per i contributi versati dal 1996 in poi ha il sistema contributivo. Anticipando la pensione avrà una parte più consistente di montante che subisce il calcolo svantaggioso con il coefficiente più basso.

Questo vuol dire che anticipando l’uscita, si ferma anche la progressione della retribuzione, essenziale per il montante contributivo.

Gli ultimi anni della carriera sono quelli nei quali, soprattutto nel pubblico, in genere si ricevono i maggiori aumenti: quelli che, se si decide di andare in pensione anticipata, invece non scatteranno mai.

Contratto, precariato e regionalizzazione: sindacati sul sentiero di guerra

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

Reddito di cittadinanza e nuove regole pensionistiche si stanno facendo apprezzare da larghi strati della popolazione e quasi certamente anche nel mondo della scuola.
Stando alle prime proiezioni si parla di diverse decine di migliaia di docenti e Ata che potrebbe lasciare il lavoro dal prossimo settembre (detto per inciso, con ripercussioni sull’intero sistema scolastico per il momento non prevedibili).
Ma si tratta di misure ormai scontate che non stanno suscitando un particolare entusiasmo.

Manifestazione nazionale il 9 febbraio

Tanto è vero che i sindacati stanno già affilando le armi in vista della manifestazione unitaria in programma per il prossimo sabato. Al centro dell’iniziativa i problemi del lavoro e dell’occupazione che, declinati nel mondo della scuola, significano rinnovo del contratto e soluzione della questione del precariato.
Per parte loro, quasi tutti i sindacati di base (per ora mancano all’appello CUB e Unicobas), hanno già proclamato uno sciopero nazionale per l’8 marzo sui temi delle discriminazioni di genere e della progressiva precarizzazione del lavoro sia nel pubblico che ne privato.
Nel mondo della scuola la situazione è particolarmente complicata perchè il progetto di regionalizzazione che fra pochi giorni potrebbe arrivare al tavolo del Consiglio dei Ministri viene ormai vissuto dai docenti come una vera e propria “spada di Damocle”.