Periodo di prova personale ATA, da due a sei mesi a seconda del profilo di appartenenza: nota USR Piemonte

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Il nuovo CCNL 2019/2021, all’art. 62, dispone che il periodo di prova per il personale ATA varia da due mesi a sei mesi, in base al profilo di appartenenza.

Durata del periodo di prova

In particolare, la nuova formulazione fissa la durata del periodo di prova come segue:

a) due mesi per i dipendenti inquadrati nelle aree di Collaboratore e di Operatore;

b) quattro mesi per i dipendenti inquadrati nell’area di Assistente;

c) sei mesi per i dipendenti inquadrati nell’area dei Funzionari ed elevate qualificazioni (pensiamo ai DSGA).

La principale novità sul punto è rinvenibile nella previsione, per la figura del DSGA, di un periodo di prova che passa da 4 a 6 mesi.

La nota dell’USR Piemonte

Sull’argomento l’USR Piemonte propone un’utile ricognizione normativa, richiamando le previsioni in materia contenute nel Codice Civile e nel CCNL di riferimento.

L’Ufficio scolastico si sofferma anche sugli adempimenti di competenza del Dirigente scolastico per la conferma in ruolo, invitando soprattutto ad attenzionare il personale ATA in periodo di prova, tracciare le attività a questi assegnate e valutare seriamente e obiettivamente la sussistenza o meno dei presupposti per la conferma in ruolo.

Ad esempio, con riferimento al collaboratore scolastico, l’USR suggerisce di “verificare se le aule ad esso affidate per la pulizia risultino effettivamente pulite e il grado di attenzione posta nell’espletamento del servizio; se il comportamento tenuto in relazione all’accoglienza dell’utenza e/o alla sorveglianza per la parte di competenza sia conforme ai canoni di correttezza. Si potrebbe tener conto di eventuali lamentele da parte dell’utenza, da parte degli altri colleghi, della necessità di sollecitazioni per espletare le mansioni di propria competenza, dell’autonomia nello svolgimento delle stesse“.

Conclude la trattazione l’analisi di alcuni principi giurisprudenziali.

LA NOTA

Abbandono scolastico, aumenta se i genitori sono poco istruiti: lo dice l’ISTAT

da La Tecnica della Scuola

Resta fondamentale il livello di istruzione dei genitori per i percorsi di studio dei figli: questo è il primo aspetto evidenziato dall’ISTAT, nel rapporto “Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2023”.

Nell’edizione del 2023 dell’indagine, è emerso che tra i giovani i cui genitori hanno un basso livello di istruzione, quasi un quarto (24%) lascia la scuola prematuramente e poco più del 10% ottiene un titolo terziario.

Al contrario, se almeno uno dei genitori è laureato, le percentuali scendono al 2% per l’abbandono scolastico e salgono a circa il 70% per il conseguimento del titolo terziario.

Quindi, l’abbandono scolastico è fortemente influenzato dal livello di istruzione dei genitori.

Come accade per il conseguimento di un titolo terziario, anche la dispersione scolastica è legata alle caratteristiche della famiglia di origine: se i genitori hanno un basso livello di istruzione, l’incidenza degli abbandoni precoci è molto alta. Quasi un quarto (23,9%) dei giovani tra i 18 e i 24 anni con genitori che possiedono al massimo la licenza media ha abbandonato gli studi prima di ottenere il diploma. Questa percentuale scende al 5,0% se almeno uno dei genitori ha un titolo di istruzione secondaria superiore, e all’1,6% se i genitori sono laureati.

 

 

Smartphone vietati fino alle scuole medie: genitori, docenti e studenti d’accordo (o quasi)

da Tuttoscuola

Poteva essere una mossa potenzialmente divisiva. Invece, la decisione del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, di vietare in modo assoluto – anche per scopi didattici – l’uso degli smartphone nelle scuole elementari e medie sembra mettere tutti, o quasi, d’accordo. Come mostra, infatti, un sondaggio a caldo effettuato dal portale Skuola.net – che, all’indomani dell’annuncio del Ministro sull’arrivo della circolare in materia, ha raggiunto 500 persone, tra studenti, genitori e insegnanti – ben 3 membri della comunità scolastica su 4 si schierano a favore del provvedimento.

Il meglio, però, si incontra entrando ancor di più all’interno delle risposte delle varie “platee”. Perché ci può stare – anzi, è quasi normale – che tra i docenti circa l’80% appoggi la mossa di Valditara. Ma è già più spiazzante scoprire che, più di loro, siano i genitori ad accogliere a braccia aperte la novità: isolando mamme e papà il consenso arriva a sfiorare il 90%; in questo caso, dunque, le famiglie sembrano non prendere le parti dei figli, come invece spesso accade per altre vicende scolastiche.

Ma le vere sorprese si registrano al cospetto degli studenti destinatari diretti della stretta contro i cellulari. Ovvio che i numeri siano più bassi. Ma non è comunque trascurabile il fatto che, tra gli alunni delle classi secondarie inferiori, 2 su 3 si dicano disposti a lasciare il telefono spento fin quando si trovano a scuola. E non si tratta di un abbaglio, visto che pure i loro colleghi più grandi – non toccati dal provvedimento – la pensano allo stesso modo: tra gli alunni delle superiori sono sempre i due terzi (67%) ad approvare la scelta ministeriale. Segno che, a prescindere dal livello scolastico, il consenso studentesco ha questa consistenza.

Le motivazioni alla base di questa scelta di campo inequivocabile sono le più varie. A sbilanciarsi, in questo caso, sono soprattutto gli adulti. C’è chi dice, ad esempio, che il divieto possa “servire a disciplinare gli studenti nell’essere attenti e concentrati”. Chi giudica la circolare in arrivo “ottima, se non altro per abituare i giovani a sopravvivere anche se ‘scollegati’ per qualche ora”. E chi, in modo più netto, sostiene che sia giusto in quanto “la scuola non deve essere un bar ma un luogo serio”.

Qualcuno si concentra sul puro aspetto didattico, sperando che in tal modo “gli studenti si possano approcciare meglio all’oggetto libro e non solo a un testo davanti uno schermo” oppure che “possano far sviluppare al proprio cervello metodi risolutivi alternativi”.

Per altri, invece, il bando agli smartphone potrebbe avere degli effetti positivi anche oltre i momenti di lezione, aiutando “la socializzazione tra gli alunni”. C’è pure chi argomenta meglio tale visione: “Considerando che l’uso del telefono o computer ricopre la vita di un bambino ragazzino nelle ore che si passano a casa – fa notare un genitore – credo sia necessario nell’ambito scuola lasciare quel tempo per aprirsi a relazioni sociali dirette e non limitarsi a conoscere e frequentare altra gente”. E chi sposa la linea di Valditara in quanto “i bambini non capiscono cosa vuol dire uso eccessivo del cellulare e lo fanno ogni giorno. Il cellulare in mano gli stacca il cervello e si deve fare qualcosa prima che sia troppo tardi”.

Non mancano, comunque, le voci di dissenso. In fondo, mediamente, 1 su 4 è contrario al provvedimento. E tra le ragazze e i ragazzi si sale oltre il 30%. Qui, come prevedibile i commenti si fanno molto più duri e provengono specialmente dal fronte studenti. “Ormai queste tecnologie – sottolinea un alunno – fanno parte delle nostre vite, bisogna educare all’uso corretto, vietarle è del tutto inutile”. Si accoda un altro che ritiene “assurdo parlare di didattica innovativa e poi bloccare l’uso dei dispositivi”. E poi ci sono le voci più collaborative, come quella che riterrebbe giusta la decisione “solo se valesse anche per gli insegnanti”. Ma anche quelle che si pongono in aperto dissenso, come una che, così facendo, lascia intravedere “un ritorno all’era dei dinosauri”.