È ancora possibile una sanità gratuita e per tutti?

da Vita

È ancora possibile una sanità gratuita e per tutti?

di Raffella Pannuti

Un modello di cura integrata tra pubblico e privato sociale come risposta ai bisogni assistenziali complessi legati alla fragilità e al fine vita, il contributo della presidente di Fondazione ANT

Con questo documento desidero porre alla Vostra attenzione la necessità di strutturare in modo più definito ed omogeneo i percorsi di collaborazione e di integrazione assistenziale tra pubblico e privato sociale accreditato nell’ambito delle reti di cure palliative, così da assorbire le lacune che quotidianamente mostra l’attuale modello di cura e che rischiano inevitabilmente di ampliarsi a ritmo costante nei prossimi decenni. Ciò si rende a nostro avviso inevitabile alla luce delle sfide sempre più evidenti che la sanità italiana si trova ad affrontare di fronte alle esigenze assistenziali di crescente complessità legate all’aumento delle patologie cronico-degenarative e dei pazienti che necessitano di cure palliative.
Nonostante il trend positivo in termini di erogazione delle cure palliative, mostrato dai monitoraggi ministeriali e nazionali,[1],[2] un recente studio pubblicato da The Economist[3] pone all’attenzione dei nostri amministratori quanto ancora l’Italia, a 5 anni dalla sua emanazione, sia lontana da un adeguato recepimento della Legge 38. Questo studio infatti, che si occupa di misurare la capacità degli Stati di assicurare ai malati un fine vita dignitoso grazie alle cure palliative, trova l’Italia al 21esimo posto su 80 Paesi presi in esame, in una classifica che vede primeggiare la Gran Bretagna seguita dai maggiori Stati europei posizionati nei primi 20 posti. Questo primato non deve meravigliare, come ben espresso nel testo a commento dei risultati che spiega come questi riflettano l’attenzione data nei Paesi anglosassoni alle cure palliative sia dal settore pubblico sia dal non profit in un’ottica di collaborazione che mira ad integrare questo settore assistenziale sempre più profondamente all’interno del sistema sanitario.

Anche in Italia, stando ai dati dell’Osservatorio Age.na.s. citato, il 70% delle Unità di Cure Palliative (UCP) è supportato da volontari attraverso un accordo formale e il 35,6% di tali UCP sono centri erogatori non profit accreditati. Tuttavia il terzo settore, pur essendo parte integrante delle reti di CP italiane da ormai 40 anni durante i quali ha cercato di colmare le lacune istituzionali nell’assistenza ai pazienti terminali, continua ad essere ignorato, quando non ostracizzato, da numerose pubbliche amministrazioni. I 113.866 pazienti che ancora nel 2014 sono deceduti per tumore senza essere intercettati dalle reti di CP mostrano bene le criticità che derivano da questo atteggiamento! Citando i numeri contenuti nel Rapporto al Parlamento 2015 infatti, se dei 176.119 pazienti oncologici deceduti nel 2014, 44.842 sono stati assistiti al domicilio e 17.411 in hospice, non sappiamo quale percorso di fine vita abbia seguito il 64% di questi malati. E la situazione si fa ancora più grave se si considerano i pazienti non oncologici, che i servizi di cure palliative faticano molto di più ad intercettare.

Questi dati ci mostrano chiaramente la necessità di intervenire urgentemente sui punti deboli del nostro sistema sanitario nazionale e di pensare a soluzioni adeguate per un futuro sostenibile. In questo senso, nonostante il ministero della Sanità abbia ribadito il proprio appoggio alle organizzazioni non profit, le Asl locali spesso non sono favorevoli alla collaborazione con il terzo settore, o comunque non lo considerano come un partner da coinvolgere nella programmazione sanitaria e nei processi decisionali. Il risultato di questo modello ancora troppo focalizzato sul concetto di “sanità per tutti” intesa come “sanità pubblica” e non “sanità integrata”, sono reti di cure palliative ancora insufficienti e molto disomogenee sul territorio nazionale.

L’appello che quindi facciamo ai decisori del SSN e alle amministrazioni locali, è quello di valorizzare maggiormente le risorse legate al volontariato presenti sul territorio, inserendole in modo formalizzato nei percorsi assistenziali delle reti locali di CP, secondo un modello definito a livello nazionale che possa declinarsi in modo flessibile in base alle esigenze delle diverse aree geografiche. Se infatti il compito del servizio pubblico è quello di assicurare il rispetto dei LEA a favore di tutti i pazienti, il valore aggiunto del non profit deve essere di sartorizzare gli interventi in base alle peculiarità regionali. Rispetto a questo, nel momento storico di avvio e sviluppo delle cure palliative, la maggiore libertà dai vincoli stabiliti dalla pubblica amministrazione ha permesso ai vari enti di volontariato di cogliere le esigenze espresse dalle realtà locali e di adattarsi rapidamente ad esse, favorendo l’evoluzione stessa delle reti. Ora però dobbiamo fare un passo avanti e riconoscere che, nell’attuale contesto di crescente complessità e di contrazione delle risorse, per mantenere un modello di sanità pubblica appropriato Stato e terzo settore devono unire le proprie forze in un modello di reale sussidiarietà circolare.

La soluzione auspicabile è secondo noi quella di prevedere, da parte della pubblica amministrazione, un capitolo di spesa destinato all’integrazione del profit nei servizi di cura dedicati alle cure palliative. Ovviamente tale contributo avrebbe lo scopo di sostenere solo in parte i costi assistenziali a carico delle onlus, che provvederebbero direttamente a impegnare i propri fondi per la parte restante. In questo modo non rischieremo di perdere il contributo prezioso di un non profit che complessivamente vale oltre il 4,1% del pil italiano (67 miliardi di euro) e che sta contribuendo in modo massivo all’erogazione delle cure palliative in molte parti della nazione. A tal proposito basti citare l’esperienza della Fondazione ANT, che nel solo 2014, con meno del 20% di denaro pubblico, ha assistito 3.525 pazienti in convenzione con il SSN (circa l’8% dei 44.842 pazienti oncologici seguiti al domicilio secondo il Flusso Siad) e altri 6.878 pazienti non in convenzione che quindi verosimilmente non sono stati intercettati dalle reti “ufficiali” di CP. Se si pensa che l’assistenza domiciliare ANT viene svolta, in 9 regioni, da gruppi multidisciplinari dedicati e operativi 365 giorni l’anno, h24 per una media di circa 100 giorni a paziente, risulta chiaro come l’impegno per continuare a rendere sostenibile tale servizio debba essere condiviso tra stato e privato sociale sia in termini progettuali sia per quanto riguarda gli aspetti economici.

Affinchè tale modello di integrazione sia percorribile, se da un lato lo Stato deve impegnarsi nel favorire un modello di concreta recirprocità, dall’altro lato il non profit ha bisogno di maturare aderendo a ben definiti criteri e requisiti di accreditamento e deve “prevedere la definizione di indicatori di processo e di risultato per consentire la misurazione su basi oggettive dell’impatto sociale del servizio”, così come ben definito nel disegno di legge sulla riforma del Terzo settore approvata in Senato a luglio scorso. Infatti, l’unico modo che ha il non profit per caratterizzarsi come un valido interlocutore per il SSN, è quello di definirsi come una realtà organizzata, efficiente e strutturata, in grado di garantire elevati standard e costanti meccanismi di controllo e verifica del proprio operato.

Note

[1] Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 38 del 15 marzo 2010, anno 2015

Un difficile equilibrio

Un difficile equilibrio
Natale, feste e tradizioni a scuola

di Domenico Sarracino

 

Mi sembra necessario in questo tempo difficile e triste, non smarrirci troppo… Ricordiamo, innanzitutto, che la nostra non è una scuola confessionale, ma laica, pluralista e inclusiva; non ha una religione di stato da osservare; in essa tutti hanno accesso e pari diritti e doveri, i credenti di ogni fede e i non credenti. E questo la fa libera ed aperta, luogo di ricerca del sapere, della conoscenza e dell’incontro, senza a priori o tesi già definite. I tempi dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) inteso come “fondamento e coronamento” di ogni insegnamento scolastico sono stati superati e il nuovo Concordato dell’84 (tra Stato italiano e Chiesa cattolica) prevede sì che la R.C. continui ad essere impartita nelle scuole di ogni ordine e grado, ma dietro domanda dei genitori e/o degli studenti che decidono ad ogni inizio d’anno scolastico se “avvalersi o non avvalersi” dell’IRC.

Ora, a rigore di stretta logica, i canti , le tradizioni, le feste cattoliche trovano, nel rispetto del nuovo Concordato, coerente collocazione nell’ora di religione di questa o quella classe costituita dai soli cattolici avvalentesi, mentre gli altri alunni, non avvalentesi partecipano ad “attività alternative”, secondo le loro scelte. Bisogna però anche saper ragionare laicamente, e applicare i principi, un po’ interpretandoli, un po’ adattandoli, un po’ contestualizzandoli, cercando di evitare sia il lassismo senza principi sia l’ossequio, un po’ astratto, a rigidità normative che si possono prestare a fraintendimenti se non a strumentalizzazioni, e minare il clima scolastico e il rapporto sereno e fiducioso con i contesti territoriali. Insomma quando una scuola è a forte, fortissima presenza cattolica ed è immersa in un sentire comune, tenerne conto e non dare luogo ad incomprensioni e contrapposizioni, è prova di buon senso e di flessibilità.

Soprattutto in momenti particolari come quelli che stiamo vivendo, in cui le atrocità di fanatici e potenti gruppi terroristici, appartenenti ad un certo islamismo, alimentano le grancasse di “opinionisti”, “gazzettieri” e politicastri irresponsabili che soffiano sul fuoco si di “nuove crociate”a difesa delle tradizioni “cristiane e cattoliche”: loro, che molto spesso nella vita e condotta privata poco o niente hanno a che fare con la parola di Cristo e del Vangelo.

Ora, in scuole siffatte, che la festa natalizia si faccia nelle singole ore di religione cattolica (cosa inoppugnabile) o mettendo tutt’insieme gli alunni cattolici nel medesimo tempo scolastico cambia poco, e forse organizzativamente è anche più facile. Se poi, a questa festa e/o momento cultural-religioso, vi possono liberamente partecipare tutti può essere anche – se si lavora con apertura mentale e nella prospettiva di una più ampia coesione sociale- un’occasione perché altri bambini conoscano e riflettano su esperienze religiose diverse dalle proprie. E la cosa andrebbe decisamente meglio se la prospettiva dell’”educazione interculturale”, che è la nuova frontiera delle nostre scuole e a cui siamo chiamati a dare forme e contenuti, fosse più decisamente praticata, proponendo a tutti gli allievi adeguati momenti di conoscenze, di festività e tradizioni delle varie religioni presenti nelle classi, trovando punti di contatto, caratteristiche e specificità che aiutano a capire che esistono diversi modi di porsi di fronte alle antiche domande che l’uomo da sempre si pone sulla vita, la fede, il “prima e il dopo”….

Credo che non farebbe male a nessuno – e sicuramente aiuterebbe ciascuno ad essere più pienamente cosciente delle proprie scelte o non scelte religiose – il poter fare esperienze dei vari modi in cui gli uomini si sono posti davanti a queste domande, con spirito libero e senza aprioristiche presunzioni di superiorità. Certamente i credenti (di diverse confessioni) e i non-credenti avrebbero occasione di arricchire ed ampliare la loro umanità, scoprendo certo le differenze ma anche i tanti tratti che uniscono.

Diversi ragionamenti e scelte si possono e devono fare in quelle scuole (ancora pochissime, ma in crescita) che per fenomeni vari, essendo fortemente multietniche e multiculturali hanno esigenze religioso-spirituali o culturali diverse: in tali casi è bene che la comunità scolastica e chi la dirige ne tengano conto, operando per costruire, con l’ascolto e la proposta, manifestazioni e ricorrenze nelle quali le comunità trovino le espressioni della loro cultura e spiritualità, da vivere per tutti non come sottrazione, ma come addizione.

Per concludere voglio riportare un ragionamento che spesso si sente in giro e che, a prima acchito, può sembrare inconfutabile. Si dice: se io vado a casa di un’altra persona, cerco di adattarmi ai suoi modi, usi e costumi; e, dunque, se uno “straniero” viene in Italia è giusto che sia lui ad adattarsi e non “noi”. Giusto, no? Ma si dà il caso che questo “straniero” – a parte il fatto che dovremmo sempre tenere presente che nessuno dovrebbe sentirsi straniero in questa infinitesima parte dell’universo – è spesso cittadino italiano (o sta per diventarlo) ed in Italia è a casa sua quanto io sono a casa mia. Nella dimensione della vita sociale, nei territori di Cesare abbiamo tutti uno stesso obbligo: rispettare la Costituzione e le leggi che da essa derivano e che sono volte ad assicurare a tutti la dignità di persone e cittadini, nella parità dei diritti e dei doveri.

La tradizione non parla il presente

La tradizione non parla il presente

di Giovanni Fioravanti 

 

Si può ritenere la propria cultura superiore per un’ampia gamma di ragioni, che possono muovere dal semplice fatto che si tratta della “propria” cultura, fino a ragioni di censo e di religione. La tentazione o l’occasione di prevaricare culturalmente può verificarsi più facilmente quando si sbandiera la propria cultura come tradizione. La tradizione è sempre un trasloco che si fa dal passato al presente. Un arredo che viene dal passato, e questo non si deve mai dimenticare, perché non sempre tutti i presente rivelano un’identica disponibilità all’accoglienza. È difficile tenerne conto? Non credo per chi si considera laico, per chi considera la laicità come separazione delle sfere, quella pubblica e quella privata. La laicità è una scoperta della ragione, la propria e quella degli altri. Il sonno della ragione è anche il sonno della laicità, per questo genera mostri.

Non è dunque inalberando le insegne della propria cultura che si possono risolvere i conflitti della convivenza sociale. Ancora più errato se questo accade nelle scuole, che dovrebbero essere il luogo in cui le giovani generazioni apprendono a conoscere la natura delle culture e a saperne trattare le consistenze. Ogni interferenza esterna dovrebbe essere bandita da uno Stato garante che questo mai accada. Inoltre, nel nostro Stato democratico abbiamo delegato l’istruzione ai professionisti che lavorano nelle scuole, riconoscendogli, ai sensi dell’articolo 117 della nostra Costituzione, assoluta autonomia, oltre alla libertà di insegnamento dell’articolo 33.

Ecco perché le polemiche, ormai a scadenza annuale, intorno al Natale a Rozzano come in altre scuole, sia per i pro come per i contro rivelano un’angustia di riflessioni e di pensiero, che non può che destare preoccupazione per le sorti dei nostri piccoli e del loro futuro.

In tanto perché di fronte alla scuola dei piccoli prende il sopravvento il pensiero dei grandi, gli adulti con le loro volontà, i loro desiderata, i loro archetipi, le loro tradizioni, quelle che vogliono conservare a dispetto della realtà del presente e dei loro figli.

Già questo è segno che gli adulti oggi non sono più depositari di un’idea di educazione e che per questo l’educazione è profondamente in crisi. Un’educazione che si rifà al passato per rispondere al presente. Quando al nuovo che si fa avanti con la sua sfida di invenzione e di intelligenza si risponde con la chiusura degli occhi e della mente, riproponendo il passato tale e quale è sempre stato, è evidente a tutti che non si risponde, ma ci si difende, perché la risposta evidentemente non la possediamo ancora. Ed è qui che l’educazione fallisce, perché non ha la risposta per il nuovo, perché non è in grado di rigenerarsi, di rinnovarsi, di fornire attrezzi nuovi al cammino dell’istruzione e della cultura.

Un’educazione che ignora chi ha innanzi, a chi è rivolta, a chi deve servire, non è educazione, è forse imbonimento, è forse catechismo, non certo istruzione e neppure formazione. Le nostre classi oggi sono assemblee plurali e pluralistiche, culture ancora in fieri, non definite, per la giovane età dei loro portatori, per la non chiara identità degli ambienti di provenienza, culture di famiglie giovani che non sono più la famiglia tradizionale di soli pochi decenni fa, culture di prima, di seconda immigrazione e via dicendo. Culture in movimento, in formazione, dunque, difficili a volte da definire nei contorni e nei contenuti. Un presente dinamico, cosmopolita, multilingue, plurale nella sua varietà a cui la scuola e l’educazione non possono rispondere con gli attrezzi di ieri, quelli di sempre, quelli che dovrebbero avere il marchio di qualità della tradizione, che la loro qualità ed efficacia l’hanno già esaurita tutta al passato, pertanto è del tutto inefficiente per il presente. E così vale, mi dispiace per i cultori destri e sinistri del fascino della tradizione che non fa male, per i presepi, gli alberi di Natale, le feste di Santa Lucia ecc, che ormai nulla hanno da difendere se non la loro paganizzazione consumistica.

Ciò che non si deve spegnere, ciò a cui non dobbiamo rinunciare è il cervello. E il cervello ci dice che tutti gli sforzi che oggi compiono le scuole per trovare risposte a un presente che non è quello di ieri, invece di essere contrastati riproponendo il passato, vanno sostenuti, aiutati, migliorati in un impegno comune a partire dagli adulti ad interrogare la nostra educazione, a renderla sempre migliore per garantire per noi e per i nostri figli le risposte più adeguate alle sfide del presente.

La ricchezza di essere tanti e diversi è quella che ha consentito alla nostra cultura, alla cultura dell’occidente, il passaggio da società chiusa a società aperta.

È cambiata la percezione che abbiamo di noi, del nostro universo e del posto che occupiamo nel mondo. È con questa percezione aperta che vogliamo crescere i nostri figli, le nuove generazioni, con l’affermazione del valore non delle tradizioni ma della persona e della sua intelligenza, che non può essere sacrificata a nessuna setta o religione, a nessun credo né teologico né scientifico, perché tutto è soggetto a falsificazione, perché siamo viandanti di un viaggio verso l’interrogativo permanente, che non ha stazioni sicure a cui sostare, perché è il viaggio di una umanità che ha messo le sue radici nella pianta della razionalità , che ha reso libere le facoltà critiche di ogni persona.

Di tutto questo e solo di questo le nostre scuole devono essere le custodi gelose, non certo di tradizioni che il tempo non potrà che rendere morte.

Osservatorio Tecnologico – rilevazione delle attrezzature tecnologiche

Osservatorio Tecnologico – rilevazione delle attrezzature tecnologiche

Al via la rilevazione nazionale dell’ “Osservatorio Tecnologico”  del MIUR per l’ a.s. 2015-2016.
L’iniziativa – promossa dalla Direzione Generale per interventi in materia di Edilizia scolastica, per la gestione dei Fondi strutturali e per l’Innovazione Digitale – coinvolge attivamente tutte le scuole statali e paritarie per la trasmissione dei dati sulle attrezzature tecnologiche per la didattica attualmente utilizzate.
Le funzioni per l’inserimento dei dati rimarranno aperte sul portale SIDI a partire dal 30 novembre (ore 10:00) fino al 18 dicembre 2015.
I dati forniti costituiranno la base informativa per parametrare e calibrare gli interventi previsti nell’ambito del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) e implementeranno l’applicazione “Scuola in Chiaro” del portale MIUR.

Scatti di anzianità: i precari non vanno discriminati!

Scatti di anzianità: i precari non vanno discriminati! MIUR condannato a 100.000 Euro di risarcimento grazie ai ricorsi ANIEF.

Ben cinque tribunali del lavoro piemontesi danno piena ragione all’ANIEF sul diritto dei docenti precari a vedersi riconoscere la medesima progressione stipendiale attribuita ai docenti di ruolo. Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli e Giovanni Rinaldi ottengono ben 14 sentenze di totale accoglimento che riconoscono ai nostri iscritti un risarcimento che supera i 100.000 Euro.

I Tribunali del Lavoro di Alessandria, Biella, Novara, Torino e Vercelli dicono 14 volte Sì all’ANIEF e concordano nell’affermare che il MIUR, non riconoscendo ai docenti precari il diritto alle progressioni stipendiali in base agli anni di servizio effettivamente prestati, compie un vero e proprio sopruso, confermando che “ricorrono tutti i presupposti per l’applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori di cui all’art. 4 dell’Accordo Quadro attuato con Direttiva 1999/70/CE: in primo luogo la modalità di selezione del personale non incide sulla qualità del lavoro prestato, così che nessuna ragionevole giustificazione di una disparità di trattamento economico può trarsi da tale argomento”.
Il Tribunale del Lavoro di Vercelli, ad esempio, sposando in toto le tesi riportate con estrema perizia dai legali ANIEF in udienza, ricorda che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha già chiarito la portata generale della direttiva 1999/70/CE “e del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che vi sono affermati: “la mera circostanza che un impiegato sia qualificato come “di ruolo” in base all’ordinamento interno e presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego di uno Stato membro interessato è priva di rilevanza sotto questo aspetto, pena rimettere seriamente in questione l’efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell’accordo quadro nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari” (Corte di Giustizia 13.9.2007 C-307/5 Del Cerro punto 29; Corte di Giustizia 22.12.2010 C-444/2009 Gavieiro e C-456/2009 Torres punto 43)”.

Nelle sentenze ottenute dall’ANIEF risulta chiaro, infatti, come “una disparità di trattamento che riguardi le condizioni di impiego tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non può essere giustificata mediante un criterio che, in modo generale ed astratto, si riferisca alla durata stessa dell’impiego. “Ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una siffatta disparità di trattamento priverebbe del loro contenuto gli scopi della direttiva 70/99 e dell’accordo quadro” (Corte di Giustizia 22.12.2010 cit. punto 57)” e che l’assunzione di lavoratori, alle dipendenze di una pubblica amministrazione, con contratti a tempo determinato, “non costituisce “ragione oggettiva” ai sensi dell’art. 4 punti 1 e 4, per differenziare i predetti lavoratori dai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato (e quindi inseriti nel ruolo organico dell’amministrazione)”.

Anche nel caso della progressione professionale retributiva, rivendicata dai legali ANIEF in favore di 17 docenti precari, la sussistenza di un diverso tipo di contratto di assunzione non giustifica la disparità di trattamento concretamente operata dal MIUR. I Giudici del Lavoro piemontesi, dunque, lo condannano a riconoscere ai nostri iscritti il diritto all’anzianità di servizio “sin dal primo rapporto a termine dagli stessi sottoscritto negli stessi esatti termini in cui la stessa sarebbe stata loro riconosciuta se fossero stati immessi in ruolo sin da tale momento” e, per l’effetto, a corrispondere loro il pagamento delle differenze retributive mai riconosciute per un totale, comprensivo della condanna alle spese di lite, che supera i 100.000 Euro.

Una nuova, sonora, lezione impartita dall’ANIEF al MIUR nelle aule dei tribunali, dunque: la sapiente azione giudiziaria, patrocinata con estrema competenza dai nostri legali, ha nuovamente ricordato alla Pubblica Amministrazione che la professionalità e l’esperienza acquisite dai lavoratori della scuola in anni di servizio con contratti a tempo determinato meritano non solo pieno rispetto, ma anche il dovuto riconoscimento economico.

Caccia allo stage nelle big companies: ecco come conquistare i tirocini in Italia e all’estero

da Il Sole 24 Ore

Caccia allo stage nelle big companies: ecco come conquistare i tirocini in Italia e all’estero

di Maria Buttini

Cosa vogliono le Big Companies dai propri tirocinanti? La parola chiave che compare molto spesso all’interno dei diversi programmi di stage offerti online dalle grandi aziende negli spazi «careers» e «lavora» con noi è «motivazione». In seconda battuta si richiede intraprendenza e capacità di lavorare in gruppo in contesti multiculturali, oltre alla più che buona conoscenza dell’inglese, requisito senza il quale non vale la pena candidarsi per uno stage in questo tipo di aziende.

Le guide Isfol
Le cosiddette soft skills, le competenze trasversali, costituiscono dunque i valori più ricercati, accanto ad un percorso scolastico e formativo regolare e a un titolo di studio coerente con l’offerta di stage. Gli stage gestiti dalle grandi corporation sono tradizionalmente molto curati, con un progetto formativo ben strutturato e di solito offrono un rimborso spese o dei benefit, a seconda del Paese dove si svolgono. Inoltre le possibilità di continuare la collaborazione dopo il tirocinio oscillano fra il 30% e il 50%.
Vale dunque la pena iniziare la propria carriera con uno stage in un grande gruppo, che abbia una diffusa presenza in Europa e in Italia. Per affrontare questo tipo di esperienza, spesso decisiva per il proprio futuro professionale, in quanto primo passo nel mondo del lavoro sono disponibili gratuitamente le nuove edizioni dei manuali Isfol dedicati al tirocinio in Italia e in Europa. Due guide indispensabili attraverso le quali l’Isfol torna a fornire ogni delucidazione, offrendo anche consigli e suggerimenti utili. I manuali, completamente aggiornati nei contenuti, sono entrambi strutturati in due parti. La prima più teorica, che illustra lo strumento e ne spiega la natura. La seconda del tutto pratica, con schede contenenti le informazioni necessarie per progettare il proprio stage-tirocinio.

Le occasioni nei grandi gruppi
Nel manuale dello stage in Europa, in particolare, vi è anche una serie di testimonianze di grandi aziende italiane ed europee che offrono interessanti opportunità di stage nelle loro sedi estere. Ecco di seguito alcune di queste esperienze. Gruppo Nestlè in Italia: gigante dell’industria alimentare promuove in maniera continuativa numerosi stage, non solo nel nostro Paese ma anche direttamente attraverso le proprie consociate in Francia, Germania e Regno Unito, soprattutto grazie al recente progetto Nestlé needs YOUth, attraverso il quale mira ad inserire entro il 2016 10mila giovani di età inferiore ai 30 anni. Gruppo Marzotto: specializzato nella produzione di tessuti di alta qualità (lana lino, seta, velluto), dal 2010 offre un buon numero di tirocini di pre-inserimento in Italia e presso le proprie sedi europee. Telecom Italia: il principale gestore italiano dei servizi di telecomunicazione inserisce con regolarità stagisti sia nel nostro Paese che nelle sue filiali estere, anche attraverso il finanziamento di master internazionali che si concludono con Project Work.
Unicredit: una delle più grandi istituzioni finanziarie italiane promuove da qualche anno attraverso la Fondazione UniCredit&Universities stage estivi in numerosi Paesi europei.

Fase C, l’anno di prova è a rischio Per i neoassunti niente tirocinio

da ItaliaOggi

Fase C, l’anno di prova è a rischio Per i neoassunti niente tirocinio

Se si è prestato servizio in classi di concorso non affini

Antimo Di Geronimo

I docenti appena assunti nella fase C rischiano di non potere svolgere l’anno di prova. E’ quanto si evince dalla disposizioni in materia emanate di recente dal ministero dell’istruzione (decreto 850/15 e circolare 36167/15). Che precludono ai docenti neoimmessi in ruolo la possibilità di far valere il servizio prestato in altro grado di istruzione e, se nello stesso grado, il servizio prestato in classi di concorso non affini.

Ed è proprio il caso dei docenti neoimmessi in ruolo in occasione della fase C. Che sono stati tratti dalle graduatorie delle rispettive discipline di appartenenza, ma non saranno assegnati a cattedre di tali discipline. La fase C, infatti, è caratterizzata da immissioni in ruolo sull’organico del potenziamento. Vale a dire, su posti costituti per provvedere alle sostituzioni dei docenti assenti e per migliorare l’offerta formativa.

Con queste premesse, dunque, non sembrerebbe esserci alcun collegamento diretto con la disciplina tipica da cui il docente proviene e la prestazione effettivamente svolta. D’altra parte, la stessa amministrazione centrale ha tenuto conto solo in parte delle richieste presentate dalle scuole con i piani di potenziamento. L’assegnazione dei docenti neoimmessi nella fase C alle sedi scolastiche destinazione è avvenuto secondo un criterio di fungibilità degli insegnamenti. E non secondo le richieste specifiche delle scuole.

Oltretutto non sono pochi i casi di docenti provenienti da classi di concorso delle scuole secondarie di II grado che risultano assegnati ad istituti comprensivi (che non comprendono scuole superiori). Tant’è che il ministero ha dato disposizioni alle scuole di disporre utilizzazioni nei confronti di questa particolare tipologia di personale.

Dunque, il problema si pone non solo per l’anno di prova, ma anche per l’individuazione del docente tutor. E cioè del docente che dovrà seguire il neoimmesso in ruolo nel primo anno di servizio ai fini del superamento del periodo di formazione e di prova. La questione fa il paio con la preclusione dell’anno di prova ai docenti di musica immessi in ruolo alle medie, che attualmente insegnano nei licei musicali.

Preclusione che rischia di mettere in crisi queste scuole costrette, dall’anno prossimo, arimpiazzare tali docenti con insegnanti senza esperienza specifica. Per passare dalle medie alle superiori, infatti, è necessario avere superato il periodo di prova. Requisito che resterà precluso a questi docenti.

A meno che il ministero dell’istruzione non intervenga a sanare le varie questioni sul tappeto con un ulteriore provvedimento.

Concorso docenti, in arrivo 3 bandi con pre-selezione solo per infanzia e primaria

da La Tecnica della Scuola

Concorso docenti, in arrivo 3 bandi con pre-selezione solo per infanzia e primaria

Sono tre i bandi previsti per l’avvio del nuovo concorso per docenti: uno per la scuola dell’infanzia e primaria, uno per la secondaria, uno per il sostegno.

Sembra cadere, quindi, l’attesa pubblicazione di due soli bandi e altrettanti regolamenti. A darne notizia, nella serata del 30 novembre, è l’agenzia Ansa, che parla di selezione per “63.700 posti da insegnante” giunta “alle limature finali”.

“Nei prossimi giorni si concluderà l’iter del regolamento con le nuove classi di concorso necessario per avviare la procedura concorsuale. Successivamente saranno pubblicati i bandi” rivolti solo a precari già abilitati, spiega ancora l’agenzia di stampa.

A differenza di quanto trapelato negli ultimi giorni, il test pre-selettivo sarà previsto non solo per i candidati della scuola d’infanzia, ma anche della primaria. Dalle ultimissime indiscrezioni, viene quindi confermato che la preselezione verrà risparmiata ai candidati del sostegno e della scuola secondaria di primo e secondo grado.

Per quanto riguarda le verifiche cui saranno sottoposti i quasi 200mila partecipanti, “ci sarà una prova di tipo nazionale volta all’accertamento di capacità logiche, di comprensione del testo, delle competenze digitali e di competenze nella lingua inglese”.

Chi passerà la prima prova, sarà ammesso ad una seconda verifica scritta, con domande a risposta chiusa e aperta. Per alcune classi di concorso (ad iniziare da quelle tecnico pratiche), si prevede anche una prova pratica. Solo chi supererà queste prove potrà accedere alla prova orale. Che sarà anche quella finale.

Chi sarà ritenuto idoneo, in base al posizionamento in graduatoria, sarà assunto nel prossimo triennio. Come previsto dalla Legge 107/15.

Conferimento incarichi a tempo determinato su posti di potenziamento

da La Tecnica della Scuola

Conferimento incarichi a tempo determinato su posti di potenziamento

L.L.

L’USR per il Lazio ha fornito chiarimenti in merito alla copertura dei posti rimasti vacanti per via del differimento della presa di servizio da parte del docente assegnatario

L’art. 1, comma 95, della Legge 107/15, prevede che “A decorrere dall’anno scolastico 2015/2016, i posti per il potenziamento non possono essere coperti con personale titolare di contratti di supplenza breve e saltuaria. Per il solo anno scolastico 2015/2016, detti posti non possono essere destinati alle supplenze di cui all’articolo 40, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e non sono disponibili per le operazioni di mobilità, utilizzazione o assegnazione provvisoria”.

Pertanto, mentre non si darà luogo a sostituzioni brevi e saltuarie né, per il corrente anno scolastico, a supplenze fino all’avente titolo, potranno invece essere stipulati incarichi a tempo determinato con scadenza 30 giugno, in tutti i casi in cui l’assegnazione della sede ai neo immessi in ruolo sia stata oggetto di differimento.

I contratti a tempo determinato su posti di potenziamento rimasti vacanti (perché non è stato assegnato alcun docente per mancanza di aspiranti) andranno stipulati con scadenza 30 giugno 2016, con possibilità di proroga al 31 agosto 2016.

Relativamente ai posti di potenziamento per il sostegno, per l’USR è possibile procedere alla copertura dei posti rimasti vacanti (nessun aspirante) e disponibili (per differimento) solo in presenza di docenti in possesso del titolo di specializzazione. Pertanto, in mancanza di tali docenti non si dovrà procedere alla stipula di alcun contratto a tempo determinato.

Saranno oggetto di supplenza, per la restante parte di orario, i posti attribuiti con contratto part-time.

L’USR precisa anche che, in caso di esaurimento delle GaE, gli incarichi a tempo determinato saranno stipulati attingendo dalle Graduatorie di Istituto della medesima Classe di Concorso del potenziamento attribuito.

Per le scuole del I ciclo non in possesso delle graduatorie relative alla classe di concorso del potenziamento, sarà necessario rivolgersi all’Istituto di titolarità del docente utilizzato in altro grado di istruzione. Nel caso, invece, di scuole di II grado in cui è stato assegnato un docente di una classe di concorso non presente nell’istituzione medesima, queste si rivolgeranno alla scuola viciniore facendosi inviare la specifica graduatoria, secondo quanto previsto dal Regolamento sulla supplenze.

Per i posti e la classi di concorso non esaurite nel corso delle operazioni di conferimento degli incarichi a tempo determinato, le disponibilità dovranno essere comunicate agli ATP per la reIativa copertura.

Tale procedura dovrà essere adottata anche per la copertura dei posti dei vicari nominati traendoli da altra classe di concorso.

 

Bonus 500 euro: qualche chiarimento

da La Tecnica della Scuola

Bonus 500 euro: qualche chiarimento

Sulla questione del bonus di 500 euro per l’autoformazione continua a disturbare il sonno di molti insegnanti che ci scrivono per chiedere qualche chiarimento.
Intanto diciamo che – a suo tempo – il Miur aveva spiegato che in materia di rendicontazione saranno emanate ulteriori spiegazioni ma questo non esclude che a qualche domanda si possa già rispondere.
Primo problema: cosa succede se un insegnante a fine anno “avanza” una parte del bonus?
Secondo il decreto della Presidenza del Consiglio con cui è stato istituito il bonus, l’avanzo dovrebbe confluire nel bonus del prossimo anno: in pratica chi avanza 200 euro l’anno prossimo ne dovrebbe avere 700 (meglio usare il condizionale perchè l’esperienza dimostra che le certezze sono sempre meno frequenti).
E se al contrario un insegnante spende 700 euro per un PC?
Il caso non è espressamente contemplato ma ci sembra di poter affermare con una certa sicurezza che il docente potrà avere riconosciuta la spesa di 500 euro anche se la fattura/ricevuta è di importo superiore.
E a chi spetta il compito di rendicontare?  Ovviamente la rendicontazione va fatta dal docente interessato con le modalità che verranno precisate in seguito; per intanto, come abbiamo già avuto modo di dire più volte, è bene richiedere fatture o ricevute intestate quando si effettua un acquisto e conservare accuratamente tutte la documentazione.

Troppi prof anziani alle superiori

da La Tecnica della Scuola

Troppi prof anziani alle superiori

È una differenza abissale, che nei prossimi anni è destinata a crescere. Perché nell’ultimo quinquennio le riforme sulla quiescenza, forti del fatto che nel Belpaese le aspettativa di vita media sono in perenne aumento, hanno portato l’età pensionabile dei nostri dipendenti avanti di dieci anni.

E Anief-Cisal, insiste su questi dati e precisa: sono numeri impietosi, che però a ben vedere non sorprendono. Perché sono solo la risultanza di manovre politiche che nel nostro Paese continuano a danneggiare chi lavora per una vita, costringendolo a lasciare ormai nella terza età e con assegni che per chi inizia a lavorare oggi si prospettano vicini all’assegno sociale. E la riforma della scuola non ha aiutato, perché ha lasciato fuori 180mila abilitati, che avrebbero potuto svecchiare il corpo docente.

Tuttavia di tali numeri e di tale incalzante vecchiaia dentro le nostre scuole sono tutti consapevoli, ma c’è una sorta di “ragion di stato” che a tutti i costi cerca di negare o ignorare tale problema, mentre a tanti giovani è persino negata la speranza di potere un giorno insegnare.

Ma forse c’è pure una certa ignoranza di comprensione del lavoro dei docenti, il cui “mestiere” è oggettivamente usurante e oltre i sessanta anni è assai difficile “amministrare “ una classe con 30 “facinorosi in potenza”, pronti a cogliere ogni debolezza e ogni distrazione del proprio docente.

Ma bisognerebbe spiegarlo a chi fa le leggi.

Upi: individuate le scuole subito cantierabili

da La Tecnica della Scuola

Upi: individuate le scuole subito cantierabili

Sono 144 gli edifici pubblici, di cui 86 scuole superiori delle 25 Province delle quattro Regioni Convergenza – Campania, Calabria, Sicilia e Puglia – su cui l’Upi, grazie ai fondi europei ottenuti in seguito a un protocollo d’intesa con il ministero dell’Ambiente, ha potuto realizzare uno screening dettagliato sullo stato dell’ efficientamento energetico. Individuando così quelle immediatamente cantierabili.

Il sole 24 Ore spiega che L’Unione delle Provincie Italiane, ha individuato 1.402 scuole superiori di cui 228 in Calabria, 432 in Sicilia, 467 in Campania e 275 in Puglia. La rilevazione ha consentito la realizzazione di una banca dati che traccia il quadro della situazione e individua gli interventi necessari per introdurre l’utilizzo di energie rinnovabili e risparmio energetico.

I risultati, precisa il sito internet,  sono stati presentati venerdì scorso a Roma.

È la prima rilevazione di questo genere in Italia – hanno spiegato – ma soprattutto ci ha consentito di potere arrivare alla definizione di progetti mirati immediatamente cantierabili. Chiediamo che nella futura programmazione italiana dei fondi comunitari, si trovi lo spazio per finanziarli e avviare quell’opera di efficientamento indispensabile per produrre risparmi nella spesa pubblica.

Anche perché – hanno aggiunto i presidenti – di pari passo, attraverso l’attivazione degli Energy Manager provinciali, l’Upi ha potuto monitorare tutto il patrimonio immobiliare pubblico a uso scolastico di queste Province, arrivando a realizzare una vera e propria ricognizione delle tipologie costruttive e dello stato manutentivo; non un semplice censimento degli edifici scolastici, dunque, ma una analisi dettagliata dello stato di manutenzione di queste strutture e degli impianti».

Sardegna, 1.200 docenti di sostegno lasciano la regione

da Redattore sociale

Sardegna, 1.200 docenti di sostegno lasciano la regione

Tanti i docenti specializzati che sono stati assegnati fuori regione. Intanto, la regione ha stanziato 1,2 milioni per il fondo per il diritto allo studio degli studenti disabili, ma la provincia non ha pubblicato neanche il bando per affidare il servizio: fino a gennaio, ci pensa una ditta privata. Serra (M5S): “Ad alcuni genitori è stato proposto di farsi carico loro del trasporto, dietro rimborso del carburante. E’ uno scandalo su cui stiamo indagando”.

ROMA. Sono circa 1.200 i docenti specializzati per il sostegno che, con le nuove assunzioni, hanno lasciato la Sardegna per raggiungere le destinazioni assegnate: e questo, insieme ai tagli e alla cattiva gestione delle risorse, sta diventando “un vero e proprio cancro” per le famiglie degli studenti disabili che vivono nella nostra regione”. L’allarme arriva da Manuela Serra, portavoce del Movimento 5 Stelle al Senato. “E’ una situazione drammatica, più che nel resto d’Italia – ci assicura – ricevo ogni giorno lettere di famiglie molto preoccupate, perché al figlio disabile manca l’insegnate di sostegno, o l’educatore, o il servizio di trasporto scolastico. Solo negli ultimi tempi, mi sono arrivate ben due segnalazioni da Nuoro: i dirigenti scolastici avevano chiesto alle famiglie degli studenti disabili di tenere i figli a casa, perché le scuole non erano più in grado di accoglierli e seguirli. Sono situazioni penose, che bisogna risolvere al più presto”, afferma Serra.

“Vi paghiamo la benzina, accompagnateli voi”. Altrettanto “penosa” è l’incapacità di garantire agli studenti disabili il servizio di trasporto scolastico fino alla fine dell’anno. “Esiste un fondo per questo – riferisce Serra – alimentato in parte dalla regione, in parte dalla provincia. Ma mentre la regione ha versato i suoi 1,2 milioni, la provincia pare non abbia stanziato nulla. Il trasporto degli studenti disabili della provincia di Cagliari è stato quindi finora affidato a una ditta privata, ma l’appalto sarebbe scaduto a novembre. Questa mattina una delegazione di genitori e rappresentanti di studenti ha incontrato L’assessore alla Pubblica Istruzione Firino, ha assicurato che sarà prorogato fino a gennaio, ma è stata molto fumosa nel rispondere alle domande. E assolutamente incapace di garantire un servizio fino alla fine dell’anno. Da gennaio, questi ragazzi rischiano di restare a casa”, spiega Serra, che questa mattina ha accompagnato 27 genitori di 5 istituti di Cagliari in assessorato. “Ad alcuni – continua Serra – è stato proposto un buono per il carburante, a patto che accompagnassero loro i figli a scuola: ma pochi di loro sarebbero in grado di farlo”, osserva Serra. Nulla di chiaro è stato invece detto riguardo alle risorse e a come queste siano stati utilizzate. “Il fondo in questione comprende trasporto e assistenza – spiega Serra – Ad alcuni genitori è stato chiesto di scegliere tra un servizio e l’altro. E questo è inammissibile”, commenta Serra, che nei prossimi giorni presenterà un’interrogazione parlamentare sul tema.

Quando manca l’insegnante di sostegno. Intanto, storie di “cattiva inclusione” continuano ad arrivare dalla Sardegna. “I quaderni di mio figlio sono vuoti da due mesi – denuncia la mamma di un ragazzo autistico di Sassari su La Nuova Sardegna – Passa tanto tempo in un’aula insieme alla supplente dell’insegnante di sostegno. Ma lui ha il diritto di rimanere in classe insieme agli altri, l’autismo non è una malattia contagiosa”. Il problema, in questo caso, è che l’insegnante di sostegno è andato in pensione e ora non ce n’è uno in grado di comprendere i bisogni del bambino, che frequenta la terza elementare e “fino allo scorso anno – assicura la mamma – aveva la media del nove”. Ora invece, sempre più spesso la mamma deve correre a scuola a riprendersi il figlio, perché nessuno è in grado – pare – di gestire le sue crisi. “Lo hanno trasferito in un’aula isolata – racconta la mamma a La nuova Sardegna – nei giorni scorsi ho assistito a una scena penosa: un compagnetto è andato a trovarlo, non so cosa mi abbia trattenuto dallo scoppiare a piangere, sembrava un detenuto che riceveva una visita”. E’ a conoscenza del caso Manuela Serra e “ci sto già lavorando – assicura – ma purtroppo di storie come questa ce ne sono moltissime, nella nostra regione più che nelle altre. La Sardegna, con il suo statuto speciale, avrebbe potuto fare una legislazione specifica, ma il governatore non ha fatto nulla e così ora queste famiglie ne pagano le conseguenze: gli insegnanti specializzati se ne vanno e questi ragazzi restano privi di un sostegno qualificato”. (cl)

Un 3 dicembre di cultura, tecnologia e sport: “La disabilità non è un problema”

da Superabile

Un 3 dicembre di cultura, tecnologia e sport: “La disabilità non è un problema”

Le nuove frontiere dell’accessibilità alla cultura, alla tecnologia e allo sport al centro dell’appuntamento organizzato all’Auditorium Inail di Roma in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità. Dalle app ai luoghi d’arte come le barriere possono essere superate

ROMA – La disabilità può non essere un problema e ci sono storie ed esperienze che lo dimostrano, delle vere e proprie eccellenze nel campo della tecnologia, dello sport e della cultura. Sono quelle che il Contact center “SuperAbile Inail”, in collaborazione con il Ministero dei beni culturali e il Comitato italiano paralimpico, ha scelto di presentare in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, celebrata dalle Nazioni Unite dal 1992 e giunta ora alla 24esima edizione. L’appuntamento è per il prossimo 3 dicembre all’Auditorium Inail di Roma: una mattinata in cui si alterneranno politici, rappresentanti delle istituzioni, dirigenti, studiosi, assistenti sociali, atleti paralimpici.

La Giornata 2015 – che interessa un miliardo di individui in tutto il mondo, secondo le stime dell’Onu – ha come focus “l’accesso e l’empowerment per le persone di tutte le abilità”. Un approccio moderno alla disabilità, vista non come un problema ma come una limitazione da rimuovere con il contributo di tutti; perché in tutti gli ambiti, le barriere che limitano la vita privata e la partecipazione alla vita pubblica possono essere ridotte o eliminate. Vivere in una casa a misura di limitazioni, usare app che rendono più semplice la quotidianità, poter praticare discipline sportive anche ad alto livello, visitare luoghi dell’arte e dell’archeologia che sembravano irrimediabilmente preclusi sono tutti esempi di come la disabilità può non essere un problema.

All’Auditorium Inail dalle 9,30 del 3 dicembre le anteprime e testimonianze in tal senso saranno introdotte dagli interventi – coordinati dal direttore editoriale di SuperAbile, Stefano Trasatti – del Direttore centrale Pianificazione e Comunicazione INAIL Giovanni Paura, del Sottosegretario ai Beni e alle attività culturali e al Turismo Ilaria Borletti Buitoni e del dirigente Divisione Politiche sociali per le persone con disabilità del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Alfredo Ferrante.

Tre le sessioni previste: una sulla tecnologia, una sullo sport, una sulla cultura, Di “accessibilità alla tecnologia”, a partire dalle esperienze SuperAbile nel mondo mobile parleranno Paolo Guidelli (Consulenza per l’Innovazione Tecnologica INAIL) e Guglielmo Boni (Sede di Bergamo INAIL). La “casa dei sogni che diventa accessibile” sarà invece l’argomento degli interventi di Massimo Improta (Area Ausili Centro Protesi INAIL di Vigorso di Budrio) e Nicoletta Vego Scocco (Assistente sociale sede di Trento INAIL).

Il segretario generale del Cip, Marco Giunio De Sanctis, sarà invece il protagonista della sessione dedicata all’accessibilità allo sport, che vedrà anche la testimonianza dell’atleta paralimpica Monica Contrafatto, che racconterà di come la sua vita è cambiata grazie alla pratica sportiva. Infine, spazio all’accessibilità ai luoghi della cultura con una sessione condotta da Ugo Soragni (Direttore generale Musei MiBACT). Di “Cultura senza ostacoli ad Urbino: un percorso nel Rinascimento” parlerà Peter Aufreiter (Direttore Galleria Nazionale delle Marche di Urbino MiBACT), mentre del percorso di accessibilità alla Tomba della Pulcella nella necropoli di Tarquinia, oltre ad altri progetti di fruizione ampliata, tratterà Alfonsina Russo (Soprintendente all’Archeologia del Lazio e dell’Etruria meridionale MiBACT). Si vola poi idealmente in Sardegna, con l’esperienza del “museo liquido” di Cagliari: a raccontarla Elena Romoli e Anna Maria Marras (Polo Museale della Sardegna-Museo archeologico nazionale di Cagliari MiBACT). Ancora: del rafforzamento delle “Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale” parleranno Fabrizio Vescovo (Direttore del Master “Progettare per tutti” Università La Sapienza di Roma) e Gabriella Cetorelli (Responsabile Servizio Progetti speciali Direzione Generale Musei MiBACT). Infine, il racconto di una viaggio per l’integrazione, quello realizzato con il progetto “Basilicata Land off”, illustrato da Filomena Zaccagnino (Assistente sociale della Direzione Regionale Basilicata INAIL) e Alfredo Clemente (Partecipante al progetto).

L’ATTRIBUZIONE AI DOCENTI DEL BONUS PREMIALE EX COMMI 126, 127, 128, 129 DELLA L. 107/2015

Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici                       Laboratorio dirigenti e

         Sezione Provinciale di Viterbo                           docenti della provincia di Viterbo

 

 

INCONTRO DI STUDIO E DI LAVORO

 

L’ATTRIBUZIONE AI DOCENTI DEL BONUS PREMIALE EX COMMI 126, 127, 128, 129 DELLA L. 107/2015

Venerdì 11 dicembre 2015, alle ore 9.30,

presso l’aula magna dell’ITE “P. Savi” di Viterbo

 

Durante l’incontro si tratterà

1) analisi delle norme;

2) punti di criticità, vincoli e prospettive di lavoro;

3) illustrazione dei materiali sviluppati dall’ANDISLAB di Viterbo:

a) un modello dei “CRITERI” ex comma 127 e comma 3 del nuovo art. 11 del T.U.;

b) un modello di comunicazione interna del dirigente scolastico;

c) la modulistica utile per la determinazione e attribuzione del bonus individuale;

d) l’informativa per la privacy aggiornata con le modalità di trattamento dei dati personali espressamente finalizzato al procedimento valutativo correlato alla determinazione del bonus premiale individuale.

 

L’incontro è gratuito e aperto a tutti.

 

Il presidente provinciale

Giuseppe Guastini