Mai stati così abili (e così richiesti dalle aziende)

Mai stati così abili (e così richiesti dalle aziende)
Vita del 13/12/2023

È sempre più alto l’interesse delle aziende digitali e tecnologiche verso le competenze delle persone neuro atipiche. Vi proponiamo uno stralcio dell’inchiesta di apertura del numero magazine in distribuzione in queste settimane

Serviva un film campione d’incassi per scoprire che le persone con fragilità hanno competenze specifiche utili e necessarie ad affrontare le sfide del nostro tempo? Bisognerebbe chiederlo alla Barbie Stramba del blockbuster estivo diretto da Greta Gerwig: è lei, diversa da tutte le altre Barbie nell’aspetto, nel comportamento e soprattutto nel modo di pensare e di ragionare, l’unica a intuire perché il mondo perfetto di Barbiland all’improvviso va in tilt ed è lei l’unica a indicare una soluzione possibile al problema. La bambola di Barbie Stramba sta andando a ruba sia tra i bambini sia tra gli adulti e un hastag virale su TikTok, #wiredbarbie, celebra la sua diversità cognitiva come una risorsa. Il film della Mattel certamente non serviva a Sam Altman, amministratore delegato di OpenAi, l’organizzazione non profit di ricerca sull’intelligenza artificiale che ha fondato insieme ad Elon Musk.

Nel febbraio del 2022 Altman ha investito un milione di dollari (circa 950mila euro) su Mentra, una startup creata da tre persone nello spettro autistico con l’obiettivo di usare l’intelligenza artificiale per aiutare le grandi aziende che operano nel settore dell’information technology ad assumere dipendenti dislessici, con deficit dell’attenzione e iperattività o con sindrome di Asperger. Altman è il “papà” di Chat Gpt (Generative Pretrained Transformer), l’applicazione di intelligenza artificiale generativa più famosa al mondo con oltre 100 milioni di utenti, e conosce bene sia le potenzialità dell’Artificial intelligence-Ai (intelligenza artificiale) sia la preoccupante mancanza di talenti che servono per lavorarci.

Se da un lato, infatti, Price Waterhouse Cooper (PwC) definisce l’intelligenza artificiale un game changer capace di generare oltre 15 trilioni di dollari per l’economia mondiale entro il 2030, dall’altro Manpower avverte che nel mondo oggi manca il 78% dei talenti tecnologici di cui l’Ai ha bisogno ed Eurostat denuncia che nel 2021 più del 60% delle aziende europee ha avuto difficoltà a trovare personale con competenze tecnologiche adeguate. Perché cercarlo tra le persone con neuro diversità?

Intelligenza logica superiore e incapacità di mentire
Alberto Balestrazzi, alla guida dell’impresa sociale Auticon in Italia, non ha dubbi: «Le persone neuro divergenti hanno caratteristiche che si rivelano molto utili per i progetti di information technology: attenzione al dettaglio, capacità di mantenere un’alta concentrazione per lunghi periodi anche su attività ripetitive, precisione e attitudine alla risoluzione dei problemi». Fondata a Berlino nel 2011 dal padre di un ragazzo con la sindrome di Asperger, Auticon oggi opera in 14 Paesi vendendo competenze tecniche speciali e servizi di neuro inclusione a grandi aziende. Tra i suoi clienti, in Italia, figurano Banca Intesa, Eni, A2A, Poste Italiane, Deloitte e Janseen. «Siamo l’Accenture dell’autismo», spiega Balestrazzi, «una realtà con oltre 400 lavoratori neuro divergenti assunti con contratto a tempo indeterminato che integriamo come consulenti nelle organizzazioni dei clienti». Il loro mestiere è dare supporto sul fronte tecnologico, con particolare attenzione all’analisi e al test dei dati e all’ingegneria del software.

«I nostri consulenti, tutti nella parte alta dello spettro, hanno una capacità di ragionare per dettagli e un’intelligenza logica superiore alla media che consente loro di sviluppare progetti informatici in maniera più efficiente e performante rispetto ai neuro tipici», spiega il ceo di Auticon che accompagna le aziende anche nella creazione di un ambiente neuro inclusivo con coaching e formazione dedicata, «perché lavorare con una persona con autismo vuol dire prendersi cura delle sue fragilità, relazionali e non». Secondo Balestrazzi i suoi consulenti hanno un’altra caratteristica che li rende particolarmente adatti a lavorare sui dati sensibili in settori delicati come la sicurezza informatica e la blockchain: «Sono incapaci di mentire».

La pensa così anche Monica Conti, direttrice dei Servizi Innovativi per l’Autismo di Fondazione Sacra Famiglia: «Il mondo per le persone neuro diverse è complicato. Si danno delle regole che non possono essere bypassate, perché altrimenti è il caos. Mentire, per loro, è come uscire dagli schemi, è destabilizzante. Hanno difficoltà a dire qualcosa di diverso da ciò che accade».
Sacra Famiglia collabora con il Politecnico di Milano a un progetto di test sulla realtà aumentata per l’utilizzo dei mezzi pubblici e vede con favore l’impiego di persone con autismo su progetti legati all’intelligenza artificiale perché, spiega Conti: «Questi nuovi ruoli consentono di evitare il mascheramento, cioè la fatica di doversi adattare al modo in cui lavorano i neuro tipici, liberando energie per svolgere un compito che alle persone con neuro diversità riesce molto bene: trovare gli errori, gli imprevisti». Cioè dettagli che agli altri, umani o robot che siano, sfuggono.

I primi a pensare che diversità e tecnologia avanzata potessero essere i termini di un’equazione piuttosto che una contraddizione sono stati due ex agenti del Mossad, l’intelligence israeliana. è il 2013 quando lanciano Ro’im Rachok (“Sguardo sul futuro” in italiano), un programma basato su questa scommessa: può una caratteristica comune a molte persone con diversità — pensare per immagini, integrando tanti frammenti in un tutto e dunque notando anche piccolissimi dettagli — esserci utile per proteggere i confini dello Stato nel complicato scenario geopolitico del Medio Oriente? Il risultato è la Unit 9900: un’unità speciale delle Forze di difesa israeliane, formata da persone nello spettro, che ha il compito di analizzare le immagini in alta risoluzione inviate in tempo reale dai satelliti in cerca di oggetti o movimenti sospetti. Per la maggior parte delle persone neuro tipiche studiare ogni millimetro di una stessa immagine da diverse angolature sarebbe un lavoro noiosissimo, difficilissimo e troppo ripetitivo da sopportare. Per i ragazzi della Unit 9900, invece, è il contrario: un mestiere per cui sono portati, in cui sono considerati utili e capaci, e che consente una socializzazione di cui hanno bisogno per lavorare sulle fragilità relazionali che spesso sono un altro aspetto comune della neuro diversità. Ro’im Rachok è inoltre un importante strumento di inclusione e di rafforzamento dell’autostima. Prima della sua esistenza l’unico modo in cui i neuro diversi potevano partecipare al servizio militare che in Israele è obbligatorio per tutti i ragazzi e le ragazze sopra i 18 anni e che è un importante collante sociale era in qualità di volontari o di aiutanti di ufficio. Ora invece operano sul campo…

di Carlotta Jesi

Scrivere: lo spazio, il ritmo, il pensiero, la relazione

Scrivere: lo spazio, il ritmo, il pensiero, la relazione

di  Maria Grazia Carnazzola

Introduzione

 Uno dei problemi che ogni sistema di Educazione, Istruzione, Formazione, si trova ad affrontare è quello relativo alla promozione della competenza linguistica, intesa come strumento cognitivo e non esclusivamente come fatto stilistico. Numerose sono le ricerche recenti, italiane (Vertecchi) e internazionali, che segnalano come l’apprendimento della scrittura manuale, e di quella corsiva in particolare, abbiano una forte rilevanza sull’apprendimento e sullo sviluppo di altre abilità/competenze quali la riflessione critica, la lettura, l’articolazione delle capacità linguistiche e logiche; ma, al di là dell’esaltazione mediatica e della retorica ufficiale- entrambe di breve durata- concretamente ben poco viene fatto per sfruttare compiutamente ciò che, generazione dopo generazione, ha dato forma ai cervelli con la struttura fornita dal mondo fisico e sociale, coniugando  i tempi lunghi della storia naturale con quelli brevi dello sviluppo individuale (Vallortigara) e l’emergere dei “periodi sensibili”. Le neuroscienze cognitive hanno, ora, avvalorato le intuizioni e le posizioni di Vygotskij e di Piaget. Dehaene ha ripetutamente messo in evidenza l’effetto che l’istruzione produce sul cervello umano, sulla riorganizzazione dei circuiti (riciclaggio neuronale), sul coinvolgimento dei circuiti attenzionali, sulla necessità che i processi di scrittura e di lettura diventino automatici per liberare spazi di pensiero e di azione. Questo scritto riprende lavori prodotti per convegni e corsi di formazione, tenuti per docenti e addetti ai lavori.

1. Scrivere e leggere: l’impatto dell’alfabetizzazione

Une lettre n’est rien qu’un son
Son tracè est la trace de l’homme” (Ladislas Mandel).”

 Cosa significa leggere e cosa significa scrivere? Da una parte c’è l’automatizzazione dei processi di codifica e di decodifica, dall’altra lo sviluppo delle capacità di organizzare, attraverso le relazioni logiche, i contenuti da comunicare e le modalità per esprimerli con il codice più adeguato. Il mondo della ricerca ha chiarito alcune questioni in merito alle variabili che influiscono sull’apprendimento della lingua e delle lingue. Ma il mondo della scuola, dell’infanzia e primaria in particolare, raramente viene coinvolto nella validazione delle ipotesi di ricerca e, in questo modo, gran parte delle conoscenze non vengono utilizzate. L’apprendimento infantile, che deve necessariamente partire da una costruzione di pensiero pratico, utilizza le prime acquisizioni della lingua orale per integrare pensiero e linguaggio e dare origine al pensiero logico. È necessario partire da attività concrete e agite direttamente, arricchendo ogni esperienza con la codifica verbale durante l’interazione sociale, offrendo molteplici occasioni per poter parlare, perché a parlare si impara, così come si impara a scrivere. Il linguaggio scritto, infatti, va considerato come parte integrante dell’ambito linguistico generale, come integratore e amplificatore del linguaggio orale e strettamente dipendente da questo: entrambe le forme sono costruite sullo stesso sistema linguistico. Codice orale e scritto rappresentano gli stessi significati: ciò che può essere scritto può essere detto e viceversa. Maggiore sarà la padronanza del linguaggio orale, più facile sarà l’acquisizione del codice scritto. Il linguaggio orale è un sistema arbitrario, culturalmente determinato, composto da lessico e sintassi. Il lessico codifica i contenuti del pensiero, la sintassi indica i significati lessicali attraverso modifiche morfologiche – desinenze, suffissi, prefissi – e dell’ordine delle parole nelle frasi. Il codice uditivo temporale poggia sull’emissione sequenziale di unità minime, le sillabe, che vengono collegate senza discontinuità in unità significative, i sintagmi, interrotti da brevi pause. Il codice visivo-spaziale, la lingua scritta, ordina i segni da sinistra a destra (per alcuni sistemi) in modo da riprodurre le sequenze di sillabe, inserendo spazi tra le parole e segni per marcare le intonazioni. Mancano l’accentuazione degli elementi della frase e i riferimenti immediati al contesto. La lingua scritta rappresenta la ricodifica in forma visiva di quella orale riflettendone l’arbitrarietà lessicale e sintattica: chi scrive traspone in forma visivo-spaziale il codice uditivo-temporale con segni grafici arbitrari per la codifica dei fonemi. Parlato e scritto sono processi governati da regole psicologiche, sociali e linguistiche solo in parte simili. Cercare il modo, o i modi, per associare le due forme di linguaggio in modo stabile, ben automatizzato e transitivo può essere un importante terreno di ricerca e di pratica. Il primo passaggio dalla forma orale a quella scritta è costituito dall’associazione stabile e transitiva tra la modalità uditivo-vocale e quella visivo-motoria. Ma quali sono i percorsi per passare dal parlato allo scritto, e viceversa, per una corretta automatizzazione di codifica/decodifica, partendo dalla fluidità motoria della mano e dell’occhio?  La scrittura manuale è un gesto di motricità fine tra i più complessi e precisi che l’uomo è in grado di compiere ed è, per questo, uno strumento tra i più avanzati e precisi di interazione con l’ambiente. Inoltre, nei dinamismi di base della scrittura corsiva (organizzazione, pressione, ritmo, armonia, direzione, flusso, ordine) si possono rintracciare, a livello pratico, tutti gli aspetti che dovrebbero caratterizzare una personalità adulta autonoma, consapevole, orientata e responsabile. Lo sforzo di vedere i percorsi educativi nella loro complessità, potrebbe contrastare la tendenza a vedere i fatti e gli accadimenti (e le loro narrazioni) come fenomeni isolati su cui intervenire nell’immediato, sottovalutando l’inevitabile manipolazione che ogni “isolamento” porta con sé.  Lettura e scrittura sono mezzi di comunicazione culturalmente appresi. Sono oggetti convenzionali e permanenti: convenzionali in quanto oggetti socio-culturali; permanenti perché richiedono l’attivazione di processi cognitivi complessi e, quindi, un ruolo attivo e consapevole del soggetto che apprende. Permanenti non significa, qui, immutabili. La rapidità con cui mutano gli scenari economici, sociali e culturali impongono costanti adattamenti degli strumenti utilizzati, la rimodulazione e la riformulazione dei concetti e delle pratiche. E per la prima volta, nella storia della nostra civiltà, gli adulti sono in difficoltà nell’insegnare alle giovani generazioni l’uso degli strumenti di accesso alla conoscenza. Per molti secoli, pur con i cambiamenti derivanti dall’evoluzione della tecnica, gli strumenti e le pratiche d’uso erano sostanzialmente le stesse e tramandate da una generazione all’altra. Ora, la generazione digitale si appropria delle conoscenze con nuovi strumenti e per questi giovani le forme e i mezzi di comunicazione vecchi e nuovi coesistono, si sovrappongono, possono integrarsi. Il problema, semmai, ed è un problema serio, è che l’eccesso di informazione disorganica che ne deriva, interferisca negativamente con la capacità di dare una forma ai saperi e alla conoscenza, cioè di riportare ogni dato di informazione a un contesto di senso- da intendere come direzione e come significato- per poter essere utilizzato e comunicato. E una delle principali forme di comunicazione continua ad essere la scrittura.  Ma cosa significa scrivere? Credo che a questa domanda abbia risposto, in modo esauriente e originale il filosofo Carlo Sini: “La scrittura come già aveva capito molto bene Husserl, e su cui è tornato Derrida, è un’operazione economica: cioè io metto in frigorifero e la scongelo molto più in là. Questo significa che gli enunciati della lingua parlata sono in situazione. Queste parole, nel momento in cui le scrivo, queste parole possono andare in Canada così come possono andare nel 2800.Questo è il destino imperscrutabile delle cose. L’operazione è economica nel senso che è produttiva, universalizza il messaggio, lo rende disponibile a molti trasferimenti di senso, ma nello stesso tempo pone il problema ermeneutico fondamentale: ogni volta noi ci scontriamo con un oggetto che possiamo chiamare scrittura, ma in fondo tutti gli oggetti fatti dall’uomo sono scrittura della sua azione, delle tracce del suo lavoro, della sua operatività. Non dobbiamo cadere nella superstizione oggettivistica, naturalistica, storicistica “adesso ti dico cosa lui voleva fare. Certo questa è una buona intenzione…ma la scrittura è il luogo del dialogo, il luogo della trasformazione conforme e non il luogo della oggettività imposta”.   

Quindi, scrivere significa, da una parte, organizzare personalmente attraverso le operazioni logiche, i contenuti da comunicare e le modalità per esprimerli con il codice più adeguato; dall’altra automatizzare i processi di codifica-decodifica come detto più sopra. Sullo sfondo rimane il problema, serissimo, delle modalità di scrittura: a mano, con quale carattere grafico, con la tastiera…È ormai opinione condivisa, dai più accreditati studiosi di neuroscienze cognitive, che la scrittura manuale non deve essere abbandonata perché è un insostituibile catalizzatore dello sviluppo motorio e cognitivo. Steve Jobs, che in età adulta frequentò un corso di scrittura corsiva, ebbe a dire che, se fosse riuscito a replicare la mano, avrebbe realizzato “un prodotto da urlo

2.  Scrivere è un fatto culturale, è un fatto personale, è un fatto sociale.

Scrivere è un fatto culturale, intendendo con questo che c’è una “storia” della lettura e della scrittura che viene riassunta come segue: 

  1. il parlare è programmato geneticamente, lo scrivere e il leggere no, sono prodotti culturali: questa osservazione dovrebbe farci riflettere maggiormente sui disturbi specifici di apprendimento e sui mancati apprendimenti.
  2. Leggere e scrivere modificano geneticamente il cervello.
  3. La lettura e la scrittura testimoniano la capacità del cervello di superare l’organizzazione originaria delle sue strutture.

Il cervello che legge, e che scrive, cambia il modo di ragionare sui fatti e sul mondo: il mondo e l’azione stanno insieme nelle parole.

Ma scrivere/leggere è anche un fatto personale che riguarda l’evoluzione e lo sviluppo individuale. Le domande di fondo sono le seguenti: come ciascuno impara a leggere e a scrivere? Quali sono i parallelismi, le diversificazioni e le curvature del necessario insegnamento? Cosa succede quando si impara a leggere e a scrivere? E cosa succede quando non si impara?

Infine, scrivere è un fatto sociale.  Ma perché nel titolo “, scrivere” (e quindi leggere che è l’altra faccia della medaglia) è stato posto all’inizio della sequenza? È risaputo che i bambini “pensano” a livello pratico prima di fare e prima di dire, ma è altrettanto evidente che è compito della scuola quello di accompagnare tutti alla miglior padronanza possibile del pensiero logico, inteso come capacità di riflettere, prevedere, valutare. Queste riflessioni le ho spesso condivise e discusse con i Collegi dei docenti degli Istituti, Comprensivi o Istituti di secondo grado, nell’ambito dei percorsi di formazione finalizzati alla costruzione di un curricolo linguistico verticale, continuo e progressivo. La centralità dell’uso cognitivo della lingua e la sua trasversalità, sono state ampiamente condivise, così come condivisa è stata la riflessione intorno al peso della diffusa scarsa competenza alfabetica. E’ ricorsa spesso l’ipotesi che le difficoltà manifestate dalla maggioranza degli allievi nello scrivere, e la conseguente   perdita di autonomia, derivi da un insieme di pratiche che vengono meno, come la scrittura a mano- in corsivo in particolare- a vantaggio dell’utilizzo di dotazioni strumentali che, al di là della loro caratteristica di funzionalità, assumono un connotato di modernizzazione delle pratiche didattiche da contrapporre alle pratiche tradizionali.  Rivedere le modalità metodologicodidattiche con cui impostare l’apprendimento/ insegnamento della scrittura, e quindi della lettura, portando in primo piano tutti quegli aspetti che riguardano sia la padronanza dei segni e la capacità di riconoscerli e di riprodurli per collegarli, sia le operazioni mentali che si manifestano attraverso il linguaggio e si concretizzano nella produzione e nella comprensione dei testi, è stata individuata come uno dei punti di attenzione. Riprendendo la ricerca empirica riportata nel testo “I bambini e la scrittura” di Benedetto Vertecchi, in particolare l’ipotesi n.4, si potrebbero articolare  progetti sperimentali classici, con gruppi di apprendimento che sperimenteranno l’uso del corsivo e gruppi di controllo, riconducendo le fasi dei percorsi ai passaggi fondamentali del progettare, agire, osservare, valutare, per migliore da un lato la prassi didattica e dall’altro le competenze di scrittura degli allievi, coordinando le attività manuali con quelle mentali. Perché non provare? 

3. Tecnologie, mente, cervello.

Le macchine, la tecnologia fanno parte del nostro mondo e della nostra vita, non lo dimentichiamo, non possiamo ignorarlo. Il loro uso, in positivo e in negativo, influenza la nostra mente e, di conseguenza, il nostro funzionamento cerebrale.  Come si potrà imparare a leggere e a scrivere, quali i percorsi di insegnamento/apprendimento della strumentalità di base: leggere, scrivere, far di conto, per utilizzare un vocabolario desueto. Chi ha insegnato e insegna ad utilizzare gli strumenti di accesso alla cultura, sa quanto di relazione, di accompagnamento anche fisico richieda questa fase dell’apprendimento/insegnamento dove il percorso è sempre un fare-dire-pensare (inteso come rappresentazione concettuale). Ma ancora prima, occorre chiedersi se scrivere a mano o sulla tastiera sia la stessa cosa, se impegni gli stessi processi cognitivi, la stessa attenzione, le stesse operazioni mentali, se richiede lo stesso tipo di manualità.

Sappiamo- dalla letteratura di riferimento- che la scrittura a mano, e in corsivo, è il gesto di motricità fine tra i più precisi e complessi che l’uomo sia in grado di compiere ed è uno strumento estremamente avanzato e raffinato di interazione con l’ambiente che richiede aggiustamenti, esercizio e tempi distesi e un accompagnamento costante che può essere continuato in famiglia, ma non può essere delegato. Gli allievi hanno ritmi, modi e tempi diversi di apprendimento, ma tutti hanno lo stesso diritto di apprendere, vale anche per chi ha una disabilità o fa riferimento a un’altra cultura…  Tornando all’apprendimento della scrittura a mano: l’abbandono di questo strumento può essere una perdita oggettiva di potenzialità? Che rapporto c’è tra il pensare in modo logico e lo scrivere? Da una parte l’automatizzazione dei processi di codifica e di decodifica, dall’altra lo sviluppo delle capacità di organizzare, attraverso le relazioni logiche i contenuti da comunicare e le modalità per esprimerli con il codice più adeguato. Il passaggio dalla forma orale a quella scritta si fonda sull’associazione stabile e transitiva tra la modalità uditivo-vocale e quella visivo-motoria. Il secondo passaggio riguarda la scelta del carattere grafico: corsivo, stampatello, script; in contemporanea, in sequenza, quale per primo, con quali tempi di apprendimento su cui calibrare quelli di insegnamento. Tutte domande a cui bisognerà trovare una risposta. Così come bisognerà riflettere sui percorsi che si dovranno proporre finalizzati alla prensione della penna a pinza superiore o per far acquisire le direzioni destra/sinistra, alto/basso, aspetti spesso poco considerati…

 Scrittura a mano Video-scrittura
– – – – –Utilizzo di una sola mano; le lettere vengono collocate nello spazio (limitato intorno alla punta della penna); attenzione concentrata su questo unico punto (tempo e spazio); chi scrive deve dare forma alla lettera in relazione al modello; c’è un rapporto diretto tra l’atto motorio e il prodotto grafico e l’esperienza coinvolge tutto il corpo e tutti i sensi; la      grafica        si       velocizza          e        si personalizza.– – – –Uso pressocchè paritario di entrambe le mani; il gesto (pressione sul tasto) si estrinseca su due spazi distinti: lo spazio motorio (tastiera) e lo spazio visivo (schermo) dove chi scrive controlla il prodotto; l’attenzione oscilla tra i due spazi separati; il rapporto diretto tra il processo di realizzazione e il risultato grafico, manca nella videoscrittura; manca la consapevolezza del movimento necessario per l’esecuzione delle diverse lettere; la digitazione sulla tastiera risponde alla costruzione di uno schema di memorizzazione della collocazione spaziale e delle forme delle lettere;
  la scrittura si velocizza ma non si personalizza.

Molte ricerche sulla “scrittura”, condotte in ambito neuropsicologico e di pedagogia sperimentale hanno messo in evidenza che la rappresentazione mentale delle lettere e la loro memorizzazione cambia a seconda dello strumento di scrittura utilizzato; scrivere a mano e digitare sulla tastiera si associano a schemi cerebrali diversi che danno luogo a prodotti diversi. La scrittura a mano potenzia l’attivazione delle aree cerebrali, favorisce lo sviluppo cognitivo, influisce positivamente sulla capacità di pianificazione e di controllo delle proprie azioni, come dimostrato da K. James1, Indiana University, Dipartimento di neuroscienze. E ancora la fluidità e l’automazione del gesto grafico influenzano positivamente tutte le writing skills, con maggiori fluidità comunicativa e produzione scritta. La prospettiva possibile? Integrare la scrittura a mano e la videoscrittura in modo da sfruttare le potenzialità offerte dalle tecnologie, senza perdere le funzioni esclusive prodotte dalla scrittura manuale corsiva. Solo così le nuove generazioni avranno chiavi di accesso veramente multimediali alla conoscenza e alla comunicazione. Ma per integrare bisogna aver appreso separatamente ciò che deve essere integrato. Il nostro cervello è plastico, non è elastico e ciò che va perduto non potrà essere recuperato in tempi brevi. Già Nietzsche, dopo aver imparato a usare la Writing Ball per dattiloscrivere i testi, condivideva con l’amico Koselitz la convinzione che gli strumenti di scrittura hanno un ruolo nella formazione dei nostri pensieri.

4. Conclusioni.

 M. Wolf della Tufts   University, nel libro “Proust e il calamaro”, sostiene che il nostro cervello non è fatto per scrivere e per leggere spontaneamente: leggere e scrivere non sono fatti naturali ma culturali. Per farlo, esso deve realizzare nuovi circuiti collegando regioni che geneticamente avrebbero altre funzioni. Ma è grazie alla scrittura che l’umanità ha fatto enormi progressi e questo giustifica gli sforzi che ciascuno deve fare, e che la scuola deve permettere di fare e insegnare a fare-quello che io chiamo il diritto alla fatica- per imparare a leggere e a scrivere; competenze, queste, fondamentali per divenire, come forma mentis e modus operandi, cittadini attivi e godere appieno del diritto di cittadinanza con competenza di pensiero e competenza di azione. Per questo l’educazione linguistica non può essere responsabilità del solo docente di italiano, né ridursi esclusivamente a una questione formale e stilistica. Didatticamente, questo rimanda alla interdipendenza tra padronanza linguistica e strutturazione del pensiero, alla lingua come elemento trasversale: precondizione, strumento e prodotto di tutti gli apprendimenti disciplinari. Pensando alle situazioni diversissime che vivono i ragazzi, alle differenze individuali e sociali che abitano le nostre scuole,  i docenti della scuola superiore non possono, perciò, non sapere come si impara/insegna a scrivere, quali siano i processi cognitivi che regolano la scrittura- a partire dagli aspetti strumentali-, il rapporto tra padronanza linguistica e strutturazione del pensiero: la lingua, orale e scritta, è lo strumento e il prodotto di tutti gli apprendimenti disciplinari, come sostiene anche S. Dehaene nel testo “I neuroni della lettura”. Credo sia necessaria e urgente da

parte della società civile tutta (ma in particolare da parte dei ricercatori e delle persone di scuola, perché a guardare le cose più da vicino c’è sempre qualcosa in più da capire), un serio e approfondito lavoro di riflessione sulla cultura e sul sapere, partendo dal patrimonio di conoscenze tecniche e culturali effettivamente possedute in questa fase storica e in questo particolare non proprio felice momento. Non si può pensare a un serio progetto di cambiamento del mondo scolastico considerando solo gli aspetti organizzativi, istituzionali e gestionali che sono importanti se ricondotti alla finalità del progetto culturale e non viceversa.  

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Chomsky N., Moro A., (2022), I segreti delle parole, Milano, La nave di Teseo
  • De Ajuriaguerra J., (1971), L’ècriture de l’enfant, Delachaux
  • Dehaene S, (2022), Vedere la mente, Milano, Raffaello Cortina
  • Dehaene S., (2007), I neuroni della lettura, Milano, Raffaello Cortina
  • Piaget J., (2016), Epistemologia genetica, Roma, Ed. Studium
  • Sini C., (2002), La scrittura e il debito, Milano Jaca Book
  •  Vallortigara G., (2023), Il pulcino di Kant, Milano, Adelphi
  • Vertecchi B., (2016), I bambini e la scrittura. L’esperimento Nullo die sine linea. Milano, Franco Angeli
  • Vygotskij L., (2013), Pensiero e linguaggio, Roma, Editori Laterza
  • Vigotskij L., Lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori
  • Wolf M., (2009), Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, Milano, Vita e Pensiero
  • Wolf M, (2018), Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale, Milano, Vita e pensiero

S. Jackson, La strega

Shirley Jackson, un problema senza fine

di Antonio Stanca

   Era successo altre volte e si è ripetuto adesso: dei tanti racconti della famosa scrittrice americana Shirley Jackson la casa editrice Adelphi ogni tanto ne ristampa alcuni riunendoli in un breve volume. Il più recente è di quest’anno, s’intitola La strega, comprende quattro racconti che sono comparsi molto tempo fa e che sono stati tradotti da Silvia Pareschi.

    La Jackson è nata a San Francisco, California, nel 1916 e a soli quarantanove anni, nel 1965, è morta a Bennington, Vermont. A portarla ad una morte così precoce sono stati l’alcol e i tranquillanti. Erano i modi con i quali cercava di arginare, contenere le crisi depressive che continuamente la assalivano. Risalivano al difficile rapporto che fin da bambina aveva avuto con una madre che la disprezzava, la rifiutava, e all’altro non meno difficile rapporto col marito. Molti impedimenti, molti ostacoli c’erano stati per lei e nonostante tutto aveva raggiunto certi risultati: si era laureata, aveva avuto quattro figli ed era diventata una scrittrice nota non solo in America. Nella narrativa aveva esordito nel 1941 con la novella My life with R. H. Macy. Avrebbe continuato a scrivere soprattutto romanzi e racconti, molti ne avrebbe scritto, molti riconoscimenti, molte traduzioni avrebbe ottenuto. Alcune sue opere sarebbero state adattate per il teatro. Tanto successo ha avuto nonostante i suoi temi si ripetano, ricorrano sempre. Li aveva derivati dalla sua esperienza famigliare e coniugale, dalle pene che entrambe le avevano procurato, dalle tristi condizioni alle quali l’avevano portata. Dalla sua vita era passata, nelle opere, a quella di altre donne, di molte altre, di tutte quelle che nell’America di allora, anni ’50, vedeva vittime di un ambiente improntato al maschilismo, volto a fare della donna una subordinata, una dipendente, a limitarla, ridurla nelle intenzioni, nei propositi in casa e fuori. La famiglia, le sue colpe, la donna, le sue pene: saranno questi i motivi dell’intera produzione della Jackson. Non si stancherà mai di rappresentare quelle situazioni di sofferenza, di esclusione, di negazione riservate alle donne del suo tempo. Erano state anche le sue, l’avevano fatta soffrire, l’avevano portata alla morte ma non senza aver dato voce ad una protesta, una contestazione, un’accusa, non senza aver fatto letteratura, arte di quella che era vita sua e delle altre. Se ancora adesso si ristampano le sue cose significa che importante è stato il loro contributo, che della storia sono entrate a far parte, che di tutti sono diventate.  

   Dei quattro racconti de La strega i primi tre riguardano i rapporti tra genitori e figli, figli piccoli, adolescenti. Mostrano quanto di errato può succedere tra i grandi e come si possa riflettere nel comportamento dei piccoli, come possa farlo diventare irregolare e a volte dissoluto. Il quarto racconto dice di una giovane signora, Clara, che da una città vicina si reca a New York per curarsi un dente o estrarlo. Viaggia in autobus, parte una mattina molto prima dell’alba, lascia a casa il marito e il bambino, cambia spesso autobus, il buio tutt’intorno è interrotto solo dalle luci delle stazioni di servizio e dei locali annessi, rimane indifferente a quanto avviene, sembra presa solo dal suo mal di denti, senza cura si è vestita, sempre sola sta e negli ultimi posti degli autobus, tende ad addormentarsi, il viaggio è lungo e solitario. Arrivata a New York dovrà passare attraverso molti uffici prima di raggiungere lo studio del dentista. Estratto il dente tornerà per strada e qui ricomparirà quel distinto, garbato signor Jim che aveva conosciuto nelle ultime stazioni di servizio. Con lui aveva scambiato poco, solo qualche parola ma ora gli si unisce e insieme fuggono dalla metropoli, dalla loro vita precedente, vanno lontano da tutto. Molto, quindi, soffriva in casa Clara se così strano era stato il suo comportamento per l’intero viaggio, il suo rapporto col dentista, se è bastato il semplice garbo di quel Jim a farle cambiare tutto nella vita. E tanto soffrivano pure i tre bambini dei precedenti racconti se a volte insolenti erano stati. Altri esempi sono i loro casi e quello di Clara dei temi propri della Jackson, la famiglia, la donna. Ancora una volta di essi ha trattato, in essi si è trasferita, di sé, bambina e moglie, di atmosfere cupe, inquietanti è stata la scrittrice. Si ripete ma non stanca la Jackson perché sempre nuove sono le situazioni che crea per svolgere i suoi problemi. È un modo per dimostrare quanto estesi, quanto diffusi essi siano.

Decreto Legislativo 13 dicembre 2023, n. 222

Disposizioni in materia di riqualificazione dei servizi pubblici per l’inclusione e l’accessibilità’, in attuazione dell’articolo 2, comma 2, lettera e), della legge 22 dicembre 2021, n. 227. (24G00004)

(GU Serie Generale n.9 del 12-01-2024)