PERCORSO FORMATIVO MIO di Umberto Tenuta
CANTO 232 Il mio percorso formativo, dal primo giorno del mio concepimento a quando finirò di scrivere questo Canto 232, Canto diverso da tutti gli altri Canti che lo hanno preceduto, Canto di un percorso formativo singolare, originale, unico, irripetibile.
Figlio di un atto di amore, lo zigote dal quale io son nato era il frutto singolare del caso che mescolò i cromosomi paterni e materni in modo originale, unico, irripetibile.
Non solo.
Ma anche se accanto a me ci fosse stato il il mio gemello omozigote non sarebbe stato al mio posto.
Sopra, sotto, a destra, a manca, avrebbe vissuto esperienze diverse dalle mie e quindi sarebbe nato diverso da me.
E sarebbe diventato una persona diversa da me.
Figurati io e l’ultimo mio fratello!
Per nove mesi mamma mia mi portò a spasso di qua e di là, dove nessun’altra donna poteva occupare il suo posto.
Nato alle ore X del giorno che non so, ma certamente dell’anno z D.C, mi trovai al secondo piano della cas rositana dai balconi verdi come gli occhi miei.
La prima luce mi venne da Mezzogiorno, ma il mio papà chiuse le persiane ed incantato io guardai il dolce volto della mamma mia.
Il babbo, dalla gioia imbambolato, lo vedevo andare di qua e di là.
Ma tempo da perdere non avevo e subito il capezzolo rosa cipria della mamma mia presi a succhiare.
Il suo naso fu la prima cosa alla quale feci caso.
E un mondo nuovo mi trovai ad esplorare di qua e di là.
Impressi nella mia mente sono rimasti i sapori, gli odori, i colori che mi regalava il lettone nel quale mi cullava e mi cantava la mammina.
Oh dolci nenie che mai più non udrò, che nessuno mai udrà!
Un mese appena, e il panorama rositano cambiò col mont’alto donde fuggir non si può e con le brune colline delle salerne baronie.
Panorami che mi incantavano tra verdi ulivi e ed erbe mediche che da mane a sera mi vedevano a caccia di grilli e di farfalle gialle, le preferite al cuor bambino.
Prati fioriti delle mie terre, azzurri cieli silani, invernali gorghi travolgenti eed estivi greti pietrosi occupavano gli occhietti miei.
Solo al par di me, Mario sempre mi mancava.
Anche quando, bersaglieri, assieme andammo alle battaglie della prima scuola, rurale come me.
La littoria pagella condannava la lingua rositana ma generosa premiava la matematica dote che mi ritrovai.
Il successivo pianto della sconfitta adolescenziale non mi piegò.
Solitario cavaliere delle mie avventure, ebbi in regalo la fiducia del mio Maestro.
Non altro mi diede il Professore se non il primo posto, accanto a Giovanni che con l’imbuto di carta si trastullava.
Capoclasse, primo in tutto, solo mi ritrovai a combattere con strane grammatiche italiane e pur Latine.
Solo nel primo banco, solo al lume di candela, ho combattuto la mia battaglia nel grembo della scuola.
Altra strada non avevo: diventar maestro era il mio destino.
E maestro fui, giovane e baldo, sugli spalti della Sila.
Ma lì non mi fermai.
Altri lidi, altre sponde erano il mio orizzonte!
Avevo fretta, fretta di svettare come la quercia grande della terra patria.
Solitario viaggiatore, nessuno mi indicò la strada, né maestre, né professori!
Sentieri scoscesi erano le mie strade.
Reti di salvezza non avevo.
Vincere dovevo!
Era questo imperativo che nessun docente poteva impormi.
Ed io mi tracciai la strada, in solitaria compagnia.
Solitario viandante!
Sulla mia strada, nel mio percorso, senza risorse se non quelle della fiducia che avevo in me.
Era una scommessa con me stesso.
Non la dovevo perdere!
E non la persi.
Maestro, giovane maestro fui.
Sindaco, giovane sindaco, fui.
Dirigente, giovane direttore didattico fui.
All’alta dirigenza ispettiva prestissimo approdai.
Non rinunciai alla vanagloria editoriale, ed anche quella la bresciana SCUOLA non potè negarmi.
Altro dirvi non vo’ che cantarvi:
E lucian le stelle
e olezzava la terra,
stridea l’uscio dell’orto
e un passo sfiorava la rena.
Entrava ella, fragrante,
mi cadea fra le braccia.
Oh! dolci baci, o languide carezze,
mentr’io fremente
le belle forme disciogliea dai veli!
Come intermezzo, io vi canto, e vi ricanto ognor:
E non ho amato mai tanto la vita!
La mia vita.
La vita che io mi sono costruita, con le sue pene e con le sue gioie, in solitaria compagnia.
A te, o Scuola, che la vita comunque mi hai riempita, io dico Grazie perché almeno non mi hai annegato nella scolaresca, lasciando la libertà di divenire l’uomo che sono: originale, irripetibile, unico sulla faccia della Terra di ieri, di oggi e di domani.
Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:
http://www.edscuola.it/dida.html