Meno autonomia con il nuovo Titolo quinto

Meno autonomia con il nuovo Titolo quinto

di Gian Carlo Sacchi

 

Calmata la bagarre che ha portato alla prima approvazione della riforma del Senato e dell’ulteriore revisione del Titolo Quinto della Costituzione, occorre vedere nel dettaglio quali siano le acquisizioni reali rispetto ai tanti proclami che ne hanno accompagnato la discussione parlamentare. Chi ha seguito tutto l’iter dal varo della prima riforma costituzionale del 2001, sostenuta da un referendum popolare, e lo ha fatto confidando che fosse realizzato in Italia un vero “sistema” di autonomie, si sarebbe aspettato finalmente un impegno del governo per l’applicazione di quelle norme, mentre si è trovato di fronte ad una nuova revisione, e ciò ha suscitato non poche perplessità.

Il cammino è lungo e se si riuscirà ad arrivare in fondo forse ci attende un altro referendum; c’è dunque tempo, nei successivi passaggi parlamentari, per apportare ancora qualche modifica, ma soprattutto perché ci venga spiegato come può la stessa maggioranza politica del 2001 e del 2014 varare due testi molto diversi tra di loro, e sostanzialmente in contrasto, prima di chiamare di nuovo la consultazione popolare. A maggior ragione se quest’ultimo provvedimento è collegato con la riforma del Senato, che diventerà la camera delle autonomie, se queste ultime, come in altri Paesi, avranno poteri reali nel governo del territorio. Non interessa qui riprendere il conflitto sulla natura e la composizione del Senato stesso, quanto collegare i due versanti della riforma, per stabilirne la direzione di marcia, e cioè quella della reale autonomia dei governi locali e delle istituzioni scolastiche, altrimenti il Senato potrebbe essere abolito o mantenuto così com’è a seconda dei punti di vista. Insomma se c’è autonomia ha senso una camera delle autonomie, se non c’è allora il tema del mono o bicameralismo va posto su altri piani, magari anche su quello della riduzione dei costi della politica.

Nei lunghi anni di governo di centro destra non si è minimamente posto attenzione al problema se si eccettua la legge sul “federalismo fiscale”, voluta dalla Lega Nord, con il contributo, nei suoi decreti attuativi, del Partito Democratico; possiamo dire che le maggioranze politiche in campo sono altre e cioè quella del centralismo statale e quella dei poteri regionali e territoriali.

E’ vero che in questi ultimi anni si è scatenata una vera e propria tangentopoli sulle regioni, una sola è passata indenne fino ad ora dalle attenzioni della magistratura. Fortunatamente i consiglieri regionali non hanno l’immunità e quindi si possono condurre indagini più rapide, perché la corruzione nei parlamentari non è diminuita, ma è più difficile colpire, tanto è vero che molti indagati a livello regionale si sono messi al riparo facendosi eleggere, con il porcellum, alla Camera o al Senato. Se questa è la ragione che spinge le riforme, non c’è dubbio che riscuota una certa popolarità, come anche l’abolizione dei consigli di quartiere, ma bisogna vedere se il risultato è semplicemente uno specchietto per le allodole oppure c’è un effettivo miglioramento nell’efficienza e nella democrazia di questo Paese.

Per il settore istruzione sembra che non ci siano grosse novità, ma non si può dirlo fino in fondo, in quanto la legge costituzionale del 2003 non è stata applicata ed anche il contenzioso davanti alla Corte Costituzionale pur riandando in linea di principio a questioni fondamentali per un radicale cambiamento di prospettiva governativa del settore, di fatto ha riguardato aspetti abbastanza marginali. Di questa giurisprudenza tuttavia i politici avrebbero potuto servirsi per dare avvio alla precedente riforma, ma non lo hanno fatto, ed oggi ci troviamo a discutere ancora in linea teorica, mancando a monte una chiara manifestazione di volontà politica e a valle l’esperienza concreta ed una casistica utile non solo sul piano giuridico ma come scambio di esperienze per approfondimenti e sviluppi.

Tornando all’aspetto politico la valutazione che se ne trae è che nel centrosinistra sia naufragata l’idea autonomista, che forse era più tipica della sinistra e del nord, dove gli enti locali sono stati anche laboratori per il governo delle autonomie. E’ sorprendente come il “partito dei sindaci” oggi al governo nazionale sia disponibile senza neppure un ripensamento a varare una modifica costituzionale che torni al centralismo. Forse che Bassanini e Berlinguer, sostenitori del decentramento dello stato e dell’autonomia scolastica, forzarono la mano rispetto ad un Paese non maturo per l’autogoverno e ad una burocrazia che in termini di funzionamento della macchina statale sovrasta la politica.

Questa riorganizzazione dei poteri e dei livelli di governo non fu mai completamente realizzata, e la “legislazione concorrente” tra stato e regioni, mantenendo inalterate le competenze del primo e rinunciando al coordinamento delle iniziative regionali, ha generato conflitti e sovrapposizioni normative, anche se in tale regime l’ultima parola spettava alle regioni.

Nel settore dell’istruzione questa diatriba, come si è detto, si è sentita meno, perché lo Stato non ha regolamentato le sue prerogative (norme generali, principi fondamentali, livelli essenziali delle prestazioni), ma ha continuato a gestire direttamente tutto il servizio, lasciando interventi marginali alle Regioni; ed anche sul fronte dell’autonomia scolastica, che la Costituzione voleva “fare salva”, non c’è stato nessun sostanziale passo avanti. Non si è riusciti nemmeno con una legge sul governo degli istituti.

Il nuovo testo al posto della predetta legislazione concorrente, che era già operativa per effetto della revisione costituzionale in tutte le regioni, parla del “regionalismo differenziato”, cioè di poteri decentrati ad alcune di esse, ma con legge nazionale, mentre lo stato riporta sotto le sue competenze esclusive, oltre ai livelli essenziali delle prestazioni, già previsti nell’ordinamento del 2001 e sui quali avrebbe potuto esercitarsi in questi anni, come è stato fatto nella sanità e nel welfare, le disposizioni generali e comuni sull’istruzione e come novità l’ordinamento scolastico e l’istruzione universitaria. Attualmente detto ordinamento ingloba anche le suddette disposizioni generali: in futuro ? Potrebbe trattarsi di un’operazione gattopardesca che lascia alle regioni potestà legislativa solo sulla cornice, la pianificazione del territorio, mentre il quadro, l’ordinamento, rimane saldamente statale.

Per l’istruzione universitaria questo vorrebbe dire come minimo aumentare la burocrazia, come è già avvenuto con la riforma Gelmini, con buona pace della competizione che viene sempre invocata.

L’autonomia delle scuole è ormai nella logica della loro azione sul territorio, è in sintonia con le sempre più ampie relazioni europee, con il mondo del lavoro; essa richiede però una maggiore flessibilità curricolare e organizzativa, nonché nella gestione del personale.

Tornare su un modello unico nazionale significa arretrare anche sul piano dei risultati, rinforzare la logica dei programmi e degli esami, avere meno spazi di manovra per intervenire sul successo formativo, ecc. I dati che continuamente registriamo ci spronano a migliorare le nostre performances e questo non può essere solo un’azione didattica, ma deve poter lasciare aperta la possibilità di interventi sul piano strutturale da parte delle scuole stesse e delle politiche locali. A meno che non si tratti di un ordinamento essenziale, snello, di riferimento comune: indicazioni nazionali, linee guida. Bisogna che lo stato lavori sui risultati attesi, gli standard, da tenere monitorati non tanto con l’ordinamento quanto con la valutazione. Queste sono preoccupazioni più da leggi applicative, ma certe ricomparse a distanza di anni, senza un’esperienza concreta dietro le spalle, destano ancora non poche perplessità.

Facciamo un paio di esempi tanto per capirci meglio. Il primo riguarda “l’istruzione e formazione professionale”, espressione ripetuta dal precedente titolo quinto. Sembra un nuovo canale ordinamentale, di esclusiva competenza delle regioni. Da un lato ci sono i centri di formazione accreditati dalle regioni e dall’altra gli istituti professionali di stato. Gli ordinamenti regionali spesso provocano una frammentazione nei risultati anche in termini di qualifiche che mettono in difficoltà la circolazione delle professionalità, nelle diverse parti d’Italia, ma sempre più anche a livello europeo, mentre gli istituti professionali con norme nazionali mal si adattano alle realtà dei territori. Si può andare avanti ancora con la conferenza stato- regioni, nella quale si sanciscono le intese, ma non si sa come vada a finire, o con la camera delle autonomie entrambi i segmenti possono confluire in un unico canale nazionale, più simile al tanto acclamato modello tedesco, che favorisce la comunicazione, anche con la realtà europea, mantenendo però le sue specificità di indirizzo e territorio. Si tratta di conservare l’unità della Repubblica e di tutelare l’interesse nazionale, ma anche favorire la capacità ed il livello di sviluppo presenti nelle varie realtà locali.

L’altro esempio riguarda l’apprendimento permanente di cui l’Italia soffre terribilmente nelle statistiche europee. Lo stato con i CPIA pur ammodernati si limita di fatto ad agire nelle competenze formali e nel conseguimento da parte degli adulti di titoli di studio, mentre oggi sappiamo che le competenze non formali, adeguatamente certificate, possono costituire un incremento dei saperi in età adulta, favorendo l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Formale, non formale, informale, sono modalità di crescita delle persone e di superamento dell’analfabetismo di ritorno che possono elevare la qualità formativa di un popolo (ed i nostri tassi europei), anche in riferimento alla coesione ed al progresso sociale. Questo è un altro aspetto che deve collegare le strutture dello stato con altre realtà associative o lavorative nell’ambito di una programmazione nazionale e territoriale, sotto l’egida del nuovo Senato.

E’ stato abolito il principio che vedeva una sostanziale parità legislativa tra stato e regioni (legislazione concorrente), con una diversificazione delle materie sulle quali legiferare: norme generali da un lato e pianificazione territoriale e gestione dei servizi dall’altro, mentre qui discutiamo di una ricentralizzazione di tutte le questioni ordinamentali, relegando ai poteri locali azioni amministrative. L’eventuale differenziazione dovrà essere approvata con legge nazionale e non si è ben capito se ad opera del nuovo Senato, o forse no, occorre andare alla Camera. Se nel precedente titolo quinto per cercare una sintesi ci si doveva limitare ad una debole conferenza tato-regioni, ora che si è costituita la struttura nazionale che regolamenta il funzionamento delle autonomie queste ultime vengono indebolite e dunque viene da chiedersi a cosa può servire un Senato di questo tipo: costerà poco, ma non varrà nulla.

Stabilità, priorità alla scuola poi caccia alle risorse per ampliare il bonus

da la Repubblica

Stabilità, priorità alla scuola poi caccia alle risorse per ampliare il bonus

Il provvedimento interverrà sui programmi e le competenze, l’autonomia scolastica e i docenti.

Rosaria Amato

ROMA .
Lo “Sblocca Italia”, la riforma della giustizia e una «riforma complessiva della scuola» annunciata negli ultimi giorni dal premier Renzi sono i primi provvedimenti dai quali ripartirà l’agenda politica già dalla prossima settimana, per arrivare poi a ottobre alla legge di stabilità. Se i contenuti dei primi due provvedimenti sono stati presentati ed esaminati prima della pausa di agosto, invece la riforma della scuola ha preso corpo nelle ultime settimane. La copertura dovrebbe essere prevista dalla legge di stabilità: Renzi ha anticipato che il costo complessivo ammonta a circa un miliardo.
Il provvedimento interverrà sui programmi e le competenze, l’autonomia scolastica e i docenti. Piuttosto perplessi i sindacati («ho l’impressione che si tratti di tanti provvedimenti scollegati che non sono interventi veri e propri ma una sorta di spot», osserva scettico il segretario generale Flc-Cgil Domenico Pantaleo), mentre il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano invita il presidente del Consiglio a dire «in occasione della presentazione delle linee guida come intende affrontare la questione delle quote ‘96 degli insegnanti ». Si tratta dei circa 4.000 insegnanti che avevano maturato i diritti per la pensione con la precedente normativa, ma che sono stati bloccati da un errore della riforma Fornero, che non ha considerato che i professori possono ritirarsi dal lavoro solo il primo settembre. La questione delle quote ‘96 è stata rilanciata in Parlamento a luglio, ma bloccata per l’ennesima volta per mancanza di coperture finanziarie. Però è difficile che venga risolta dal Consiglio dei ministri di venerdì, anche perché i tempi sarebbero strettissimi. Tuttavia, se il governo decidesse di varare una normativa (all’interno del Job Acts, o della legge di stabilità) che prevedesse una forma generale di “flessibilità in uscita” con una penalizzazione che, secondo le indiscrezioni, potrebbe andare dal 3 al 9 per cento, si potrebbe risolvere così anche la questione delle quote ‘96.
Far quadrare i conti sarà la parola d’ordine per le prossime settimane. I circa 16 miliardi che si conta di ricavare per il 2015 dalla spending review sono molto contesi: si era parlato di utilizzarli per allargare la platea del bonus di 80 euro a incapienti e pensionati, ma sembra difficile visto che già il semplice rinnovo del provvedimento costa 10 miliardi. Si è parlato anche di estendere il bonus solo alle famiglie numerose, prevedendo comunque un tetto massimo di reddito intorno ai 50.000 euro: servono in questo caso 300 milioni di euro, ma è difficile trovare anche questi. Da reperire inoltre 4-5 miliardi in tre anni per il rinnovo del contratto degli statali, e poi ci sono le detrazioni che il governo vorrebbe rinnovare per l’anno prossimo, in particolare l’ecobonus e quello per le ristrutturazioni edilizie. Ci sono poi le spese “indifferibili”, tra le quali quelle militari o per il rifinanziamento della Cig: si calcolano circa altri 8
miliardi.

Riforma Renzi-Giannini, sindacati perplessi: solo spot, il crocevia è il contratto

da La Tecnica della Scuola

Riforma Renzi-Giannini, sindacati perplessi: solo spot, il crocevia è il contratto

 Sui possibili contenuti delle linee guida sulla scuola in CdM il prossimo 29 agosto, il meno ottimista è Mimmo Pantaleo (Flc-Cgil): manca un’idea di assieme, sinora solo tanti provvedimenti scollegati. Scrima (Cisl): è positiva la forte attenzione dell’Esecutivo al sistema scolastico e alle sue professionalità, ma bisogna ora passare ai fatti. Di Menna (Uil): i problemi sono noti, ci aspettiamo provvedimenti concreti per risolverli.

Le linee guida sulla scuola sono ancora top secret, però le sensazioni dei sindacati non sembrano orientate all’ottimismo. In attesa di avere un quadro dettagliato sui contenuti della riforma Renzi-Giannini, in corrispondenza del CdM del 29 agosto, è soprattutto la Flc-Cgil a temere brutte sorprese.

Secondo il suo segretario generale, Mimmo Pantaleo, alla riforma della scuola preannunciata dal premier Renzi “manca un’idea di assieme, ho l’impressione che si tratti di tanti provvedimenti scollegati che non sono interventi veri e propri ma una sorta di spot. Se rispondono a verità le indiscrezioni di un intervento sugli scatti e un tentativo di introdurre elementi di meritocrazia al di fuori di un sistema contrattuale – spiega il sindacalista all’Ansa – per noi è inaccettabile. Sono interventi che prescindono dal rinnovo del contratto, che è la questione vera”.
Secondo il sindacalista della Flc-Cgil “si vuole da un lato togliere scatti agli insegnanti e dall’altro introdurre interventi non chiari sulle condizioni dei docenti. L’altra nota negativa è non c’è stato alcun confronto su questa riforma con le organizzazioni sindacali, ne abbiamo solo letto le anticipazioni sui giornali. E comunque ribadisco: la critica maggiore – conclude Pantaleo – è legata al fatto che senza una visione d’assieme non si capisce proprio dove si voglia portare la scuola”.

Più attendista si dice, invece, Francesco Scrima, segretario generale Cisl Scuola, secondo cui per dare un giudizio sulla riforma “dobbiamo vedere cosa propone: finora abbiamo solo indiscrezioni da parte della stampa. Vedremo quali saranno le proposte, quali investiranno il sistema ordinamentale, quali i programmi e quali la professionalità del personale. Siamo in attesa di conoscere i contenuti”.

“Il premier – spiega il sindacalista Cisl – ha detto in questi giorni un principio da sempre sostenuto dalla Cisl: il Paese sarà quello che costruiranno la scuola e gli insegnati e quindi bisognerà investire sulla scuola e sugli insegnanti, perché la scuola è la più grande fabbrica di futuro del paese. Bisogna puntare sul capitale della conoscenza. Quali siano i programmi del Governo, lo vedremo il 29 agosto. Il fatto positivo è che c’è una attenzione forte dell’Esecutivo al sistema scolastico e alle professionalità che vi lavorano. Ora dalle parole bisognerà passare ai fatti”.
“Quando si punta sul lavoro e sulla professionalità – aggiunge Scrima – bisogna pensare che lo strumento per valorizzare l’impegno è il contratto di lavoro, bloccato da 8 anni”.

Non si sbilancia più di tanto nemmeno Massimo Di Menna, segretario generale Uil Scuola, per il quale però il crocevia rimane il rinnovo contrattuale. “Rappresentare l’impegno della scuola come uno degli elementi centrali per lo sviluppo e la ripresa del Paese, come ha fatto il premier Renzi, è positivo, lo vediamo con favore. Al tempo stesso però se la riforma della scuola non prevedesse un impegno sul rinnovo del contratto sarebbe molto negativo”, dice il sindacalista Uil.

“Abbiamo segnalato al ministro Giannini – spiega Di Menna – ciò che a nostro parere sono le cose concrete che possono essere fatte per dare coerenza alla centralità della scuola. Innanzitutto una inversione in termini finanziari: finora la scuola è stata considerata un settore di spesa, con tagli agli organici, e ne ha sofferto molto. Un primo segnale di attenzione è inserire nella Legge di Stabilità un investimento finanziario che riporti la spesa dell’istruzione a livelli europei. La seconda è dare centralità alla figura dell’insegnante: va riconosciuto valorizzato e sostenuto il lavoro del docente”.
Tra le altre priorità segnalate dalla Uil Scuola, la stabilità in termini di organico e di personale di ruolo “c’è ancora una parte eccessiva di precariato” e un sistema più agile per l’ingresso all’insegnamento, “c’è un sistema farraginoso e costoso; bisogna invece poter insegnare con un concorso e un tirocinio subito dopo la laurea. Soprattutto – conclude Di Menna – ci aspettiamo provvedimenti che abbiano la caratteristica della concretezza”.

Renzi: la riforma sarà per i ragazzi, le famiglie e i prof

da La Tecnica della Scuola

Renzi: la riforma sarà per i ragazzi, le famiglie e i prof

 

Così si è espresso il presidente del Consiglio in un’intervista al settimanale Tempi: sulla scuola stiamo lavorando, e seriamente, con il ministro Giannini e con la sua squadra. E il 29 agosto presenteremo una riforma complessiva che, a differenza di altre occasioni, intende andare in direzione della negletta spina dorsale del nostro sistema educativo.

“Sulla scuola stiamo lavorando, e seriamente, con il ministro Giannini e con la sua squadra. E il 29 agosto presenteremo una riforma complessiva che, a differenza di altre occasioni, intende andare in direzione dei ragazzi, delle famiglie e del personale docente che è la negletta spina dorsale del nostro sistema educativo”. Così si è espresso il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nell’intervista al settimanale Tempi della quale sono state diffuse il 23 agosto alcune anticipazioni.

Secondo Renzi, “non è affatto vero sia un problema, ma un asset strategico del nostro Paese, che va valorizzato e messo in sicurezza. In ogni caso la sfida educativa è la mia priorità. Tra dieci anni l`Italia non sarà come l`avranno fatta i funzionari degli uffici studi delle banche o i politici di Montecitorio; l`Italia sarà come l`avranno fatta le maestre, i maestri, gli insegnanti”.

Insomma, Renzi continua a mandare messaggi di forte interesse per la Scuola. Ora, però, è arrivato il momento delle scelte: per capire quali saranno bisogna attendere meno di una settimana.

In Lombardia conferimento nuovi incarichi ai Ds fino ad un massimo di 162 posti

da La Tecnica della Scuola

In Lombardia conferimento nuovi incarichi ai Ds fino ad un massimo di 162 posti

L’Usr della Lombardia con una nota del 21 agosto 2014 (Prot. Miur AOO DRLO R.U 14184 rende  pubblico il conferimento nuovi incarichi ai dirigenti scolastici idonei del Concorso ordinario, di cui al DDG 13/07/2011, con decorrenza 1 settembre 2014.

Nella nota si scrive: “Ai fini dell’avvio delle procedure relative alle immissioni in ruolo di cui all’oggetto, si fa presente che questo Ufficio è in attesa del D.M. relativo al numero dei posti eventualmente assegnati a questo USR, a seguito di autorizzazione ad assumere da parte del MEF. Alla data odierna risultano autorizzabili, a conclusione delle operazioni relative agli affidamenti degli incarichi dirigenziali e alla mobilità interregionale, fino ad un massimo di 162posti. Nell’ambito degli adempimenti preparatori alle eventuali nomine dei nuovi Dirigenti Scolastici, questo Ufficio ritiene utile acquisire le opzioni delle sedi da parte degli idonei del concorso in oggetto. Al riguardo si specifica quanto segue:

– l’indicazione delle sedi da parte dei vincitori non assume carattere vincolante per l’Amministrazione riguardo la sede prescelta, in quanto è fatta salva la discrezionalità del Direttore Generale riguardo ogni determinazione in merito;

– non si procederà alla nomina nei confronti di coloro che sono stati ammessi con riserva fino alla pronuncia definitiva da parte della Giustizia Amministrativa. I relativi posti saranno accantonati.

In considerazione di quanto esposto, la presente nota assume carattere esclusivamente ricognitivo e preparatorio riguardo l’adozione degli eventuali provvedimenti di nomina nei confronti degli interessati”.

L’Amministrazione scolastica ancora priva di tutti vertici

da tuttoscuola.com

L’Amministrazione scolastica ancora priva di tutti vertici

Agosto, si sa, è un mese di ferie per quasi tutti: le attività amministrative rallentano, gli atti amministrativi sono meno frequenti, la macchina burocratica prende fiato anche se non si ferma.

Ma quest’anno ai livelli dirigenziali più elevati l’amministrazione scolastica centrale e regionale è completamente scomparsa: non un atto, non un decreto, non un provvedimento, anche se siamo a pochi giorni dall’inizio di un nuovo anno scolastico.

Cosa è successo?

Il regolarmente di riordino del ministero ha determinato una ristrutturazione a livello nazionale e regionale che ha comportato la decadenza di tutti i direttori generali a decorrere dal 29 luglio scorso.

Si pensava e si sperava che entro quella data il Consiglio dei Ministri avrebbe approvato le nomine dei nuovi direttori generali, con conferme, nuovi incarichi, mobilità.

Non vi è stato, invece, nessun provvedimento entro quel termine, poi anche il Governo è andato in vacanza.

Il Ministero dell’Istruzione e tutti gli Uffici scolastici regionali sono rimasti acefali, senza nessuno preposto agli uffici di direttore generale.

In tutto questo periodo nessuna firma, nessun atto, nessun provvedimento: tutto fermo, in attesa della approvazione dei nuovi organigrammi da parte del Consiglio dei Ministri.

Insieme al piano scuola annunciato in questi giorni, dovranno esserci le nomine di 7 direttori generali presso il Miur e altri 14 presso altrettanti Uffici scolastici regionali (quelli del Friuli, Molise, Basilicata e Umbria sono stati declassati).

La scuola non può attendere.

 

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 196

Gazzetta Ufficiale

Serie Generale
n. 196 del 25-8-2014

Sommario

LEGGI ED ALTRI ATTI NORMATIVI

 


DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 14 febbraio 2014, n. 121


Regolamento di organizzazione del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, a norma dell’articolo 2, comma 10-ter, del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, modificato dall’articolo 2, comma
7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, come modificato
dall’articolo 1, comma 6, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n.
150″. (14G00125)

 

 

Pag. 1

 

 

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

 


DECRETO 10 aprile 2014, n. 122


Regolamento recante la tipizzazione del modello standard per la
trasmissione del contratto di rete al registro delle imprese.
(14G00134)

 

 

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DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

 


DECRETO 26 giugno 2014


Liquidazione coatta amministrativa della «Soc. Coop. Fer Trans
Societa’ Cooperativa», in Torino e nomina del commissario
liquidatore. (14A06605)

 

 

Pag. 54

 

 

 


DECRETO 26 giugno 2014


Liquidazione coatta amministrativa della «Cooperativa Nicolis», in
Miradolo Terme e nomina del commissario liquidatore. (14A06606)

 

 

Pag. 54

 

 

 


DECRETO 26 giugno 2014


Liquidazione coatta amministrativa della «Cooperativa sociale Lario
2001 Soc. coop.», in Arcore e nomina del commissario liquidatore.
(14A06608)

 

 

Pag. 55

 

 

 


DECRETO 9 luglio 2014


Liquidazione coatta amministrativa della «C.G.C. societa’ cooperativa
in liquidazione», in Chivasso e nomina del commissario liquidatore.
(14A06607)

 

 

Pag. 56

 

 

 


DECRETO 16 luglio 2014


Liquidazione coatta amministrativa della «Junghservice societa’
cooperativa», in Villastellone e nomina del commissario liquidatore.
(14A06603)

 

 

Pag. 57

 

 

 


DECRETO 16 luglio 2014


Liquidazione coatta amministrativa della «TFC service societa’
cooperativa», in Novara e nomina del commissario liquidatore.
(14A06604)

 

 

Pag. 57

 

 

 


DECRETO 28 luglio 2014


Liquidazione coatta amministrativa della «Monterosso societa’
cooperativa a responsabilita’ limitata», in Zeri e nomina del
commissario liquidatore. (14A06602)

 

 

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ESTRATTI, SUNTI E COMUNICATI

MINISTERO DELL’INTERNO

 


COMUNICATO


Rettifica del decreto 1º settembre 2000 relativo all’ente «Famiglia
dell’Istituto delle Figlie della Carita’ Canossiane», in Lodi
(14A06591)

 

 

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COMUNICATO


Accertamento del fine esclusivo di culto della Confraternita SS.
Sacramento, in Vibo Valentia. (14A06592)

 

 

Pag. 59

 

 

 


COMUNICATO


Soppressione del Monastero Carmelitane Scalze «Mater Carmeli», in
Vitulazio. (14A06593)

 

 

Pag. 59

 

 

 


COMUNICATO


Soppressione della Confraternita del SS. Sacramento e Rosario, in
Campello sul Clitunno. (14A06594)

 

 

Pag. 59

 

 

 


COMUNICATO


Soppressione della Parrocchia di San Cristoforo, in Spoleto.
(14A06595)

 

 

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MINISTERO DELLA DIFESA

 


COMUNICATO


Espunzione dall’elenco allegato al decreto 8 settembre 2010 di taluni
immobili demaniali siti in varie regioni. (14A06609)

 

 

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