Solidarietà alquanto singolari al ministro

DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf.

Solidarietà alquanto singolari al ministro Fioramonti

Abbiamo avuto modo di leggere attestati di piena solidarietà – resi da sigle sindacali di comparto – contro gli odiosi attacchi al ministro dell’Istruzione reo di aver doverosamente agito il suo per noi sacrosanto diritto di padre nella scelta della scuola cui iscrivere il proprio figlio di 8 anni, e di aver postato sul suo profilo Facebook dichiarazioni offensive verso alcuni politici e forze dell’ordine, risalenti a quando era un privato cittadino e per le quali ha poi chiesto scusa agli interessati: tal che le pretese sue dimissioni da parte di esponenti dell’Opposizione conveniamo essere decisamente fuori tempo e, ancor più, fuori luogo, essendoci stata già una valutazione politica che il suo pregresso comportamento non fosse d’ostacolo prima alla nomina di sottosegretario e poi a ministro dell’Istruzione in due, più che distinti, opposti governi.

Espressa la solidarietà, i diversi – ma uguali – documenti si concludono ricordando al signor ministro che il giudizio di merito sul suo operato si misurerà sugli atti concreti nella sua attività di governo, sul rinnovo dei contratti scaduti e inerenti risorse finanziarie da reperirsi, per intanto e nell’immediato sugli impegni assunti nell’Intesa dell’1 ottobre u.s. su reclutamento e precariato, da rinnovare in sede di Consiglio dei Ministri per la messa a punto dei disegni di decreto legge e di legge – poi da difendere in Parlamento – e finalizzati a:

  • indire, contestualmente a quello ordinario, un concorso straordinario abilitante, semplificato, per valorizzare l’esperienza lavorativa di alcune decine di migliaia di docenti supplenti;
  • predisporre percorsi strutturali di formazione e abilitazione di personale docente dopo confronto approfondito con le OO. SS., rigorosamente di comparto;
  • accelerare il concorso riservato a DSGA per assistenti amministrativi che abbiano supplito nella superiore qualifica e senza il requisito del possesso di laurea quinquennale specifica;
  • istituire tavoli tecnici con le predette OO. SS. in tema di semplificazione amministrativa per le istituzioni scolastiche e educative;
  • estendere i tavoli tecnici, questi presso l’Ufficio di gabinetto del MIUR, per sanare le posizioni e le convenute pacificamente acquisite prerogative dei diplomati magistrali ma incise da sentenze negative, pur avendo avuto i soggetti che si vogliono tutelare tutto il tempo per conseguire la richiesta laurea, sin dal secolo scorso, in Scienze della formazione primaria, ma che evidentemente hanno stimato sovrabbondante lo sforzo e ritenuto bastevole per insegnare nel Terzo millennio un semplice diploma di durata quadriennale, acclarato sottoprodotto di gentiliana memoria.

Il tutto in sistematica concordata assenza delle rappresentanze sindacali e professionali della dirigenza scolastica, che pure avrebbe pieno titolo – oppure no? – ad essere interloquita in tema di semplificazione amministrativa e di reclutamento e formazione di risorse umane qualificate, perché giuridicamente esclusiva responsabile della qualità del servizio erogato dalle istituzioni-pubbliche amministrazioni cui è preposta in posizione apicale.

Dunque, più che una solidarietà piena, è stata piuttosto offerta una solidarietà condizionata. A dirla tutta, se non pare irriverente, una solidarietà per poi passare all’incasso.

Its, eccellenza ancora di nicchia: 82% di occupati ma 2% di studenti

da Il Sole 24 Ore

di Eu.B. Cl. T.

L’Italia dell’istruzione vanta una piccola eccellenza ancora troppo di nicchia: gli Istituti tecnici superiori (Its). Le nostre scuole di tecnologia post diploma che, a dieci anni dalla nascita, continuano a registrare tanti occupati e pochi studenti.

Anche l’Ocse sembra essersi accorta di questo paradosso. L’ultimo rapporto Education at a glance 2019 attribuisce agli Its un tasso di occupazione dell’82% nella classe 25-64 anni ma gli studenti frequentanti sono appena il 2% di tutti gli iscritti a un corso di studi terziario. L’1,7% per la precisione. Contro l’86% registrato dalle lauree di primo livello e il 12% di quelle di secondo livello, che possono vantare un ritorno occupazionale analogo (83% per le magistrali) o addirittura inferiore (73% per le triennali). Una forbice che non si registra in nessun altro Paese industrializzato. Tutto ciò a fronte di un quadro finanziario neanche paragonabile: il contributo pubblico, statale e locale, per l’intero sistema Its, secondo un’elaborazione curata da Ptsclas, ha cubato, nel 2018, circa 60 milioni di euro (di cui 38 di provenienza regionale); il Fondo di finanziamento ordinario delle università – che pure esce da un decennio di tagli – arriva a 7,4 miliardi.

Fermo restando che questi due segmenti di istruzione terziaria non sono paragonabili perché hanno missioni diverse e si rivolgono a platee diverse, i 20mila studenti usciti dagli Its in un decennio restano oggettivamente pochi. Tant’è vero che Confindustria, per voce del vice presidente per il Capitale umano, Gianni Brugnoli, ha spesso quantificato in almeno 20mila unità il fabbisogno annuo di diplomati Its che servirebbe alle imprese. Del resto, la loro appetibilità sul mercato del lavoro è confermata dalle statistiche nazionali. L’ultimo monitoraggio dell’Indire lo calcola all’80% a un anno dal titolo, con un tasso di coerenza del 90% tra percorso di studi e impiego svolto.

Da Nord a Sud non mancano casi di eccellenza, spesso legati al 4.0, con un tasso di occupazione che arriva addirittura a sfiorare il 100 per cento. Il loro successo occupazionale è legato a due fattori. Il primo, è che questi istituti si collegano a un reale bisogno delle aziende. Il secondo, è che formano le persone direttamente per un “mestiere”. I docenti che provengono dal mondo del lavoro sono infatti il 70% e in stage si fa il 42% delle ore totali. Quasi il 40%, poi, dei partner degli Its, sono imprenditori che assumono o fanno assumere i ragazzi che specializzano. La stragrande maggioranza dei contratti firmati sono stabili: tempo indeterminato o apprendistato. Gli Its – o, meglio, le fondazioni che gestiscono queste scuole d’eccellenza – sono oggi 104 con circa 13mila studenti frequentanti, suddivisi in sei aree tecnologiche: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, made in Italy, beni culturali e turismo, informazione e comunicazione.

La “fase 2” per gli Its è, ora, il loro decollo. Ne è convinta Carmela Palumbo, capo dipartimento per l’Istruzione del Miur: «Gli Its – ha detto – hanno dimostrato, con i numeri, di essere un’offerta formativa valida per gli studenti». «Le direttrici di intervento sono due – ha aggiunto Cristina Grieco (regione Toscana) -. Primo, va migliorato l’orientamento. Poi, c’è da valorizzare il link con imprese e territori, a partire dal rafforzamento degli investimenti, se l’obiettivo, condiviso, è quello di aumentare di molto il numero di diplomati Its, mantenendo l’attuale livello qualitativo dei percorsi».


Al via settimana Ue del coding, Italia in prima linea con 3mila eventi

da Il Sole 24 Ore

Oltre 3mila iniziative per l’alfabetizzazione digitale, di cui circa l’80% coinvolge le scuole di ogni ordine e grado: sono alcuni dei numeri con cui l’Italia si inserisce in prima fila per la Eu Code Week , la settimana europea della programmazione informatica che si svolge dal 5 al 20 ottobre in Europa e nel resto del mondo.

Il programma
Italia, Polonia, Spagna, Francia, Germania, ma anche Turchia, Stati Uniti, India: dal 5 al 20 ottobre saranno complessivamente oltre 25mila le attività per promuovere le competenze digitali che toccheranno oltre 70 Paesi. Giunta alla sua settima edizione, la Eu Code Week, promossa dalla Commissione europea, dedica particolare attenzione all’istruzione e prevede la partecipazione attiva di scuole e insegnanti, con il coding come metodologia didattica. Le oltre tremila attività organizzate dall’Italia sono anche una risposta alle statistiche Ue che inseriscono il nostro Paese in fondo alle classifiche sull’innovazione digitale. Secondo il Digital Economy and Society Index (Desi) 2018 di Eurostat, che rileva i progressi compiuti dagli Stati membri in termini di digitalizzazione, l’Italia è solo 25esima in Ue.


Un ragazzo su 5 lascia le superiori o non è preparato

da Corriere della sera

Gianna Fregonara e Orsola Riva

Letti uno di seguito all’altro sono i numeri di una disfatta: 21 per cento nel Lazio, un ragazzo su cinque; 23 per cento in Molise, quasi uno su quattro; 25,7 in Basilicata e 26,8 in Puglia. E poi: Campania (31,9), Calabria (33,1), Sicilia (37) e Sardegna (37,4). Sono tantissimi e sono i ragazzi e le ragazze che il nuovo studio dell’Invalsi sulla «dispersione scolastica implicita», firmato da Roberto Ricci, considera perduti dal nostro sistema scolastico. Quelli che non finiscono le scuole superiori più quelli che arrivano sì al diploma finale ma con un livello di conoscenze così basso che quel pezzo di carta non gli servirà a nulla.

Di solito questa seconda categoria non si conta nei dati ufficiali, quelli che hanno fatto dire al premier Giuseppe Conte nel discorso di insediamento che «la dispersione scolastica resta un’emergenza». Negli ultimi due anni, complice la crisi, i giovani fra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato la scuola prima del traguardo finale sono tornati a crescere attestandosi sopra il 14 per cento. Siamo quartultimi in Europa. Peggio di noi fanno solo Romania, Malta e Spagna, mentre siamo stati superati anche dalla Bulgaria. Questi ragazzi che la scuola perde sono condannati alla marginalità sociale. Molti finiscono nei cosiddetti Neet: non studiano né lavorano e nei contesti più svantaggiati diventano preda della criminalità.

Ma non ci sono solo loro. C’è un altro esercito di ragazzi che la scuola «perde» anche se arrivano in fondo. A farli uscire dal cono d’ombra ci ha pensato l’Invalsi, usando i dati delle rilevazioni fatte all’ultimo anno delle superiori. Ragazzi che pur avendo in tasca un diploma di scuola superiore non sono in grado di capire un libretto di istruzioni di media difficoltà, figuriamoci un modulo assicurativo o bancario. Qualcuno potrà pensare che paragonarli ai «dispersi» veri e propri sia un’esagerazione retorica. Ma (purtroppo) non è così. Quelli che nei test Invalsi arrivano al massimo al livello due su cinque in italiano e matematica e sotto il B1 di inglese sono studenti che stanno per prendere il diploma ma è come se non avessero frequentato la scuola perché hanno le stesse competenze di ragazzini di terza media o al massimo di seconda superiore. In Italia sono il 7,1 per cento, nelle scuole del Nord non superano il 3-4 per cento, ma in regioni come la Calabria sono più del doppio.

La dispersione

Gli abbandoni scolastici sono tornati a crescere

Solo Romania, Malta e Spagna fanno peggio

Se si sommano a quelli che hanno abbandonato la scuola prima di arrivare al traguardo, il totale è da brivido: 22,1 per cento, più di un giovane su 5. Ma le differenze regionali sono enormi, tanto da disegnare una mappa dell’Italia spaccata in tre parti, dove solo Veneto, Friuli-Venezia Giulia e provincia di Trento riescono a stare vicino o sotto l’obiettivo europeo del dieci per cento di giovani che abbandonano la scuola in anticipo, mentre le altre regioni del Centronord sono fra il 15 e il 20 e al Sud si supera il 25% con punte ben oltre il 30 in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.

Eppure sarebbe possibile individuare precocemente i soggetti più a rischio, se solo lo si volesse. Sono coloro che già alla fine della terza media non raggiungono i traguardi attesi: il 14,4 per cento su base nazionale, fra il 25 e il 30 per cento al Sud e nelle isole. Questi ragazzi a 14 anni hanno accumulato un ritardo negli apprendimenti che è quasi impossibile recuperare «dopo». Di fronte a un fenomeno di questa gravità l’impegno dei singoli docenti e delle singole scuole non può bastare, perché è evidente, come dice la presidente dell’Invalsi Anna Maria Ajello, che «la dispersione è prima di tutto un fenomeno sociale e poi scolastico. E inizia fin dalla composizione delle classi, visto che in certe aree del Paese si dividono ancora gli studenti per provenienza e censo».

La scuola 3.0 fa bene alla pagella: più bravi con la didattica senza banchi

da la Repubblica

Valeria Strambi

Largo alle “Avanguardie educative“. Chi si cimenta nel public speaking di fronte ai compagni di classe, chi fa lezione in un’aula 3.0 senza i classici banchi schierati di fronte alla cattedra e chi frequenta un istituto dove ogni mattina, al posto della campanella, suona la radio, è più bravo in italiano e anche in matematica. A sostenerlo è un’indagine condotta da Indire, (l’istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) con il supporto di Simone Borra, docente di Statistica all’Università Tor Vergata di Roma.

Lo studio completo verrà pubblicato a inizio 2020 ma i primi risultati, che saranno presentati a Fiera Didacta Italia (il più importante appuntamento dedicato al mondo della scuola in programma a Firenze dal 9 all’11 ottobre), già parlano chiaro. Scuole innovative e scuole tradizionali sono state messe a confronto ed è emerso che gli studenti iscritti alle prime ottengono in genere risultati migliori nelle prove Invalsi rispetto ai colleghi.

Per il raffronto è stato selezionato un campione di 381 classi, sparse in tutto il Paese, che hanno adottato alcune delle avanguardie educative nate nel 2014 e ora presenti in 907 scuole (dal debate alla flipped classroom). Il 68% di queste classi con le avanguardie ha collezionato un punteggio medio in italiano superiore alla media delle classi tradizionali che si trovano in contesti con lo stesso livello socio-economico, mentre per matematica il dato è del 61,6%. Le cifre variano se si distingue per ordine di scuola e quelli che più sembrano beneficiare dell’impatto delle metodologie innovative sono gli studenti delle superiori (qui la percentuale sale al 71,9 per italiano e al 65.7 per matematica). Positivi anche i numeri delle quinte elementari (65,4% per italiano e 48,7% per matematica) e delle terze medie (58,3% per italiano e 62,5% per matematica).

Se si analizza la performance anche a livello geografico, si scopre che per la prova di italiano più del 50% delle classi elementari che hanno adottato le avanguardie nel Centro-Sud presentano un punteggio medio più alto rispetto alla media delle classi standard. Lo stesso vale per le scuole superiori in tutte le aree (ad eccezione delle isole). Per la prova di matematica è invece nel Nord-Est, per tutti i gradi di istruzione, che più della metà delle classi con avanguardie presenta un punteggio medio superiore rispetto alla media delle altre classi.

Far entrare l’innovazione a scuola può quindi rivelarsi una ricetta vincente per aiutare gli istituti a migliorarsi. Ma quali sono i metodi da cui prendere spunto? All’istituto Sandro Pertini di Lucca, ad esempio, è stata introdotta un’alternanza scuola-lavoro particolare, integrata con il service learning (imparare facendo un servizio): gli studenti dell’indirizzo turismo svolgono quotidianamente attività di accoglienza al “Pertini Tourist info point”, l’ufficio informazioni e accoglienza turistica che si trova alla stazione e che è stato riaperto dopo anni di inattivtà proprio grazie alla collaborazione tra scuola e Comune. Al liceo scientifico, musicale e sportivo Attilio Bertolucci di Parma esiste invece un “Ict (Information and communications technology) lab” all’interno del quale i ragazzi hanno dato vita a un webmagazine che viene pubblicato regolarmente e che ha rubriche di politica, cronaca, arte e musica.

All’istituto Carlo Alberto Dalla Chiesa di Montefiascone (Viterbo) in classe vige un “uso flessibile del tempo” che ha permesso ai ragazzi di cimentarsi in esperienze di volontariato attivo e cittadinanza solidale come la collaborazione con l’Est Film Festival. All’istituto Europa di Pomigliano d’Arco (Napoli) le classi, piccole e poco accoglienti, sono state trasformate dagli studenti in “aule in mostra”, dedicate ognuna a un tema particolare. In più la scuola (che in pochi anni è riuscita a far calare il tasso di abbandono dal 30% al 3%) possiede una stazione radio gestita dai ragazzi che trasmette ogni mattina e che dà il buongiorno agli studenti al posto della campanella

Sostegno, quasi 300mila alunni con disabilità. Sindacati: assunzioni straordinarie e misure strutturali

da Orizzontescuola

di redazione

Aumentano gli studenti con disabilità ma non i docenti specializzati.

Caso alunni senza docenti sosteno

La mamma di una studentessa disabile sassarese aveva ritirato la figlia in quanto priva del docente di sostegno, ragion per cui non riusciva a seguire le lezioni. La ragazza lunedì rientrerà a scuola.

Alunna senza insegnante di sostegno, preside: torna a scuola, non sarà sola

Alunni con disabilità e carenza docenti sostegno

La carenza dei docenti di sostegno è un tema noto da tempo, così come l’aumento degli studenti con disabilità.

Negli ultimi 20 anni, come riferisce anche l’Ansa, il numero degli studenti con disabilità è quasi raddoppiato toccando quota 300mila.

All’aumento degli studenti non è seguito quello dei docenti specializzati. Oggi, in organico, vi sono 100.080 insegnanti: uno ogni tre alunni disabili.

Saranno, conseguentemente, quasi 70mila i posti assegnati a docenti supplenti, spesso non specializzati.

Reazione sindacati

Maddalena Gissi, segretaria nazionale della Cisl Scuola, si rivolge direttamente al Premier  “E’ necessario un piano assunzionale straordinario”, chiedendo che le immissioni in ruolo vengano aggiunte a quelle già programmate.

Secondo Marcello Pacifico (Anief): “Lo Stato si deve vergognare. Il ministro Fioramonti riveda subito i criteri per adeguare i posti in deroga all’organico di diritto, gli Uffici scolastici regionali devono poter assegnare tutte le risorse richieste dai capi d’istituto in base al PEI, mentre città metropolitane, comuni, province devono accantonare i fondi per questi servizi essenziali.

Per l’ANP: “Il caso della studentessa di Sassari è emblematico di una inadeguata modalità di gestione delle risorse umane che, purtroppo, sembra immodificabile da parte del Miur. Il problema deve essere risolto con misure assunzionali serie, strutturali e tempestive. Altrimenti corriamo il rischio di dover presto commentare altri casi analoghi”.

Renzi: stiamo lavorando a nuova riforma della scuola, ma questa volta partiremo dal basso

da Orizzontescuola

di redazione

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, interviene telefonicamente alla scuola di cultura politica “Futura” a Terrasini e torna a parlare di scuola.

Buona scuola

Il terreno è “minato”, come sanno bene gli addetti ai lavori, considerate le critiche ricevute con la riforma denominata “Buona Scuola” che, tuttora, continua a far discutere.

Le critiche rivolte alla Buona Scuola sono svariate: dai poteri ai presidi alla mobilità straordinaria alla mancanza di ascolto.

Riguardo all’ascolto, era stat sì avviata una consultazione ma le successive critiche hanno mostrato che non si è dato seguito alle proposte avanzate dai “consultati”.

Approccio diverso

Renzi, memore della precedente esperienza, sembra voler aggiustare il tiro. L’ex premier, come riferisce l’Ansa, dichiara di star lavorando ad una iniziativa legislativa sulla scuola, partendo dal basso.

Queste le sue parole:  “Stiamo lavorando a una nuova iniziativa legislativa sulla scuola ma visto che l’ultima volta ci hanno massacrato, forse serve un approccio diverso per il futuro partendo dal basso. E dico ai ragazzi di fare sentire la loro voce alla politica”.

Pensioni quota 100 fino al 2021, poi non sarà rinnovata

da Orizzontescuola

di redazione

Pensioni Quota 100, ne ha parlato il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri durante la trasmissione Piazza Pulita sul La7.

Quota 100 fortunatamente andrà ad esaurimento, e certamente non la rinnoveremo, è una riforma che non avrei mai fatto” ha affermato il Ministro, il quale ha proseguito

La Fornero  era tutt’altro che perfetta, ma concentrare una massa così alta di risorse tutta in una misura che riguarda un bacino relativamente ridotto di persone rispetto al Paese che non ha risorse illimitate sicuramente non è stata una scelta felice

L’accesso al sistema pensioni con Quota 100 potrà avvenire quindi fino al 2021.

La misura è stata fortemente voluta dalla Lega ma non è detto che al suo scadere non si vengano a creare dei problemi (sono già stati definiti “gli esodati di Quota 100) che renda necessario un ulteriore intervento ad hoc.

Immissioni in ruolo docenti 2020, decreto scuola: chiamata veloce anche in altra provincia o regione

da Orizzontescuola

di redazione

Il decreto scuola che scaturirà dall’intesa tra Miur e sindacati del 1° ottobre, presenterà una assoluta novità per svuotare le graduatorie GaE e dei concorsi 2016 e 2018.

L’intesa prevede “consentire ai vincitori e agli idonei dei concorsi banditi nel 2016 e nel 2016 e agli iscritti nelle GaE, su base volontaria, di indicare una regione/provincia diversa nella quale essere immessi in ruolo, sui posti che rimarranno vacanti e disponibili a settembre 2020, dopo lo scorrimento delle graduatorie in questione”.

Come si tradurrà in pratica questa previsione lo ha spiegato il Sottosegretario Lucia Azzolina qualche giorno fa a RadioCusanoCampus 

a settembre 2020, dopo le immissioni in ruolo, gli Uffici scolastici faranno una “call veloce”, di 7 – 10 giorni. I docenti, volontariamente, potranno proporsi. Dopo le assunzioni quella particolare graduatoria scomparirà.

I vincoli

Ci saranno dei vincoli. Su questo l’On. afferma che bisogna essere trasparenti: il vincolo di permanenza sarà di 5 anni, senza possibilità di mobilità o di assegnazione provvisoria.

Posti rimasti vuoti nell’a.s. 2019/20

Come sono andate le assunzioni docenti 2019? il MEF aveva autorizzato 53.627 posti. Dal report finale delle operazioni, risulta coperto solo il 50.9% dei posti. Il gap è dato dal fatto che nelle regioni/province in cui ci sono disponibilità le graduatorie sono esaurite, a fronte di graduatorie ancora piene in altre regioni. Da qui l’idea di uno spostamento volontario sul territorio, al fine di ottimizzare i tempi per l’assunzione a tempo indeterminato.

Assunzioni docenti 2019, coperto solo il 50% dei posti. [Tabella per regione]

Riforma della scuola, Renzi: stavolta ascolteremo prima i lavoratori

da La Tecnica della Scuola

Stavolta la riforma della scuola sarà diversa: prima di apportare delle modifiche, ascolteremo il personale. Lo ha detto Matteo Renzi, leader di “Italia viva”, in collegamento telefonico con i ragazzi della scuola di cultura politica ‘Futura’, a Terrasini, in provincia di Palermo.

L’errore di quattro anni fa

L’ex premier ha ammesso per l’ennesima volta l’errore compiuto in occasione dell’approvazione della Legge 107 del 2015, quando il Governo Pd non ascoltò la piazza, in particolare vanificando lo storico sciopero unitario svolto nella prima decade del maggio 2015.

A pesare sul dissenso contro quella riforma, in particolare, furono alcuni provvedimenti approvati, come la chiamata diretta dei docenti, il bonus merito, il piano straordinario di assunzioni dei docenti con l’algoritmo e altro ancora.

“L’ultima volta ci hanno massacrato”

“Stiamo lavorando a una nuova iniziativa legislativa sulla scuola ma – ha sottolineato Matteo Renzi – visto che l’ultima volta ci hanno massacrato, forse serve un approccio diverso per il futuro partendo dal basso. E dico ai ragazzi di fare sentire la loro voce alla politica”.

Il messaggio del leader di “Italia viva” è chiaro: avere la certezza che le novità da introdurre nella scuola abbiano il sostegno di chi la vive ogni giorno.

Arriva la chiamata-lampo per le cattedre vuote

da La Tecnica della Scuola

Il Miur avrebbe messo a punto un nuovo sistema di reclutamento che andrà a regime da settembre 2020, per evitare che le classi a inizio d’anno si trovino senza docente.

Chiamata lampo

Un sorta di chiamata lampo per coprire il maggior numero di cattedre che restano vuote e assumere i precari che ne hanno diritto. Una trovata sui generis che dovrebbe essere contenuta  nel decreto che arriverà in Consiglio dei ministri la prossima settimana, considerato che a fronte di migliaia di precari senza lavoro, ci sono cattedre scoperte per mancanza di precari in graduatoria.

All’appello mancano soprattutto i docenti di matematica, sostegno, lingua e informatica. E allora, secondo il MIur,  basta far incontrare queste due esigenze.

bando a livello nazionale: 10 gg e poi si selezionano i candidati

i piano dunque sarebbe il seguente, come si legge da Il Messaggero: “Una volta convocati regione per regione tutti gli aventi diritto al ruolo, tramite le graduatorie ad esaurimento e le graduatorie di merito dei concorsi del 2016 e del 2018, si contano le cattedre rimaste vuote. A quel punto il singolo Ufficio scolastico regionale dirama il bando in tutta Italia per trovare i docenti necessari. La chiamata “lampo” avrà la durata di 10 giorni al massimo e poi si passa alla selezione dei candidati per titoli”.

Tutto verrà fatto, quindi, dopo aver esaurito le graduatorie dei candidati sul territorio e, dopo questa fase, la graduatoria lampo verrà sciolta, non avrà più alcun valore nei mesi e negli anni a venire.

Ottenuto i ruolo permanenza per 5 anni

Nel decreto, sarebbe pure  previsto che, una volta ottenuto il ruolo, il docente che ha accettato di trasferirsi da un’altra regione dovrà anche impegnarsi a restarci per almeno 5 anni senza possibilità di mobilità o di assegnazione provvisoria.

Far incontrare, a livello nazionale, la richiesta di cattedre con l’offerta di docenti, potrebbe andare a risolvere uno dei problemi più pesanti per la scuola: le cattedre vacanti, che restano tali nonostante le infinite graduatorie di precari che hanno vinto concorsi e ottenuto abilitazioni.

Le stime dei sindacati

Secondo le stime dei sindacati, quest’anno gli incarichi a supplenza potrebbero superare le 200mila unità, lo scorso anno furono 150 mila. Un fiume di contratti a tempo determinato che interessa una platea di precari da centinaia di migliaia di persone. Il settore più in crisi per la mancanza di docenti specializzati, oltre che il più delicato, resta quello del sostegno: 50 mila circa i posti assegnati a personale non specializzato.