I Divari territoriali e l’Agenda Sud
di Gian Carlo Sacchi
I divari tra nord e sud dell’Italia nella filiera dell’istruzione sono noti da tempo su entrambi i fronti, sia quello della domanda che dell’offerta. L’ultimo rapporto SVIMEZ (2022) ci parla della frammentazione dei servizi per la prima infanzia sia sul fronte delle strutture che della spesa pubblica delle amministrazioni locali; il tentativo del PNRR di diffondere e migliorare il servizio si è scontrato da un lato con le situazioni finanziarie dei comuni, che dovrebbero essere in grado di mantenerlo dopo i primi finanziamenti europei e dall’altro con una scarsa sensibilità politica e pedagogica sul valore della formazione nella prima infanzia, prima ancora che rispetto alla conciliabilità dei tempi di lavoro, soprattutto per le madri.
In questi ultimi anni però la copertura dei posti nei nidi è aumentata rispetto alla popolazione infantile, dovuta soprattutto al decreto sullo 0-6 anni che ha visto scendere in campo le risorse statali e la promozione della gratuità per famiglie in difficoltà economica. Il divario però non è colmato in quanto al nord ci sono state le maggiori richieste dei fondi PNRR per un ampliamento ulteriore del servizio dovuto non solo ad una maggiore domanda, ma anche ad una diversificazione del servizio stesso, sia per quanto riguarda i tempi e la flessibilità organizzativa, che per l’arricchimento del modello educativo.
Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e primaria la frequenza supera il 90%, ma a sfavore del mezzogiorno ci sono gli orari: solo il 4,8% della scuola dell’infanzia fruisce di un tempo lungo e solo il 18,6% ha il tempo pieno nella primaria dove il 79% degli alunni non fruisce di un servizio di mensa. Solo in Puglia è presente una buona dotazione di palestre nonostante la generalizzazione dell’educazione motoria a cura di un docente specialistico, ma anche il 57% degli allievi delle scuole secondarie di secondo grado non ha accesso ad una palestra.
Il tempo scuola, che va oltre il calendario scolastico tradizionale, sta diventando una variabile fondamentale per migliorare il servizio scolastico, con l’arricchimento del curricolo, per organizzare nuovi ambienti di apprendimento, riproporre modalità di socializzazione che cerchino di attenuare il disagio che si diffonde sempre più tra i giovani anche dopo il lockdown fino ad aumentare l’abbandono. Anche qui oltre ai problemi strutturali che mettono a nudo carenze sul piano finanziario inutilmente denunciate, senza però grandi risultati, c’è proprio un pericoloso vuoto culturale che né la politica ma nemmeno la pedagogia si prodigano di colmare.
Per valorizzare la dimensione formativa non basta la delega a istituzioni specifiche, che di volta in volta dovrebbero occuparsi dell’immagine culturale del Paese, o della cittadinanza quando i valori della convivenza e della democrazia sembrano a rischio, o di soddisfare la richiesta di mano d’opera da parte delle imprese, ma tutta la società deve sentirsi coinvolta e la formazione deve essere presente nelle scelte che interessano soprattutto il futuro dei giovani.
Sul versante della domanda ogni anno l’INVALSI ci pone inesorabilmente di fronte al divario relativo alle competenze degli studenti, fino a decretarne una dispersione implicita, cioè l’incapacità di far fronte agli impegni culturali del nostro tempo. Nord-Sud ancora una volta su fronti diversi con risultati inversamente proporzionali tra valutazioni interne, da parte dei docenti, ed esterne da parte di agenzie indipendenti. I 100 e lode che brulicano agli esami di maturità al sud non rappresentano la preparazione rilevata dall’INVALSI e nemmeno si può dire di non avere al meridione insegnanti poco preparati essendo coloro che studiano al sud ma vengono ad insegnare al nord, che ha sempre meno docenti autoctoni.
Avvicinare le due realtà non è solo un problema di incentivazione del personale che opera in zone difficili, da tanto tempo previste nei contratti nazionali, ma pur stimolando la scuola a riassumere il ruolo di ascensore sociale, da sola non può aiutare i giovani a scalare qualcosa che non c’è, anzi sempre di più il contesto socio-economico-culturale delle famiglie diventa elemento divisivo. Anche la situazione migratoria è destinata a raggiungere obiettivi rilevanti per i figli della seconda generazione, quando vede queste famiglie integrate nella società e nel mondo del lavoro.
Il sistema non può essere equo se si limita ad assicurare pari opportunità in senso formale, occorre, come rileva l’INVALSI, che tali opportunità devono essere efficaci per tutti e per ciascuno. E questo per alcuni territori vale anche per l’istruzione tecnica e professionale, dove gli studenti conseguono risultati eccellenti, anche se in generale si lascia il primato ai licei, pensando per questi ultimi ad una seconda opportunità di livello inferiore.
Mentre all’inizio la nostra scuola doveva essere governata centralisticamente per sostenere l’unità nazionale, ora assicurati dallo stato i livelli essenziali delle prestazioni, a garanzia del rispetto dei principi costituzionali, è l’autonomia a perseguire l’equità attraverso la diversificazione delle attività sui territori, che consentono lo spazio e il modo per raggiungere uguali obiettivi. E’ il centralismo ad aver permesso che le disuguaglianze di fatto potessero contribuire all’abbassamento della qualità del sistema stesso.
Sembra che l’autonomia produca guasti in una realtà che va polarizzandosi sempre di più, ci vuole il coraggio di intervenire a seconda delle esigenze locali, investendo di più dove c’è di meno, ma soprattutto lasciando alle scuole le decisioni necessarie per definire le priorità, non solo sulla carta, per l’efficacia e qualità dell’azione didattica.
Per superare tale divario furono impiegati per diverso tempo fondi europei con progetti di miglioramento della scolarizzazione e di contrasto all’abbandono, tra le principali cause di scarsa efficienza del sistema, senza però ottenere risultati, anzi dopo l’istituzione dell’INVALSI e la partecipazione dell’Italia alle inchieste internazionali sugli apprendimenti, il fenomeno che in passato aveva fatto meno scalpore, visto sotto la copertura del governo centralistico dell’istruzione, viene ogni anno evidenziato con molta preoccupazione, anche se dopo le prime attenzioni mediatiche ben poco viene destinato in termini di risorse economiche e di strutture al fine superare tali disagi e insufficienze rispetto agli standard elaborati in sede europea.
Il PNRR è stata ed è la grande occasione, la sfida per la scuola italiana a ridare equità ai cittadini attraverso una formazione di qualità per tutti ed un obbligo nei confronti dell’unione europea per rendere competitivi i risultati scolastici, motore dello sviluppo economico e sociale dell’intero continente.
Da parte del Governo che ha curato la prima stesura del Piano il superamento del divario è stato considerato tra le priorità per gli interventi nel settore, con l’aiuto dell’INVALSI che ha segnalato le scuole dove si erano rilevate le maggiori difficoltà di apprendimento da parte degli studenti, affinchè fossero destinatarie di interventi, nonché dei fattori che influiscono sui divari nei risultati tra nord e sud.
Si pensava di mettere a disposizione delle scuole un repertorio di interventi, attraverso enti di ricerca, cui potevano rifarsi in autonomia e con piena intraprendenza, per coniugare al meglio le misure da realizzare in relazione al contesto e alle risorse professionali, strutturali ed economiche.
L’attuale dicastero intende realizzare il PNRR attraverso l’Agenda Sud, con azioni rivolte alle regioni del Mezzogiorno, della durata di un biennio, data nella quale occorre rendicontare il Piano stesso in sede Comunitaria, centrate perlopiù sugli aspetti pedagogico-didattici e organizzativi delle scuole, sul sostegno alla formazione dei docenti e all’introduzione di figure particolari individuate più in generale a supporto degli apprendimenti. Si parla di favorire le attività sportive e come ultimo dei dieci punti in cui si articola l’agenda sud si fa riferimento a progetti speciali d’intesa con il territorio per far decollare le potenzialità delle aree interessate.
Due impostazioni alquanto diverse, nella prima le difficoltà della scuola venivano prese in carico dal territorio: enti locali, associazioni del terzo settore, fondazioni di comunità, parti sociali, ecc., che proprio nell’emergenza in cui ci troviamo potrebbero agire in modo concentrico (patti territoriali) sulle principali difficoltà incontrate dai giovani (si veda ad esempio come nel periodo della pandemia, una tale collaborazione abbia reso la possibilità di realizzare la didattica a distanza), mentre nell’agenda sud tutto rientra tra le mura scolastiche e l’intervento degli enti locali viene relegato al sostegno indiretto alle comunità.
Nel primo caso si valorizza il protagonismo delle scuole stesse che con la loro autonomia sono in grado di stipulare accordi e progetti insieme ad altri attori locali, non solo per essere aiutate a migliorare la loro stessa azione, ma anche perché l’educazione appartiene a tutta la comunità, seppure ognuno con le proprie competenze, ma unite da un obiettivo e da un percorso comuni. Nel secondo caso le scuole sono sotto la tutela dell’INVALSI e dell’amministrazione che mantiene il pieno controllo della gestione dell’intervento. E se queste da sole finora non hanno ottenuto risultati c’è da dubitare che agenda sud li possa ottenere perpetuando la medesima governance.
Ripercorrendo gli obiettivi di tale progetto ministeriale si può ritenere utile quanto è previsto sul fronte della formazione dei docenti, ma già partendo dall’insegnamento personalizzato è difficile pensarlo al di fuori del contesto sociale e territoriale in cui l’alunno vive e ciò faciliterà anche il compito di eventuali tutor scolastici e docenti orientatori, nonché il coinvolgimento delle famiglie che in certe aree disagiate hanno bisogno di un’attenzione particolare da parte di tutta la comunità.
Realizzare la scuola aperta tutto il giorno ed accrescere il tempo pieno sono sicuramente aspetti importanti dell’organizzazione, ma è evidente come ciò richiede, è vero un po’ per tutte le scuole, la convinzione e l’impegno oltre che delle famiglie, degli amministratori locali. Quanto alla promessa di più docenti sarà da verificare con le strettoie poste ogni anno dall’autorizzazione degli organici.
Agenda sud prende le mosse da rilevazioni effettuate dall’INVALSI che richiedono interventi urgenti soprattutto per quanto riguarda il recupero delle competenze di base e trasversali, ma c’è un prima che deve essere considerato, quello dei servizi per l’infanzia che non sembra essere collegato efficacemente con la scuola, che invece è noto possa porre solide basi per il successo nei cicli successivi, c’è un durante che, come si è detto, possa affiancare le scuole nella comune elaborazione di una pedagogia sociale, e c’è un dopo, quello dell’orientamento e dei rapporti con l’istruzione professionale, che va di pari passo con lo sviluppo economico e imprenditoriale dei territori, al quale anche la scuola con la sua didattica laboratoriale può contribuire.
In casi di tanto disagio si può incarnare la massima di don Milani di non fare parti uguali tra soggetti differenti e l’incancrenirsi del fenomeno dei divari è dovuto anche al fatto che i diversi territori non hanno avuto la possibilità di intervenire in modo specifico in base alle loro esigenze, ma hanno dovuto sempre riferirsi al ministero centrale. Forse l’uniformità di trattamento ha cercato di garantire il diritto di tutti, ma ha dimenticato le esigenze di ciascuno.