Scuola e patrimonio culturale, 3 milioni di euro per progetti didattici

Scuola e patrimonio culturale, 3 milioni di euro per progetti didattici
Concorso per idee e proposte su formazione dei docenti e sensibilizzazione degli studenti

Iniziative per mostrare le bellezze meno conosciute di musei, siti archeologici, istituzioni culturali e scientifiche; creazione di laboratori multimediali; testi, materiali e strumenti informativi per studenti stranieri o persone con disabilità; percorsi interattivi di comunicazione museale con schermi e tappeti tattili, plastici, tavole termoformate al servizio di tutti i tipi di pubblico; applicazioni digitali.
Il bando del Concorso nazionale “Progetti didattici nei musei, nei siti di interesse archeologico, storico e culturale o nelle istituzioni culturali e scientifiche” stanzia 3 milioni di euro per queste tipologie di progetti, finalizzati alla formazione dei docenti e al coinvolgimento dei ragazzi sul tema della fruizione consapevole e del senso di appartenenza al patrimonio culturale della Nazione.
L’iniziativa rappresenta un importante investimento di risorse economiche nel settore della conoscenza del patrimonio culturale nazionale, materiale e immateriale, in continuità con le più recenti iniziative del MIUR e del MiBACT.
La sinergia d’azione, rafforzatasi  anche a seguito del Protocollo d’intesa firmato dal Ministro Giannini e dal Ministro Franceschini, vede i due dicasteri sempre più impegnati in iniziative congiunte indirizzate a docenti e studenti per  aggiornare gli uni e formare gli altri all’esercizio del diritto di cittadinanza attraverso una pedagogia del patrimonio attiva, innovativa, concreta.
Il Concorso si rivolge agli stessi attori cui è delegato il compito di formare lo studente all’interno del sistema di istruzione nazionale: università, istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, accademie di belle arti, Accademia nazionale di arte drammatica e Accademia nazionale di danza, istituti superiori per le industrie artistiche, conservatori di musica, istituti musicali pareggiati.
A loro il bando chiede di proporre idee che, in collaborazione con il sistema dei servizi educativi  attivi nei luoghi della cultura coinvolti, favoriscano  la fruizione del patrimonio culturale, noto e meno noto, in uno straordinario ambiente educativo: il museo. Le domande di partecipazione dovranno essere presentate, secondo le istruzioni riportate nel bando, entro le ore 24 del 25 novembre 2015.
I progetti potranno riguardare anche i siti di interesse archeologico, storico e culturale e le istituzioni culturali e scientifiche dello Stato, delle Regioni, di tutti gli enti territoriali del Paese.
L’asse portante dell’iniziativa sarà la conoscenza dei siti e dei luoghi della cultura dove, anche grazie al contesto non formale, i giovani potranno esercitare i loro diritti di conoscenza e di maturazione a contatto con il patrimonio culturale.

L’INCLUSIONE: UNA QUESTIONE DI CLASSE

Mozione finale

L’INCLUSIONE: UNA QUESTIONE DI CLASSE

Al decimo convegno Erickson La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale, cinquemila persone hanno come sempre intensamente discusso, ascoltato, parlato, negoziato idee ed esperienze per una vera Qualità. Questi convegni sono ormai diventati un momento, strutturale e non episodico, di crescita collettiva di un pensiero inclusivo che è la base etica, professionale, civile del lavoro quotidiano nella scuola e nella società.

Per tradizione il Convegno si chiude sempre con una mozione che propone al Paese gli orizzonti per migliorare la Qualità.

È su questa base di partecipazione civile che quest’anno, a differenza di altre mozioni del passato, questa mozione mette a fuoco un solo aspetto, anche se cruciale, sui temi dell’inclusione legate alla contingenza del presente, nella fattispecie la legge 107/2015 “Buona Scuola” e il già noto comma 181, lettera c.

Naturalmente le questioni aperte sull’inclusione sono molte, ma il tema caldo del convegno, come era inevitabile, riguarda la formazione degli insegnanti.

I presenti al convegno offrono quindi questa mozione alla discussione politica, culturale, sociale e giuridica sul destino dell’insegnare nella scuola inclusiva.


TRE PARADIGMI DI BASE

Pedagogia, pedagogia, pedagogia. È una questione storica negativa italiana la formazione iniziale degli insegnanti quanto meno opaca sui fondamenti teorici e pratici dell’insegnare, soprattutto nella scuola secondaria. Il tema non riguarda l’inclusione, ma l’istruzione tout court di tutti gli insegnanti, per tutti gli studenti, qualsiasi sia la loro condizione. Dunque è necessario che la pedagogia diventi davvero il cuore  professionale dell’insegnare.
L’inclusione è l’eterogeneità. È giunto il tempo sociale, economico, antropologico, di considerare l’idea di scuola inclusiva come l’unica idea possibile di scuola normalmente democratica e capace di vincere le grandi sfide della modernità. Riconosciamo l’eterogeneità umana come condizione naturale delle società e delle persone in cui nessuna diagnosi o certificazione o stigma sociale risponde al riconoscimento dell’originalità e unicità di ogni singola persona, che non è una sommatoria di performance e di sintomi, ma qualcosa di più, qualcosa di diverso perché tutti siamo orgogliosamente imperfetti e tra noi diversi. L’inclusione, nell’epoca della globalizzazione è quindi tema trasversale e universale per tutti. Ciò significa considerare l’inclusione la questione centrale e non accessoria e non solo dedicata a chi per scientismo, ideologia o pregiudizio viene considerato una specie di dio minore.
Contrastare il neo darwinismo. L’epoca attuale presenta condizioni economiche e sociali, nazionali e internazionali, che rischiano nuove forme di discriminazione, di diseguaglianze che sfidano l’orizzonte democratico dei nostri sistemi educativi. Nell’evoluzione del welfare e delle politiche sociali attuali il rischio di chi non rientra nelle idolatriche categorie della perfezione competitiva, è di essere sottoposto a nuovi modelli di cura isolante. La tendenza può determinare la messa al centro del sintomo e non della persona, con la conseguenza di un assistenzialismo buonista e di una falsa inclusione.
SULL’INSEGNARE INCLUSIVO OGGI

Riconosciamo onestamente tutti i deficit di qualità di carattere organizzativo, contrattuale, collegiale, relazionale, culturale nei quali, spesso, l’inclusività viene di fatto ridotta, se non negata. Tutte le nostre mozioni di questi vent’anni ribadiscono la necessità, ad esempio, di cambiare radicalmente rotta sulla formazione iniziale, e in servizio, degli insegnanti e che il sostegno è attività della classe non una pratica a sé stante. Comprendiamo quindi bene la sofferenza di molte famiglie per un’inclusione dei propri figli in forme discontinue, opache, a volte dilettantesche. La macchinosa gestione delle risorse umane rischia burocraticamente di tutelare posti, ma non pedagogie. Alcune volte ci pare persino che un alunno con disabilità non sia un alunno in carne ed ossa, ma solo un pretesto per altro (cattedre, carriere, nomine, ecc).

Nonostante tutto, però, crediamo che al cuore dell’inclusione ci sia la classe, cioè la comunità di relazioni tra pari e tra adulti come unico luogo possibile di una inclusione non illusoria. Sta nella realizzazione della speciale normalità il pensiero lungo che ha pervaso questi venti anni di ricerca, confronto e studio tra di noi.

Riconosciamo però che è diffuso il rischio di confondere didattiche inclusive, giustamente individualizzate, con cure riabilitative, metodologismi e tecniche che esaltano il sintomo e non le persona nella comunità educativa. Noi non condanniamo a priori approcci terapeutici o riabilitativi, ne comprendiamo il significato, ma riteniamo necessario un equilibrio per evitare che il tecnicismo diventi ideologicamente assorbente dell’intero percorso educativo. Didattica, terapia, tecniche non sono sinonimi, non vanno contrapposti, ma neppure confusi. Non ci piace né la pedagogia della chiacchiera, né la tecnica come mito miracolistico. Le contraddizioni tra una confusa inclusione e i rischi di medicalizzazione vanno con coraggio affrontati anche con un dibattito epistemologico, scientifico e culturale tra tutti i professionisti che si occupano di umanità.

SEI PROPOSTE PER UN’INCLUSIONE DI CLASSE

Sulla formazione iniziale di tutti gli insegnanti c’è consenso unanime perché questa abbia una consolidata dignità pedagogica, in cui l’inclusività sia lo sfondo integratore e anche argomento elettivo di acquisizione di competenze attive per tutti gli insegnanti della scuola italiana. Deve quindi realizzarsi un curricolo universitario in cui l’inclusività sia trasversale in tutti gli insegnamenti e specifica per non meno di trenta crediti. L’inclusività riguarda tutti gli alunni e tocca la quotidianità delle didattiche per l’attenzione che dà al singolo, e insieme al valore che dà al collettivo come comunità di apprendimento. Appunto come dice il titolo di questa mozione: l’inclusione è questione di classe. La formazione universitaria degli insegnanti deve quindi essere unitaria, strutturalmente inclusiva, professionalmente qualificata soprattutto sulle didattiche (individualizzate, di gruppo, di ricerca, di cooperazione, di tecnologia interattiva), qualsiasisia l’ordine, grado, disciplina di ogni futuro insegnante.
Sulla formazione specifica di quelle professionalità cui finora abbiamo attribuito il termine “sostegno” con una vasta area di interpretazione, la discussione è stata particolarmente vivace e ha presentato posizioni diverse. Universalmente si condivide la formazione iniziale, come abbiamo appena detto, e la formazione obbligatoria in servizio, di cui parleremo più avanti.  Invecela questione della formazione al sostegno ha trovatodue posizioni diverse. La FISH ha confermato la su aproposta di una laurea ad hoc con percorsi accademici paralleli e non aggiuntivi, e ruoli separati. Va riconosciuto, però, che la grandissima parte dei presenti a questo Convegno propone invece, dopo la formazione iniziale unitaria e comune,percorsi accademici di specializzazione come arricchimento della professione docente.L’ipotesi condivisa è di titoli acquisiti sia con un intero anno accademico, sia con altri ulteriori arricchimenti. Questo modello risponde ad una visione ricca e articolata della professione docente in genere che deve avere un cuore robusto, ma articolarsi con ulteriori competenze non solamente in temi di inclusività, ma anche nelle nuove esigenze professionali della scuola. L’architettura in cui si immagina la specializzazione inclusiva è quella di prevedere figure di sistema, come arricchimento e supporto sia ai singoli casi che alla scuola nel suo insieme, adeguatamente formate e non casualmente selezionate. Questa tesi, larghissimamente condivisa, parte dall’assunto che se la formazione iniziale di tutti all’inclusione sarà effettivamente realizzata non vi sono ragioni per immaginare “specialisti collaterali” che rischiano, loro malgrado, di accentuare e non di ridurre la delega diffusa tra gli attuali docenti curriculari. Immaginiamo dunque un insegnante di sostegno prima di tutto insegnante, con una formazione aggiuntiva e solida di servizio all’inclusione per ogni singolo alunno, ogni singola classe, ogni collega. Quindi non una professione “altra”, ma più ricca, trasversale, partecipata, insomma un mestiere di rete. Una professione arricchita, sempre strutturalmente pedagogica, può dunque appartenere ad una nuova articolazione delle professioni docenti, non solo nel sostegno, che rompa la tradizionale monotonia della separazione tra cattedre e discipline.
Vanno profondamente rivisti i curricoli e i percorsi formativi di tutti gli alunni. I curricoli attuali peccano ancora di separazioni epistemologiche tradizionali e di dominio dei contenuti sulla mescolanza dei saperi, su competenze attive che favoriscano lo sviluppo dei talenti di ogni alunno. Senza pretendere per forza che tutti ottengano tutte le stesse cose, nello stesso momento e nella stessa quantità. L’autonomia didattica e curriculare della scuola va pienamente realizzata perché solo l’autonomia e la flessibilità creano una rete di comportamenti attivi e interattivi, ma capaci di creare inclusione. Abbiamo bisogno di un curricolo inclusivo non di una check list di discipline e contenuti.
Va definitivamente rotto il modello consociativo contrattuale sulla gestione delle risorse del personale. La stabilità e la continuità degli insegnantiè un valore irrinunciabile. Lo è anche perché favorisce la nascita di una comunità professionaleriflessiva, che progetta, condivide, costruisce la qualità. Il precariato, se questa volta scompare davvero, non può essere sostituito da insegnanti di ruolo volatili di anno in anno. Non c’è inclusione senza stabilità.
La stabilità obbliga anche a ripensare al significato del concetto costituzionale di libertà di insegnamento che non è per noi anarchica differenza di gusti didattistici, ma rigorosa responsabilità deontologica professionale in cui la scelta didattica libera di ogni docente, si misura con i diritti inclusivi e di autorealizzazione di ogni singolo alunno.
Formazione durante tutto l’arco della vita professionale. Non possiamo che essere lieti del ritorno della formazione obbligatoria dei docenti. Non c’è una delle nostre mozioni di questi ultimi vent’anni che non citi tale mancanza come una vergogna. Ma in tema di inclusione vorremmo porre, come cautela, una suggestione finale. Desideriamo che la formazione sia di classe, cioè diciamo no alla convegnistica predicatoria, alla vendita chiavi in mano di ricette di verità, ma soprattutto diciamo sì a: ricerca-azione, ricerca-azione, ricerca-azione. Gli insegnanti sono portatori di saperi, di teorie esplicite e implicite, il loro primo bisogno è capirsi e scoprire partendo dal proprio vitale caos, parafrasando Mancuso, per trovare ognuno il proprio logos. Se la formazione non fosse attiva, partecipata, costruttiva diventerebbe solo un mercato per nuovi seduttori. La formazione all’inclusione si fa includendo, si fapartendo dalla classe, cioè dal lavoro quotidiano. Perché l’inclusione è una questione di classe.

Lo zoccolo duro della formazione e l’iperspecializzazione

Lo zoccolo duro della formazione e l’iperspecializzazione

di Giovanni Soldini

 

L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità costituisce un punto di forza della scuola italiana, che vuole essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale. La piena inclusione degli alunni con disabilità è un obiettivo che la scuola dell’autonomia persegue attraverso una intensa e articolata progettualità, valorizzando le professionalità interne e le risorse offerte dal territorio[1].

Per migliorare la qualità dell’inclusione occorre che tutte le componenti scolastiche siano adeguatamente formate; la previsione di cui al comma 181 della L. 107 (punti 6 e 7: obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per tutti i docenti, nonché obbligo di formazione in servizio per il personale ATA[2]) va in questa direzione, e ciò è certamente positivo per quanto riguarda il personale già in servizio.

In riferimento alla formazione dei futuri nuovi docenti una riflessione va fatta circa i percorsi in essere, ritenendo che l’inserimento nei piani di studio di insegnamenti specifici inerenti l’inclusione permetterebbe di una avere una formazione di base sulle tematiche della disabilità e, in generale, dei bisogni educativi speciali comune a tutti i docenti, uno “zoccolo duro” sul quale poi costruire ulteriori percorsi di aggiornamento e formazione in servizio.

Per la scuola dell’infanzia e primaria i titoli di accesso all’insegnamento consistono nella Laurea in Scienze della formazione primaria (che è titolo abilitante all’insegnamento , ai sensi dell’art. 6, L. 169/2008), ovvero Diploma Magistrale o Diploma di Liceo Socio-Psico-Pedagogico conseguito entro l’anno scolastico 2001-2002 (titolo abilitante all’insegnamento , ai sensi del DM 10 marzo 1997).

Gli attuali piani di studio di Scienze della formazione primaria contemplano solo marginalmente insegnamenti relativi alle tematiche dell’inclusione (neuropsichiatria infantile, pedagogia clinica), per cui sarebbe auspicabile l’inserimento di congruo numero di CFU specifici (pedagogia speciale, didattica speciale, legislazione primaria e secondaria riferita all’integrazione scolastica, gli strumenti dell’integrazione:PDF, PEI, PDP, …)

Per quanto riguarda l’istruzione secondaria di I e II grado, i titoli di accesso all’insegnamento consistono nella Laurea quadriennale o quinquennale di vecchio ordinamento (DM 39/1988) ovvero di Laurea specialistica o magistrale di nuovo ordinamento (DM 22/2005), nonché Diploma di conservatorio o di Accademia di Belle Arti vecchio ordinamento, diploma Isef e Diploma di scuola superiore (per gli insegnamenti tecnico pratici). Attualmente tali titoli NON sono abilitanti, ma permettono solo l’eventuale inclusione nelle graduatorie di terza fascia di istituto.

A differenza della laurea in scienze della formazione primaria – che, lo ribadiamo, fornisce un titolo abilitante all’insegnamento – non si può pensare di inserire obbligatoriamente nei piani di studio delle altre lauree magistrali insegnamenti relativi all’inclusione scolastica: un dottore in giurisprudenza che voglia diventare avvocato, ovvero un ingegnere civile che sia interessato solo a costruire ponti e autostrade non può essere costretto a seguire corsi relativi all’inclusione scolastica.

Dunque, è nel successivo percorso abilitante (chiamasi TFA o in qualsiasi altro modo si vorrà rimodulare) che dovrà essere previsto congruo numero di CFU specifici relativi alle tematiche dell’inclusione: solo in questo modo potremo avere quello “zoccolo duro” di conoscenze e abilità (probabilmente non ancora competenze) sulle tematiche della disabilità e, in generale, dei bisogni educativi speciali, comune a tutti i docenti.

Quindi, a seguito di superamento di un concorso disciplinare specifico, si può accedere all’insegnamento; allo stato attuale delle cose, in attesa del riordino di cui al comma 181 lettera b Legge 107/2015[3], il primo anno è un anno di formazione e di prova, a conclusione del quale c’è la conferma o meno in ruolo.

E chi vuol diventare insegnante di sostegno?

Naturalmente deve specializzarsi. Sia per la scuola dell’infanzia e primaria che della scuola secondaria di primo e secondo grado attualmente è necessario frequentare un corso annuale (60 CFU)[4]

La proposta –

Con questo titolo di specializzazione si può accedere ad un concorso specifico per diventare insegnante di sostegno senza necessariamente possedere l’abilitazione in una disciplina specifica! In questa prospettiva, e solo in questa prospettiva, ha senso parlare di 4 classi di concorso specifiche per il sostegno (infanzia, primaria, secondaria di I grado e secondaria di II grado)[5] e abolizione della 4 aree disciplinari nel secondo grado.

In riferimento all’istanza delle famiglie delle persone disabili e delle loro associazioni di avere docenti sempre più specializzati, specialmente in riferimento a determinate patologie, si può ipotizzare -per i docenti di sostegno neo-assunti – l’obbligo di frequentare un corso di specializzazione di II livello o Master specifico (60 CFU) su disabilità sensoriali, autismo, ecc. L’esperienza dei corsi di specializzazione appena conclusi mostra che i pochi CFU dedicati alle disabilità sensoriali non permettono il conseguimento di adeguate competenze (che neppure i corsi biennali di specializzazione polivalente ex DPR 970/75 garantivano). Con questa specializzazione di II livello, in vece, al termine del terzo anno di contratto, ma – in alcuni casi anche dopo il secondo anno – si avrà un adeguato numero di docenti di sostegno realmente formati su specifiche disabilità. Naturalmente questo presuppone un’adeguata offerta formativa da parte del Ministero di master o corsi di specializzazione di II livello !

Quanto alla continuità didattica dell’insegnante di sostegno , sicuramente essa rappresenta un aspetto qualificante dell’integrazione, ma NON necessariamente deve essere garantita per tutto un ciclo di 5 anni o più: riuscire a garantire una continuità di 3 anni sarebbe già un bel traguardo! Inoltre bisogna considerare che non sempre questo meccanismo funziona; talvolta si instaura un rapporto quasi simbiotico tra docente di sostegno e alunno, con connotazioni più negative che positive, per cui poi è necessario effettuare cambiamenti. …Per non parlare poi del burnout…

Quale vincolo di permanenza sul sostegno? Sul tema il dibattito è piuttosto acceso in questi giorni e si nota una forte contrapposizione tra i sostenitori dell’attuale modello (che prevede il passaggio al ruolo comune/disciplina dopo 5 anni) e coloro che prefigurano un vincolo almeno decennale (in virtù della specializzazione conseguita e del ritenere il sostegno una “scelta di vita” e non una “via brevis” per entrare in ruolo sulla propria disciplina). Un punto che va considerato attentamente è il fatto che i docenti di sostegno (che- ricordiamo- sono assegnati alla classe in cui è presente un alunno disabile) maturano competenze didattico-metodologiche e valutative che possono essere ritenute un valore aggiunto nella didattica con tutta la classe. Tornando il docente ad insegnare la propria disciplina o su posto comune (per la primaria), la ricaduta su tutti gli alunni delle competenze acquisite e ulteriormente affinate durante l’insegnamento sul sostegno potrebbe essere veramente grande.

Per evitare un netta contrapposizione dei due fronti, si ritiene che – dopo il primo quinquennio obbligatorio – il docente di sostegno, laddove abilitato per posto comune (nell’infanzia e nella primaria) o su specifica classe di concorso (per secondaria di I e II grado), possa essere utilizzato part-time sulla disciplina e part-time sul sostegno; al termine di questo triennio[6] il docente (che- ribadiamo – ha vinto un regolare concorso e nel frattempo si è anche abilitato per la propria disciplina!) potrà optare per il passaggio di cattedra, ovvero permanere nel sostegno (full-time o part-time) per un successivo triennio. L’utilizzo “nelle classi comuni” di un docente che è specializzato sia sul sostegno (I livello) sia su patologie specifiche (II livello) potrà costituire veramente un valore aggiunto nella progettazione di percorsi didattici personalizzati, anche in considerazione della numerosità e eterogeneità di studenti con disturbi specifici di apprendimento e bisogni educativi speciali oggi presenti nelle nostre classi.

La presente proposta – che ha un “modulo” (non calcistico!) 2+3 (+ 3 part-time) – potrebbe essere applicabile al sostegno anche in riferimento alla previsione di Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria di cui al comma 181 lettera b, punti 2 e 3 (“contratto retribuito a tempo determinato di durata triennale di tirocinio”) – ma con alcune criticità.

 

La prima è relativa al concorso: il citato punto 2 prevede “ l’avvio di un sistema regolare di concorsi nazionali per l’assunzione, con contratto retribuito a tempo determinato di durata triennale di tirocinio, di docenti nella scuola secondaria statale. L’accesso al concorso è riservato a coloro che sono in possesso di un diploma di laurea magistrale o di un diploma accademico di secondo livello per le discipline artistiche e musicali, coerente con la classe disciplinare di concorso”.

Il successivo punto 3.1 prevede “il conseguimento, nel corso del primo anno di contratto, di un

diploma di specializzazione per l’insegnamento secondario al termine di un corso annuale[…]   destinato a completare la preparazione degli iscritti nel campo della didattica delle discipline afferenti alla classe concorsuale di appartenenza.”

Dunque si tratta di un concorso “disciplinare” e non sul sostegno; ci si chiede allora che senso abbia istituire 4 classi dei concorso per il sostegno (di cui 2 per la scuola secondaria!)

 

L’empasse potrebbe essere superato dando la possibilità ai docenti vincitori di concorso nel primo anno di contratto a TD di tirocinio di optare per una specializzazione “disciplinare” per l’insegnamento secondario nel campo della didattica delle discipline afferenti alla classe concorsuale di appartenenza ovvero per una specializzazione di I livello sul sostegno. In questo secondo caso anche per il docente specializzato nel sostegno si può prevedere “l’effettuazione, nei due anni successivi al conseguimento del diploma, di tirocini formativi e la graduale assunzione della funzione docente”.

 

Seconda criticità: come e quando far conseguire la tanto richiesta “iperspecializzazione”, ovvero una preparazione specifica sulle disabilità ai docenti di sostegno? La soluzione più adeguata è quella di chiedere ai docenti di sostegno (che hanno già maturato una specializzazione di I livello nel 1 anno di tirocinio) di frequentare appositi corsi annuali durante il secondo o terzo anno di tirocinio, così da poter giungere alla eventuale conferma in ruolo anche con una specializzazione di II livello di sostegno che potrebbe essere utilizzata su casi specifici (disabilità sensoriali, autismo, ecc.) nel successivo triennio. In questo caso il modulo necessariamente diventa 3+ 3(+3 part-time) .

 

Terza criticità: come e quando i docenti di sostegno così formati potranno tornare alla “propria” disciplina ? Se il prerequisito per un contratto a TI è il conseguimento di una abilitazione specifica, la possibilità di conseguire un diploma di specializzazione”disciplinare” per l’insegnamento secondario dovrà essere offerta nel secondo triennio. Un impegno non indifferente !

 

Quarta criticità: l’insegnante di sostegno è “scelto” dal dirigente scolastico o viene “assegnato” all’istituzione scolastica? Il comma 18 della Legge 107/2015 stabilisce che Il dirigente scolastico individua il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia, con le modalità di cui ai commi da 79 a 83”,e sappiamo che nell’organico dell’autonomia sono ricompresi sia posti comuni che di sostegno (comma 14); il comma 181 lettera b, punto 2 stabilisce che “ I vincitori sono assegnati a un’istituzione scolastica o a una rete tra istituzioni scolastiche”. Ora, senza volersi addentrare in difficili tecnicismi, si ritiene che i docenti di sostegno debbano essere assegnati alle istituzioni scolastiche, anche in funzione di una ottimizzazione delle professionalità (specializzazione sul sostegno di I o di II livello).

 

Come si può vedere ci sono ancora molti punti oscuri che meritano adeguati approfondimenti, anche dal punto di vista tecnico. Resta il principio della necessità di trovare delle soluzioni il più possibile condivise tra tutte le componenti del mondo della scuola, ed in particolare tra docenti, famiglie (e loro associazioni), sanità, senza alzare steccati o barricate, … per il bene dei “nostri ragazzi speciali”.

 

  • Dirigente tecnico – USR per le Marche

 

[1]    http://www.istruzione.it/urp/alunni_disabili.shtml

[2]  6) la previsione dell’obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico didattici e organizzativi dell’integrazione scolastica;

7) la previsione dell’obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull’assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di integrazione scolastica;

[3] Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria

[4] Una specializzazione che potremmo definire di I livello

[5] … Ma si potrebbero anche ipotizzare 2 sole classi di concorso (una per l’infanzia e primaria e una per la secondaria di I e II grado, ovvero una per il primo ciclo e una per il secondo ciclo, per favorire al massimo grado la continuità verticale – fatto salvo comunque quanto previsto dalla CM 1/88 su progetti di continuità tra i diversi cicli).

[6] e cioè ottavo anno di servizio (5+3)

Reinserimento in GaE

Reinserimento in GaE: “giuridicamente ineccepibili” le tesi patrocinate dall’ANIEF

 

Nessuna riserva al pieno accoglimento delle tesi portate avanti da anni dall’ANIEF sul pieno diritto al reinserimento dei docenti cancellati dalle Graduatorie a Esaurimento per non aver prodotto domanda di aggiornamento/permanenza. Con ben tre sentenze ottenute in due distinti tribunali, gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli, Francesca Lideo, Manuela Pirolozzi e Tiziana Sponga ottengono l’immediato reinserimento di altrettante docenti cancellate dal MIUR e la conferma che il Ministero dell’Istruzione, espellendole “a vita” dalle GaE, ha compiuto un vero e proprio illecito, violando principi costituzionali.

 

Il Tribunale del Lavoro di Pescara, infatti, concorda con le tesi patrocinate dai nostri legali e ricorda al MIUR che “il reinserimento di un docente in una posizione già precedentemente ricoperta nelle graduatorie di interesse è espressamente permesso e regolato dall’art. 1 c. 1 bis l. n° 143/2004, nella parte in cui prevede che l’interessato debba presentare domanda di permanenza o aggiornamento delle graduatorie entro un determinato termine, pena la cancellazione dalle graduatorie, con possibilità di reinserimento nella medesima graduatoria su domanda da avanzarsi nello stesso termine, nel qual caso l’interessato viene reinserito con il recupero del punteggio maturato all’atto della cancellazione” e ha anche osservato come “con sentenza n. 3658 del 14.7.2014 il Consiglio di Stato ha annullato, con riferimento ai parametri costituzionali desumibili dagli artt. 3, 4 e 97 Cost. nonché ai principi generali dell’attività amministrativa di cui alla legge n. 241 del 1990, il citato DM 42/2009 nella parte in cui non ha previsto l’obbligo per gli Uffici Scolastici Provinciali di comunicare ai docenti già iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, e che hanno omesso di presentare la domanda di esservi confermati, gli effetti della legge n. 143/2004, avvertendoli dell’onere di presentare detta domanda di conferma entro un termine prefissato, pena la cancellazione da quest’ultima.

 

Il Tribunale di Rimini rincara la dose e, nella sentenza di pieno accoglimento, rileva “come le ragioni della ricorrente siano state recepite dal Giudice Amministrativo che con motivazioni giuridicamente ineccepibili ha ritenuta l’illegittimità sotto vari profili del D.M. 42\09”, richiamando gli stessi precedenti già citati, dunque, il Giudice chiarisce che “Il riferimento alla legge n. 296/2006, con la quale è stata disposta la riconfigurazione delle graduatorie provinciali da graduatorie permanenti (aperte) a graduatorie ad esaurimento (chiuse), risulta opportuno consentendo de futuro la possibilità di disporre i precitati accertamenti biennali, esulando dalla norma ogni e qualsiasi intento di prefigurare l’esclusione dalle medesime quale conseguenza dell’omissione della presentazione della domanda di aggiornamento/conferma del punteggio. Non può peraltro non osservarsi che un siffatto esito sarebbe contraddittorio, e non privo di elementi di prevaricazione per le legittime aspettative giuridiche degli interessati, perché l’avere blindato le graduatorie, nella prospettiva del loro esaurimento, non può giustificare, apparendo anzi sommamente ingiusto, la cancellazione definitiva dalle medesime per effetto di una omissione non consapevole perché non debitamente partecipata”.

 

La soccombenza in tribunale contro le ragioni sostenute con grande professionalità e competenza dai legali ANIEF, è costata al MIUR non solo l’obbligo di immediato reinserimento delle nostre iscritte nelle Graduatorie d’interesse, ma anche la condanna al pagamento delle spese di lite, quantificate in un totale che supera i 10.000 Euro.

Giustizia climatica per tutti!

Continua l’impegno dell’AIIG per l’educazione geografica al territorio e all’ambiente: partnership con la “Coalizione Italiana per il Clima”.

Giustizia climatica per tutti!

 

Domenica 29 novembre a Roma, in contemporanea con tante altre città del mondo e in concomitanza con la Conferenza dell’ONU sul Clima di Parigi (30 novembre – 11 dicembre 2015), è in programma una grande marcia pacifica e un concerto della Coalizione Italiana “Parigi 2015: mobilitiamoci per il clima”, promossa da oltre 130 organizzazioni nazionali e locali della società civile, che con storie, culture, obiettivi, ragioni sociali e motivazioni diverse, si impegnano a declinare, nei propri ambiti di attività e nelle proprie iniziative, le azioni coerenti necessarie per contrastare i cambiamenti climatici. La partenza della marcia è fissata alle ore 14 da Piazza Farnese, con arrivo e concerto finale in Via dei Fori Imperiali.

L’AIIG, da sempre impegnata nell’educazione e formazione ambientale, ha aderito con entusiasmo ai valori espressi dalla Coalizione Italiana per il Clima per richiedere una giustizia climatica per tutto il mondo, da perseguire attraverso un accordo vincolante per la riduzione dei gas serra e per rafforzare i territori più vulnerabili, che garantisca la tutela del pianeta dall’innalzamento della temperatura globale a cui stiamo assistendo inermi da parecchi anni e conduca a limitare il riscaldamento globale legato alle attività umane ben al di sotto di 2 °C (possibilmente 1,5 °C), accelerando la transizione verso la decarbonizzazione e lo sviluppo sostenibile.

Il 29 Novembre è una data importante nella battaglia contro i cambiamenti climatici. Per le associazioni aderenti alla Coalizione Italiana per il Clima, “l’accordo di Parigi deve costituire un impegno per il mondo ad agire insieme, agire in fretta, agire in modo efficace. Il rispetto per la sovranità nazionale non deve limitare le ambizioni collettive, al contrario deve dare a ogni Paese maggiori responsabilità nel vincere una sfida dalla quale dipende la sopravvivenza del Pianeta come lo conosciamo e della stessa civilizzazione umana. L’accordo di Parigi va ancorato alle indicazioni della Comunità scientifica e, quindi, alla necessità di iniziare da subito una traiettoria di rapido declino delle emissioni di gas serra, a cominciare dalla CO2”.

INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA PER LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLO STUDENTE

RETE STUDENTI E UDU: INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA PER LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLO STUDENTE / ANCORA SCOSSI PER I FATTI DI PARIGI RIBADIAMO CHE L’ISTRUZIONE E’ UN MEZZO FONDAMENTALE DI L’INTEGRAZIONE

A pochi giorni di distanza dai terribili attacchi terroristici che hanno colpito Parigi, gli studenti italiani ed europei si mobilitano per la giornata internazionale per il diritto allo studio, il 17 novembre. L’OBESSU e l’ESU, i sindacati europei degli studenti medi ed universitari, ad ottobre avevano lanciato un appello internazionale per ribadire l’importanza della libertà di movimento e di istruzione a livello europeo, come unico strumento per ottenere una vera società di integrazione e diritti.

Dichiara Alberto Irone, portavoce nazionale Rete Studenti Medi: “Dopo i fatti di Parigi dei giorni scorsi crediamo sia necessario ripetere con ancora più forza che l’unico strumento per creare una vera società europea fondata sull’integrazione e sulla pace è garantire il diritto all’istruzione e facilitare il libero movimento delle persone. ‘Free to move, free to learn’ questo è il nome della campagna che stiamo portando avanti nelle nostre scuole e nelle nostre università”.

Prosegue Jacopo Dionisio, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari: “Domani saremo presenti nelle città, nelle scuole e nelle università con numerose iniziative ed attività, per rivendicare che un’istruzione realmente accessibile a tutti, indipendentemente dalle origini geografiche o sociali, è necessaria. Un diritto allo studio quasi del tutto inesistente, le spese altissime sostenute da studenti e famiglie, il consolidarsi delle disuguaglianze nella possibilità di accesso ai gradi più elevati dell’istruzione, sono barriere che devono essere abbattute. L’istruzione è un diritto universale e il primo strumento d’integrazione possibile. Per questo c’è bisogno di un paese che faccia dell’uguaglianza la sua parola d’ordine e ci renda veramente liberi di studiare”.

La lista delle iniziative

Friuli Venezia Giulia

Pordenone: Assemblee tematiche- Istruzione come mezzo di abbattimento delle diseguaglianze in Europa – Dibattito su Parigi e terrorismo

Trentino Alto Adige

Trento: flash mob

Veneto

Castelfranco: Assemblea pubblica

Conegliano: flash mob e assemblea tematica

Venezia: flash mob e assemblee tematiche nelle scuole e università- assemblea con azioni simboliche in Teatro

Vicenza: presidi informativi e iniziative simboliche

Verona: flash mob nelle piazze

Rovigo: flash mob e azioni dimostrative nelle scuole

Mirano: flashmob nelle scuole, consegna giornalino studentesco “ Il mancino” agli studenti, minuto di silenzio all’intervallo in tutte le scuole

Feltre: distribuzione giornalino studentesco “Il mancino”

Padova: assemblee mattutine nelle scuole, flash mob più assemblea pomeridiana in Prato della Valle

Treviso: azioni simboliche nelle scuole

Marche

Ancona: flash mob sul tema del diritto allo studio

Macerata, piazza Cesare Battisti ore 15:30, lezione in piazza

San Benedetto: iniziative simboliche

Emilia Romagna

Flash mob nelle scuole di tutta la regione

Cesena: Assemblea tematica sul diritto allo studio al Liceo Augusto Righi

Modena: Cineforum- proiezione del film Diaz

Parma: assemblea studentesca sulle condizioni materiali degli universitari

Sardegna
Cagliari: assemblea e aperitivo con associazioni cittadine, ore 18:00, sede Unica 2.0:

Sassari: manifestazione, ore 9 Piazza Emiciclo:

Sicilia
Piazze Tematiche
Palermo
Ore 9.00
Piazza Sant’Anna

Siracusa
Ore 9.00
Antico Mercato

Caltanissetta
Ore 9.00
Piazza Falcone Borsellino

Vittoria
Ore 9.30
Piazza del Popolo

Trapani
Ore 9.30
Piazza e mercato del pesce

Toscana
– Pisa: lanceranno la raccolta vestiti nelle scuole, assemblee con migranti in 3 scuole, pranzo sociale in una Scuola e assemblea sulla libertà di studiare, proiezione gratuita del film “Fino a qui tutto Bene” alle 22.30 Al cinema Arsenale congiunta con l’udu
-Firenze: raccolta di vestiti nelle scuole, attacchinaggio di poesie su migranti, flash mob rete e Udu sul ponte delle grazie alle 15.30
– Sesto fiorentino: raccolta vestiti e poesie
– Prato: raccolta vestiti e poesie
– Livorno: raccolta vestiti nelle scuole e sit-in/assemblea in piazza alle 14.30 in piazza della Repubblica
– Grosseto: raccolta vestiti e poesie nelle scuole, volantinaggio e assemblea in una Scuola- vertenza territoriale sul contributo volontario

Umbria
Mattina: assemblee d’istituto tematiche

Porte aperte nei musei ad alunni e docenti: i progetti entro il 25 novembre

da Il Sole 24 Ore

Porte aperte nei musei ad alunni e docenti: i progetti entro il 25 novembre

di Eu. B.

Ci sono voluti un paio d’anni ma la collaborazione attiva (e fattiva) tra le scuole e i musei sta per diventare finalmente realtà. Il ministero dell’Istruzione ha emanato il bando che apre le porte dei siti archeologici o museali ai docenti e agli studenti, dando attuazione al decreto Carrozza dell’ottobre 2013 (su cui si veda anche Scuola24 del 12 febbraio ). I progetti dovranno riguardare l’elaborazione di guide, pannelli illustrativi o laboratori e andranno presentati entro il 25 novembre. Oltre alle scuole potranno partecipare anche le università, i conservatori, le accademie di belle arti eccetera. A disposizioni ci sono 3 milioni di euro.

I soggetti coinvolti
Ogni museo o bene storico-artistico potrà essere coinvolto in un solo progetto. I soggetti interessati sono le scuole di ogni ordine e grado (anche in rete), le università, i conservatori, le accademie di belle arti, l’Accademia nazionale di arte drammatica, gli Lsia, l’Accademia nazionale di danza e gli istituti musicali pareggiati.

I progetti ammissibili
I progetti presentabili si dividono in cinque tipologie. Ognuna con un proprio limite massimo di finanziamento ammissibile rispetto al plafond complessivo di 3 milioni di euro. La prima tipologia riguarderà l’organizzazione di mostre per la diffusione di collezioni permanenti.A  disposizione ci saranno 400mila e ogni progetto potrà ottenerne al massimo 100mila. Lo stesso tetto varrà per la tipologia B che avrà a disposizione un milione di euro e che riguarderà la creazione di aree dedicate alle attività didattiche o a laboratori multimediali. Il vero gruppo di progetti interesserà invece le guide o audioguide destinate a studenti stranieri o con disabilità. In questo caso il plafond sarà di 500mila euro (50mila per ogni progetto). Quarta tipologia interessata sarà quella dei percorsi itnerattivi che si divideranno 600mila euro (con un massimo di 60mila per ognuno). Gli ultimi 500mila euro (con un tetto di 50mila euro pro capite) a disposizione andaranno invece ai libri, agli e-book e ai processi di digitalizzazione che verranno messi in campo.

Le scadenze
I progetti andranno presentati entro la mezzanotte del 25 novembre alla seguente mail: legge104.articolo5@istruzione.it. utilizzando l’apposito modulo. Parte integrante della scheda di progetto sarà la proposta di budget. A pena di nullità andranno allegati anche l’assenso esplicito del responsabile dell’istituzione partner e la dichiarazione che non ci sarà alcun onere a carico dei musei o degli altri luoghi interessati.

Generazione Erasmus. Adesso l’Europa ci piace sempre di più

da La Stampa

Generazione Erasmus. Adesso l’Europa ci piace sempre di più

Ed è boom di stranieri che studiano in Italia
federico taddia

«Voglia di mettersi in gioco, conoscenza di realtà diverse e desiderio di migliorare la lingua: con la consapevolezza, supportata dai dati, che un’esperienza come questa offre maggiori opportunità di trovare un lavoro in tempi brevi e di essere inquadrati ad un livello medio alto». Eccole le motivazioni della «Generazione Erasmus», secondo Flaminio Galli, direttore dell’Agenzia nazionale Erasmus+ presso l’Istituto nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa.

Il programma, nato nel 1987 e che fino ad oggi ha visto in Europa partire tre milioni e mezzo di studenti, piace sempre di più anche agli universitari italiani. Sono 24.214, secondo i dati appena comunicati, quelli che quest’anno faranno le valigie per studiare in un ateneo straniero, oltre a 2970 docenti coinvolti in progetti di mobilità. «Inizialmente non erano molte le università che davano l’opportunità di andare in Erasmus e c’era un diffuso scetticismo da parte dei professori nel riconoscere e validare i corsi frequentati all’estero – spiega Galli -. Oggi invece è completamente diverso: il nostro Paese ha contribuito per il 10% al numero complessivo di studenti e si è affermato come una delle nazioni che attraggono maggiormente».

Spagna, Germania, Francia e Regno Unito sono le mete preferite da chi vuole studiare oltre confine, mentre sono oltre 20mila gli iscritti a facoltà europee che scelgono di seguire parte dei corsi in Italia. Un valore aggiunto irrinunciabile, che porta lustro, riconoscibilità e qualità a tutto il sistema. «Le università che accolgono gli studenti Erasmus hanno una grande risorsa che pone delle sfide impegnative – aggiunge Galli -. Insegnare ad un gruppo internazionale spinge i docenti ad aggiornarsi, a rendere i propri corsi più attraenti, innovativi e multilingue».

Tra i numeri in forte aumento anche i partecipanti all’Erasmus Placement: oltre 5 mila laureandi che avranno la possibilità di fare un tirocinio presso un’impresa europea. Mentre in 458 si sono candidati per partire verso un Paese extraeuropeo: l’area del mondo più richiesta è stata in assoluto l’America Latina. «Farsi un’idea anche del Paese di destinazione, della sua cultura, delle usanze e poi partire, cercando di lasciare a casa i pregiudizi: è questo il modo giusto per affrontare l’Erasmus – consiglia Galli -. Oltre, ovviamente, ad avere un piano di studi chiaro, sapere quali corsi si andranno a frequentare e conoscere i dettagli logistici rispetto all’accoglienza e all’alloggio».

Poco più di 150 mila euro, infine, saranno destinati, nell’anno 2015-2016, per fondi a sostegno delle persone con esigenze speciali: una cinquantina di studenti con varie forme di disabilità che riusciranno comunque a partecipare all’Erasmus. «Se potessi, partirei domani – conclude Galli -. E’ una straordinaria occasione di crescita e di maturazione. E andrei a Parigi, dove c’è stato un attacco con l’obiettivo preciso di portare paura, chiusura, paralisi. Ma questo non accadrà e sono orgoglioso di far parte della famiglia dell’Erasmus che favorisce l’apertura e la contaminazione delle persone, la scoperta della bellezza e della diversità. Continuiamo a pensarla così, non abbiamo paura».

Bonus 500 euro, nella “lista nera” pennette Usb, canoni e viaggi culturali

da La Tecnica della Scuola

Bonus 500 euro, nella “lista nera” pennette Usb, canoni e viaggi culturali

Con le Faq ministeriali su come spendere i 500 euro delle Carta del docente, emessi già busta paga, arriva pure l’elenco di ciò che non si può acquistare.

Per quanto riguarda il versante tecnologico, da Viale Trastevere è a giunto il pollice verso per toner, stampanti, pennette Usb, videocamere, pagamento del canone Rai o per la Pay Tv. E nemmeno i costi di connessione per la linea Adsl, perché non hanno nulla a che fare con il “software destinato alle specifiche esigenze formative di un docente”.

Niente da fare neppure per gli ambiti smartphone, che molti docenti avrebbero invece preferito acquistare per poterne usufruire anche in chiave professionale grazie alle tanti funzioni e all’alta versatilità che ormai detengono questi strumenti. Il motivo, a detta del Miur, è semplice: sono tutti dispositivi che “hanno come principale finalità le comunicazioni elettroniche” e non quella formativa.

Nella lista “nera” figurano pure i corso di studio, che seppure svolti presso gli enti formativi accreditati dal Miur, non vengono rimborsati perché non riguardanti specificamente la formazione o il profilo professionale relativo al proprio insegnamento. Un docente di italiano, per intenderci, non potrà frequentare un corso di Matematica avanzata.

Naturalmente, non saranno considerati rimborsabili dai revisori dei conti nemmeno tutti i corsi attinenti alla propria disciplina non compresi nella lista degli enti che hanno avuto il via libera da parte del dicastero di Viale Trastevere. Stesso discorso per coloro che intendono approfondire una lingua non italiana: saranno costretti a rivolgersi agli “Enti certificatori delle competenze in lingua straniera”.

Doccia fredda per i docenti che sognavano di utilizzare la card annuale, quest’anno trasformata in bonus, per l’acquisto di titoli di viaggio per la partecipazione a eventi o per viaggi culturali: il ministero dell’Istruzione ha detto che non sono rimborsabili biglietti di treni, aerei o navi sia pure per partecipare a eventi culturali.

Come non si possono realizzare spese dirette per seguire quelle sperimentazioni didattiche autonome che non rientrano nell’organizzazione delle “attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione”.

Diniego sicuro, infine, laddove a fine anno il docente di ruolo presenti alla propria segreterie ricevute relative a un corso di formazione organizzato nelle scuole che non sia coerente “con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione”.

Diplomati magistrali, per il Consiglio di Stato vanno inseriti nelle GaE e pure assunti

da La Tecnica della Scuola

Diplomati magistrali, per il Consiglio di Stato vanno inseriti nelle GaE e pure assunti

I diplomati magistrali che hanno fatto ricorso non solo vanno inseriti nelle GaE, ma devono anche avere la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato e indeterminato.

A disporlo è stato il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso presentato da due associazioni, Adida e la Voce dei Giusti, rappresentate dagli avvocati Michele Bonetti, Santi Delia e Umberto Cantelli, che in un comunicato rendono nota la decisione dei giudici amministrativi.

La decisione del Consiglio di Stato stabilisce che “l’Amministrazione è tenuta a stipulare con gli appellanti contratti a tempo determinato nonché contratti a tempo indeterminato limitatamente ai posti eventualmente ancora disponibili in esito alle operazioni del predetto piano straordinario” di assunzioni. Inoltre il provvedimento prosegue tutelando tutti i ricorrenti non solo in questa fase, ma anche per il futuro affermando che “piena tutela ai ricorrenti, peraltro, sarà somministrata dall’anno scolastico successivo in poi”.

A proposito della fase “0” (la prima prevista dalla Legge 107/15), il Collegio ha ritenuto di non stravolgere le assegnazioni già fatte, in quanto ciò avrebbe potuto comportare problematiche peculiari per soggetti, estranei al ricorso, assegnatari di ruoli. In ogni caso i ricorrenti dovranno essere immediatamente destinatari di contratti ove vi siano posti disponibili.

Ricordiamo, che nei giorni scorsi era stato bocciato un emendamento alla Legge di Stabilità che prevedeva proprio l’ingresso nelle GaE da parte dei diplomati magistrali fino all’anno scolastico 2001/02.

Niente smartphone con il bonus docenti: le faq del Miur

da La Tecnica della Scuola

Niente smartphone con il bonus docenti: le faq del Miur

Il Ministero ha pubblicato una serie di domande e risposte su come i docenti potranno utilizzare i 500 euro per la formazione.

Innanzitutto, la Direzione generale per il personale scolastico spiega che l’acquisto di libri, pubblicazioni e riviste, anche in formato digitale, non deve essere necessariamente attinente alla disciplina insegnata, quindi, secondo quanto dice il Miur, un docente di matematica può fare rientrare anche un romanzo tra le pese ammissibili.

Per quanto riguarda, invece, gli hardware, i personal computer, i computer portatili o notebook, i computer palmari, i tablet rientrano nella categoria degli strumenti informatici che sostengono la formazione continua dei docenti. Al contrario, altri dispositivi elettronici che hanno come principale finalità le comunicazioni elettroniche, come ad esempio gli smartphone, non sono da considerarsi prevalentemente funzionali ai fini promossi dalla Carta del Docente, come non vi rientrano le componenti parziali dei dispositivi elettronici, come toner, cartucce, stampanti, pennette USB e videocamere.

Tra i software rientrano tutti i programmi e le applicazioni destinati alle specifiche esigenze formative di un docente, come ad esempio programmi che permettono di consultare enciclopedie, vocabolari, repertori culturali o di progettare modelli matematici o di realizzare disegni tecnici, di videoscrittura e di calcolo (strumenti di office automation).

Per quanto concerne i corsi di formazione, il Miur rimanda all’elenco degli enti accreditati per la formazione del personale docente, consultabile sul sito internet del MIUR al link http://archivio.pubblica.istruzione.it/dg_pers_scolastico/enti_accreditati.shtml

Sempre nell’ambito della formazione, con la Carta del Docente si può seguire un corso on line, se svolto da università, consorzi universitari e interuniversitari, Indire, Istituti pubblici di ricerca o altri enti accreditati dal Miur; si possono seguire ogni tipologia di corso organizzato da Università o da Consorzi universitari e interuniversitari (corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, corsi post lauream o master), come anche un corso destinato specificamente alla formazione degli insegnanti, purché inerente al proprio profilo professionale; o anche per un corso per lo studio di una lingua straniera all’estero, purché il corso venga erogato da uno dei soggetti di per sé qualificati per la formazione nella scuola, ovvero dagli “Enti culturali rappresentanti i Paesi membri dell’Unione Europea, le cui lingue siano incluse nei curricoli scolastici italiani”. Allo stesso modo è possibile sostenere l’esame di certificazione di una lingua straniera, a condizione che l’esame sia promosso da uno degli Enti certificatori delle competenze in lingua straniera del personale scolastico, che è possibile consultare al link http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/dg-personale-scolastico/enti-certificatorilingue-straniere. Con la Carta del Docente si può anche seguire un corso di formazione organizzato dalla propria o da altre scuole, purché coerente “con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione” (legge 107/2015, art. 1, comma 121).

Il bonus può anche essere utilizzato per rappresentazioni cinematografiche, ingressi ai musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, i quali non devono essere necessariamente attinenti alla disciplina insegnata. Pertanto, ad esempio, un docente di italiano può utilizzare il bonus per visitare un museo scientifico.

Non è invece possibile utilizzare il bonus per l’acquisto di titoli di viaggio per la partecipazione a eventi o per viaggi culturali.

E se il docente volesse spendere parte del bonus per attrezzature per la scuola? Può farlo, perché è ammesso anche l’impiego diretto del bonus o di parte di esso per la sperimentazione didattica. Quindi il docente, se vuole, può contribuire con una parte o con l’intero bonus della Carta del Docente all’acquisto di una LIM, o anche di esempio libri, riviste o materiale didattico per la biblioteca scolastica.

Così come può realizzare un corso insieme ad altri docenti esterno al piano di formazione della scuola, perché l’importante è la valorizzazione della formazione professionale del docente, non solo in rapporto al piano dell’offerta formativa della singola scuola, ma anche in riferimento a competenze disciplinari e trasversali, scelte educative e metodologie laboratoriali, non riconducibili a una sola e specifica professionalità.

 

Differenze sociali e istruzione: le parole e il caos

da La Tecnica della Scuola

Differenze sociali e istruzione: le parole e il caos

“Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1.000. Per questo lui è il padrone”: lo sosteneva don Lorenzo Milani sessant’anni fa a Barbiana

Contano anche oggi 900 parole in più conosciute dal padrone rispetto all’operaio?

Lavoce.info pone il sottile quesito di fonte ad un mondo apparentemente cambiato, ma le 900 parole che separavano l’operaio dal padrone sono ancora quelle che fanno la differenza tra un lavoro mal pagato e uno migliore.

Gabriele Borg scrive su lavoce.info: “negli Stati Uniti il reddito in termini reali di coloro che hanno un titolo di studio superiore al diploma è cresciuto del 90 per cento negli ultimi cinquanta anni, mentre per chi non ha completato le high school è diminuito del 10 per cento”. Per l’Italia stessa storia. Lo dice anche l’Istat nel 2013: “Il reddito familiare cresce anche all’aumentare del livello di istruzione del principale percettore: le famiglie di laureati percepiscono mediamente quasi 38mila euro, cifra più che doppia rispetto a quella delle famiglie con principale percettore con basso o nessun titolo di studio (16.637 euro)”.

Ma non c’è solo il reddito, le 900 parole sono servono anche per essere più consapevoli dei propri diritti, per capire se un amministratore racconta fuffa, per difendersi da bufale e ciarlatani o per fare scelte migliori in tema di salute, alimentazione e stili di vita.

E allora? Allora studiare fa vivere meglio, noi e gli altri. Stando ancora ai dati Istat nel 2013 la quota di italiani con età tra i 25 e i 64 anni che hanno un diploma superiore era del 58,2 per cento, più di 15 punti percentuali in meno della media europea (pari al 74,9 per cento). E per i laureati il divario è ancor maggiore: 22,4 per cento in Italia, contro il 40 per cento europeo.

Se anziché di titolo di studio parliamo di competenze, le cose non vanno meglio. Scrive l’Ocse che l’Italia è l’ultima tra ventitré nazioni per competenze “letterarie” (abilità nel leggere e scrivere), sia nella fascia d’età tra i 16 e i 29 anni che in quella tra i 30 e i 54.

In tema di istruzione permangono poi, scrive lavoce.info, marcate differenze sociali. Quelle 900 parole sono ancora lì a differenziare le classi sociali e dicono che i ragazzi figli di genitori con titoli di studio più elevati abbandonano gli studi assai meno rispetto ai figli di chi ha frequentato solo la scuola dell’obbligo: il tasso di abbandono scolastico è infatti del 2,7 per cento per i figli dei laureati e del 27,3 per cento per i figli di chi ha la scuola dell’obbligo.

E ciò è vero anche in termini di mobilità verso l’alto. In media, nei paesi del rapporto Ocse un giovane tra i 20 e i 34 anni i cui genitori hanno un diploma di scuola media superiore ha una probabilità doppia di ottenere una laurea rispetto a chi ha i genitori che hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. Se i genitori sono laureati la probabilità diventa 4,5 volte maggiore. In Italia il divario diventa ancor più grande: i figli dei laureati hanno una probabilità ben 9,5 volte maggiore.

C’è allora, di fronte a questi dati, molto da fare. Il metro con cui misurare la buona scuola è anche quello della capacità di accogliere e di raggiungere chi è più distante, di offrire a tutti le stesse condizioni di partenza, di mettere in atto fino in fondo l’articolo 34 della Costituzione

Una scuola che non divida, ma sia invece strumento principe di promozione sociale e di integrazione, come racconta l’esempio tedesco dove Angela Merkel ha indicato l’insegnamento del tedesco tra le priorità delle azioni a favore dei rifugiati in Germania.

Sarebbe ora che l’istruzione diventasse argomento quotidiano e forte per governo e opposizione, un terreno di confronto e di azione continua: con le riforme, certo, con strumenti che incentivino la mobilità educativa tra generazioni e raggiungano e convincano chi a scuola non ci va o fa fatica a continuare. Con piccoli, ma importanti segnali, come mettere a disposizione nelle scuole la carta igienica o quella per le fotocopie. E soprattutto, promuovendo nei fatti e con l’esempio un nuovo patto sociale che riporti dignità e valore alle scuole, a chi ci lavora e a chi ci va.

Chi legge a scuola i 3 libri più influenti del mondo?

da La Tecnica della Scuola

Chi legge a scuola i 3 libri più influenti del mondo?

Un sondaggio online ha consentito di redigere quali sono i tre libri “accademici” più influenti della storia.

La classifica, secondo le agenzie di stampa, vede, come vincitore, L’origine delle specie, di Charles Darwin, che supera di qualche misura Il Manifesto del Partito Comunista, di Karl Marx e Friedrich Engels e, al terzo posto, Le opere complete di William Shakespeare.

Tuttavia ci sarebbe pure da dire che questa terza posizione, cioè la presenza delle opere complete di Shakespeare, fa capire che la classifica è stata stabilita da lettori di cultura anglosassone;  inoltre i titoli su cui scegliere sono stati selezionati da un gruppo di librai, bibliotecari ed editori, e chi si è espresso era, in larga parte, inglese e comunque di cultura inglese.

Ma le contraddizioni non sono solo queste, infatti subito sotto si incontra La Repubblica di Platone e la Critica della ragion pura, di Immanuel Kant. Di Dante Alighieri, per esempio, nemmeno l’ombra.

Rinnovo del Ccnl, i sindacati presentano piattaforma

da tuttoscuola.com

Rinnovo del Ccnl, i sindacati presentano piattaforma

Portando a sintesi i contributi emersi nei tanti momenti di confronto fra le organizzazioni e con i lavoratori, all’interno di un percorso di mobilitazione da tempo avviato e che li vede oggi impegnati con precisi obiettivi e scadenze, a partire dalla manifestazione del 28 novembre, i sindacati hanno definito un documento che traccia le linee comuni di orientamento per la costruzione di una piattaforma per il rinnovo del Ccnl che insieme stanno rivendicando“. Lo sottolineano i sindacati Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal presentando le loro linee rivendicative comuni per rinnovare il Contratto della Scuola.

Il documento viene proposto come traccia di riferimento per il dibattito che ciascuna sigla svilupperà al suo interno e per i momenti di attivo coinvolgimento della categoria con percorsi, modalità e strumenti che potranno essere ad ogni livello unitariamente individuati“, aggiungono.

I contenuti proposti sono in linea con gli obiettivi più volte al centro delle iniziative assunte unitariamente rispetto soprattutto alle tante criticità della legge 107, in particolare per quanto riguarda le materie che si punta a recuperare pienamente e legittimamente all’ambito della disciplina contrattuale – spiegano i sindacati Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal – I sindacati della scuola, ribadendo la centralità del negoziato come strumento, costituzionalmente previsto, di innovazione e miglioramento del servizio scolastico oltre che di tutela del lavoro, collocano le loro rivendicazioni in una dimensione europea“.

Pur coi necessari adeguamenti alla situazione nazionale, propongono più Europa, in materia di retribuzione, orario, valutazione, carriera – continuano – Le linee di orientamento comuni per il Contratto, presentate dai Sindacati Scuola, esprimono quanto il movimento unitario ha posto all’attenzione di tutti in questi ultimi mesi e affrontano la questione scuola come questione nazionale, vero fulcro per la crescita civile culturale economica del Paese, che né la società civile né la società politica possono più eludere. Tali linee saranno oggetto da subito di una campagna diffusa e capillare di confronto con i lavoratori ai fini di condividerne e approfondirne i contenuti“.

Per ragioni legate alle specifiche modalità previste dal suo Statuto in materia di elaborazione delle piattaforme contrattuali, Gilda Unams non compare tra le sigle che sottoscrivono il documento, pur confermando il pieno coinvolgimento nelle azioni di mobilitazione con le stesse condivise“, conclude.

Quando la scuola è ostaggio di qualcuno

da tuttoscuola.com

Quando la scuola è ostaggio di qualcuno

C’è quasi sempre qualche episodio strano o anomalo in occasione degli scioperi nella scuola.

Venerdì scorso c’è stata l’astensione dal lavoro proclamato dai sindacati non rappresentativi con la partecipazione degli studenti che, stando alle cronache, hanno avuto un ruolo non secondario nelle manifestazioni, come è successo a Napoli.

Proprio gli studenti di un liceo fiorentino sono stati protagonisti di un fatto, a dir poco, sconcertante. Secondo quanto riferito da agenzie di stampa, venerdì mattina la preside e il personale amministrativo dell’istituto occupato dai ragazzi sono stati lasciati fuori dall’istituto.

Mi era stato detto che sarei potuta entrare insieme ai custodi e al personale amministrativo, ma non è stato così”, ha raccontato la dirigente. “I ragazzi hanno detto che non c’era il loro responsabile e che in sua assenza non potevano prendere decisioni”. Quanto all’ipotesi di inviare una formale richiesta di sgombero alla questura, la preside ha spiegato che “il momento non è opportuno”.

Altro che preside sceriffo!

Ben altro atteggiamento quello tenuto da una preside di Roma, da quest’anno in reggenza in un grande istituto comprensivo della capitale.

Dopo aver scoperto che, come avviene ormai da anni in occasione di scioperi, la collaboratrice scolastica incaricata dell’apertura mattutina della scuola, si tiene le chiavi in tasca e se ne va, lasciando tutti gli alunni e gli insegnanti fuori dalla scuola costringendoli quindi a tornarsene a casa, con un ordine di servizio la dirigente ha incaricato l’insegnante coordinatore di aprire la scuola.

È stato così scongiurato un effetto ultrattivo dello sciopero della bidella e le lezioni si sono potute svolgere regolarmente. Quanti casi simili ci sono in Italia?