C. e G. Crapis, Umberto Eco e la politica culturale della Sinistra

Contaminando “alto” e “basso”
ovvero quando in Italia esistevano gli intellettuali …

di Carlo De Nitti

Non vi è chi, oggi, non pensi che ad Umberto Eco (1932 – 2016) si possa attagliare – ritiene chi scrive queste righe – la definizione che Antonio Gramsci (1891 – 1937) coniò per Benedetto Croce (1866 – 1952), quella di “Papa laico”: il grande semiologo che poteva – absit inuria verbis –  spaziare nei suoi interventi a 360 gradi con riconosciuta autorità.

In questo recente saggio, Umberto Eco e la politica culturale della Sinistra, dovuto all’impegno di due studiosi attenti quali i fratelli Claudio e Giandomenico Crapis, pubblicato presso la prestigiosa casa editrice La Nave di Teseo, di cui Umberto Eco è stato il nume tutelare fin dalla fondazione (nel 2015), nella collana ”i Delfini”. Gli Autori scandagliano, da par loro, un argomento davvero interessante: non soltanto la personalità del filosofo piemontese ma anche una certa temperie politica e culturale, un pezzo di storia del nostro Paese.

Questo volume è la prosecuzione ideale di un altro testo dei medesimi autori, intitolato Umberto Eco e il PCI. Arte, cultura di massa e strutturalismo in un saggio dimenticato del 1963, dato alle stampe nel 2017 per i tipi della casa editrice emiliana Imprimatur.

Agli inizi degli anni ’60, un giovane Umberto Eco – allievo di Luigi Pareyson (1918 – 1991), proveniente dall’Azione Cattolica, poco più che trentenne – pubblicava sulla rivista “Rinascita” – fondata nel giugno 1944 (dopo la cosiddetta “svolta di Salerno”) e diretta da Palmiro Togliatti (1891 – 1964), segretario generale del Partito Comunista Italiano – un saggio che si potrebbe definire ‘dirompente’.

Ai più giovani tra i lettori del volume (et si parva licet… di queste poche righe) giova ricordare che “Rinascita” ha rappresentato, a partire dalla sua fondazione, con la sua presenza costante nel dibattito politico-culturale italiano, lo strumento di elaborazione e di diffusione della politica culturale del P.C.I. Pur essendo una rivista di diretta emanazione del vertice politico del Partito Comunista Italiano, ospitava articoli ed interventi anche di intellettuali di formazione diversa o, comunque, non necessariamente marxisti ‘ortodossi’ ed ‘organici’ (come allora si diceva) al Partito.

L’intervento di Umberto Eco sposta il piano della discussione: “Per la prima volta, dunque, e con uno sforzo intellettuale originale e brillante, venivano messe in discussione su una rivista marxista, anzi sulla rivista diretta dal leader del partito, le estetiche, le analisi, i giudizi che buona parte della cultura di Sinistra aveva sedimentato, nonostante le numerose eccezioni, fino ad allora” (p. 66).

Proprio per questa ragione, il saggio di Eco – in questo volume, ripubblicato nel capitolo 3 – suscita una vasta risonanza polemica, tant’è che, sulla medesima rivista, appare un articolo di Rossana Rossanda (1924 – 2020) – allieva di Antonio Banfi (1886 – 1957), dalla fine del 1962, responsabile della politica culturale del P.C.I. – dal significativo titolo Per una cultura rivoluzionaria, quale risposta ‘ufficiale’ alle ‘pro-vocazioni’ del giovane ‘compagno di strada’. E’ così che Rossana Rossanda (La ragazza del secolo scorso di parecchi decenni dopo) definisce Eco a conclusione del suo testo, accomunandolo nominalmente, ad esempio, al filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre (1905 – 1980) ed alla ‘fille rangée’, Simone de Beauvoir (1908 – 1986).

Alla sua interlocuzione, seguirono gli interventi di altri protagonisti della cultura di sinistra, con posizioni diversificate: una bella discussione a più voci, che, di sicuro, giovava alla cultura nel nostro Paese. Da Carlo Levi a Tullio Aymone, da Edoardo Sanguineti a Mario Spinella, da Luciano De Maria a Massimo Pini, da Louis Althusser a Luigi Pestalozzi: la provocazione di Eco aveva di sicuro lasciato un segno tangibile e profondo nella cultura di sinistra.                                  

In quel remoto saggio di Eco, c’è in nuce il pensiero del semiologo così come si sarebbe sviluppato nei cinque decenni successivi: a questo tema – dopo un’attenta disamina del saggio, è dedicato il capitolo 5 del volume di cui qui si discute. “La premessa fondamentale è che i prodotti della cultura di massa siano degni di studio al pari della cosiddetta cultura ‘alta’. Eco, infatti, superando la distinzione tra cultura alta e bassa, pone per la prima volta con chiarezza sullo stesso piano, il testo estetico e il prodotto della cosiddetta cultura di massa” (p. 178).

Con questo saggio, Eco assume le categorie marxiane (ed il marxismo) “come strumento e suggestione di ricerca, ma invita ad affiancarlo ad altri metodi” (pp. 179 – 180). Attraverso i quesiti che Eco pome si avvicina al metodo gramsciano: “Gramsci ed Eco condividono l’attenzione ai meccanismi della ricezione, alle esigenze dei fruitori, alle forme culturali ‘basse’ o marginali, che consentono per entrambi preziose osservazioni sulla ‘filosofia’ dell’epoca. Li accomuna anche la consapevolezza dell’esistenza di scambi bidirezionali tra cultura ‘alta’ e ‘bassa’, la lettura non deterministica del rapporto tra struttura e sovrastruttura, nella convinzione che il controllo dell’industria culturale giochi un ruolo chiave nel mantenere l’’egemonia’, l’attenzione al ruolo svolto dagli intellettuali” (pp. 197 – 198).

Non vi è chi non veda, in questi passaggi, l’Umberto Eco storico dei modelli culturali: la forza delle tesi dell’intervento di Eco consiste […] nel suo valore di ipotesi, ossia nella sua capacità di approfondirsi sviluppandosi teoricamente” (pp. 215 – 216). Il suo saggio su Rinascita, sessant’anni dopo la sua pubblicazione, “ha ancora molto da dirci – sia direttamente sia indirettamente – con metodo e freschezza immutata. In fondo Eco ci ha insegnato che c’è sempre qualcosa in più da osservare e capire.  Che si può capire. Che si deve capire” (p. 216).

Il volume è corredato/arricchito da una cospicua Appendice in cui sono riprodotti, per la prima volta in volume, cinque articoli di Umberto Eco – pubblicati su Corriere della sera, Quindici e Sipario – la cui meditata lettura non può che ulteriormente legittimare la ricostruzione e l’interpretazione del pensiero echiano, che hanno realizzato Claudio e Giandomenico Crapis, studiosi di comprovato valore ed esperienza, che, in questa sede, si è cercato di sunteggiare.

Chi scrive ritiene che, ad Umberto Eco – e, spero, anche agli autori di questo volume – non sarebbe dispiaciuta una conclusione di questo testo che prendesse a prestito le parole di un eccellente cantautore e scrittore, Roberto Vecchioni: “Formidabili quegli anni / Quando dicevamo d’essere compagni / Una così lieve e fragile parola / Scritta sopra il vento della storia”…