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Lettera a Vauro

Lettera a Vauro

di Maurizio Tiriticco

Caro Vauro, apprezzo sempre le tue riflessioni, soprattutto quanto hai scritto sul Fatto Quotidiano e quanto hai detto sere fa a Radio24 sul conflitto in Medioriente. Sono d’accordo con te e so bene che la ragione è dalla parte dei Palestinesi. Semplicemente perché sono stati espropriati delle proprie terre! Qualcuno, anzi tanti Qualcuno, con la Q maiuscola decisero alla fine della seconda guerra mondiale che gli ebrei, dopo i massacri che avevano subito, avevano diritto ad una loro terra, ad un loro Stato. Nulla da obiettare a questa decisione, ma… Questi qualcuno hanno compiuto una scelta, ma hanno mai consultato i Palestinesi? Non credo proprio! Va considerato che in quelle terre da secoli sono sempre convissuti gruppi eterogenei, anche sotto il dominio ottomano. In seguito, con l’avvio del colonialismo e poi, con la fine della prima guerra mondiale e il crollo della Sublime Porta, quelle popolazioni sono state sottoposte al rigido controllo dei tanti Mandati e Protettorati che gli Stati capitalistici occidentali hanno voluto istituire, ovviamente “per il bene di tutti” e “per la conservazione della pace”. In effetti, invece, per disporre in Medio-oriente, una zona sempre critica e calda, di una sorta di testa di ponte a fronte del mondo confinante: la Persia, l’Irak, “indipendente” dal 1919, l’Arabia Saudita.
E fu proprio dagli anni Venti del secolo scorso che le potenze occidentali cominciarono a favorire insediamenti ebraici provocando tensioni con le preesistenti comunità arabe. La creazione dello Stato di Israele del secondo dopoguerra non è stata che una conseguenza mirata di una politica che ha sempre inteso di disporre in Medioriente, zona per certi versi sempre “calda”, di uno Stato che riflettesse modalità istituzionali e organizzative simili a quelle delle “democrazie occidentali” o, se si vuole, dell’organizzazione capitalistica di una società. E non è stato un caso che le potenze occidentali hanno investito fior di quattrini per costruire ex novo uno Stato con tanto di S maiuscola, che oggi non solo dispone di uno degli eserciti più forti del mondo, ma anche della bomba atomica! Alla faccia dell’intifada dei poveri ragazzi palestinesi!
Ciò che è avvenuto dopo la vicenda delle molteplici “exodus” e dei tanti sbarchi che a tutt’oggi non hanno ancora fine, è più che noto. Piaccia o non piaccia, le popolazioni palestinesi preesistenti sono state a poco a poco, ora con i guanti, ora con efferati eccidi – come non ricordare il massacro di Sabra e Shatila? – messe alle corde, e non nel senso metaforico: prigioniere nei loro territori.
Israele e i suoi alleati occidentali hanno un’enorme responsabilità per quanto è avvenuto e avviene ogni giorno in quelle terre. I palestinesi hanno un unico torto: quello di non poter disporre né di un gruppo dirigente autorevole né di alleati né di armi né di danaro. Hamas nella striscia di Gaza è capace soltanto di provocare un nemico potente che poi trova ragioni da vendere per giustificare i suoi bombardamenti a tappeto! Per ogni razzo sparato da Gaza, la risposta è di tonnellate di missili, bombe, invasioni di carri armati! Sembra che Hamas sia il migliore alleato di Israele! Abu Mazen e Al Fatah in Cisgiordania contano quanto il due di briscola. Hanno tollerato e continuano a tollerare che gli Israeliani persistano nel costruire vere e proprie città per sempre nuovi coloni, difese per altro da mura alte sei metri, valicabili solo da cittadini israeliani. E così i Palestinesi della Cisgiordania sono dei prigionieri in casa propria: come i loro confratelli della striscia di Gaza.
Di fatto Gaza e la Cisgiordania sono due prigioni a cielo aperto. E di questa situazione non si vede la fine. Quante volte sono stati aperti negoziati di pace e quante volte sono stati chiusi? In effetti, a Israele la pace interessa fino a un certo punto. Perché, con trattative sensate ed equilibrate, dovrebbe fare cessioni politiche e organizzative che per il suo Stato non sarebbero affatto convenienti? Da parte sua, Amas sembra avere tutti gli interessi a tirare la corda per dimostrare al mondo quanto sono cattivi gli Israeliani. Di fronte a tale stato di cose, sembra che il dramma non avrà mai fine. E chi paga è sempre la popolazione civile!
Caro Vauro! Scusami se l’analisi che ho condotta è stata frettolosa e imprecisa, ma penso di avere centrato i problemi di fondo. Ti informo che ho chiesto a Francesco che “vada a trovare il Sultano”, come fece secoli fa il Santo di Assisi, di cui ha voluto portare il nome! Lui ci andò… a cavallo di un somaro! Il nostro Francesco potrebbe disporre di un jet! Affacciarsi al balcone e invitare alla pace non serve. Tutti i papi, a mia memoria, dal dopoguerra ad oggi hanno sempre invocato la pace! Ma la pace bisogna imporla! E penso che Francesco abbia tutte le energie per farlo! Anche perché non indossa le scarpe rosse papaline, ma preferisce quelle da globe trotter! E allora, si dia da fare, se vuol fare onore al nome che porta. E non c’è ragion di stato che tenga, a fronte di massacri che si perpetuano anche mentre io scrivo e quando tu leggerai.

“Pasticcio” o disinteresse?

Solo un “pasticcio” o chiaro disinteresse per la democrazia scolastica?

di Cinzia Olivieri

 

Com’è noto, dopo la mancata proroga del CNPI, il Consiglio di Stato aveva respinto l’appello proposto dal Ministero, avverso la sentenza del Tar Lazio che aveva ordinato al MIUR di avviare le procedure per l’insediamento del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, previsto dal dlgs 233/99 (adempimento in caso di difetto da compiersi dal prefetto di Roma nella qualità di commissario ad acta). Per il Consiglio di Stato, infatti, l’Amministrazione “non può rifiutarsi di applicare una norma legislativa” per un “presunto vizio di legittimità” (e cioè l’eccepita incompatibilità del dlgs 233/99 con le norme del Titolo V della Costituzione) in merito al quale potrebbe pronunciarsi solo la Corte Costituzionale. Nell’attesa, ci si augurava non si volesse ricorrere alla decretazione di urgenza per sanare i vizi di atti emanati senza il previsto parere (1).

Tale speranza è andata delusa e, decorso il previsto termine per l’emanazione dell’ordinanza di cui all’art. 2, comma 9, del dlgs 233/99 (che doveva stabilire termini e modalità delle elezioni), già a giugno si preannunciava (2), nell’imminenza dell’emanando DL 24 giugno 2014, n. 90, entrato in vigore il 25.6.2014, l’inserimento di un articolo che facesse salvi gli atti e i provvedimenti intanto adottati ed i futuri (fino al riordino degli organi collegiali) prevedendosi anche possibili interventi abrogativi.

Tanto non è accaduto, ma una risoluzione della questione si rendeva sempre più urgente non solo a seguito della prevista nomina del commissario ad acta (3), in ottemperanza alla sentenza n.8843 del Tar del Lazio, ma altresì e soprattutto a causa dei ricorsi avverso provvedimenti adottati senza i pareri (obbligatori e facoltativi) del CNPI (4).

Pertanto con Legge 11 agosto 2014, n. 114 di conversione del citato DL n. 90/14, in vigore dal 19 agosto è stato infine introdotto l’art.  23-quinquies che ha disposto la salvezza di tutti i provvedimenti adottati senza i previsti pareri del CNPI, i quali non saranno più dovuti sino alla ricostituzione degli organi collegiali della scuola e comunque non oltre il 30 marzo 2015.

Una sanatoria quindi, sebbene l’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, richiamando l’art. 25 della Costituzione affermi “La legge non dispone che per l’avvenire…”.
Entro il 31 dicembre dovranno invece tenersi le elezioni per il Consiglio Superiore della Pubblica istruzione, denominazione questa già adottata per l’organo istituito nel Regno di Sardegna il 30 novembre 1847… Si attende ora l’emanazione della prevista ordinanza.

Ebbene, sempre l’art. 23 quinquies  della L 114/14 prevede nell’ultimo capoverso “In via di prima applicazione e nelle more del riordino degli organi collegiali, l’ordinanza di cui all’art. 2, comma 9, del decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233, stabilisce le modalità di elezione del predetto organo, anche in deroga a quanto stabilito al comma 5, lettera a), del citato art. 2” il quale, nel disporre in merito alla composizione del CSPI, fa riferimento ai quindici membri eletti dalla componente elettiva che rappresenta il personale delle scuole statali nel consigli scolastici locali.

Giacché è previsto che l’ordinanza possa operare in deroga di detto comma è evidente che non sarà necessario provvedere alle elezioni ed alla costituzione degli altri organi collegiali territoriali (e nella fattispecie dei consigli scolastici locali), risolvendo così ogni presunta eccepita questione di illegittimità costituzionale, mentre il CSPI sarà composto quasi prevalentemente da “nominati” e cioè da:

a) quindici membri nominati dal Ministro tra esponenti significativi dei mondo della cultura, dell’arte, della scuola, dell’Università, del lavoro, delle professioni e dell’industria, dell’associazionismo professionale, che assicurino il più ampio pluralismo culturale e, di questi, tre esperti designati dalla Conferenza unificata Stato-Regioni città e autonomie locali e tre esperti designati dal CNEL (organo la cui sorte è segnata dal progetto di riforma costituzionale).

b) tre membri eletti rispettivamente uno dalle scuole di lingua tedesca, uno dalle scuole di lingua slovena ed uno dalle scuole della Valle d’Aosta

c) tre  nominati dal Ministro in rappresentanza delle scuole pareggiate, parificate e legalmente riconosciute e delle scuole dipendenti dagli enti locali, tra quelli designati dalle rispettive associazioni.

È chiaro quindi che non si tratta semplicemente di una scelta tra eletti e nominati ma, disilludendo le aspettative di chi auspicava che presupponendo il CSPI la costituzione dei consigli scolastici locali si provvedesse anche a questa, di un preciso intento di evitare l’istituzione degli altri organi territoriali, presuntamente (in quanto non vi è mai stata una pronuncia della Corte Costituzionale in merito) incompatibili con il riformato Titolo V, del quale peraltro si stanno ora discutendo in aula ulteriori modifiche.

La norma della L 114/14, inoltre, fa riferimento generico agli organi collegiali della scuola, senza distinguere tra i livelli di istituto e territorio.

Il dlgs 233/99, non ancora vigente in quanto la L 463/01, intervenendo sull’articolo 8 di tale decreto aveva precisato che  l’abrogazione degli organi collegiali territoriali sarebbe seguita solo  “con effetto della costituzione dei nuovi organi collegiali locali e regionali,   ha ad oggetto la riforma degli organi collegiali territoriali della scuola, attualmente previsti e disciplinati dal dlgs 297/94 e mai abrogati, neanche dalla L 114/14 che formalmente esautora il CNPI ma non lo cancella… A questo ha provveduto di fatto il mancato rinnovo delle componenti elettive conseguente alla non indizione delle elezioni (come già avvenuto per i consigli scolastici distrettuali e provinciali) e la non riconfermata prorogatio (che però ha operato sino al 2012 solo per esso).

Tuttavia si cancella così invece la democrazia scolastica e la “rappresentanza e partecipazione alle componenti della scuola e ai diversi soggetti interessati alla sua vita, alle sue attività e ai suoi risultati” (comma 1 del primo articolo del dlgs 233/99) che le norme vigenti assicurano ad ogni livello territoriale.

Gli organi collegiali erano considerati, ancora qualche anno fa, una “palestra di democrazia”, in quanto operanti secondo i principi della collegialità, della democrazia e della partecipazione ed assunti “come valori fondanti del nostro ordinamento”, tanto da affermare che “la scuola senza partecipazione è come un motore senza olio”. (5) Cosa è cambiato? Dunque gli organi collegiali ora non “servono” più? Ma è questa davvero l’idea di chi opera nella scuola?

Occorre difendere la democrazia scolastica… ma chi lo sa in questo strano agosto che ancora deve finire? Rammentiamo che la circolare elezioni è stata già emanata (CM 42/14) e nonostante il richiamo in esordio al mancato intervento di modifiche di tipo legislativo degli organi collegiali a livello di istituzione scolastica, tutto apparirà normale e potrebbe essere difficile cogliere le implicazioni dell’art. 23 quinquies della L 114/14.

Intanto l’auspicio è che, rivisto nuovamente il Titolo V e superate le lamentate problematiche, si costituiscano organismi territoriali, anche volgendo lo sguardo a modelli come quello della provincia autonoma di Bolzano, fino ad ora forse non adeguatamente considerato sul piano nazionale.

 

Note

(1)  Edscuola.it Ripristino degli organi territoriali Quale modello per un governo del sistema.

(2)  orizzontescuola.it Nella riforma della PA si abroga il CNPI. Così salvano liceo quadriennale. Al via riforma organi collegiali 13/06/2014

(3)  orizzontescuola.it CNPI sarà ripristinato da un commissario ad acta 23/07/2014

(4)  flcgil.it CNPI: il Governo fa grandi pasticci pur di bloccare i ricorsi della FLC CGIL 01.08.2014

Edscuola.it CONVEGNO SCUOLA ORGANI COLLEGIALI – 10 MARZO 2004

M.G. Dutto, Acqua alle funi, per una ripartenza della scuola italiana

Mario Giacomo Dutto, Acqua alle funi, per una ripartenza della scuola italiana, Vita e Pensiero, Milano, 2013, p. 240, € 19,00

di Maurizio Tiriticco

 

duttoLa metafora che segna l’incipit del volume è evidente! E indica l’intento dell’autore: Se una situazione è difficile, non è necessario, a volte, ripartire da zero, ma intervenire con intelligenza e determinazione là dove come è possibile e necessario. In effetti, la nostra scuola non è a pezzi, ma a macchia di leopardo: vi sono situazioni difficili, ma anche situazione di eccellenza! Quindi – ritiene l’autore – occorre guardarsi da visioni palingenetiche e mirate a riordini totalizzanti, ma intervenire con sagacia. “Acqua alle funi non significa modificare l’impianto, sostituire l’impalcatura e ripartire da capo, ma semplicemente raccogliere un suggerimento per spingere il colosso di pietra nella sua giusta posizione… La ripartenza che siamo venuti fin qui tracciando mira a fare delle nostre scuole, dalle sballottate imbarcazioni in mare aperto di oggi, i velieri di gamma di domani capaci di solcare oceani” (p. 220).

Personalmente, sono convinto che – l’ho detto e l’ho scritto più volte – non si può ripartire, se non si ha un disegno chiaro di dove si vuole andare e, soprattutto, da dove veniamo. La frammentazione della nostra scuola, in gradi e ordini, si è sviluppata nel corso dei decenni fin dalla primissima legge Casati! E tutta la nostra politica scolastica si è sviluppata nel corso degli anni aggiungendo pezzo a pezzo percorsi a seconda delle necessità culturali e occupazionali che nel Paese si presentavano di volta in volta. Un disegno unitario è sempre mancato, almeno fino alla fine del secolo scorso quando due ministri, Berlinguer prima e Moratti successivamente, intesero por mano a un riordino – con criteri e fini diversi, date le diverse impostazioni politiche e culturali – che investisse la totalità di una scuola che ormai, nella società della conoscenza e dell’apprendimento per tutta la vita, non poteva non essere un vero e proprio sistema. E non fu un caso che, in ambedue le loro leggi delega, il progetto intende costruire un “sistema educativo di istruzione e formazione”, istruzione generalista, potremmo dire, e formazione professionale.

In effetti lo stesso Dutto, pur non credendo a riordini sistematici complessivi che, forse, richiederebbero tempi lunghi e presenterebbero, forse, più problemi di quelli che occorrerebbe risolvere, non rifugge da una visione di insieme: “Ridurre a quattro anni il secondo ciclo, scelta ragionevole, peraltro già praticata nei licei italiani all’estero, può essere di stimolo per gli studenti. L’allentamento delle rigidità nel percorso scolastico, con anticipi nell’ingresso nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, è la risposta ai tempi diversi e ai ritmi di crescita degli studenti” (p. 230). Giacomo Dutto è troppo intelligente e ne sa troppo di scuola per non riconoscere che acqua alle funi può nascere solo dalla consumata esperienza e dall’intuizione di quell’operaio di cognome Bresca, che di costruzioni ne sapeva forse più di un ingegnere! E non da interventi a pioggia e, certamente, approssimati, anche se giustificati da una sorta di “disegno Intelligente”! Intelligente quanto si vuole, ma così difficile a costruirsi!.

L’acqua alle funi di Dutto vuole quindi essere in primo luogo un invito a una riflessione attenta sullo stato della nostra scuola, che a occhi superficiali potrebbe apparire in uno stato tale per cui occorrerebbe ricominciare tutto da capo! Ma è proprio il “da capo” che per l’autore non avrebbe senso. Anche perché il “da capo” richiederebbe un’intelligenza sistemica e una prospettiva lungimirante propria di una classe politica di alto profilo. E richiederebbe anche tempi lunghi e risorse non indifferenti. E così non è! Allora occorre ripartire da quello che c’è di buono. E di questo “buono” ne abbiamo tanto e diffuso in tutta la penisola. Lo sa Dutto e i tanti appassionati insegnanti di cui disponiamo. Basta sfogliare l’ultimo libro di Luigi Berlinguer, dal titolo più che significativo: Ri-creazione, una scuola di qualità per tutti e per ciascuno (Liguori, Napoli, 2014) [1]. L’autore riferisce di iniziative e di sperimentazioni di estremo interesse, diffuse su tutto il territorio nazionale. Si tratta di “obelischi” che la sagacia, l’intuito e la determinazione di tanti insegnanti e dirigenti hanno eretto con dispendio di tante energie e, soprattutto, intelligenza… e di tanta acqua da dare alle corde!

Quindi, ri-creare e ri-partire costituiscono atteggiamenti, consapevolezze, intenzioni, che danno poi luogo a iniziative di alto profilo. Dutto ci offre una sorta di sillabario della ripartenza consapevole e mirata. In primo luogo la consapevolezza che “la scuola è questione di tutti: l’educazione tocca le diverse età e determina la qualità della vita” (p. 5); è l’incipit del volume. Tuttavia, “andare a scuola non ha lo stesso significato per ciascuno” (p.5). La dispersione è ancora altissima; e un Paese avanzato non la può assolutamente tollerare. Apprendere tutti e per tutta la vita è una vera e propria parola d’ordine per la società della conoscenza. Di qui la primazia dell’insegnamento e del sistema educativo di istruzione e formazione. E si susseguono i diversi capitoli: gli errori commessi e da evitare; i risultati da raggiungere per competere anche a livello mondiale; le decisioni da assumere, anche per incentivare e moltiplicare le buone pratiche. Sono interessanti le considerazioni sulla leadership educativa dei dirigenti e sulle “energie sconosciute” (p.150) che la stagione dell’autonomia ha fatto emergere e che a tutt’oggi restano in una certa misura disattese. Non manca un discorso sulla valutazione e sulla necessità di non farne l’unica ragione di fondo dell’insegnare/apprendere. Forse occorre valutare meno, ma valutare meglio (p. 173).

Particolare importanza assume l’intervento educativo nelle primissime fasce di età. Anche se possiamo vantare un’ottima scuola dell’infanzia, non possiamo fare a meno delle “politiche che occorre adottare per l’intera fascia di età fino ai 6 anni, come investimento per le future risorse umane” (p. 184). Ed è importante sottolineare come e perché “alcuni programmi di testing internazionale hanno, seppur in modo indiretto, posto a 15 anni la prima tappa significativa per verificare lo stato di salute dei sistemi scolastici misurando, a tale età, capacità, conoscenze e competenze di ogni singolo studente” (p. 185). A questo proposito, è opportuno sottolineare gli obiettivi che l’European Qualifications Framework ha posto a tutti i sistemi educativi, istruttivi e formativi dei 28 Paesi dell’UE, obiettivi che il nostro Paese ha fatto propri con l’Accordo quadro del 20 dicembre 2012. Ed è una sfida che dobbiamo accettare e che non possiamo assolutamente perdere.

Particolare importanza assume una rinnovata riflessione pedagogica, anche perché a volte è sembrata prevalere una sorta di pedagogia dell’amministrazione: la circolare ministeriale che veicola e avalla certe procedure e non altre; una cm che finisce spesso con il sostituirsi a quelle pratiche dell’insegnare/apprendere di cui la scuola deve essere ed è responsabile nell’autonomia delle sue scelte. “Serve un ritorno alle origini, non cronologico bensì culturale e, si direbbe, filosofico. Il termine ‘pedagogia’ può essere fuorviante e spostare attenzione su diatribe circa le basi epistemologiche delle scienze della formazione o le distinzioni e le gerarchie rispetto ad altre discipline o ambiti disciplinari. Sarebbe improprio lasciarsi prendere da questa pur interessante prospettiva, mentre potrebbe rivelarsi fruttuoso rispolverare letture classiche, da Comenio a Jean-Jacques Rousseau, da Pestalozzi a Gabelli, da Sant’Agostino a Quintiliano, a Socrate” (p. 205). Costituiscono quei fondamentali su cui poi procedono le ricerche più recenti e avanzate, dagli Jakobson ai Wigotsky, dai Bruner ai Gardner, per non dire dei nostri, da Mario Lodi a Loris Malaguzzi, da Don MIlani ad Aldo Visalberghi, a Raffaele Laporta.

Sono gli autori che fanno dell’insegnante prima di tutto un esploratore, un suscitatore di emozioni e di ricerche. “L’interesse, la curiosità e la scoperta sono i fattori che possono riconciliare gli studenti di oggi e di domani con un’esperienza scolastica guidata da insegnanti capaci di alimentare la passione per il sapere”.

Potremmo anche avere la migliore legge sulla scuola, ma quant’è più importante disporre dei migliori insegnanti! Per “produrre” i migliori studenti! “Uno studente che trova e coglie la sua opportunità è una persona che percorre la strada del successo formativo ed è una ricchezza per il Paese. Non è fiducia illusoria: è l’unico modo in cui la scuola può interpretare la propria responsabilità e ritrovare il gusto di sé”. E’ l’expedit dell’ottimo saggio che introduce il volume: “Ragione e passione. Verità, responsabilità e fiducia per scuola”, di Renata Viganò.

In conclusione, si tratta di un volume che delinea problemi, li delimita e li illumina, anche in forza di un corposo corredo di note e di citazioni. Problemi che non si possono risolvere, se prima non si è riflettuto sullo stato delle cose e sui passi che occorre percorrere!

 

[1] Vedi la mia recensione al volume di Luigi Berlinguer in www.edscuola.it

A. Parente, Una scuola inclusiva

A. Parente, Una scuola inclusiva

Principi, processi, protagonisti, problematiche, progettazioni, Ed. dal Sud, Bari 2014

 

parenteIl testo vuole offrire una bussola per docenti curricolari, docenti di sostegno e per chi aspira a diventarlo.

Dopo un excursus storico-normativo, dall’ esclusione alla valorizzazione della diversità fino alla recente normativa sui BES, si analizzano le caratteristiche di una realtà scolastica sorretta da una logica inclusiva.

Riflessioni pedagogiche, educative e didattiche guidano il lettore nella comprensione del mondo della diversità nei differenti ordini scolastici: scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo e di secondo grado.

Il variegato e complesso panorama delle nostre scuole richiede docenti – fra cui docenti per le attività di sostegno- che sappiano coniugare “umanità” e “competenza” per il successo educativo e formativo di ciascuno.

Utopia pedagogia o realtà possibile e realizzabile?

Nelle pagine sono indicate alcune delle strategie e metodologie didattiche per una progettualità educativa e sono individuati possibili percorsi di inclusione validi per i differenti ordini di scuola.

Consapevoli che l’essenziale è invisibile agli occhi e che va cercato con il cuore, come il Piccolo Principe ci insegna nelle sue relazioni con la volpe e con la rosa, ogni docente, educatore e genitore, nell’ascolto della grande sinfonia dell’umanità, dovrebbe percepire le sfumature delle singole diversità per accompagnare l’educando nel proprio processo educativo.

Il testo è un valido supporto sia per coloro che parteciperanno alle selezioni per il TFA di sostegno, sia per chi si prepara ad entrare nel mondo della scuola e per chi già vi è e vuole esserne maggiormente aggiornato

S. Laffi, La congiura contro i giovani

Giovani d’Italia

di Antonio Stanca

 

laffiA Gennaio di quest’anno dalla Feltrinelli di Milano, nella “Serie Bianca”, è stato pubblicato il volume La congiura contro i giovani (Crisi degli adulti e riscatto delle nuove generazioni), pp. 174, € 14,00. L’autore è Stefano Laffi, nato a Milano nel 1965 e diventato, a quarantanove anni, un noto ricercatore e osservatore nell’ambito dei fenomeni sociali. Svolge la sua attività presso l’agenzia Codici di Milano dopo aver a lungo collaborato con la Televisione, la Radio popolare e le riviste “Lo straniero” e “Gli asini”. Suoi campi di ricerca sono le trasformazioni della società, i fenomeni di emarginazione, di consumo e quelli legati alla condizione giovanile dei nostri tempi. Intere opere ha dedicato a tali argomenti e il successo ottenuto con le precedenti è stato confermato da quest’ultima poiché diversa è risultata la posizione in essa assunta dall’autore rispetto a quanto generalmente si pensa, si dice, si scrive oggi riguardo ai giovani, in particolare ai giovani italiani, alle loro condizioni, alla loro vita. Ovunque li si accusa di vizi, di colpe che vanno dal privato al pubblico, dalla famiglia alla scuola, alla società, dalla formazione all’applicazione. Ovunque li si mostra deviati, alterati nei costumi. Si attribuiscono loro disordine, negligenza, irresponsabilità e nessun motivo sembra poter essere addotto a favore, a difesa. In nessun modo sembra possibile giustificare il loro comportamento poiché ogni regola, ogni misura è vista da essi infranta.

Non si pensa però, nota il Laffi nella sua opera, che vi possono essere dei motivi nascosti dietro tali comportamenti, che questi possono derivare dalla situazione, dall’atmosfera che in particolar modo in Italia si sono venute a creare negli ultimi tempi. La modernità dagli italiani come dagli altri popoli europei reduci da due guerre mondiali e per questo ansiosi di rifarsi di quanto sofferto, subito, perduto, è stata accolta con entusiasmo, con fervore. Inarrestabile, senza sosta è stato il modo col quale essa si è manifestata, è stata vissuta. Ogni ambiente di vita, privato e pubblico, si è arricchito dei mezzi, degli strumenti nuovi che la scienza e le sue applicazioni tecniche mettevano a disposizione di tutti. Moderni facevano sentire il possesso, l’uso dell’automobile, della televisione e di tutto quanto, all’interno o all’esterno della casa, era divenuto possibile e poteva rendere facile, comoda la vita. Anche il tipo di lavoro cambiava, a quello irregolare, precario subentrava quello ordinato, d’ufficio. Anche le istituzioni partecipavano di tale processo di cambiamento, rinnovamento, ampliamento. Aumentavano gli uffici, miglioravano l’economia, la politica, crescevano le città, le case, le scuole, le strade, le piazze, i mercati diventavano super, migliorava la vita, arrivava a quella di oggi, del computer, di Internet e dei suoi molteplici connessi. Il progresso si estendeva oltre ogni previsione, assorbiva tutto, coinvolgeva tutti. Tanto movimento, però, rimaneva all’esterno delle persone, procurava quanto serviva loro ma riduceva l’attività del loro pensiero, l’impegno del loro spirito, annullava la loro volontà. Le trasformava nella massa necessaria al consumo richiesto da tanta produzione. Le disponeva ad accettare quanto altrove veniva pensato, prodotto per loro, le rendeva passive e, ancor più grave, le legava a quella condizione. La faceva ritenere buona, la migliore e allontanava ogni intenzione di cambiarla.

I giovani, però, potevano comportare tale intenzione fossero essi figli, alunni o in cerca di occupazione. Per i bambini il padre, la madre, presi dalle loro occupazioni, non avevano tempo né modo di parlare o di ascoltare, per gli alunni il docente ripeteva modelli d’insegnamento vecchissimi che escludevano i ragazzi da ogni partecipazione, da ogni contributo personale e relegavano la maggior parte ad una condizione di perpetua ignoranza, per i giovani il sistema non lasciava intravedere spazi, possibilità d’inserimento poiché si era tanto cristallizzato nelle proprie posizioni da fargli evitare tutto ciò che avrebbe potuto modificarle. Ognuno, famiglia, scuola, società, difendeva le sue cose, ognuno lo fa ancora oggi. Non sono i giovani quindi, osserva il Laffi, a voler essere strani, privi di regole ma è la situazione a disorientarli, confonderli visto che niente di ciò che è loro, del loro pensiero, del loro spirito, della loro volontà, della loro vita, ha possibilità di essere espresso e accolto.        Nessuno spazio è ad essi consentito fin dalla nascita, solo rifiuti incontrano e questo li rende inquieti, intolleranti, li porta ad assumere atteggiamenti strani, a compiere azioni che fanno preoccupare.

Il passaggio, lo scambio tra vecchia e nuova generazione in Italia non è ancora avvenuto, viene evitato quasi fosse temuto. Sembra “una congiura contro i giovani”, dice Laffi, quella in atto nel nostro Paese. Chi è dalla parte adulta non vuole vederla cambiata, ridotta e nessuna soluzione lascia intravedere una simile situazione. Soltanto l’esempio offerto da alcune compagnie di giovani, osserva lo studioso, che oggi si sono formate per condurre una vita in comune, per svolgere insieme attività di vario genere, per scambiare, collaborare, potrebbe tornare utile. Coinvolti dovrebbero sentirsi gli adulti in questi modelli di vita, dovrebbero disporsi verso di essi, avvicinarli, inserirsi, capire che le distanze, le differenze possono essere colmate. Con questa speranza il Laffi conclude il libro dopo un percorso lungo e molto articolato anche se sempre facile, scorrevole, sempre animato, ricco di riferimenti, di citazioni di opere di autori di chiara fama. L’abilità espositiva, la vivacità delle immagini e la vasta cultura del Laffi fanno dell’opera un documento essenziale, indispensabile, un documento dal quale non si dovrebbe prescindere in nessun ambiente di studio della nostra nazione dal momento che i costumi di questa è impegnato ad analizzare.

Intelligenze al macero

Intelligenze al macero

di Domenico Ciccone

 

Non chiederei a nessuno di condividere appieno le teorie di Gardner sulle intelligenze multiple, tuttavia ritengo che la tradizione, la storia, le letteratura e la scuola stessa ci abbiano dimostrato ampiamente che le persone sono portatrici di diverse modalità di apprendimento e di molteplici approcci per risolvere i problemi ed affrontare la vita.

Da dirigente scolastico di un istituto che accoglie, sotto lo stesso tetto ( si fa per dire ), un liceo scientifico tradizionale ed un istituto professionale completo di moltissimi indirizzi con relative opzioni, continuo a rimanere dell’idea che buona parte della crisi economica, che attanaglia il nostro Paese nell’ occidente civilizzato, sia dovuta all’incapacità della scuola di rispondere, con modelli di insegnamento innovativi ed efficaci, non solo ad una domanda di istruzione e formazione completamente nuova e del tutto diversificata ma anche al bisogno di ciascun individuo di esprimere al meglio se stesso, le proprie inclinazioni, attitudini, interessi, conoscenze ed abilità.

L’autonomia della scuola italiana avrebbe dovuto costituire una valida risposta alla costruzione di competenze per le nuove generazioni se solo fosse stata in grado di avvalersi di tutti gli strumenti che, appunto, l’autonomia consente, per propria natura.

Ciò che nell’assetto normativo della L. 59/97 aveva trovato un barlume di adeguatezza per rendere la scuola un luogo nel quale ciascuno dei giovani potesse realizzare appieno la propria peculiare intelligenza, è stato sistematicamente vanificato da una normativa secondaria sempre più restrittiva e mortificante al punto che ormai di autonomia ne rimane ben poca.

Niente organico funzionale, poche risorse economiche, classi di concorso atipiche bloccate da vincoli tutt’altro che progettuali, scarsa propensione dei docenti all’innovazione, atteggiamento furbo ed opportunista di molti studenti che, come in ogni stato confusionale che si rispetti, fanno la loro parte approfittando di ogni opportunità per sbarcare il lunario rigirando il coltello nelle piaghe ormai incancrenite del burn out che attanaglia buona parte dei docenti e del personale della scuola.

Mai come in questo momento occorre un’azione forte e coraggiosa che faccia davvero la differenza. I giovani si stanno adeguando al peggio ritrovando nella scuola un appiattimento delle loro variegate intelligenze che nuoce ad essi stessi ed alla società del futuro.

I curricoli delle scuole autonome dimostrano, in questo senso, minore efficacia dei programmi ministeriali di storica memoria poiché fondano su di un’autonomia zoppicante nella quale nessuno riesce a fare la sua parte. E non potrebbe essere altrimenti in un contesto nel quale l’unica percezione vera che tutti hanno, dopo un quindicennio di autonomia sulla carta, è che siano aumentati a dismisura soltanto gli adempimenti burocratici con uno svantaggio ulteriore rispetto al passato: la zavorra insopportabile degli uffici scolastici regionali e delle loro articolazioni territoriali.

Chi ha il coraggio di dire che, come nel disegno originario, supportano le scuole autonome e ne facilitano i compiti costituzionali di promozione, sviluppo e garanzia del successo formativo?

 

Ne conosco tanti di ragazzi che hanno un’intelligenza viva, pronta, efficace, volta alla soluzione dei problemi concreti, disposti allo studio ma inclini maggiormente alla frequenza di un ambiente di apprendimento nel quale contino i laboratori, intesi come modelli di costruzione delle competenze basati sulla concreta applicazione di conoscenze ed abilità in contesti vari.

E questi ragazzi non frequentano solo gli istituti professionali; com’è giusto che sia, affollano anche le classi dei licei e dei tecnici, aspettando pazientemente che termini l’ estenuante quinquennio, alla scadenza del quale affronteranno un esame di cui sentono parlare male da tutti; fino a quando lo svolgono personalmente per parlarne male essi stessi, il giorno successivo nonostante vengano promossi tutti.

 

Nel frattempo, nel bel mezzo di questi problemi che si trascinano da quasi venti anni, stiamo mandando al macero una generazione intera di intelligenze fresche, vivaci e pronte al cambiamento pensando, boriosamente, che siano loro il problema . Nossignori, il problema è la scuola italiana che promuove quasi il 100% dei maturandi per discolparsi, dopo che li ha mortificati negli apprendimenti e nelle risorse intellettuali per l’intero corso scolastico.

Dopo che ha pasticciato con l’autonomia, con i curricoli, con la progettazione didattica e con la valutazione … promuove, senza appello, bocciando ancora una volta se stessa, nel panorama mondiale. In questo modo senza quasi accorgercene abbiamo ipotecato il futuro dell’Italia: nazione abitata da giovani vivi, svegli e creativi ma tanto poco considerati da essere impietosamente parcheggiati nel limbo del 45% di disoccupazione giovanile.

Dobbiamo solo sperare che ce la facciano, nonostante la scuola e la sua sconquassata autonomia!

S. Agnello Hornby, La Mennulara

Simonetta Agnello Hornby, La Mennulara, Feltrinelli 2002

di Mario Coviello

 

agnello_hornbyQuesta estate strana sta finendo. Liberi dal lavoro, quelli che un lavoro lo hanno, possono dedicarsi alla lettura. Voglio raccomandare a tutti Voi un mio incontro felice per condividere con chi avrà la bontà di leggermi passione e bellezza. Vi invito a fermarVi in libreria, ad andare su internet, ed acquistare,con meno di sette euro approfittando degli sconti estivi della Feltrinelli, il primo romanzo di Simonetta Agnello Hornby “ La Mennulara”.

Presento questo libro con le parole di  Alberto Rollo,direttore letterario della Feltrinelli : “ Dicembre 2001. Il dattiloscritto de La Mennulara era appena arrivato. C’era questo titolo a cui non potevo sottrarmi. Un titolo misterioso che si portava appresso, attraverso l’impronta dialettale, la solarità di quelle nasali doppie appoggiate alla prima vocale, e l’oscurità della u, poi la ruvidezza del suffisso, “-ara”, così duro, così pieno di fatica.
Guardavo quel titolo come portatore di una promessa.
Che puntualmente veniva mantenuta. Pagina dopo pagina, il romanzo si avviluppava in una spirale di accadimenti che lasciavano emergere un grande personaggio femminile di serva-padrona – occhi da Anna Magnani, languori sensuali da eroina della seduzione, sentori egiziani, gli “ardori inospiti” di Aida, e il sonar di danari, un’eredità. Era un sontuoso racconto, quello de La Mennulara, che avrebbe aperto le porte al mondo di storie opulente e severe di Simonetta Agnello Hornby.
Non ho mai smesso di sentire lo sguardo di Agnello Hornby al nostro primo incontro, in una assolata primavera romana. Attento e generoso. Entravo nel suo romanzo e cercavo di accertarne con lei architettura e forza. Fu una grande avventura, quell’investigare reciproco. Fra di noi, sola e potente, la sua Mennulara cominciava a parlare a quelli che di lì a poco sarebbero stati i suoi lettori. Molti, moltissimi. Nuovi a ogni nuova edizione. Nuovi e fedeli. “

Ed ecco di cosa parla “ La mennulara “, nella sintesi che potete trovare sul sito che Vi consiglio www. la mennulara.it : “ Roccacolomba. Sicilia. 23 settembre 1963. È morta la Mennulara, al secolo Maria Rosalia Inzerillo, domestica della famiglia Alfallipe, del cui patrimonio è stata da sempre – e senza mai venir meno al ruolo subalterno – oculata amministratrice. Tutti ne parlano perché si favoleggia sulla ricchezza che avrebbe accumulato, forse favorita dalle relazioni con la mafia locale. Tutti ne parlano perché sanno e non sanno, perché c’è chi la odia e la maledice e chi la ricorda con gratitudine. Senza di lei Orazio Alfallipe, uomo sensuale e colto, avrebbe dissipato proprietà e rendite. Senza di lei Adriana Alfallipe, una volta morto il marito, sarebbe rimasta sola in un palazzo immenso. Senza di lei i figli di Orazio e Adriana, Lilla, Carmela e Gianni, sarebbero cresciuti senza un futuro.
Eppure i tre fratelli, tornati nel deserto palazzo di famiglia, credono di avere tutti dei buoni motivi per sentirsi illusi e beffati dalla donna, apparentemente rozza e ignorante, che ora ha lasciato loro uno strano testamento. Voci, testimonianze e memorie fanno emergere un affresco che è insieme uno straordinario ritratto di donna e un ebbro teatro mediterraneo di misteri e passioni, di deliri sensuali e colori dell’aria, di personaggi e di visioni memorabili. Un grande romanzo. Una grande storia siciliana.”

Nell’intervista audio che potete trovare sempre sul sito del libro, Simonetta Agnello Hornby racconta come la storia le è sorta dentro all’improvviso mentre all’aeroporto aspettava un aereo in ritardo della British Airways ,compagnia a cui il libro è dedicato.

E subito le è cresciuta dentro e per un anno, tornata a Londra dove vive e si occupa dei diritti delle donne e dei bambini degli immigrati, non ha potuto fare a meno di scrivere.

“La Mennulara, raccoglitrice di mandorle, serva-padrona, mi è covata dentro per trent’anni e comincia con la sua morte nel mese di settembre del 1963, che è il mese della mia partenza .”

“La storia – racconta Simonetta Agnello Hornby – si è dipanata come un film, ed è la storia della rivoluzione di una serva che lavora per tuta la vita per i suoi padroni che ama perché sono l’unico scopo della sua vita di orfana che ha sempre lavorato, prima per i suoi genitori anziani e per la sorella malata. E’ la storia di un paese e di un popolo quello siciliano ,pieno di rabbia, che rimane immobile perché chiede rispetto perché sfruttato, deriso, colonizzato. “

La Mennulara è una donna che impara a leggere , ma fino alla fine si fa scrivere le lettere importanti perché si vergogna della sua scrittura grossa e sgraziata. Viene violentata da figlio sedicenne di un mafioso e ama un per tutta la vita Orazio, un nobile superficiale che solo alla fine della vita comprende che Maria Rosaria Inzerillo è stata l’unica, la vera donna della sua vita quella che lo ha atteso, ha salvato il suo patrimonio, ha imparato con lui l’archeologia e l’arte. E fa una piccola rivoluzione perché dalla Mennulara nasce un premio per i giovani musicisti che ha il suo nome.

Dopo un po’ anche nel piccolo paese , forse la dimenticheranno , ma il suo premio ricorda che la bellezza, la musica, l’arte sono la nostra unica salvezza.

Salireste su una nave senza capitano?

Salireste su una nave senza capitano?

di Laura Biancato

 

Salireste su una nave senza capitano? O su un treno senza macchinista? Rimarreste tranquilli in un reparto ospedaliero senza primario o vi servireste volentieri in un supermercato senza direttore?

Ecco quello che nella martoriata scuola italiana è la normalità: 2070 istituti senza preside. Il 25% del totale. Uno su quattro!

Non stiamo parlando di “scuole”, intendiamoci bene. Trattasi di “istituti” che, a dispetto di ogni logica e al contrario di quanto avviene nel resto dell’europa, sono spesso composti da più di 10 sedi, più di 1000 studenti, più di 200 dipendenti.

Da parte del governo, non se ne sente parlare come di un’emergenza. L’opinione pubblica tace. Eppure gli utenti sono decine di milioni.

In forte contrasto con gli effetti di una normativa che negli ultimi 15 anni ha assegnato ai Dirigenti Scolastici enormi responsabilità dirette, un retaggio culturale in stile anni ’70 porta a pensare che nella scuola non sia così grave non avere un timoniere.

Chiariamo che già la guida di un Istituto Comprensivo, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di primo grado, può arrivare a 15 – 16 plessi in un raggio di venti chilometri e più.

Ora, nel nostro sistema ormai allo sbando è diventato usuale assegnare ad un Dirigente un’istituzione come questa, più un’altra ancora. A volte pure una terza. Dove lui, ovviamente, potrà essere presente in modo quasi solo formale, per qualche ora la settimana. Per una media di 400 euro lordi al mese, aggiungiamo. Senza rimborsi spese. Ma con le medesime responsabilità dirette.

Si chiama “reggenza”, con un termine ormai entrato nel gergo burocratese, ma che per un attimo vale la pena di sezionare.

Secondo l’enciclopedia Treccani, il “reggente” è “chi esercita il potere reale e le funzioni della Corona in sostituzione del re o della regina, in via straordinaria e provvisoria e in determinati casi particolari”. Sorvolando sul “potere reale” (quale…?)e riportando in ambito scolastico la definizione, si sarebbe indotti a sperare che questa pratica abbia un significato di forte eccezionalità. Invece, negli ultimi anni le reggenze sono triplicate, senza che si siano presi provvedimenti decisivi.

Si fa un gran parlare del futuro della scuola italiana: come saranno gli edifici, come cambierà la didattica con le tecnologie, le lingue straniere, come sarà la valutazione. Ma questo? Non dovrebbe forse essere il primo tra i problemi?

Per anticipare perplessità che sono frequentissime all’interno del mondo della scuola, dove spesso si preferisce pensare che i dirigenti servano a poco, forse è il caso di fornire qualche esempio concreto sui disservizi ed i rischi che una gestione di questo tipo può comportare.

La comunicazione. In un contesto educativo dovrebbe essere il primo requisito da valorizzare. Come può un preside agevolare un rapporto diretto , e minimamente “umano”, con migliaia di soggetti diversi? Facendo i conti: 1500 studenti, 3000 genitori, 150 dipendenti di categorie diverse, interlocutori esterni tra i più disparati. Moltiplicato per due, istituti, o anche per tre.

La sicurezza. Non si tratta solo del problema gravissimo degli edifici, sovente non a norma. La responsabilità del dirigente (vedi numerose sentenze dei TAR) si traduce nella pratica quotidiana anche nella cura di tutte quelle procedure idonee a garantire una puntuale sorveglianza dei singoli studenti minorenni (se non infanti), dislocati in dieci o più sedi…

L’organizzazione interna. E’ sinonimo di efficacia ed efficienza del servizio, ma a questo punto non rientra nemmeno nelle priorità. In situazioni di reggenza, il buon andamento dell’organizzazione delle scuole diventa secondario. Si lavora sulle continue emergenze.

Mi fermo qui. Non evoco inutili interventi sindacali, ma l’attenzione diretta da parte dei nuovi responsabili del MIUR. Mai più scuole senza dirigente o senza segreteria (accade anche questo, negli istituti “sottodimensionati”). Lo si deve agli utenti, a chi tiene al benessere delle giovani generazioni, al personale della scuola, che patiscono la reggenza come primo e più diretto vuoto istituzionale.

Donna. Cervello emotivo – Cervello cognitivo

Donna. Cervello emotivo – Cervello cognitivo

 di Adriana Rumbolo

Forse non  ne  erano nemmeno coscienti, ma appena le istituzioni gli permisero  l’accesso all’università, appena la tecnologia portò  loro in casa quei meravigliosi giocattoli  casalinghi: lavatrice, frigorifero,  robottini  che in cucina fanno quasi tutto, loro, le donne,  sgranchirono il loro cervello  cognitivo realizzandosi in tutte quelle professioni ,medico, architetto, astronauta, ricercatrice, geologa  ingegnere,soldato, fino allora quasi sempre gestite da maschi, spesso anche emergendo.

L’uomo  le ammirò, qualche volta le sfruttò, ma sul potere alzò l’asticella, non dovevano accedervi.

Fin da bambina la donna  era abituata , non solo, alla distinzione fra maschi e femmine   augurabile solo  per potenziare l’ attrazione fatale  ma la storia ci racconta  che questa diversità era schiacciante soprattutto  nel diverso  QI (quoziente intellettivo) quasi sempre  più alto nel maschio.

Quindi ora la donna crede  di  essere arrivata; la tecnologia  le offre strumenti sempre più sofisticati che  le assicurano più tempo libero, la famiglia è diminuita , frequenti periodi all’estero per apprendere altre lingue e conoscere altre esperienze la rassicurano: la rivoluzione delle femministe è riuscita!

Ma   la cronaca continua a  denunciare episodi drammatici di cui le donne sono protagoniste,  che  mandano  messaggi che il  loro cervello emotivo,  è in forte sofferenza e  persiste  fortemente  il dualismo mente- corpo.

Nel percorso educativo nella famiglia e nella scuola non  è stata ancora riconosciuta la grandissima importanza del percorso nell”educazione del percorso emotivo-affettivo-sessuale dei soggetti in crescita,  maschi e femmine.

“Pensieri rapidi e morale lenta” disse , alcuni anni fa , il grande Damasio in una sua conferenza ha spiegato  bene come il corpo sia l’ àncora del cervello e  teatro dell’espressione emotiva.

Senza la conoscenza e una buona gestione delle nostre emozioni non conosceremmo il benessere psico-fisco, non potremmo superare il dualismo mente corpo e il cervello cognitivo rimarrebbe depotenziato.

Se a una donna nella  crescita è stata rispettata la sua vita emotiva di conseguenza lei potrà conoscere, gestire e soprattutto sentire il proprio corpo.

Purtroppo via , via che una bambina cresce,  sul  sentire il proprio corpo calerà sempre più il silenzio della conoscenza,  mentre potrebbro restare pericolosamente allo sbando risposte meccanicistiche-sessuali  dove solo i pregiudizi avranno pieno potere.

Sono rimasta tristemente sorpresa quando nei miei incontri con adolescenti in scuole pubbliche potevo riscontrare  come molte di loro facessero sesso senza sentirlo.

Si,è vero , che vestivano in modo provocante soprattutto quando andavano in discoteca, si truccavano pesantemente  sembravano così sicure di sé finchè  approfondendo il dialogo,  sicure di essere ascoltate e non giudicate mi raccontavano che prima della discoteca era d’obbligo fermarsi al pub per bere e superare così l’ansia di essere se stesse con i coetanei.

Se poi scoprivano che quel corpo  che non sentivano ma usavano meccanicisticamente,  poteva renderle ricche perchè no!

Non sospettavano che in alcune di loro quel corpo non amato si sarebbe fatto sentire attraverso gravi  disagi  comportamentali per molto tempo inspiegabili.

I problemi  d’amore non sono mai problemi pratici e non c’è niente che si debba o non si debba  fare.

Perché l’amore non è una cosa che si fa, ma una cosa che si sente.

Con l’uno o con l’altro, lei scopre le stanze del suo sottosuolo erotico:  primo amore alla materna e poi alle elementari, nelle vacanze estive, l ’amore che compie il miracolo di dilatare i confini del corpo nel cosmo delle emozioni  in una partecipazione totale, la maternità, l’allattamento, e abitando le  stanze una ad una lei finirà  per conoscere la propria casa interiore e stimare , curare, saper  difendere quel corpo che interagisce  continuamente con il cervello in una  grande rete di comunicazioni.

Finchè la donna non prenderà coscienza di tutto questo non saprà usare i meccanismi difensivi che la natura le ha dato  e i diritti alle risposte ai suoi desideri o ai  suoi rifiuti .

La cronaca ci racconta di donne che hanno fatto studi interessanti e difficili con brillati risultati , ma hanno subito troppe volte,  violenze da maschi immaturi e narcisisti.

Il corpo offre un riferimento di base alla mente. Il cervello cognitivo e quello emotivo  interagiscono  sempre potenziandosi a vicenda , non dimentichiamolo mai.

Una Scuola, un Dirigente!

Una Scuola, un Dirigente!
Lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi

di Francesco G. Nuzzaci

Egregio Presidente,

in attesa che venga approvata la riscrittura in corso del Titolo V della Costituzione, che ponga ordine nel ginepraio di competenze tra Stato e regioni in materia di istruzione, Lei ha preannunciato l’imminente lancio di un ambizioso pacchetto-scuola, il cui valore stimato in un miliardo di euro è sicuramente comprensivo di quei quattro spiccioli necessari a risolvere, per intanto, l’annosa questione della Quota 96 (già diventata Quota 102 e, presumibilmente, destinata a divenire Quota 103!), senza che si metta più a repentaglio l’intero bilancio dello Stato italiano. Sarà sanata un’ingiustizia e, non meno, potrà favorirsi il ricambio generazionale, anche per le posizioni dirigenziali.

L’auspicio è che si inizi dalla testa, con la creazione delle condizioni minime perché ogni istituzione scolastica possa perseguire lo scopo di progettare e realizzare sistematici interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento, com’è scritto nell’articolo 1, comma 2 del D.P.R. 275/99, Regolamento dell’autonomia.

Gli interventi da promuovere, con sapiente sinergia e con una visione sistemica, è da supporsi, ragionevolmente, che debbano coinvolgere la Sua ministra dell’Istruzione, da tempo, dopo i fuochi di artificio dell’esordio, decisamente defilata.

Non saranno pochi e presumibilmente non sarà facile definire sicure priorità. Ma è di intuitiva evidenza che il compito attribuito dal Legislatore – e, ancor prima, dalla Costituzione – alla scuola, dianzi riportato, impone, come premessa vitale, che in ciascuna delle predette istituzioni vi sia un proprio dirigente, di pieno diritto e a tempo pieno, chiamato a governare, controllare – e dunque garantire – i complessi processi ivi attivati, con l’indispensabile supporto di un direttore dei servizi generali e amministrativi, parimenti incardinato, ed in attesa dell’ausilio di un middle management sul versante della prestazione istituzionale, vale a dire l’organizzazione dell’insegnamento e di tutto ciò che lo supporta e lo correda, in una scuola che nel Suo pacchetto si vuole declinata su tempi più distesi, con un incremento del curricolo, il potenziamento dei laboratori e l’apertura al mondo del lavoro, sostenuta da un articolato e generalizzato sistema di valutazione e connessa valorizzazione di tutto il personale.

Le misure da adottare al riguardo, che ben potrebbero qualificarsi di straordinaria necessità e urgenza, sono, sostanzialmente quelle di seguito evidenziate.

1-Occorre, in primo luogo, apportare le modifiche alle leggi 111 e 183 del 2011, che hanno da un lato prescritto la costituzione di istituti scolastici mostruosi, nel senso di decisamente ingestibili, in media non meno di 1000 alunni o studenti, distribuiti – specie per il primo ciclo di istruzione – in una pletora di sedi distanti e sovente mal collegate; nel mentre, per altro verso, le c.d. scuole sottodimensionate – aventi un numero di alunni o studenti inferiore a 600 – restano prive di un dirigente e di un direttore dei servizi generali e amministrativi titolari.

Devesi quindi realizzare una semplice equazione: un’istituzione scolastica, un dirigente (e un direttore dei servizi generali e amministrativi) e cancellare lo stesso concetto di scuola sottodimensionata, che comunque è incomparabilmente più complessa e di non minore valore strategico rispetto a una ripartizione interna di un non particolarmente consistente ufficio amministrativo e al quale è preposto un dirigente pleno iure.

2- Il recente decreto-legge 58/14, licenziato con una fretta inopportuna e altrettanto sbrigativamente convertito dalla legge 5 giugno 2014, n. 87, ha inteso dettare misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico, in esito all’annullamento giurisdizionale di alcune procedura concorsuali.

Trattasi però di misure insufficienti e mal congegnate, censurabili sotto il profilo dell’equità e che, soprattutto, risolvono solo parzialmente le esigenze di continuità di direzione di poche istituzioni scolastiche, essenzialmente nella sola Toscana.

Esse costringono chi ha vinto un concorso a rifarlo, sia pure in una (futuribile) procedura riservata, scontando l’unica colpa di essere incappati nella morsa di un’Amministrazione reiteratamente e acclaratamente inefficiente (che, in luogo di chiedere conto ai propri dirigenti coinvolti, li ha premiati confermandoli nei posti di massima responsabilità) e di una giustizia amministrativa ancorata ad un esasperato formalismo. E alimenteranno, anziché spegnerlo, un non lieve contenzioso che, esauriti infruttuosamente i gradi di giudizio interni, è destinato a sfociare davanti la Corte europea dei diritti dell’uomo, adusa a pronunciare rifuggendo dai cavilli implausibili: tipo le buste trasparenti il cui interno può (forse) leggersi un controluce, sicché, astrattamente (sic!), può venir meno l’anonimato del concorrente; ovvero la sollecita sostituzione del presidente della commissione esaminatrice con un dirigente di seconda fascia – pure prevista dal bando concorsuale – senza, però, una previa, puntuale e defatigante ricerca di ( improbabili) professori universitari ordinari, magistrati o avvocati dello Stato, dirigenti generali: che – astrattamente – avrebbero potuto (forse!) far passare gli elaborati di ricorrenti bocciati? Nel mentre la stessa operazione, nella medesima tempistica, è avvenuta in altre regioni ed è infine passata indenne dal vaglio giurisdizionale.

Le sarà sicuramente noto che la Corte europea segue, piuttosto, i principi sostanziali del diritto, tra i quali campeggia la tutela piena e incondizionata delle posizioni soggettive guadagnate da cittadini palesemente incolpevoli.

Nello specifico, ripercorrendo le fattispecie (mal)regolate dal citato decreto-legge 58/14 e dalla sua legge di conversione 87/14, riteniamo che:

2.1- Si deve subito procedere con l’ordinario rinnovo del concorso a dirigente scolastico per i soli ricorrenti vittoriosi della Toscana, secondo le disposizioni di cui al D.D.G. del 13 luglio 2011, atteso che – tra le altre possibili considerazioni – lo stringatissimo prefigurato nuovo sistema di reclutamento è tuttora privo del regolamento di attuazione.

Dovranno quindi costituirsi le commissioni esaminatrici conformemente al giudicato degli alti magistrati di Palazzo Spada, tal che i predetti ricorrenti possano conseguire il c.d. bene della vita loro riconosciuto: che non è certo la nomina a dirigente scolastico, ma il diritto a (ri)partecipare al concorso, che se sarà superato consentirà loro la collocazione in una graduatoria ad esaurimento, ai sensi del decreto-legge 104/13, art. 17, comma 1 bis, convertito dalla legge 214/13. In ciò, tecnicamente, consiste l’obbligo dell’Amministrazione di portare ad esecuzione la sentenza.

2.2- Contemporaneamente bisognerà predisporre una puntuale soluzione normativa, non limitata alla salvaguardia delle posizioni dei dirigenti toscani già vincitori o idonei nel concorso cassato, ma estesa a coloro che potrebbero essere esposti a situazioni simili. Soluzione normativa che è già pronta, semplicemente richiamandosi la legge 202/10 per l’analogo concorso a suo tempo annullato dalla Corte di giustizia amministrativa per la regione Sicilia: reiterazione delle procedure concorsuali in obbligata esecuzione del giudicato, ma consistenti nella presentazione di una relazione scritta sull’esperienza maturata in funzione di dirigente e sua discussione davanti la commissione esaminatrice, il cui positivo giudizio formalizza la nomina a dirigente, con la riattribuzione della sede in fatto occupata; ovvero, per i già vincitori cui non sia stato ancora attribuito l’incarico e/o per gli idonei, presentazione di un progetto elaborato su un argomento da loro scelto tra quelli già affrontati nel corso della procedura concorsuale annullata, al cui giudizio positivo consegue la conferma della posizione già occupata nella graduatoria generale finale di merito.

2.3- Parimenti, l’elaborazione di un progetto su un argomento scelto tra quelli svolti sempre in sede di procedura concorsuale poi annullata, se oggetto di giudizio positivo consentirà ai 96 ex vincitori in Lombardia, poi risultati respinti nella ricorrezione delle medesime prove scritte, la conferma del proprio precedente punteggio complessivo e di essere collocati, secondo il relativo ordine, in coda alla nuova graduatoria e beneficiando del citato decreto-legge 104/13 (graduatoria ad esaurimento).

2.4- Ad un’altrettanto mirata e selettiva procedura concorsuale dovranno essere interessati coloro che figurano nelle code concorsuali oggetto di contenzioso giudiziario tuttora in corso, risalenti al bando di cui al D.D.G. del 22 novembre 2004 (primo concorso ordinario a dirigente scolastico), peraltro menzionate nel D.L. 58/14. Anche per questi soggetti, prima della riproposizione della procedura concorsuale standard, sia pure in sessioni riservate, dovranno recuperarsi e riconoscersi le prove già positivamente sostenute.

2.5- In termini differenti si pone il problema dei c.d. presidi incaricati, figura residuale e ad esaurimento, di poche decine di persone che, da anni, svolgono la funzione dirigenziale. Funzione già riconosciuta dai giudici del lavoro quanto agli aspetti economici, ma, per gli aspetti normativi, tenuta a bagnomaria dall’Amministrazione; che pure continua ad avvalersi dell’opera di questi cirenei, quasi sempre destinati in scuole di risulta o di frontiera.

Al riguardo, mette conto rimarcare che a breve la Corte di giustizia europea, sulla scorta delle conclusioni rassegnate dall’avvocato generale presso la medesima, ragionevolmente – in virtù della prevalenza, ratione materiae, del diritto comunitario sul diritto interno – sanzionerà lo Stato italiano per l’abuso dei contratti a termine, in violazione della direttiva UE 1999/70, vietante in senso lato discriminazioni irragionevoli nei confronti di chi svolge le stesse funzioni o mansioni dei lavoratori a tempo indeterminato; formalmente recepita dal D. LGS. 368/01 e valevole pacificamente anche nel pubblico impiego. Di conseguenza sarà smentita la stupefacente sentenza della nostrana Corte di cassazione, n. 10127 del 20 giugno 2012, di non applicabilità della normativa comunitaria de qua perché esistono norme speciali interne regolanti l’attribuzione delle supplenze e/o di incarichi a termine nella scuola! Di conseguenza, secondo gli esimi togati garanti dell’esatta osservanza e dell’uniforme applicazione del diritto:

a)per il personale della scuola non dovrebbe darsi luogo alla conversione dei rapporti di lavoro in corso a titolo precario in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, anche se protratti per anni e anche se relativi alla copertura dei posti vacanti in organico di diritto, per corrispondere – dunque – non già ad esigenze eccezionali e transeunti dell’Amministrazione, bensì e in fatto ad esigenze ordinarie e dotate di stabilità nel tempo;

b) a questo personale – figlio di un dio minore – non si dovrebbe nemmeno riconoscere il risarcimento del danno, in luogo della sua mancata assunzione negli organici;

c) addirittura, non gli spetterebbe nessun incremento stipendiale, a significare la legittimità di essere sottopagato per legge.

Sicché i presidi incaricati dovranno essere immessi direttamente in ruolo, purché non in quiescenza dal primo settembre 2014. Perché è moralmente e giuridicamente giusto che sia così, e non fosse altro per evitare al bilancio dello Stato un salasso – in termini di condanna pecuniaria dotata di effettiva dissuasività – ben più consistente dei risibili costi della loro doverosa normalizzazione.

Né può allegarsi l’ostacolo posto dall’articolo 97, terzo comma della Costituzione, secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede per concorso. Perché, a seguire, è scritto che sono fatti salvi i casi stabiliti dalla legge. E la legge in discorso (o atto equiparato) non si vede come possa essere dichiarata incostituzionale da un ipotetico giudizio davanti la Consulta, in quanto non può di certo dirsi affetta da irragionevolezza : si tratta di soggetti che svolgono – in qualche caso continuativamente da dieci anni e più! – funzioni dirigenziali, al pari dei colleghi di ruolo, senza mai essere incorsi in valutazioni negative formalizzate in atti e, per ciò, in re ipsa idonei.

3- Sgombrato il campo dai focolai del contenzioso, sempre in agguato e suscettibile di protrarsi su tempi biblici in ragione di un sistema giudiziario – il nostro – alquanto barocco, si dovrà poi dettagliare ed implementare il nuovo dispositivo di reclutamento della dirigenza scolastica, ora centralizzato e affidato all’appena istituita unica Scuola Nazionale dell’Amministrazione: e si andrà ben oltre il 31 dicembre 2014!

Ma medio tempore premono le urgenze. Abbiamo detto: una scuola, un dirigente!

I numeri in circolazione concordano nel disegnare un quadro preoccupante: 1000 istituzioni scolastiche normodimensionate sono senza titolare, cui si aggiungono le 180 dirette da chi aveva avanzato istanza di mantenimento in servizio, ora vietata dalla legge con effetto retroattivo, e in più vi sono le 475 istituzioni scolastiche sottodimensionate, acefale sempre ex lege.

Risulta che il MIUR abbia richiesto al MEF soltanto 630 nuove assunzioni, tuttora prive di via libera a poco più di quindici giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico.

Fatti i conti: più di 1000 scuole saranno affidate in reggenza; con la situazione che si presenta veramente critica in alcune regioni del Nord, Toscana e Piemonte su tutte, ma anche in Campania, dove l’ultimo concorso ordinario bandito nel 2011 è ancora bloccato e sotto la lente della magistratura penale.

Vi è però la possibilità di interventi, ancorché non compiutamente risolutivi.

3.1- Si può, in primo luogo, assicurare lo scorrimento delle graduatorie dei vincitori e idonei a tutt’oggi non esaurite (ad esempio, in Puglia, Calabria, Sardegna, Lombardia…) per coprire buona parte delle sedi eccedenti e disponibili: quelle normodimensionate e poi quelle sottodimensionate (ante).

3.2- Nell’evenienza che in qualche regione residuino vincitori o idonei per carenza di sedi – e auspicando il ripristino della dimensione nazionale piena per il futuro concorso – potrebbe ben attivarsi la previsione resa permanente dal D.L. 90/14, risolvendo il rapporto di lavoro nei confronti di chi, avendo compiuto il sessantaduesimo anno d’età, vanti l’anzianità contributiva di 42 anni e 6 mesi se uomo o 41 anni e 6 mesi se donna.

3.3- All’opposto, nelle regioni prive di graduatorie di vincitori o idonei, potrà farsi un’eccezione all’altra norma del decreto legge testé citato, accogliendo le domande di mantenimento in servizio, per non più di due anni, di dirigenti scolastici che abbiano raggiunto l’età della vecchiaia.

3.4- Non sappiamo se quanto suggerito possa rientrare o meno nel budget di un miliardo di euro. In ogni caso, la reggenza di istituzioni scolastiche dovrebbe essere l’extrema ratio.

#Scuolebelle?

#Scuolebelle ?

Sono cominciati i lavori di ripristino nelle scuole in tutta Italia. Vengono spesi al meglio i soldi dei cittadini ?

di Mario Coviello

“ Il piano di edilizia scolastica, fortemente voluto dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi ,fin dal discorso di fiducia alle Camere del 24 febbraio 2014, prende il via.
Un piano, composto da tre principali filoni, che coinvolgerà complessivamente 21.230 interventi in edifici scolastici per investimenti pari a 1.094.000.000 di euro. Quattro milioni di studenti e una scuola italiana su due sono protagonisti di questo primo progetto, che porta nell’arco del biennio 2014-2015 ad avere scuole più belle, più sicure e più nuove.” Con queste paroleIl Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha dato avvio al programma di ripristino e mantenimento della funzionalità e del decoro degli immobili adibiti ad istituzioni scolastiche denominato #Scuolebelle.

In tutta Italia questi interventi hanno avuto inizio nel mese di luglio e si interrompono solo in questa settimana di ferragosto per riprendere il 16. Si tratta di interventi di piccola manutenzione e giardinaggio che sono finanziati con i risparmi delle convenzioni per gli appalti di pulizia CONSIP. In Basilicata la società che ha vinto l’appalto con un ribasso del 68% è la Team Service che si occupa delle pulizie in tutte le scuole anche della Calabria. La Team Service ha iniziato il servizio il primo aprile 2014 con l’obbligo di far lavorare tutte le persone del precedente appalto. Un ribasso del 68% ha comportato, per fare un esempio, che nell’Istituto Comprensivo di Bella 16 persone che assicuravano 35 ore settimanali di pulizia e vigilanza ne fanno solo 7 a settimana e di conseguenza la vigilanza in istituti che offrono attività per cinque giorni a settimana per almeno 8 ore non è stata più assicurata e anche per la pulizia sono nati molti problemi.

Secondo gli accordi i risparmi dell’appalto vanno alle stesse ditte appaltatrici. Coinvolti nell’operazione, i 24.000 ex LSU addetti alle pulizie, di cui circa 400 in Basilicata: lavoratori per la maggior parte sopra i 50 anni di età e per 2/3 donne, costretti a doversi “riqualificare” da pulitori ad “abbellitori” con corsi di formazione fatti in fretta e furia,  per vedersi ancora costretti a non lavorare, tra cassa in deroga e ferie forzate, e a non avere certezza di futuro e reddito.

Eppure i soldi non mancano. Stando alle dichiarazioni del Governo, 110 milioni, abbinati a 40 milioni in capo al MIUR, finanzieranno gli interventi. Ulteriori 300 milioni sono in attesa di essere sbloccati nel 2015 e riguarderanno 10.160 plessi. In totale si tratta quindi di 17.961 interventi di piccola manutenzione. L’Istituto Comprensivo di Bella è scuola capofila per gli appalti per la manutenzione anche delle scuole di Barile e. e di due scuole di Potenza la “ Sinisgalli e Potenza Terzo. Io che sono un dirigente scolastico e con me la Direttrice dei Servizi Amministrativi,e questo avviene in tutte le scuole, non abbiamo le competenze tecniche per garantire che i lavori vengano eseguiti a regola d’arte, considerato che, secondo l’appalto un metro quadro di pitturazione costa circa 100 euro. E’ vero che il governo e l’ANCI hanno raccomandato ai Comuni di collaborare con le scuole con questa raccomandazione “trattandosi di fondi statali che arrivano direttamente alle scuole per interventi di manutenzione ordinaria, si invitano i Comuni alla massima collaborazione al fine di cogliere l’opportunità per il miglior utilizzo di tutte le risorse disponibili, consentendo un reale miglioramento del decoro e della funzionalità delle scuole, anche mediante il coordinamento con gli eventuali interventi già programmati dai Comuni.” .Ma quanti sono i tecnici comunali disponibili nei mesi di luglio ed agosto e quali poteri hanno per eventualmente far correggere interventi di manutenzione non idonei ? Nelle scuole la vigilanza sulle opere si aggiunge a tutto il lavoro per gli organici e le graduatorie che si deve portare avanti a ranghi ridotti per le ferie nel mese di agosto. E per le scuole nelle quali non si interviene entro i primi di settembre quando potranno essere fatti i lavori finanziati se gli alunni sono nelle aule e nelle palestre ?

Gli accordi del 28 marzo scorso, sottoscritti dai sindacati , dalle imprese e dal Governo, avrebbero tra l’altro dovuto ripristinare per gli ex Lsu condizioni di reddito e di contratto ad oggi rimaste solo sulla carta .Gli ex LSU di Bella attualmente lavorano in una scuola di Potenza. Con la ripresa delle lezioni per quante ore questo personale assicurerà il servizio di pulizia e vigilanza considerato che ad oggi alle scuole non è stato assegnata alcuna risorsa per questi servizi indispensabili ?

Questo sistema degli appalti risulta più costoso e meno efficiente rispetto alla internalizzazione del servizio e l’assunzione diretta dei lavoratori con una loro effettiva stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Solo la stabilità garantisce ai lavoratori la serenità per il presente ed il futuro e quel legame con la scuola in cui si opera che è garanzia di qualità ed efficienza. Come dirigenti scolastici continueremo e con più forza a chiedere scuole belle e pulite e a pretendere con ogni mezzo che negli appalti pubblici ci sia il rispetto della piena legalità.

M. Haushofer, La parete

Grandi scrittori del Novecento

di Antonio Stanca

 

haushoferA Giugno del 2013 è comparsa, presso la casa editrice E/O di Roma nella serie Tascabili, la sesta ristampa del romanzo La parete della scrittrice austriaca Marlen Haushofer (pp. 237, € 10) con la traduzione di Ingrid Harbeck ed una postfazione di Gunhild Schneider. L’opera è diventata un classico della letteratura moderna anche se la prima edizione nel 1963 non ebbe successo né lo ebbe la ristampa nel 1968. Solo un’altra ristampa nel 1983, quando la scrittrice era morta da tredici anni, ne fece il più importante dei suoi romanzi ed un capolavoro nell’ambito della letteratura del Novecento.

Marlen Haushofer è nata a Frauenstein, Austria superiore, nel 1920 ed è morta a Vienna nel 1970 a soli cinquant’anni perché affetta da una grave malattia. Proveniva da una famiglia di modeste condizioni economiche, aveva un fratello col quale si frequentò sempre. Compiuti gli studi superiori svolse servizio civile in Prussia. Poi si era iscritta alla Facoltà di Germanistica presso l’Università di Vienna ma non si era laureata. Si sposerà nel 1940 con Manfred Haushofer, conosciuto durante gli anni universitari, avrà due figli e per assicurare loro una famiglia risposerà il marito dopo aver divorziato da lui. Nel 1945 la famiglia fuggirà da Frauenstein di fronte all’avanzata dei soldati russi e si stabilirà a Steyr dove Manfred lavorerà come dentista mentre Marlen nel 1946, a ventisei anni, intraprenderà la sua attività di scrittrice con racconti pubblicati su giornali e riviste. Verranno poi altri racconti e nel 1955 il primo romanzo Una manciata di vita. La maggior parte dei racconti sarà in seguito pubblicata in due raccolte. Di romanzi la Haushofer scriverà altri e nonostante la sua breve esistenza ad essi aggiungerà libri per ragazzi e radiodrammi. Molto ha fatto, molti riconoscimenti ha ottenuto pur essendo vissuta solo cinquant’anni e pur essendosi aggravate le sue condizioni di salute negli ultimi tempi. Neanche allora smetterà di scrivere e nel 1969 riuscirà a concludere l’ultimo romanzo La mansarda.

C’è un motivo che percorre tutta la sua opera ed in particolare i romanzi, un motivo che sembra costituire la sua ispirazione segreta, che la muove in continuazione quasi volesse appagare bisogni nascosti, esigenze taciute. Prima che una scrittrice la Haushofer è stata una donna che ha viaggiato, ha visto, ha vissuto, una donna che voleva dire della condizione femminile, dei problemi, dei disagi che questa ha sempre comportato e delle possibilità, delle capacità possedute dalle donne per combatterli, per liberarsene. E’ stata una femminista, ha partecipato dello stato della donna, dei suoi bisogni, delle sue aspirazioni e per questo ha scritto di donne che diventano protagoniste della vita, della storia, che si mostrano decise di fronte ai pericoli, alle avversità. Come i protagonisti di altre opere del tempo anche le protagoniste della Haushofer vivono di una loro idea, di una loro anima ed anch’esse soffrono in un mondo come il moderno invaso da costumi, interessi di carattere materiale, da ambienti contrari ai valori dello spirito. Anche la donna ha bisogno di recuperare quanto si sta perdendo e la scrittrice pensa che possa farlo in tanti modi tra i quali ci sono il ricordo della vita passata e il contatto con la natura. La natura diventerà per la Haushofer il luogo, il modo migliore per tornare ad essere veri, autentici, per vivere, per praticare quel bene, quell’amore che stanno scomparendo, per ristabilire quei rapporti, quegli scambi che non sembrano più possibili.

Il femminismo, l’ambientalismo e lo spiritualismo propri della Haushofer, del suo pensiero, della sua vita diventeranno i temi, le trame dei suoi romanzi che quasi sempre avranno come protagoniste donne che rifiutano il contesto al quale appartengono, le convenzioni, i conformismi che esso comporta per rifugiarsi in una vita solitaria, a contatto con quegli elementi naturali che permettano di riscoprire quanto di semplice, di spontaneo fa parte dell’essere umano, della sua esistenza ed ora rischia di perdersi definitivamente. Anche ne La parete c’è una donna che una parete trasparente isola dal resto del mondo. Ogni giorno lei deve adattarsi a quegli ambienti naturali nei quali si era recata per una semplice gita e tra i quali è rimasta isolata. Imparerà a fare di tutto, ne sarà capace, saprà stare in uno chalet di caccia e in una capanna di montagna, riuscirà ad adattare tali posti alle sue esigenze, a stare con gli animali,a procurare gli alimenti per sé e per loro, a produrre questi alimenti, a coltivare la terra, a seminarla, a proteggersi dal caldo e dal freddo, dai topi, dai serpenti, ad andare a caccia, a curarsi delle malattie, a riparare i guasti della casa, a risolvere i problemi della campagna. Una vita nuova, un ritmo diverso diventano suoi propri e tanto sicura arriverà a sentirsi la donna da non sperare più, come all’inizio, di essere liberata da tale condizione. Ne apprezzerà i vantaggi, li preferirà ai pericoli della vita di prima, quella invasa dalla crisi dei valori morali. Penserà di rimanere per sempre in quello stato di semplicità, di verità proprio del nuovo ambiente. Niente può reggere al suo confronto e per questo deciderà di scrivere di esso, di farne un diario. Un diario vuol essere, appunto, La parete, una cronaca di quanto, di come quella donna ha vissuto durante il suo isolamento. Una cronaca scritta con tale immediatezza e chiarezza da coinvolgere il lettore dalle prime pagine e tenerlo sospeso fino alle ultime. Niente di elaborato, di complicato c’è nell’opera, di tutto si dice nel momento in cui avviene e in un modo così vero da farlo quasi vedere, sentire, toccare. E’ la maniera della Haushofer, quella sua propria, lontana da qualunque influenza. Un esempio è il suo di come le doti, le qualità della scrittura siano sufficienti a fare arte della vita.

Orario di lavoro dei docenti: due (sane) provocazioni

Orario di lavoro dei docenti: due (sane) provocazioni

di Giancarlo Cerini


 

Vecchi stereotipi difensivi

Sul tempo di lavoro degli insegnanti il rischio è quello degli opposti estremismi:

–      da un lato c’è che spinge verso la totale equiparazione dell’orario di servizio dei docenti con quello di tutti i restanti lavoratori pubblici e privati, con la proposta di una “quota 36” (ore settimanali), che sanerebbe ingiustificati privilegi della categoria;

–      dall’altro c’è chi grida allo scandalo e ritiene “intoccabili” le 18 ore di cattedra (o quelle che sono), alla luce della peculiarità di un lavoro intellettuale che non dovrebbe essere misurato con la timbratura del cartellino e richiede anzi ampi margini di recupero psico-fisico e libertà d’azione.

Forse le cose sono un po’ più complesse e richiedono di essere affrontate con animo sgombro da pregiudizi, ma anche con qualche supplemento di argomentazione. E’ comunque evidente che l’insegnamento oggi non è racchiuso solo nella prestazione “viva-voce” della lezione in classe: per fare una buona lezione occorre preparare materiali didattici, documenti, esercitazioni; inoltre bisogna coordinarsi con i colleghi, definire criteri di valutazione, correggere i compiti; ascoltare allievi e genitori, impegnarsi nei diversi organi collegiali, assumersi sempre nuove responsabilità nella gestione della scuola. Il mito di una professione “a mezzo servizio” è ormai tramontato, ma questo la società non lo percepisce chiaramente, e forse gli insegnanti fanno poco per smentire la leggenda (metropolitana) delle poche ore di lavoro e dei molti mesi di ferie[1].

Resta attorno all’insegnamento una certa aurea di indeterminatezza e di discrezionalità, ben rappresentata dal concetto di “libertà di insegnamento”, un principio per altro previsto nella Costituzione della nostra Repubblica. Il lavoro del docente non è facilmente predeterminabile (anche se in molti paesi vigono minuziose linee guida che prescrivono anche quanto tempo un docente dovrebbe parlare in classe!), presenta un alto tasso di inventività ed espressività (in cui si manifesta lo stile peculiare di ogni docente), richiede una notevole e immediata reattività (nel gestire relazioni inter-generazionali sempre più complesse). E’ vero, è un lavoro usurante. Ti accompagna non solo quando sei in classe, ma anche durante tutto l’arco della giornata: non è che puoi riflettere sugli insuccessi e i successi della tua azione in un tempo pre-fissato. Il fatto è che dall’esterno si vede solo la punta dell’iceberg delle ore di lezioni. E spesso non è un gran vedere: c’è una netta prevalenza della lezione frontale[2], le dinamiche della classe sono ancora contrassegnate dal ritmo spiegazione-esercitazione-valutazione (per lo più individuale), tutto (o quasi) si gioca in aula ed è limitato il ricorso all’outdoor learning (cioè l’apprendere in contesti autentici, siano essi reali o virtuali).

 

L’insegnamento sta cambiando

Con la progressiva trasformazione delle nostre aule in ambienti di apprendimento sta però cambiando velocemente il lavoro degli insegnanti: senza giungere al paradosso della flipped class-room (a scuola non si spiega, si studia a casa e in classe “si va avanti” con la ricerca)[3], vanno messe in evidenza nuove funzioni dell’insegnamento: progettazione di compiti di realtà per gli allievi (o comunque di situazioni interattive), predisposizione di risorse digitali, sviluppo di funzioni di tutoring e/o coaching, accompagnamento in esperienze fuori-scuola, ascolto e orientamento personalizzato degli allievi. La linea di demarcazione tra il “fare lezione” in classe (le mitiche 18 ore, che però variano da grado a grado di scuola) e quello che c’è prima o dopo (per far sì che quelle 18 ore siano efficaci) tende a scomparire. Assegnare e correggere esercitazioni in rete, proporre consigli di studio, fare counceling o tutorato, interagire mentre si sta sul web: dove dovremo conteggiare questo tempo? È insegnamento oppure no? E qual è il tempo vero di lavoro se sono quasi sempre connesso in rete?

La trasformazione nei modi di elaborazione e trasmissione del sapere cambia certamente anche il ruolo dell’insegnante: resta decisivo il setting dell’apprendere insieme in classe[4], ma quando si arriva in classe occorre aver fatto molto altro, sia da parte degli insegnanti che degli allievi.

Cioè, appare giustificato il tema di un diverso rapporto tra “ore di lezione” e “impegni connessi”. Se questi ultimi diventano decisivi nel qualificare le stesse ore in presenza e per perseguire migliori risultati negli apprendimenti e nelle competenze degli allievi, non è corretto lasciarli alla completa discrezionalità degli interessati (con comportamenti assai differenziati), ma diventa opportuno farli affiorare dal sommerso, renderli visibili all’esterno, definire alcuni criteri e standard di comportamento auspicabili. Un orario “all inclusive” potrebbe soddisfare questa duplice esigenza di “visibilità sociale” e di “qualità del lavoro” (oltre la lezione frontale), senza per altro rimettere in discussione i carichi di lavoro (ad esempio, il numero delle classi da seguire), ma ridefinendo le caratteristiche di una moderna professionalità docente. La sua quantificazione contrattuale (se con un plafond settimanale o annuale), la sua onnicomprensività totale o parziale (se cioè prestata tutta dentro la scuola o con una parte discrezionale extra-moenia), le conseguenze sul piano giuridico ed economico (ad esempio, consentendo un doppio profilo docente: a tempo ordinario o potenziato) sono tutte decisioni da rimettere alle sedi contrattuali, magari dopo che il legislatore abbia fissato alcuni principi-cardine.

Preliminare a questa decisione è però l’effettivo riconoscimento della qualità e della quantità del lavoro dell’insegnante di oggi, oltre gli stereotipi riduttivi di senso comune. In questo ci può aiutare la ricerca sugli impegni e carichi di lavoro degli insegnanti realizzata alcuni anni fa in Alto Adige, da cui affiorano inaspettati squarci sulla professione docente.

 

18 ore e dintorni: una ricerca in Alto Adige

La ricerca, commissionata all’agenzia Apollis dalla provincia di Bolzano nel 2006[5] ha il pregio di coinvolgere gli stessi docenti nella descrizione e nella quantificazione dei loro impegni di lavoro. La metodologia adottata, per altro, deve indurre ad una certa cautela sui dati raccolti, che per alcune voci appaiono nettamente sovradimensionati. Ad esempio, la quantificazione di 133 ore annue di aggiornamento/autoaggiornamento sembra del tutto fuori misura, a meno di inserire nel pacchetto anche la lettura di libri, la navigazione sul web, la partecipazione ad eventi culturali, ecc.

La ricerca, tuttavia rivela con efficacia che il mestiere di insegnante non è limitata alla semplice attività di insegnamento diretto in classe. Questo aspetto non supera un terzo dell’ammontare complessivo del tempo di lavoro (su base annua) ed è la parte “fissa” della prestazione.

Ma allora, quali sono le altre componenti che normalmente restano invisibili? La declaratoria delle attività proposta dai ricercatori è assai ampia e prevede alcune tipologie aggregate per grandi aree:

  1. lezioni ed attività didattiche;
  2. attività individuali legate all’insegnamento;
  3. attività aggiuntive (tendenzialmente collegiali);
  4. attività aggiuntive in favore della scuola.

Il quadro degli impegni è abbastanza simile a quanto previsto dal CCNL del personale della scuola (2006-2009) in cui abbiamo, a grandi linee, i seguenti impegni (artt. 28 e 29):

  1. orario di lezione (distinto per ogni grado scolastico);
  2. impegni individuali connessi alla funzione docente (non quantificati);
  3. impegni legati alll’organizzazione collegiale della scuola: le c.d. 40 ore per i collegi e la programmazione/verifica e le ulteriori 40 ore per i consigli di classe);
  4. funzioni aggiuntive e incarichi (compensati con fondi a parte)[6].

Nella ricerca altoatesina c’è però spazio per una più dettagliata e minuta descrizione delle funzioni effettivamente svolte dai docenti per ogni campo di attività.

Nella tavola che segue presentiamo le principali risultanze dell’indagine, indicando il tempo medio dedicato annualmente ad ogni tipologia di attività.

 

Tabella 1 – Ore di lavoro annuali per docente in provincia di Bolzano

Campi di attività Attività raggruppate Ore annue dedicate
Lezioni e attività educative -Lezione curricolare ……………………………………………..

-Lezioni aggiuntive (supplenze, recupero) ………………

-Servizi di accompagnamento/sorveglianza …………….

-Attività didattiche individuali (es.

tutorato) …………………………………………………………….

517,7

47,1

99,8

 

8,4

Attività individuali legate all’insegnamento -Pianificazione e preparazione delle lezioni …………….

-Elaborazione/valutazione/documentazione …………….

-Correzione compiti in classe previsti dl programmate..

 

283,3

132,1

49,1

Attività aggiuntive -Programmazione/coordinamento assieme ai colleghi…

-Valutazione/documentazione assieme ai colleghi …….

-Correzione compiti previsti da programmi assieme ai colleghi ……………………………………………………………….

-Organi collegiali/gruppi di lavoro ………………………….

-Aggiornamento/autoaggiornamento ………………………

-Udienze e altro ……………………………………………………

61,2

10,3

 

0,5

69,0

133,3

23,5

Attività aggiuntive per la scuola -Collaborazioni in commissioni d’esame ………………….

-servizi di consulenza, riunioni genitori ………..………..

-colloqui/contatti esterni ………………………………………..

-Pause/tempi di viaggio …………………………………………

-Assistenza e coordinamenti funzionali   all’organizzazione didattica ……………………………………

-Attività amministrative ………………………………………..

-Partecipazione associazioni professionali/sindacali…..

-non classificabili…………………………………………………..

40,4

6,1

11,6

37,8

42,0

9,4

3,1

2,0

   Totale annuale   1587,5
   Attività in estate -Programmazione individuale, corsi di aggiornamento, ecc. ……………………………………………………………………. 55,1
Totale annuale complessivo   1642,6

Fonte: Indagine Apollis, 2006. Op.cit. Ogni tipologia di attività è poi descritta con ulteriori item.

 

Cosa ci dice la ricerca sul lavoro “sommerso”?

Dai dati rilevati dai ricercatori di Bolzano emergono alcune tendenze:

a) l’insegnamento frontale (pari al 33% del tempo-lavoro) richiede una “ricarica” di tempo quasi analogo (29%), da dedicare alla preparazione personale, alle correzioni compiti, alla valutazione, ecc.;

b) ci sono azioni collegiali (programmazione, valutazione, formazione in servizio, ecc.) che richiedono una ulteriore quota di tempo (16-18%), con un forte impegno per l’autoaggiornamento;

c) per trasparenza vengono conteggiati anche i tempi “deboli” (supplenze, accompagnamento, pause, assistenza, ecc.) che si portano via un’altra fascia di tempo (pari circa al 20%).

E’ ipotizzabile che solo una parte di queste attività funzionali sia prestata all’interno dell’istituzione scolastica, mentre quote di tempo (compiti, studio individuale, autoformazione, ecc.) siano lasciate ad una gestione del tutto personale.

Seguendo questo profilo, l’attività settimanale già prestata a scuola (oltre l’insegnamento) configura un orario all inclusive di almeno 30 ore settimanali. Il conteggio di un orario su base settimanale è reso però difficoltoso dalla atipicità della prestazione del servizio dei docenti, quando non impegnati nelle normali attività didattiche. Ci riferiamo alla prima parte del mese di settembre, alla seconda parte del mese di giugno -al netto degli eventuali esami di stato-, al c.d. secondo mese di ferie (luglio). Questo rende più complicato l’utilizzo del parametro settimanale. Non a caso i ricercatori bolzanini quantificano anche un tempo lavoro estivo (in verità di sole 55 ore prevalentemente dedicate a progettazione e formazione). Complessivamente il monte-ore annuale messo a fuoco dalla ricerca, per un docente a tempo pieno, è pari a 1.642 ore, di cui quelle di lezione arrivano a 517 ore (con lievi differenziazioni tra un grado scolastico e l’altro).

Un ulteriore punto di osservazione del lavoro docente si riferisce agli impegni supplementari che non riguardano la totalità dei docenti: si va dai coordinatori di classe (funzione che impegna il 47% dei docenti), ai rapporti con altre scuole (il 29%), alla responsabilità di aule speciali (il 22%), al coordinamento di gruppi di lavoro (il 19%), alla responsabilità di plesso o sedi (il 14%), ma con una declaratoria assai variegata di ulteriori funzioni. L’impegno più consistente (101 ore all’anno) riguarda la responsabilità di plesso (parliamo di scuola primaria), la produzione di materiali didattici (60 ore), l’incarico di funzione strumentale (30 ore). Negli altri casi si tratta di oneri extra di circa 10-12 ore annue. Il riconoscimento del maggior impegno è in parte connesso ad un pagamento aggiuntivo, nella maggior parte rientra nel monte-ore forfettario (del contratto dei docenti), in certi casi (come per la documentazione didattica) non gode di nessun riconoscimento.

Insomma, il lavoro dell’insegnante è una vera e propria galassia inesplorata, che ne impedisce il pieno riconoscimento sociale e che finisce con il penalizzare i docenti con carichi di lavoro più consistenti.

 

Il recupero flessibile dei maggiori tempi di ferie: il contratto AGIDAE

Il Contratto AGIDAE per la scuola non statale[7], firmato da tutte le principali organizzazioni sindacali, presenta un interessante regolamentazione del tempo di lavoro degli insegnanti.

L’orario di cattedra (simile a quello dei colleghi dello Stato e quindi diversamente articolato per i diversi livelli scolastici) incorpora, non quantificate, le attività proprie della funzione docente, che vengono così descritte: “correzione degli elaborati, schede valutative e pagelle, ricevimento/colloquio settimanale individuale dei genitori, e in un piano programmato dal Collegio docenti e secondo gli ordinamenti scolastici vigenti: scrutini, Consigli di classe, interclasse, intersezione e Collegio docenti”.

Viene poi previsto un primo “pacchetto” di 50 ore annue per:

-attività di aggiornamento,

-attività di programmazione,

-progettazione, revisione e gestione del POF,

-incontri collegiali con genitori o specialisti/esperti.

La novità è un secondo “pacchetto” di 70 ore annue per:

-attività e/o discipline non curricolari o anche curricolari, programmate dal Collegio dei docenti e/o dal Consiglio di classe, in orario non curricolare; il loro utilizzo è finalizzato principalmente ad attività quali:

-recupero, sostegno e preparazione agli esami (o altre attività deliberate dal Collegio dei docenti proprie della funzione e del livello);

-uscite didattiche giornaliere, limitatamente alle ore eccedenti l’orario individuale;

-eventuali supplenze saltuarie per un massimo di 10 ore per anno scolastico.

[in mancanza di programmazione del Collegio dei docenti e/o del Consiglio di classe, il personale docente può richiedere all’Istituto di svolgere le 70 ore annue in attività proprie della funzione e del livello].

Le ore di questo pacchetto [70 ore] vengono recuperate con 26 giorni lavorativi di ferie estive aggiuntive, riproporzionati in base alle ore effettivamente svolte. [il periodo ordinario di ferie è quantificato in 33 giornate].

Inoltre è previsto che “le ore per la partecipazione ai corsi di aggiornamento professionale e didattico, di formazione e riqualificazione del personale, comprese le attività connesse alla gestione del ‘sistema qualità’, promossi dalla Scuola durante i periodi di attività didattica fuori del normale orario di lavoro” sono trasformate in giorni di ferie aggiuntive, per un massimo di 40 ore annue [comunque una quota di aggiornamento è pure inserita nel pacchetto delle 50 ore].

 

Visibilità sociale e riconoscimento

Il sistema AGIDAE di regolazione dei tempi di lavoro dei docenti sembra rispondere ad alcuni requisiti di estremo interesse, se visti nel contesto dell’attuale dibattito sull’orario degli insegnanti:

-rendere visibili le attività connesse alla funzione docente (che va quindi oltre l’orario-cattedra), senza però quantificarle in un orario onnicomprensivo settimanale;

-prevedere un pacchetto di 50 ore annue di attività connesse all’insegnamento;

-commutare il c.d. “secondo mese di ferie” in un pacchetto di ore (70) spalmabile durante l’anno per attività complementari, anche di insegnamento aggiuntivo, e per una quota (10 ore) anche per supplenze brevi;

-incentivare un monte-ore consistente di formazione in servizio (fino a 40 ore annue, oltre l’aggiornamento ordinario) commutandolo in ferie aggiuntive.

La visibilità “sociale” del lavoro docente si gioca soprattutto sullo scambio tra più ferie (nel periodo estivo, rispetto agli altri lavoratori) a fronte di maggiore impegno (tempo quantificato) durante l’anno scolastico per far fronte ad esigenze di arricchimento dell’offerta formativa o di bisogni dell’organizzazione scolastica (es. supplenze brevi), in una ottica di collaborazione condivisa nella comunità scolastica.

 

Aspettando la prossima mossa

Riepilogando. E’ evidente che il terreno della professionalità docente è assai scivoloso, come dimostrano le infelici proposte di un recente passato (il “concorsone” proposto dal Ministro Berlinguer, per individuare e “premiare” il 20% dei docenti migliori; l’aumento a 24 ore settimanali dell’orario di insegnamento dei docenti della secondaria, ipotizzato dal Ministro Profumo). Occorre allora che il Governo elabori una proposta convincente e sostenibile, capace di parlare all’opinione pubblica in termini di visibilità e riconoscimento sociale del delicato lavoro degli insegnanti; occorre che i docenti (e le loro organizzazioni sindacali e professionali) siano disponibili a rimettere in gioco un certo approccio difensivistico e conservativo, per affrontare laicamente le nuove questioni che si pongono. E’ tempo di mosse del cavallo[8] (quelle inaspettate che aprono nuove visuali), per uscire dal mantra delle 18[9] ore (che danneggia gli stessi docenti) e soppesare i pro e i contro dei cambiamenti necessari[10].


 

[1]   A.Avon, A proposito dell’orario di lavoro dei docenti. Per una rivoluzione ragionevole, in “Edscuola.eu”: https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=46116

[2]   In un monitoraggio capillare connesso alla revisione delle Indicazioni per il curricolo (novembre-dicembre 2011) le risposte segnalano che la modalità didattica più praticata nella scuola media di I grado è la lezione frontale (nel 76% dei casi), con frequenze assai modeste per forme di lavoro di gruppo, apprendimento cooperativo, didattica laboratoriale (tra il 10 e il 20% dei casi).

[3]   R.Baldascino, Flipped classroom, in “Voci della scuola”, Tecnodid, numero monografico su “la nuova professionalità docente”, settembre 2014 (in preparazione).

[4]   E’ emblematico che nei sistemi scolastici ad alto tasso di innovazione (es.: la Finlandia) la classe si stia trasformando in un ambiente molto più articolato (tecnologie, arredi per lavoro di gruppo, spazi per il relax, tempi flessibili e “mossi”), dove però al centro dell’agorà (inteso come spazio comune per il confronto) sta ancora la cattedra del docente: al centro (quasi per dire “insieme con”) piuttosto che di fronte a banchi allineati (ex-cathedra).

[5]   cfr. Apollis, Scuola: non solo insegnamento. Orario e carico di lavoro degli insegnanti in provincia di Bolzano, 2004-2006. http://www.apollis.it/24d309.html

[6]   CCNL del Comparto Scuola 2006-2009, sottoscritto il 29 novembre 2007. Vedi un commento analitico in S.Auriemma e al., Contratto nazionale scuola, in “Esperienze amministrative”, n. 1.2, febbraio 2008, Tecnodid. In particolare: G.Cerini, Alla ricerca della professionalità (perduta)?, pp. 59-76.

[7]   Cfr. il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Agidae 2010-2012 per la scuola non statale, sottoscritto il 9 dicembre 2010. http://2.flcgil.stgy.it/files/pdf/20101210/ccnl-agidae-2010-2012.pdf

[8]   G.Cerini, Professionalità: la mossa del cavallo in “Scuola e formazione”, n. 3-4, marzo-aprile 2014.

[9]   G.Cerini, Il mantra delle 18 ore: oltre la didattica frontale, in “Edscuola.eu” https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=12558

[10]G.Cerini, Professionalità docente: cosa cambia (o potrebbe cambiare) per gli insegnanti, in “www.notiziedellascuola.it (luglio 2014).

AA.VV., La Biblioteca “Gaetano Ricchetti”

UN “PICCOLO GRANDE GIOIELLO” AL SERVIZIO DEI GIOVANI E DELLA CULTURA IN UNA CITTA’ METROPOLITANA MERIDIONALE

di Carlo De Nitti

 

“Se ogni biblioteca riuscirà a continuare ad essere un vero e proprio ‘laboratorio culturale’, dove rileggere il nostro inestimabile patrimonio letterario e valorizzare le riflessioni scientifiche; se sapremo anche noi, lontano dal clamore, coniugare ‘l’amor che move il sole e l’altre stelle’ con il progresso tecnologico, giungeremo alla sospirata fondazione di un nuovo umanesimo che terrà conto delle nostre radici culturali e della nostra secolare storia.”

Così il 10 marzo 2010, don Pietro Vittorelli, Abate ed Ordinario pro tempore di Montecassino, concludeva a Bari il suo intervento per il 90° anniversario della nascita della Biblioteca “Gaetano Ricchetti”, di cui è, in virtù del suo ruolo, Presidente del Consiglio di Amministrazione.

L’intervento è alle pagine 51 – 54 del volume La Biblioteca “Gaetano Ricchetti” di recentissima edizione, curato dalla Direzione culturale della medesima con la presentazione di S.E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari. Il libro si articola in tre parti: una prima con interventi sulla storia in fieri della biblioteca; una seconda di documenti; una terza fotografica “Dalle origini alla nuova sede”.

Non è una mera casualità se la biblioteca della plurisecolare abbazia e la Biblioteca “Ricchetti” siano legate a filo doppio: il legame è nel volere della Signora Rosa Di Venere – la magnanima benefattrice che, “volendo degnamente onorare la memoria del mio defunto marito che votato alla scienza trasse dai libri il conforto alla rassegnazione delle umane sventure”, l’avvocato Gaetano Ricchetti, uomo di grande e raffinata cultura giuridica – dispose con il suo testamento olografo (alle pp. 73 – 76 del volume) che a tramandarne ai posteri il nome fosse aperta in Bari una biblioteca pubblica guidata dall’Abate pro tempore di Montecassino.

La finalità era quella “di dare agli studenti universitari meno abbienti la possibilità di continuare la loro preparazione allorquando rientravano in famiglia dai luoghi dove frequentavano l’Università” (p. 15), in una Bari in forte espansione sociale, economica e culturale: basti pensare che, pochi anni prima, si era dotata di un grande, splendido, Politeama ed in essa era nata una nuova Casa Editrice, destinata ad avere un ruolo importantissimo nella cultura italiana ed europea. La neonata biblioteca si propose “il fine di promuovere la cultura scientifica con particolare riguardo alle discipline economiche, geografiche e commerciali”, come si legge nello Statuto, art. 2, approvato con R.D. 15 ottobre 1936. Un bello studio dei testi del fondo antico nell’intervento di Pietro Sisto (pp. 27 – 50), che si sofferma “su alcune edizioni di maggiore interesse con particolare riferimento agli apparati paratestuali” (p. 27).

Non a caso, S. E. Mons. Francesco Cacucci definisce la Biblioteca “Gaetano Ricchetti”, nella sua Presentazione, “un piccolo grande gioiello di cultura”: esso informa la sua azione culturale e pedagogica al servizio della comunità tutta ed, in particolare, dei giovani ed, in particolare, di coloro i quali versano in condizioni di bisogno di ogni tipo.

Ciò che ha sempre qualificato in modo assolutamente alto l’attività culturale della Biblioteca “Gaetano Ricchetti” è il suo pluralismo culturale, la sua laicità, come ben ricordava, nel suo discorso del 18 marzo 1967, in occasione dell’inaugurazione della nuova, ed attuale, sede della biblioteca, l’Arcivescovo di Bari, S. E. Mons. Enrico Nicodemo (1906 – 1973), citando la Costituzione Pastorale “Gaudium et Spes”: “la cultura è un fatto, ontologico innanzi tutto; è un fatto antropologico, cioè è l’uomo, l’espressione dell’uomo, del suo pensiero, della sua libertà, delle sue aspirazioni; è un fatto ontologico, riguarda il modo di orientarsi, il modo di esprimersi dei popoli […] non è soltanto l’apprendimento di nozioni o l’espressione ad alti vertici del pensiero, ma è la vita” (p. 22).

E’, in queste parole, la caratterizzazione della laicità dell’Ente al servizio della cultura: il libero accesso alla cultura e la sua promozione verso tutti, soprattutto per i ‘deboli’, gli ‘ultimi’, gli ‘esclusi’ proprio sulla scorta della “Gaudium et Spes”. A tal proposito, si veda, alle pp. 103 – 104, la lettera – programma diretta agli studiosi ed agli operatori culturali del settembre 1987 firmata dall’allora Arcivescovo di Bari, S. E. Mons. Mariano Magrassi osB (1930 – 1999) e dal prof. Vito Marino Caferra, nominato pochi mesi prima Direttore culturale della Biblioteca (p. 101).

“Com’è noto, nel tempo presente si registra qualcosa di nuovo nello stato di povertà, che spesso non è semplicemente la privazione delle necessarie risorse per sopravvivere, ma un male più sottile, indotto dalla organizzazione della società […] la dimensione economico-sociale coglie l’aspetto esterno – e comunque non esaurisce le cause – di una condizione che spesso ha radici esistenziali” (pp. 62 – 63).

Nel secondo decennio del XXI secolo, nonostante l’impetuoso sviluppo conosciuto dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione tecnologica – scrive Vito Marino Caferra –“sussistono ancora oggi e per l’immediato futuro – ed anzi sono ancora più forti – le ragioni che hanno indotto la Fondazione Ricchetti a specializzare la sua attività di promozione culturale nel campo della emarginazione sociale a tutela degli ‘ultimi’ e degli ‘esclusi’ che sono esposti a forme sempre più organizzate di sfruttamento e di riduzione a schiavitù” (p. 64).

Non si può non condividere questa analisi soprattutto quando esplicita le cause che l’inducono: “Per opinione comune i fattori principali di un fenomeno che ha una dimensione mondiale si trovano nell’inarrestabile processo di globalizzazione e nelle migrazioni di massa, oltre che negli effetti distorti della rete. In particolare, nelle tragiche vicende degli immigrati, che una formula burocratica chiama ‘non regolari’, la negazione più radicale dei diritti fondamentali sino alla forma estrema della schiavitù viene spesso praticata non solo nella fase di accesso […] ma anche e sopra tutto all’interno dei singoli Stati” (p. 65).

Una Biblioteca quale la “Ricchetti” non può non impegnarsi sulle tematiche enucleate, anche sulla scorta del Magistero della Chiesa – dai Padri della Chiesa ai documenti conciliari e post conciliari alla visione di Papa Francesco (cfr. p. 68) – “non resta – per l’immediato futuro – che aggiornare le modalità operative del programma adeguandole anche alle moderne tecnologie della comunicazione (con l’uso appropriato del WEb 2.0) e – quel che più conta – coinvolgendo e aprendo alla speranze le nuove generazioni [corsivo mio]” (p. 69).

Un siffatto programma – coinvolgere e aprire alla speranze le nuove generazioni – anche ma non soltanto attraverso un uso corretto del web non può non essere intercettato e fatto proprio dal mondo della scuola: chi opera in esso – in ogni grado di scuola – sovente è a stretto contatto con il disagio sociale, con lo svantaggio socio-culturale, con l’handicap, con i bisogni educativi speciali, con l’esclusione dagli alfabeti della comunicazione, in una parola, con la ‘povertà’ materiale e morale degli alunni e delle famiglie in cui vivono. Quel mondo della scuola che – secondo il dettato dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana – ha il compito/dovere fondamentale di ‘rimuovere gli ostacoli’ affinché i propri discenti ed, attraverso di loro, le famiglie fuoriescano da un perdurante stato di minorità per divenire cittadini del mondo del XXI secolo.

Camminare insieme nella stessa direzione – un’istituzione culturale pubblica di grande tradizione e spessore etico e le scuole – socializzando e condividendo idee, finalità, obiettivi e risorse di ogni tipo significa darsi come compito il miglioramento delle condizioni di vita delle persone e, conseguentemente, il progresso della società: affinché possano affermarsi in essa i valori di libertà, di uguaglianza e di solidarietà e possa essere detta civile.

Un’adeguata diffusione, lettura e riflessione su questo interessante volume da parte degli operatori della scuola molto potrebbe nella direzione indicata.

 

Mobilità 2014-2015

Calendario Mobilità

a cura di Dario Cillo

Mobilità

Tipo di personale Termine presentazione
domande
Termine acquisizione
domande
Diffusione risultati
Docenti Scuola Infanzia 28 febbraio – 7 aprile (1)
23 aprile 15 maggio
Docenti Scuola Primaria 28 febbraio – 7 aprile (1)
14 maggio 6 giugno
Docenti Scuola Secondaria I grado 28 febbraio – 7 aprile (1)
7 giugno 4 luglio
Docenti Scuola Secondaria II grado 28 febbraio – 7 aprile (1)
3 luglio
23 luglio
Personale Educativo 28 febbraio – 7 aprile (2)
23 maggio
11 giugno
Personale ATA 11 marzo – 14 aprile (3)
12 luglio 4 agosto
Personale IRC 23 maggio -13 giugno (4) 7 luglio 31 luglio

(1) Il dirigente scolastico competente provvede, entro i 15 giorni successivi al termine fissato dall’O.M. per la presentazione delle domande di mobilità, alla formazione e pubblicazione all’albo dell’istituzione scolastica delle graduatorie relative agli insegnanti titolari. Tali graduatorie dovranno contenere, oltre il punteggio complessivo, i punteggi analitici (servizio, famiglia e titoli). (Capo III, CCNI)

(2) Il dirigente scolastico competente, provvede – entro 10 giorni dalla data di pubblicazione della tabella organica – alla formazione e pubblicazione all’albo della direzione delle graduatorie relative al personale educativo interessato al fenomeno delle soppressioni. (art. 40, CCNI)

(3) I dirigenti scolastici, entro i 15 giorni successivi alla scadenza delle domande di trasferimento, formulano e affiggono all’albo le graduatorie per l’individuazione dei perdenti posto. (art. 48, CCNI)

(4) Gli insegnanti di religione cattolica che si vengano a trovare in posizione di soprannumero rispetto alle dotazioni organiche di ogni singola diocesi sono individuati sulla base della graduatoria articolata per ambiti territoriali diocesani, predisposta dall’Ufficio scolastico regionale competente. (Capo VIII, CCNI)

Utilizzazioni e Assegnazioni provvisorie

Tipo di personale Termine presentazione
domande
Personale Docente Scuola Infanzia e Primaria
11 luglio – 4 agosto
Personale Docente Scuola Secondaria I e II Grado 24 luglio – 4 agosto
Personale Educativo 25 luglio
Personale IRC 25 luglio
Personale ATA 12 agosto

NB: Sono indicate in rosso le date che hanno subito variazioni