Invalidità civile minori. Serve nuova domanda a 18 anni?

Invalidità civile minori. Serve nuova domanda a 18 anni? Istruzioni INPS
Disabili.com del 25/04/2023

Per fruire dei benefici economici di invalidità civile, cecità civile e sordità civile correlati al compimento della maggiore età, i soggetti minori che percepiscono indennità di accompagnamento o indennità di comunicazione hanno diritto alla procedura semplificata. Messaggio INPS

A partire dal 2014, al compimento dei 18 anni un minore con disabilità che fosse titolare di indennità di accompagnamento non è più tenuto a presentare nuova domanda di invalidità per poter continuare a percepire le prestazioni economiche correlate, mentre prima di quella data era costretto a sottoporsi ad una nuova valutazione dell’invalidità, sordità o cecità.

RICONOSCIMENTO SENZA NUOVA VISITA.
A prevedere – e introdurre a livello legislativo – questa continuità è il comma 6 dell’articolo 25 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. Pertanto ai minori titolari di indennità di accompagnamento o di indennità di comunicazione, nonché ai minori affetti da sindrome di Down o da sindrome di talidomide, le prestazioni economiche correlate al raggiungimento della maggiore età sono attribuite senza ulteriori accertamenti sanitari.

OBBLIGO DI INVIO DEL MODELLO AP70.
Tali soggetti, pertanto, non sono tenuti a presentare una nuova domanda, ma devono inviare all’INPS il modello ‘AP70’per autocertificare i dati socio-economici necessari alla liquidazione della prestazione loro spettante al compimento della maggiore età, ossia la pensione di inabilità, la pensione per cecità civile o la pensione per sordità.

LE PRESTAZIONI ECONOMICHE DAI 18 ANNI.
Ricordiamo che i minori che percepiscono indennità diaccompagnamento o indennità di comunicazione, nel momento in cui compiono 18 anni riceveranno in automatico queste prestazioni: 
– Titolari minorenni di indennità di accompagnamento per invalidità civile: viene concessa la pensione di inabilità a favore dei cittadini maggiorenni totalmente inabili; 
– Titolari minorenni di indennità di accompagnamento per cecità civile: viene concessa la pensione a favore dei cittadini maggiorenni ciechi assoluti; 
– Titolari minorenni di indennità di comunicazione: viene concessa la pensione a favore dei cittadini maggiorenni sordi.

COME SEGUIRE LA PROCEDURA.
Per inviare il modello AP70 il soggetto interessato può utilizzare la procedura semplificata messa a disposizione dall’INPS, denominata “Verifica dati socio-economici e reddituali per la concessione delle prestazioni economiche”, raggiungibile al seguente percorso: “Sostegni, Sussidi e Indennità” >”Per disabili/invalidi/inabili” > “Strumenti” > “Vedi tutti” > “Verifica dati socio-economici e reddituali per la concessione delle prestazioni economiche” > “Utilizza lo strumento”, autenticandosi con la propria identità digitale di tipo SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di Livello 2, CNS (Carta Nazionale dei Servizi) o CIE (Carta di Identità Elettronica). 
In alternativa, il soggetto interessato può rivolgersi a un Patronato.

EROGAZIONE AUTOMATICA E SENZA VISITA.
Al richiedente che, in esito alle verifiche effettuate, risulti in possesso dei requisiti socio-economici richiesti dalla legge per accedere alla pensione di inabilità, per cecità civile o per sordità civile, verrà pertanto erogata la prestazione economica correlata alla maggiore età senza essere sottoposto a nuovo accertamento sanitario. Si precisa che, ai fini dell’attuazione di quanto previsto dal citato articolo 25, comma 6, del decreto legge n. 90/2014, i soggetti suindicati sono informati dall’Istituto almeno sei mesi prima del compimento della maggiore età, con l’invito alla trasmissione del modello ‘AP70’.

QUANDO PRESENTARE NUOVA DOMANDA DI INVALIDITÀ. C’è un caso in cui invece è necessario presentare nuova domanda di invalidità: questo si verifica se il soggetto interessato intenda richiedere un verbale sanitario con giudizio medico legale aggiornato alla maggiore età, anche ai fini dei benefici in tema di collocamento mirato previsti dalla legge 12 marzo 1999, n. 68. In questo caso sarà necessario presentare una nuova domanda di invalidità civile.

RICAPITOLANDO.
I minori con disabilità che siano:
– titolari di indennità di accompagnamento,
– titolari di indennità di comunicazione,
– con sindrome di Down,
– con sindrome di talidomide,
al compimento dei 18 anni ricevono le prestazioni economiche correlate senza ulteriori accertamenti sanitari. In relazione alle prestazioni economiche correlate, non devono quindi sottoporsi a nuova visita, né presentare nuova domanda, ma devono presentare il modello AP70 all’INPA per autocertificare i dati socio-economici previsti per poter ricevere la pensione di inabilità, la pensione per cecità civile o la pensione per sordità.
La nuova domanda di invalidità va presentata solo se si desidera ricevere un verbale sanitario con giudizio medico legale aggiornato alla maggiore età, anche ai fini dei benefici in tema di collocamento mirato.

Per approfondire: Messaggio INPS numero 1446 del 18-04-2023

Violenza in psichiatria, riaprire i manicomi non è la soluzione

Violenza in psichiatria, riaprire i manicomi non è la soluzione
Vita del 25/04/2023

Secondo lo psichiatra Vito D’Anza, i comportamenti violenti da parte delle persone con disturbi mentali si possono ridurre attraverso una reale applicazione della riforma della salute mentale legata alla Legge 180, tramite un approccio che non neghi l’utilizzo dei farmaci, ma si componga di tanti altri elementi, come il dialogo, l’ascolto e la creazione di un rapporto di fiducia tra curante e curato. Per far questo, però, servono le risorse, che al momento scarseggiano

«Non ero il medico di Gianluca Paul Seung, ma l’ho incontrato a molti convegni e sporadicamente è venuto a trovarmi a Montecatini; l’ultima volta che l’ho visto, quattro o cinque anni fa, gli ho detto che aveva assolutamente bisogno di curarsi, perché non stava bene. Non mi aspettavo, però, questo tipo di violenza». Sono questi i ricordi di Vito D’Anza, direttore del dipartimento di salute mentale dell’ospedale di Pescia, in provincia di Pistoia, sull’uomo che avrebbe aggredito la psichiatra Barbara Capovani fuori dall’ospedale di Pisa, causandone la morte. La vicenda, tuttavia, potrebbe essere sintomo di un malessere più profondo del mondo della psichiatria, che trova le sue radici nel tradimento della riforma legata al nome di Franco Basaglia.

Dottore, episodi di questo tipo possono aumentare lo stigma legato alla malattia mentale?
Sicuramente. E in questa fase il problema più grosso è che questo contribuisce a dare un colpo alla riforma psichiatrica italiana. Ho visto dal giorno dopo costituirsi delle chat riservate a psichiatri e a specializzandi in psichiatria in cui il leitmotiv è, velatamente o meno, la riapertura dei manicomi, con centinaia di iscritti. Questa vicenda è drammatica, perché in un mondo ideale episodi del genere non dovrebbero succedere; nel mondo reale, tuttavia, succedono e probabilmente succederanno di nuovo in futuro. Anche quando erano in auge i manicomi e gli Ospedali psichiatrici giudiziari – Opg, fatti del genere accadevano: solitamente le persone in queste strutture finivano dopo aver commesso reati, non prima. Ora, però, c’è una fame di ritorno ai manicomi; oggi potremmo affermare che la riforma è completamente bloccata – per non dire che è fallita – agli occhi di tante persone. L’opinione pubblica va in tutt’altra direzione rispetto alla 180.

Anche quella degli psichiatri? 
Soprattutto quella degli psichiatri. Negli ultimi anni di fatti così tragici non c’è n’è stato solo uno, ma nemmeno moltissimi. Anche in pronto soccorso c’è un alto tasso di aggressioni agli operatori. Qual è la risposta, chiudere il pronto soccorso? In psichiatria, però, c’è sempre il tema della follia, della paura di ciò che non conosciamo, di quello che non riusciamo ancora a capire e ad afferrare. Il vero problema è che ci stiamo avviando verso una china dalla quale non sarà possibile risalire o, almeno, non sarà più possibile risalire applicando la riforma per come la conosciamo. Questo modo di vedere la salute mentale sta dilagando: c’è gente incolta e ignorante che imputa quello che è successo a Pisa a quella che loro chiamano «antipsichiatria», dicendo che ci sarebbero degli psichiatri troppo accondiscendenti con i pazienti.

Ma non è così.
Probabilmente si tratta di un concetto che noi che da 30 o 40 anni lavoriamo nel contesto della riforma non abbiamo ribadito con abbastanza forza in passato. Per loro, se non sei d’accordo che il farmaco sia l’unica risposta alla malattia mentale allora sei un «antipsichiatra». Il punto, invece, è un altro: esiste un modo di fare psichiatria, che è quello della riforma, in cui è contemplato il farmaco, ma ci sono anche tanti altri elementi, legati a una situazione più relazionale, umana e sociale. Di questo, ormai, si stanno perdendo le tracce.

All’indomani dei tragici fatti di Pisa, tre rappresentanti della Società italiana di psichiatria hanno scritto una lettera in cui denunciano che il 34% delle aggressioni avviene nell’ambito della salute mentale e il 20% in pronto soccorso. Come si può rendere il lavoro degli psichiatri e degli altri operatori più sicuro?
Le persone devono essere ascoltate, innanzitutto, accolte, bisogna instaurare un rapporto di fiducia tra chi sta male e chi è deputato alla cura di questa sofferenza. Invece, più si va avanti con gli anni più tutto questo viene ridotto: si mettono insieme i sintomi, si fa una diagnosi, si dà un farmaco e se in questo modo la sofferenza non diminuisce è colpa del paziente. In una situazione di questo genere gli episodi come quello accaduto a Pisa sono destinati a crescere e la risposta non è riaprire i manicomi, strutture in cui il soggetto non esiste più. Queste istituzioni non eliminano le aggressioni, perché sono ineliminabili; le violenze, semplicemente, accadevano prima che la persona entrasse negli ospedali psichiatrici o negli OPG.

Com’è possibile ridurre l’aggressività e la violenza di chi ha disturbi mentali verso gli operatori?
Io sono in un servizio, fatto di gente in carne e ossa, e vedo in faccia coloro che ci lavorano: chi entra in servizio adesso è molto meno sereno di chi arrivava 20 anni fa; ci vuole però tranquillità per curare persone che del tutto tranquille non sono.

Si può dire quindi che parte della responsabilità di questa situazione stia nella carenza di risorse che vive la salute mentale?
Ho passato parte degli ultimi tre o quattro anni della mia attività insieme agli operatori che fanno la prima accoglienza di chi arriva a chiedere aiuto: il personale si è drasticamente ridotto, può capitare che ci siano delle urgenze e che chi viene debba aspettare, oppure che qualcuno abbia appuntamento con un dottore ma gli si debba dire che il medico non c’è perché ha dovuto andare in ospedale a sostituire un collega assente. La carenza di risorse ha un impatto diretto su chi ha un disagio mentale e può essere una delle cause di reazioni di insofferenza che rischiano di sfociare in atti violenti.

Come si può intercettare chi non vuole essere curato?
Queste persone, che la clinica psichiatrica definisce «non collaboranti», sono sempre esistite. Il punto è che, come dice il professor Andrea Faggiolini, direttore della clinica universitaria di Siena, il farmaco, che sembra qualcosa di neutrale, di asettico, ha effetto e funziona a seconda di chi lo dà e di come lo dà, se si inserisce all’interno di un rapporto per cui una persona viene accompagnata nelle fasi iniziali, in cui comincia a prendere un farmaco e si accorge che qualcosa dentro di lei sta cambiando. Questo dovrebbe avvenire soprattutto all’interno di un servizio di salute mentale: bisognerebbe spiegare gli effetti delle sostanze, non fare la prescrizione e dire che il paziente deve prendere i farmaci perché lo dice il medico, a cui si deve ubbidire. Oggi, invece, si verifica proprio quest’ultima situazione, un po’ perché non ci sono risorse e personale, quindi nemmeno tempo per seguire adeguatamente chi vive un disagio psichico, e un po’ perché la cultura si sta purtroppo spostando in quella direzione.di Veronica Rossi

25 aprile, Mattarella all’Altare della Patria

da La Tecnica della Scuola

Di Pasquale Almirante

Oggi, 25 aprile 2023, in occasione del 78° Anniversario della Liberazione, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo aver reso omaggio al Monumento del Milite Ignoto all’Altare della Patria, si recherà a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves.

All’Altare della Patria Mattarella sarà accompagnato dalla premier, Giorgia Meloni, e dai presidenti di Senato e Camera, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana.

A Cuneo, il capo dello Stato deporrà una corona al Monumento della Resistenza; si recherà, quindi, al Teatro Toselli per la cerimonia commemorativa del 78° Anniversario della Liberazione.

Nel pomeriggio Mattarella si trasferirà a Borgo San Dalmazzo dove deporrà una corona d’alloro al Memoriale della deportazione e visiterà il Museo Memo4345. Ultima tappa a Boves: in Piazza d’Italia il presidente Mattarella renderà omaggio al monumento che commemora le vittime dell’eccidio di Boves.

La premier Giorgia Meloni, dopo aver partecipato alla cerimonia di deposizione di una corona d’alloro all’Altare della Patria da parte del Capo dello Stato, alle 10 sarà alla cerimonia di deposizione di una corona di alloro al Mausoleo delle Fosse Ardeatine da parte del vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in rappresentanza ufficiale del governo.

Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, parteciperà a Castelvetrano alla cerimonia di svelamento della teca contenente i resti della Quarto Savona 15, l’auto su cui viaggiava il giudice Giovanni Falcone il giorno della strage di Capaci.

Al corteo di Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, ci saranno, tra gli altri, la segretaria del Pd, Elly Schlein e il sindaco di Milano, Giuseppe Sala.


Decreto legge lavoro: maggiori tutele per gli studenti in attività di alternanza

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

Nel decreto legge in materia di lavoro che il Governo dovrebbe approvare in occasione del prossimo Consiglio dei Ministri già annunciato per il 1° maggio ci potrebbero essere alcune disposizioni in materia di alternanza scuola-lavoro.
In particolare – come riferisce l’Ansa – dovrebbero entrare nel decreto due norme per rafforzare l’assicurazione nelle scuole e le forme di sostegno alle famiglie dei giovani morti nei percorsi di alternanza scuola-lavoro.
In pratica dovrebbe essere recepita la recente intesa tra la ministra del lavoro Marina Calderone e il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara per l’ampliamento della tutela infortunistica degli studenti, anche nei percorsi formativi.

Si prevede cioè che la tutela assicurativa Inail contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali per il personale docente delle scuole sarà la stessa oggi garantita al resto dei lavoratori dipendenti, compreso l’infortunio in itinere.
Sempre secondo quanto riporta l’Ansa sarà ampliata la tutela degli studenti per tutti gli eventi che si verificano all’interno dei luoghi di istruzione o nell’ambito delle attività programmate dalle scuole o degli istituti di istruzione.
Verranno così modificate le norme attualmente in vigore che prevedono la tutela dell’Inail solamente per le attività tecnico-scientifiche nei laboratori o per le esercitazioni nelle palestre.

Il provvedimento vorrebbe essere anche una risposta alle proteste che sindacati e associazioni studentesche aveva messo in atto nei mesi scorsi anche in relazione ad alcuni gravissimi incidenti che avevano coinvolto studenti che stavano svolgendo stages formativi o attività di PCTO.

Col Pnrr banda larga in tutte le scuole italiane entro il 2025, sogno spezzato: per la Corte dei Conti Ue ci sono notevoli ritardi

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Sembra avere già toccato l’apice l’entusiasmo dei finanziamenti europei per la scuola italiana, da attuare attraverso gli importanti fondi previsti dal Pnrr: qualche giorno fa, dopo le perplessità espresse dall’opinionista del Corriere della Sera, Francesco Verderami, secondo il quale sarebbero “tanti, anzi troppi, i finanziamenti del Pnrr chiesti da Conte”, alti esponenti del Governo Meloni hanno storto la bocca. Come il ministro della Difesa Guido Crosetto (FdI), per il quale sarebbe il caso di “prendere solo i fondi che si è sicuri di spendere”. Il 24 aprile si è aggiunta una “bacchettata” più super partes: è la relazione della Corte dei Conti Ue sullo stato dell’istruzione digitale nelle scuole in Italia e altri cinque Paesi Ue.

I rilievi dei revisori Ue

Ebbene, secondo i revisori dell’Unione europea “la riforma del settore dell’istruzione volta al potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione, dagli asili nido alle università, non specifica i traguardi e gli obiettivi definiti“.

In generale, la Corte ha rilevato “scarsa chiarezza” sui risultati attesi dalle misure finanziate dal Pnrr italiano per la digitalizzazione delle scuole e “notevoli ritardi“, in alcune regioni, nell’attuazione del programma per la connettività in banda larga delle scuole italiane.

È una situazione, spiega la Corte dei Conti Ue, tutt’altro da trascurare, perchè mette “a rischio il raggiungimento dell’obiettivo di un gigabit di connessione entro il 2025 per l’intero territorio nazionale”.

Secondo i revisori, il problema è la base di partenza, a livello di on line, decisamente arretrata in cui versano i nostri istituti: tra i fattori che impediscono di ottenere migliori risultati in questo ambito – si legge nel rapporto – hanno influito la “bassa velocità di connettività e le reti inadeguate negli edifici scolastici“, che hanno “reso difficile a molte scuole di utilizzare al meglio le attrezzature finanziate dall’Ue”, come le applicazioni cloud o le piattaforme didattiche.

Eppure le “referenze” sono buone

Malgrado i rilievi dei revisori europei, il 79% delle scuole sostiene di avere una strategia formale per l’utilizzo delle tecnologie digitali a fini didattici.

Inoltre, secondo gli auditor – i funzionari incaricato di verificare e certificare la conformità del Piano rispetto ai progetti in atto – l’Italia risulta l’unico tra gli Stati analizzati a fare riferimento a un concreto piano d’azione per la digitalizzazione delle scuole per il periodo 2014-2020.

È probabile che nei prossimi giorni il nostro Governo, dopo una verifica del ministero dell’Istruzione e del Merito, produca una verifica degli appunti giunti da Bruxelles.

Oltre 20 mila plessi costruiti più di 50 anni fa

Sulle difficoltà di introduzione della banda larga nelle scuola italiane, vale la pena ricordare che complessivamente nella nostra Penisola i plessi scolastici sono oltre 40 mila. E la maggior parte sono stati costruiti almeno mezzo secolo fa.

Diverse strutture scolastiche italiane, oggi utilizzate, non risultano idonee per soddisfare esigenze e anche certificazioni relative alla sicurezza e alla tenuta delle strutture in caso di terremoto, anche nelle zone ad alto rischio sismico.

I 212 istituti scolastici innovativi

Va anche detto che, sulla base del piano del Pnrr predisposto lo scorso anno, quando a capo del dicastero bianco c’era il ministro Patrizio Bianchi, è stato deciso che gli istituti scolastici innovativi da realizzare, utilizzando i finanziamenti stanziati dall’Europa, sarebbero stati 212, con il preciso impegno di utilizzarle, una volta costruite, anche in orari non canonici: l’intervento di rinnovamento di edilizia scolastica fa parte delle sei linee di investimento per le infrastrutture scolastiche per le quali il PNRR stanzia un totale di 12,1 miliardi.

Gli istituti innovativi, secondo il progetto, si sarebbero dovuti utilizzare anche il pomeriggio: una soluzione, quest’ultima, che potrebbe sposarsi al meglio con l’intenzione espressa giusto oggi dall’attuale ministro Giuseppe Valditara di volere affidare a docenti, pagati circa 3 mila euro in più l’anno, gli studenti più a rischio abbandono a patto di svolgere corsi pomeridiani (nell’ambito del progetto che riguarda oltre 40 mila docenti tutor).

Il bando di assegnazione dei finanziamenti per la costruzione dei 212 istituti innovativi da realizzare con i fondi del Pnrr riguarda scuole “altamente sostenibili, inclusive, accessibili e capaci di garantire una didattica moderna e una piena fruibilità degli ambienti, anche attraverso il potenziamento degli impianti sportivi”.

La procedura si realizzerà attraverso l’utilizzo della piattaforma concorsi del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

La loro progettazione dovrà tenere conto delle linee guida elaborate dal gruppo di lavoro selezionato dal ministero, che ha messo insieme un raggruppamento di architetti di altissimo profilo, tra i quali figura anche Renzo Piano, come abbiamo riferito, oltre che pedagogisti ed esperti a vario titolo della scuola.

Festa della liberazione

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per il 78° anniversario della Liberazione

Cuneo, 25/04/2023 (II mandato)

“Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.

È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti, a Milano, nel 1955.

Ed è qui allora, a Cuneo, nella terra delle 34 Medaglie d’oro al Valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d’argento, delle 228 Medaglie di bronzo per la Resistenza.

La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste.

È qui che la Repubblica oggi celebra le sue radici, celebra la Festa della Liberazione.

Su queste montagne, in queste valli, ricche di virtù di patriottismo sin dal Risorgimento.

In questa terra che espresse, con Luigi Einaudi, il primo Presidente dell’Italia rinnovata nella Repubblica.

Rivolgo un saluto a tutti i presenti, ai Vice Presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri della Difesa, del Turismo e degli Affari regionali. Al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ai parlamentari presenti.

Saluto, e ringrazio per i loro interventi, il Presidente della Regione, la Sindaca di Cuneo, il Presidente della Provincia. Un saluto ai Sindaci presenti, pregandoli di trasmetterlo a tutti i loro concittadini. Un saluto e un ringraziamento al Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza.

Stamane, con le altre autorità costituzionali, ho deposto all’Altare della Patria una corona in memoria di quanti hanno perso la vita per ridare indipendenza, unità nazionale, libertà, dignità, a un Paese dilaniato dalle guerre del fascismo, diviso e occupato dal regime sanguinario del nazismo, per ricostruire sulle macerie materiali e morali della dittatura una nuova comunità.

“La guerra continua” affermò, nella piazza di Cuneo che oggi reca il suo nome, Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943.

Una dichiarazione di senso ben diverso da quella del governo Badoglio.

Continua – proseguiva Galimberti – “fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”.

Un giudizio netto e rigoroso. Uno discorso straordinario per lucidità e visione del momento. Che fa comprendere appieno valore e significato della Resistenza.

E fu coerente, salendo in montagna.

Assassinato l’anno seguente dai fascisti, è una delle prime Medaglie d’oro della nuova Italia; una medaglia assegnata alla memoria.

Il “motu proprio” del decreto luogotenenziale recita: “Arrestato, fieramente riaffermava la sua fede nella vittoria del popolo italiano contro la nefanda oppressione tedesca e fascista”; ed è datato, con grande significato, “Italia occupata, 2 dicembre 1944”.

Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri.

La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale.

Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti.

Convocò i soldati mandati a combattere al fronte e che rifiutarono di porsi sotto il comando della potenza occupante tedesca, pagando questa scelta a caro prezzo, con l’internamento in Germania e oltre 50.000 morti nei lager.

Chiamò a raccolta i giovani della generazione del viaggio attraverso il fascismo, che ne scoprivano la natura e maturavano la scelta di opporvisi. La generazione, “sbagliata” perché tradita. Giovani ai quali Concetto Marchesi, rettore dell’Ateneo di Padova si rivolse per esortarli, dopo essere stati appunto “traditi”, a “rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano”.

Fu un moto che mobilitò gli operai delle fabbriche.

Coinvolse i contadini e i montanari che, per la loro solidarietà con i partigiani combattenti, subirono le più dure rappresaglie (nel Cuneese quasi 5.000 i patrioti e oltre 4.000 i benemeriti della Resistenza riconosciuti).

Quali colpe potevano avere le popolazioni civili?

Di voler difendere le proprie vite, i propri beni? Di essere solidali con i perseguitati?

Quali quelle dei soldati? Rifiutarsi di aggiungersi ai soldati nazisti per fare violenza alla propria gente?

L’elenco delle località colpite nel Cuneese compone una dolorosa litania e suona come preghiera.

Voglio ricordarle.

Furono decorate con Medaglie d’oro, d’argento o di bronzo, o con Croci di guerra: Cuneo, l’intera Provincia, Alba, Boves, Borgo San Dalmazzo, Dronero; Clavesana, Peveragno, Cherasco, Busca, Costigliole Saluzzo, Genòla, Trinità, Venasca, Ceva, Pamparato; Mondovì, Priola, Castellino Tanaro, Garessio, Roburent, Paesana, Narzòle, Rossana, Savigliano; Barge, San Damiano Macra, Villanova Mondovì.

Alla memoria delle vittime e alle sofferenze degli abitanti la Repubblica oggi si inchina.

Questo pomeriggio mi recherò a Boves, prima città martire della Resistenza, Medaglia d’oro al Valor militare e Medaglia d’oro al Valor Civile.

Lì si scatenò quella che fu la prima strage operata dai nazisti in Italia.

Una strage che colpì la popolazione inerme e coloro che avevano tentato di evitarla: Antonio Vassallo, don Giuseppe Bernardi, ai quali è stata tributata dalla Repubblica la Medaglia d’oro al Valor civile; don Mario Ghibaudo. I due sacerdoti, recentemente proclamati beati dalla Chiesa cattolica, testimoni di fede che non vollero abbandonare il popolo loro affidato, restarono accanto alla loro gente in pericolo.

E da Boves vengono segni di un futuro ricco di speranza: la Scuola di pace fortissimamente voluta dall’Amministrazione comunale quasi quarant’anni or sono e il gemellaggio con la cittadina bavarese di Schondorf am Ammersee, luogo dove giacciono i resti del comandante del battaglione SS responsabile della feroce strage del 19 settembre 1943.

A Borgo San Dalmazzo visiterò il Memoriale della Deportazione.

Borgo San Dalmazzo, dove il binario alla stazione ferroviaria è richiamo quotidiano alla tragedia della Shoah.

Cuneo, dopo Roma e Trieste, è la terza provincia italiana per numero di deportati nei campi di sterminio in ragione dell’origine ebraica.

Accanto agli ebrei cuneesi che non riuscirono a sfuggire alla cattura, la più parte di loro era di nazionalità polacca, francese, ungherese e tedesca. Si trattava di ebrei che, dopo l’8 settembre, avevano cercato rifugio dalla Francia in Italia ma dovettero fare i conti con la Repubblica di Salò.

Profughi alla ricerca di salvezza, della vita per sé e le proprie famiglie, in fuga dalla persecuzione, dalla guerra, consegnati alla morte per il servilismo della collaborazione assicurata ai nazisti.

Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia.

A questa lotta si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente.

Si trattava di trasfondere nello Stato l’anima autentica della Nazione.

Di dare vita a una nuova Italia.

Impegno e promessa realizzate in questi 75 anni di Costituzione repubblicana. Una Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista.

Le Costituzioni nascono in momenti straordinari della vita di una comunità, sulla base dei valori che questi momenti esprimono e che ne ispirano i principi.

Le “Repubbliche” partigiane, le zone libere, nelle loro determinazioni e nel loro operare furono anticipatrici della nostra Costituzione.

È dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano consentito lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo.

Se il decreto luogotenenziale del 2 agosto 1943 – poco dopo la svolta del 25 luglio – prevedeva, non appena ve ne fossero le condizioni, l’elezione di una nuova Camera dei Deputati, per un ripristino delle istituzioni e della legalità statutaria, fu il decreto del 25 giugno 1944 – pochi giorni dopo la costituzione del primo Governo del CLN – a indicare che dopo la liberazione del territorio nazionale sarebbe stata eletta dal popolo, a suffragio universale, un’Assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova Costituzione. Per questo quel decreto viene definito la prima “Costituzione provvisoria”.

Seguirà poi il referendum, il 2 giugno 1946, con la Costituente e la scelta per la Repubblica.

La rottura del patto tra Nazione e monarchia, corresponsabile, quest’ultima, di avere consegnato l’Italia al fascismo, sottolineava l’approdo a un ordinamento nuovo.

La Costituzione sarebbe stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, stabilendo il principio della prevalenza sullo Stato della persona e delle comunità, guardando alle autonomie locali e sociali dell’Italia come a un patrimonio prezioso da preservare e sviluppare.

Una risposta fondata sulla sconfitta dei totalitarismi europei di impronta fascista e nazista per riaffermare il principio della sovranità e della dignità di ogni essere umano, sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata al servizio di uno Stato in cui l’uomo appare soltanto un ingranaggio.

Il frutto del 25 aprile è la Costituzione.

Il 25 aprile è la Festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo.

È nata così una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso agli italiani di raggiungere risultati prima inimmaginabili.

E qui a Cuneo, mentre la guerra infuriava, veniva sviluppata un’idea di Costituzione che guardava avanti.

Pionieri Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci.

Guardava a come scongiurare per il futuro i conflitti che hanno opposto gli Stati europei gli uni agli altri, per dar vita, insieme, a una Costituzione per l’Europa e a una per l’Italia. Dall’ossessione del nemico alla ricerca dell’amico, della cooperazione.

La Costituzione confederale europea si accompagnava alla proposta di una “Costituzione interna”.

Obiettivo: “liberare l’Europa dall’incubo della guerra”.

Sentiamo riecheggiare in quello che appariva allora un sogno, il testo del preambolo del Trattato sull’Unione Europea: “promuovere pace, sicurezza, progresso in Europa e nel mondo”.

Un sogno che ha saputo realizzarsi per molti aspetti in questi settant’anni. Anche se ancora manca quello di una “Costituzione per l’Europa”, nonostante i tentativi lodevoli di conseguirla.

Chiediamoci dove e come saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora!

Nel lavoro di Galimberti e Rèpaci troviamo temi, affermazioni, che sono oggi realtà della Carta costituzionale italiana, come all’art. 46: “le differenze di razza, di nazionalità e di religione non sono di ostacolo al godimento dei diritti pubblici e privati”.

Possiamo quindi dire, a buon titolo: Cuneo, città della Costituzione!

Galimberti era stato a Torino allievo di Francesco Ruffini, uno dei docenti universitari che, rifiutando il giuramento di fedeltà al fascismo, fu costretto ad abbandonare l’insegnamento.

Accanto a Galimberti e Rèpaci, altri si misurarono con la sfida di progettare il futuro.

Silvio Trentin, in esilio dal 1926, nel suo “Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia”, dettato al figlio Bruno nel 1944, era sostenitore, anch’egli, dell’anteriorità dei diritti della persona rispetto allo Stato.

E Mario Alberto Rollier, con il suo “Schema di costituzione dell’unione federale europea”. Testi, entrambi, di forte ispirazione federalista.

Si tratta, nei tre casi, di esponenti di quel Partito d’Azione di cui incisiva sarà l’influenza nel corso della Resistenza e dell’avvio della vita della Repubblica.

La crisi della monarchia e quella del fascismo apparivano ormai irreversibili, tanto da indurre un gruppo di intellettuali cattolici a riunirsi a Camaldoli, a pochi giorni dal 25 luglio 1943, con l’intento di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come “Codice di Camaldoli”, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini.

Per tornare alla “Costituzione di Duccio”, apparivano allora utopie alcune sue previsioni come quella di una “unica moneta europea”. Oggi realtà.

O quella di “un unico esercito confederale”. E il tema della difesa comune è, oggi, al centro delle preoccupazioni dell’Unione Europea, in un continente ferito dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.

Sulla scia di quei “visionari” che, nel pieno della tragedia della guerra e tra le macerie, disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà, desidero sottolineare che onorano la Resistenza, e l’Italia che da essa è nata, quanti compiono il loro dovere favorendo la coesione sociale su cui si regge la nostra comunità nazionale.

Rendono onore alla Resistenza i medici e gli operatori sanitari che ogni giorno non si risparmiano per difendere la salute di tutti. Le rendono onore le donne e gli uomini che con il loro lavoro e il loro spirito di iniziativa rendono competitiva e solida l’economia italiana.

Le rendono onore quanti non si sottraggono a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.

Il popolo del volontariato che spende parte del proprio tempo per aiutare chi ne ha bisogno.

I giovani che, nel rispetto degli altri, si impegnano per la difesa dell’ambiente.

Tutti coloro che adempiono, con coscienza, al proprio dovere pensando al futuro delle nuove generazioni rendono onore alla liberazione della Resistenza.

Signor Presidente della Regione, lei ha definito queste colline, queste montagne “geneticamente antifasciste”.

Sappiamo quanto dobbiamo al Piemonte, Regione decorata, a sua volta, con la Medaglia d’oro al merito civile

Ed è alle donne e agli uomini che hanno animato qui la battaglia per la conquista della libertà della Patria che rivolgo il mio pensiero rispettoso.

Nuto Revelli ha parlato della sua esperienza di comandante partigiano e della lotta svolta in montagna come di un vissuto di libertà: di un luogo dove era possibile assaporare il gusto della libertà prima che venisse restituita a tutto il popolo italiano.

Una terra allora non prospera, tanto da ispirargli i racconti del “mondo dei vinti”.

Una terra ricca però di valori morali.

Non c’è una famiglia che non abbia memoria di un bisnonno, di un nonno, di un congiunto, di un alpino caduto in Russia, nella sciagurata avventura voluta dal fascismo.

Non c’è famiglia che non ricordi il sacrificio della Divisione alpina “Cuneense” nella drammatica ritirata, con la Julia. Un altro esempio. Un altro monito alla dissennatezza della guerra.

Rendiamo onore alla memoria di quei caduti.

Grazie da tutta la Repubblica a Cuneo e al Cuneese, con le sue Medaglie al valore!

Come recita la lapide apposta al Municipio di questa città, nell’ottavo anniversario dell’uccisione di Galimberti, se mai avversari della libertà dovessero riaffacciarsi su queste strade troverebbero patrioti.

Come vi è scritto: “morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”.

Viva la Festa della Liberazione!

Viva l’Italia!