Reclutamento Dirigenti delle scuole

Reclutamento Dirigenti delle scuole – Informativa al MIUR

ANP

Si è svolta oggi 29 dicembre presso il MIUR la prevista informativa sul DPCM di cui all’art. 17 DL 104/2013 in materia di reclutamento dei dirigenti delle scuole.

Non è stata consegnata documentazione scritta, con la motivazione che il testo della bozza sarebbe al concerto con le altre Amministrazioni interessate (MEF e Funzione Pubblica), prima di passare al vaglio del Consiglio di Stato ed alla definitiva approvazione in Consiglio dei Ministri. Sono state però fornite un certo numero di informazioni di massima.

Tempi – L’Amministrazione conta di poter completare l’iter del DPCM all’inizio della primavera 2015, pur senza essere in grado di assumere impegni precisi in merito. La durata della fase “concorsuale” sarebbe di circa dodici mesi e quella della fase “corsuale” di sei mesi. L’auspicio è quello di poter assumere i vincitori a partire dal 1° settembre 2016.

Cadenza annuale – E’ stato riconfermato l’impegno a rispettare la scadenza di legge. Tuttavia, dato che non è possibile contenere la durata complessiva della procedura in meno di diciotto mesi, vi sarà una fase di sovrapposizione fra due concorsi successivi: mentre i candidati della procedura 1 svolgeranno il corso di formazione presso la SNA, quelli della procedura 2 svolgeranno le prove concorsuali per accedere a loro volta al corso di formazione dell’anno successivo. E così via.

Posti messi a concorso – Saranno tutti quelli “vacanti e disponibili”, ivi inclusi – in prima applicazione – quelli attesi per l’anno scolastico successivo (2016-2017). A regime, solo quelli vacanti e disponibili per un anno. La partecipazione è nazionale, senza indicazione preventiva della regione. Non rileva quindi il fatto che in qualche regione possano non esservi posti disponibili: gli aspiranti di quella regione potranno comunque partecipare, sapendo che – in caso di esito positivo – non troveranno posto nella propria regione. Potranno partecipare i docenti di ruolo con almeno cinque anni di anzianità di servizio complessivo (incluso quello pre-ruolo).

Riservisti – Ai concorrenti appartenenti ad una delle categorie di cui all’art. 2-ter del Decreto legge 58/14 è riservata una quota di posti, che opera – solo per coloro che avranno superato entrambe le prove scritte ed il colloquio – all’atto dell’ammissione alla fase “corsuale” della selezione. Coloro che in quella graduatoria si collocano in posizione utile indipendentemente dalla riserva non intaccano il numero dei posti messi a riserva. In aggiunta, i riservisti sono ammessi alle prove scritte in soprannumero, senza dover sostenere la prova preselettiva.

Prove – La prima sarà una preselezione, che si svolgerà solo se necessaria, cioè se il numero degli aspiranti supererà il triplo dei posti messi a concorso. Sarà una prova a test con risposta chiusa e sarà superata da un numero di aspiranti non superiore a tre volte quello dei posti messi a concorso. Il punteggio riportato non viene più utilizzato nelle fasi successive della selezione. Chi supera la preselezione, svolgerà due prove scritte: una in forma di saggio, l’altra di soluzione di casi strutturati. Ad ogni prova sono assegnati fino a 100 punti ed il minimo per il superamento è di 70/100 per ciascuna. Chi supera entrambe le prove scritte sostiene un colloquio (anche questo graduato in centesimi).

Titoli – Solo a coloro che avranno superato tutte le prove saranno valutati i titoli. Punti disponibili: venti, di cui metà per i titoli culturali e metà per quelli di servizio.

Ammissione alla fase “corsuale” – La graduatoria relativa comprenderà il punteggio delle due prove scritte e del colloquio più il punteggio dei titoli. Saranno ammessi al corso di formazione presso la SNA tanti candidati quanti sono i posti messi a concorso, maggiorati del 20%.

Corso di formazione – Si svolgerà per una durata di quattro mesi (con modalità compatibile con la prestazione del servizio) presso la SNA, con spese di viaggio e soggiorno a carico dei partecipanti. Sarà articolato sul modello universitario: corsi seguiti da esami. Chi avrà maturato un certo numero di crediti sarà ammesso ad una “valutazione intermedia”, consistente in un esame scritto. Chi supera lo scritto sarà ammesso ad un tirocinio di due mesi presso una scuola, che sarà pure oggetto di valutazione da parte del dirigente tutor.

Valutazione finale – Al termine del tirocinio si svolgerà un colloquio finale. La graduatoria sarà formata unicamente con i punteggi riportati durante la fase “corsuale”: valutazione intermedia, tirocinio, colloquio.

Assunzione – Saranno dichiarati vincitori candidati in numero pari al massimo a quello dei posti messi a bando. Non vi saranno “idonei”. I vincitori saranno invitati ad indicare un certo numero di regioni nelle quali desiderano essere nominati. Sulla base del posto in graduatoria e delle preferenze espresse, saranno assegnati ad una specifica regione ed in quella stipuleranno il contratto di assunzione con il Direttore del locale USR.

In margine all’informativa, sono state richieste all’Amministrazione informazioni relative ad alcune situazioni pregresse tuttora pendenti. Ecco le indicazioni fornite:

Lombardia – i 96 “ex-vincitori” rientrano nella quota di riserva (vedi sopra).

Toscana – la conclusione della ri-correzione degli scritti è prevista entro la fine di febbraio 2015 e la conclusione dei colloqui, orientativamente, entro marzo-aprile.

Campania – L’Amministrazione procederà nelle prossime settimane alla stipula di contratti di lavoro con i candidati utilmente collocati in graduatoria. Tali contratti non recheranno per il momento indicazione di sede ed avranno decorrenza dal 1° settembre 2015. La loro finalità è quella di accantonare un numero di posti pari a quello degli aventi diritto, prima dell’avvio delle operazioni di mobilità interregionale.

A conclusione dell’incontro, Anp ha espresso il proprio disappunto per il mancato rispetto del termine di legge del 31 dicembre 2014 per l’emanazione del primo bando di concorso da tenersi con la nuova procedura. Se pure non si trattava di un termine perentorio, la sua mancata osservanza non è però un segnale positivo, soprattutto per quanto riguarda le scadenze successive. Al riguardo, ha ritenuto di sollecitare l’Amministrazione a fare il possibile perché il DPCM veda la luce almeno nei tempi oggi indicati.

Un secondo motivo di perplessità riguarda l’esiguo peso attribuito ai titoli rispetto al totale dei punti disponibili. Il regolamento precedente dava loro 30/120, che era probabilmente troppo: ma lo schema oggi illustrato ne prevede solo 20/320, che è sicuramente troppo poco. Per questa via, si svuota di significato sostanziale la previsione di legge che aveva inteso riconoscere una rilevanza sostanziale ad alcuni titoli culturali di particolare natura.

Suscita preoccupazioni il numero di passaggi valutativi intermedi, che – oltre a rendere l’intero percorso ancor più impegnativo che per il passato – moltiplica i punti di attacco per il contenzioso, con tutti i rischi connessi per la tenuta di una procedura che ha uno dei suoi cardini nella regolare periodicità annuale del reclutamento.

Una scelta che non convince è quella di aver assegnato a tutte le prove lo stesso contenuto, differenziandole solo per le modalità di svolgimento (test, saggio, quesiti a risposta aperta, colloquio). Nell’economia generale del percorso, sarebbe apparso più convincente che ad ogni prova corrispondesse l’accertamento di una specifica competenza (e cioè un fine)e non solo una diversa tecnica di accertamento (e cioè uno strumento).

Emerge poi dall’insieme delle informazioni rese dall’Amministrazione l’evidente sforzo per omologare quanto più possibile la procedura di reclutamento dei dirigenti scolastici a quella dei dirigenti amministrativi: tempi e modi delle prove, successione e sede delle stesse, composizione delle commissioni, criteri per l’attribuzione dei punteggi, ecc. Anp non è per principio contraria a tale avvicinamento, dato il suo impegno in favore del ruolo unico della dirigenza pubblica: vorrebbe tuttavia che l’omologazione non si limitasse alle prove ed agli impegni per accedere alla funzione, ma che – coerentemente – si estendesse a tutti gli aspetti correlati, a cominciare da quello retributivo.

Sotto questo profilo, ricorda che – lo scorso 4 dicembre – il sottosegretario Faraone si era impegnato a riunire il tavolo sindacale all’indomani dell’approvazione della legge di stabilità per riprendere la questione del Fondo Unico Nazionale e della retribuzione complessiva dei dirigenti delle scuole: impegno non ancora assolto e che ci si augura venga onorato quanto prima.

Concludendo, Anp si augura che – nelle ulteriori fasi di elaborazione del Decreto – vi siano spazi per recepire almeno qualcuna delle indicazioni formulate. Per parte sua, si propone di seguire gli sviluppi dell’iter e di richiedere, al momento opportuno, informative puntuali sulle eventuali modifiche allo schema.

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Le buone ragioni per valutare i singoli insegnanti

Una memoria di TreeLLLe su

Le buone ragioni per valutare i singoli insegnanti

Valutare il merito dei docenti del gruppo classe e non solo dei singoli

Valutare il merito dei docenti del gruppo classe e non solo dei singoli

di Salvatore Nocera

Il tema della valutazione del merito dei docenti è stato sempre presente nel dibattito sulla scuola; si accese alla fine degli anni novanta quando il ministro Berlinguer tentò di introdurre il “concorsone “ per dare una soluzione al problema; ma tutto fu travolto dalla reazione dei sindacati e l’argomento si inabissò per riapparire con il documento su “ la buona scuola” di Renzi. Anzi il documento propone una soluzione la valutazione da parte di un soggetto terzo che sceglierebbe circa annualmente due terzi di docenti da premiare con un significativo aumento di stipendio, costringendo il residuo terzo a competere l’anno successivo per crescere nella valutazione e quindi meritarsi l’aumento stipendiale.

Dietro pressione dei sindacati, questa soluzione esclusivamente meritocratica è stata temperata mantenendo in parte il criterio della progressione automatica nella carriera e quindi nello stipendio legata all’anzianità di servizio.

Intanto l’Invalsi ha emanato il RAV, rapporto sull’auovalutazione dei docenti , che è stato ufficialmentte presentato a Roma il 4 e 5 dicembre 2014. Il documento utilizza alcuni aspetti del regolamento sulla valutazione dei docenti emanato col dpr n. 80/2013 ed ha fatto conoscere alcuni indicatori di sistema che un gruppo di esperti propone a tutte le scuole italiane perché si autovalutino. Tra gli indicatori sono stati pure introdotti alcuni indicatori concernenti l’inclusione degli alunni con disabilità ed altri BES. Questa dovrebbe essere una prima fase, cui dovrebbe seguire quella della valutazione degli utenti, le famiglie e quella finale di un soggetto terzo.

A mio avviso, il RAV ha due peccati di origine, che non consentiranno una seria autovalutazione dell’inclusione scolastica. Infatti gli indicatori su cui dovrebbero rispondere le scuole sono troppo generici e formulati in modo da rendere impossibile il controllo sulla veridicità delle risposte. In secondo luogo la valutazione riguarda le singole scuole nel loro complesso e non le classi e quindi le classi in cui l’inclusione viene svolta male si mimetizzeranno nella media di tutta la scuola e quindi non si avrà una vera valutazione del merito non solo dei singoli docenti, ma neppure del gruppo di docenti delle singole classi.

Questi tentativi che il Miur sta conducendo sono dettati da una giusta esigenza di verificare quanto il lavoro didattico dei docenti sia produttivo nei confronti degli alunni. Ciò che a me pare errato, in questa prima fase e in quella finale, è il mezzo e cioè adesso la valutazione della scuola nel suo complesso e poi la valutazione dei singoli docenti.

Infatti degli effetti fuorvianti della valutazione delle singole scuole nel loro complesso si è già detto; quanto alla valutazione del merito dei singoli docenti l’errore emergerà in sede applicativa in modo devastante. Infatti si scatenerà una lotta senza quartiere tra i singoli docenti per accaparrarsi il punteggio per entrare nel numero dei due terzi che avranno aumenti di stipendio. Si scatenerà un individualismo sfrenato che è il contrario del lavoro cooperativo che tutta la pedagogia invita a realizzare in ogni gruppo di docenti di una classe. Non si raggiungerà il fine di migliorare il rendimento collettivo degli alunni della classe, ma il rendimento degli alunni nella propria disciplina, anche a danno del rendimento in altre discipline.

Meglio sarebbe stato, in questa prima fase, puntare sull’autovalutazione dei risultati delle singole classi, ivi compresi i risultati degli alunni con disabilità ed altri BES. Ciò avrebbe spinto tutti i docenti della classe a far corpo comune per far raggiungere i migliori risultati complessivi a tutti gli alunni della classe. Ciò, lungi dal determinare una concorrenza individualistica tra i docenti, avrebbe stimolato la coscienza di gruppo ed una sana concorrenza tra i gruppi dei docenti delle singole classi. I docenti meno impegnati sarebbero stati stimolati dai colleghi ad impegnarsi per non fare sfigurare il gruppo nel suo complesso. Anche gli alunni con disabilità ed altri BES sarebbero stati oggetto della massima attenzione, poiché il loro successo avrebbe innalzato la media della valutazione di tutta la classe, mentre con una valutazione della singola scuola, i risultati negativi si mimetizzano, come detto, e per la valutazione dei singoli docenti, i docenti curricolari, specie delle scuole secondarie, sono portati ad accentuare l’attuale deriva di delega al solo docente per il sostegno.

Ritengo che si sia ancora in tempo per correggere il tiro e far sì che l’autovalutazione per l’anno in corso possa riguardare i risultati delle singole classi, che possono pure   sommarsi in quella delle singole scuole, ma evidenziando le sedi essenziali dove si svolge la didattica, cioè il gruppo-classe. Basterebbe un’integrazione alla direttiva sull’autovalutazione che richieda espressamente l’autovalutazione delle singole classi, prima di farle confluire in quelle del calderone comune di tutta la scuola. Sarebbe pure opportuno rendere meno generici alcuni indicatori, almeno quelli relativi agli alunni con disabilità.

Cosa pensano di ciò i docenti, i sindacati ,le famiglie e gli esperti dentro e fuori il Miur?

Il Governo pronto a varare il ”pin unico”: servirà anche per i rapporti Scuola-Famiglia

da La Tecnica della Scuola

Il Governo pronto a varare il ”pin unico”: servirà anche per i rapporti Scuola-Famiglia

Già da febbraio, attraverso un’apposita password, si potrà avere accesso a tutti i servizi telematici pubblici: dall’Inps all’Agenzia entrate, dai Comuni alle Asl. Coinvolti anche gli istituti: solo che ad oggi meno del 20% delle scuole detiene la banda larga. E i fondi chiesti dal Miur possono servire per adeguare un decimo delle 140mila aule ancora sprovviste di Adsl.

Sono ambiziosi i programmi del Governo sul fronte dell’informatizzazione della pubblica amministrazione. La novità più importate, che riguarda da vicino i cittadini, è l’arrivo del ”pin unico”: attraverso un codice personale, un’apposita password, darà accesso a tutti i servizi telematici pubblici. Quindi non solo per il fisco. Secondo i piani dell’Esecutivo, diventerà la chiave d’accesso per la gestione dei rapporti tra Stato e cittadini. Perché farà accedere ai servizi web di tutte le amministrazioni pubbliche: dall’Inps all’Agenzia entrate, dai Comuni alle Asl.

Il nuovo congegno interattivo coinvolgerà anche le scuole, anche se ancora non si conosce con quali effetti pratici. Soprattutto perché, ad oggi, meno del 20% delle scuole sarebbe in possesso della cosiddetta banda larga, il sistema di collegamento on line più veloce e affidabile, indispensabile per attivare servizi che potrebbero coinvolgere migliaia di cittadini nello stesso. Il problema è che per riuscire nell’impresa di connettere le 140mila aule scolastiche oggi sprovviste di Adsl occorrerebbero circa 400 milioni di euro. Mentre poche settimane fa il Miur ha chiesto solo “45 milioni per far sì che l’accesso a internet sia patrimonio di tutti”.

Ma è difficile, anzi impossibile, che ciò accada in così poco tempo. Per il Pin Unico Nazionale, che è stato battezzato ‘Spid’, dovrebbe essere varato già a febbraio: conterrà anche i redditi di pensionati e lavoratori dipendenti. Il primo obiettivo di massa, infatti, è il suo utilizzo per la presentazione del 730 precompilato.

“Affamare” la scuola non si può più: lo dice persino la Ragioneria dello Stato

da La Tecnica della Scuola

“Affamare” la scuola non si può più: lo dice persino la Ragioneria dello Stato

 

La Ragioneria dello Stato mette in dubbio che si possano continuare ad applicare alla scuola le consuete clausole di salvaguardia: se ne mette a rischio il funzionamento minimo

Non c’è davvero pace per le disposizioni di legge in materia di istruzione che prevedono impegni di spesa più o meno consistenti.
Adesso, nel mirino dei tecnici del MEF, c’è l’articolo 3 del decreto legge 185 del 16 dicembre scorso con cui il Governo ha stanziato 64 milioni di euro per poter pagare gli stipendi arretrati dei supplenti.
Ma nel dossier di documentazione disponibile nel sito del Senato viene avanzato qualche dubbio sulla fattibilità dell’operazione.
I tecnici osservano innanzitutto che la quantificazione di 64 milioni è del tutto parziale perché si ferma alla metà del mese di novembre; oltretutto di questa somma, 47 milioni sono destinati appunto a pagare supplenze conferite nelle prime due settimane di novembre e questo significa che, per arrivare a fine anno solare, potrebbe essere necessaria una ulteriore somma di almeno un centinaio di milioni.

Ed è a questo punto che nascono i problemi: è vero che l’articolo 3 del decreto legge richiama la consueta “clausola di salvaguardia” (se nel 2015 si sforeranno i tetti di spesa programmati sarà necessario “tagliare” sulle spese di funzionamento delle scuole)
Modalità sulla quale i tecnici del MEF avanzano più di un dubbio e sostengono che in ogni caso “andrebbe confermata la effettiva praticabilità della suddetta clausola, fornendo rassicurazioni in merito alla piena sostenibilità della possibile riduzione degli stanziamenti per spese di funzionamento delle scuole, con l’esigenza di assicurare i fabbisogni minimi delle istituzioni scolastiche”.
In altre parole: la clausola di salvaguardia va bene, ma “affamare” le scuole oltre certi limiti è improponibile perché se ne mette a repentaglio il funzionamento ordinario. Parola della Ragioneria Generale dello Stato.

Piano assunzioni: il “bello” arriva adesso

da La Tecnica della Scuola

Piano assunzioni: il “bello” arriva adesso

La legge di stabilità stanzia i soldi per le assunzioni che però dovranno sempre essere autorizzate preventivamente dalla Ragioneria dello Stato e dalla Funzione Pubblica.

E’ probabile che per il contenuto di questo articolo qualcuno si irriterà e ci accuserà di “gufare”. Accettiamo il rischio perché l’alternativa sarebbe quella di non scrivere nulla e quindi di celare una parte di verità ai nostri lettori.
Ma noi siamo convinti che il primo dovere di una testata giornalistica debba essere quello di mettere a disposizione dei lettori tutte le informazioni utili per comprendere meglio i problemi sul tappeto.
La questione che vogliamo segnalare riguarda il piano di assunzioni previsto dalla legge di stabilità e dal documento “Buona Scuola”.
Ormai tutti danno per scontato che le assunzioni ci saranno anche se, per la verità, c’è già chi mette in dubbio che saranno davvero 150mila già da subito.

Il punto sui cui però nessuno si è soffermato a sufficienza è ancora un altro.
Non bisogna infatti dimenticare che nella legislazione vigente esiste un principio introdotto con la legge 449 dl 1997 che parla esplicitamente di “regime autorizzatorio” per ogni assunzione nella pubblica amministrazione, comparto scuola compreso.
Il principio è ben esplicitato nell’articolo 3 della legge in questione: in fatto di assunzioni “a decorrere dall’anno 2000 il Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la funzione pubblica e del tesoro,  del  bilancio  e  della  programmazione economica, definisce preliminarmente le priorità e le necessità operative da soddisfare”.
“In tale quadro
– recita ancora la norma – entro il primo semestre di ciascun  anno,  il Consiglio dei ministri determina il numero massimo complessivo  delle assunzioni delle amministrazioni di cui al comma 2 compatibile  con  gli  obiettivi  di  riduzione numerica e con i dati sulle cessazioni dell’anno precedente”.
In altre parole: la legge di stabilità stanzia i fondi necessari per le assunzioni ma queste non sono automatiche e per essere effettuate necessitano di alcuni passaggi ineliminabili.
Insomma, forse è il caso di ricordare il vecchio modo di dire: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Prima di essere sicuri che le assunzioni ci saranno è meglio avere in mano i provvedimenti che – per espressa previsione di legge – il Governo deve emanare.

Anche i prof saranno licenziabili?

da La Tecnica della Scuola

Anche i prof saranno licenziabili?

Tra i deliri di un’insana ed opinabile meritocrazia, troviamo anche il crollo di un tabu: “la licenziabilità dei professori della scuola pubblica”

Infatti, la tesi che i docenti, qualunque cosa negativa facciano, siano illicenziabili, é un tema che negli ultimi tempi ha trovato alte referenze politiche. In questi anni si é disquisito molto sul fatto che gli insegnanti sono una categoria protetta, eccessivamente sindacalizzata e addirittura una casta di intoccabili. La professione dell’ insegnante é stata vista come un’attività privilegiata,dove i diritti sono maggiori dei doveri.

Adesso arriva la notizia, o presunta tale, che finalmente anche i prof saranno licenziabili. Infatti secondo Pietro Ichino , che lo scrive sul Corriere della Sera di oggi, uno dei decreti attuativi del Job Act, renderebbe possibile e semplice il licenziamento per i dipendenti pubblici. Dunque per quanto scrive Ichino, la norma dei licenziamenti facili si applica non solo alle aziende private, ma anche alle Amministrazioni pubbliche.

Quindi anche alla scuola pubblica. I ministri Poletti e Madia, negano fermamente le ipotesi di Ichino, che dal canto suo liquida la diatriba nata con i due ministri, sostenendo che sono inesperti e che un’interpretazione autentica del decreto attuativo é quella che i licenziamenti saranno attuabili pure per il pubblico impiego. Ma come stanno veramente le cose? Conoscendo la competenza di Ichino su questioni come questa, non é escluso che abbia ragione. Quindi giovani prof fate attenzione e rigate dritto, perché c’è il rischio di essere licenziati.

TAR Sicilia: stop alle “classi pollaio”

da La Tecnica della Scuola

TAR Sicilia: stop alle “classi pollaio”

Il TAR Sicilia è intervenuto sulla questione delle classi che accolgono alunni disabili: non si possono superare i limiti numerici fissati dalla legge

E’ possibile che in una classe pollaio ci siano anche 4 alunni con handicap? Quale beneficio potranno mai trarre i 4 ragazzi da tale situazione e di quale inclusione si può parlare?
Giunge al proposito una decisiva sentenza del Tar Sicilia (2250/14) che ha deciso lo sdoppiamento di una classe quarta delle scuole superiori nel corso dell’anno scolastico formata da 24 alunni di cui 4 con disabilità, e quindi eccedente il tetto massimo di 22 alunni consentito per le classi con alunni disabili.
A monte naturalmente un errore nella formazione della classe suddetta che era nata dalla incauta fusione di due classi più piccole in cui esistevano già due alunni con disabilità per ognuna. Il risultato era stato una classe pollaio  con un eccessivo numero di alunni compresi i 4 soggetti con handicap.
Ma quali sono le motivazioni della sentenza? Secondo il Tar Sicilia l’eccessivo numero di alunni oltre, naturalmente, a compromettere la sicurezza degli alunni in aula, inficia la qualità della didattica e non permette la piena inclusione dei disabili.
Obiezione immediata: ma i dirigenti scolastici non sono stati costretti negli ultimi anni a obbedire a logiche di risparmio, sacrificando ad esse il buon funzionamento della didattica, nonché l’aspetto educativo-relazionale?
Adesso il Tar Sicilia ha detto basta. Basta a manipolazioni dell’organico a danno degli alunni. E anche degli insegnanti che in quelle classi si trovano ad operare.

La lingua disonesta: quella delle circolari Miur

da La Tecnica della Scuola

La lingua disonesta: quella delle circolari Miur

Un accanimento o un vezzo, burocratese o antilingua: quella dei funzionari Miur sembra più la lingua disonesta di chi non sa bene che fare, non ha le idee chiare, non vuole assumersi le responsabilità che gli competono

Claudio Giunta, su Internazionale.it, esamina la lingua dei burocrati del ministero dell’Istruzione, confermando che la confusione linguistica genera confusione legislativa e viceversa, mentre alle vie dirette per la comprensione del testo si preferiscono astruserie linguistiche.

 

Il governo, il ministro dell’istruzione, i collaboratori del ministro, i funzionari del ministero decidono che serve qualcuno che insegni agli insegnanti a insegnare meglio, perciò stanziano una certa quantità di denaro per formare questi formatori: il denaro verrà dato alle scuole (una per regione) che organizzeranno dei corsi ad hoc, e da questi corsi verranno fuori dei “docenti esperti” che poi dissemineranno la loro esperienza e le cognizioni acquisite nelle scuole del territorio.

A mio parere non è una buona idea, anzi è un’idea pessima, ma non è di questo che parliamo adesso.

Presa la decisione, stanziato il denaro, restano da curare i dettagli: informare i mezzi d’informazione, mettere la notizia sul sito del ministero, scrivere la circolare che verrà mandata ai dirigenti scolastici. C’è un ufficio per tutto.

L’ufficio che s’incarica di scrivere la circolare deve intanto dare un titolo, un oggetto, al documento che sta per produrre. Potrebbe essere qualcosa come Formazione degli insegnanti-tutor, oppure Piano per la formazione di insegnanti che aiutino i colleghi ad insegnare meglio, o persino Piano per la formazione di personale docente che migliori la qualità dell’insegnamento nelle scuole. È probabile che all’estensore del documento vengano subito in mente formule del genere; ma con la stessa tempestività capisce che queste formule non vanno bene. Ci pensa su un attimo, quindi scrive:

Piano di formazione del personale docente volto ad acquisire competenze per l’attuazione di interventi di miglioramento e adeguamento alle nuove esigenze dell’offerta formativa.

Risolto il problema dell’oggetto, l’estensore del documento non può passare subito all’informazione, alla cosa che vuole comunicare, non può dire qualcosa come “il ministero ha deciso che bisogna formare dei – diciamo – super-insegnanti che aiutino i colleghi meno esperti (o più demotivati) a far bene il loro lavoro, perciò ha stanziato la somma X, somma che verrà assegnata a scuole che presentino dei buoni progetti di formazione e aggiornamento”. Così è troppo veloce, ci vuole il preambolo. Il preambolo dura circa una pagina, e comincia così:

I mutamenti verificatisi nell’ambito della società e nella scuola implicano che i docenti acquisiscano e sviluppino con continuità nuove conoscenze e competenze. Occorre perciò avviare e sostenere con apposite attività formative processi di crescita dei livelli ed ambiti di competenza coerenti con un profilo dinamico ed evolutivo della funzione professionale.

Si chiama coazione al dicolon, ed è tipica dei temi in classe. Lo scolaro vorrebbe scrivere “Ci vuole molta cura”, ma è irresistibilmente portato a scrivere “Ci vuole molta cura e molta attenzione”; vorrebbe limitarsi a dire che “Restano vari problemi aperti”, ma la coazione al dicolon lo trascina ad aggiungere “e varie questioni irrisolte”. Nelle cinque righe che ho citato, queste zeppe si presentano con la frequenza di un tic nervoso: “nell’ambito della società e nella scuola”, “acquisiscano e sviluppino”, “conoscenze e competenze”, “avviare e sostenere”, “processi ed ambiti”, “dinamico ed evolutivo”. L’aggiunta di senso è minima, impercettibile, a volte nulla (”dinamico ed evolutivo”); e a volte in realtà ad essere aggiunta è una dose di nonsenso: il secondo periodo, da processi di crescita in poi, è quasi incomprensibile, perché la sintassi è slabbrata e i sostantivi astratti formano una nebulosa quasi impenetrabile: cosa sono i “processi di crescita dei livelli”?

I preamboli sono sempre difficili. Il documento migliora andando avanti, le cento righe successive sono meglio di queste prime cinque? Veramente no. Ciò che si potrebbe dire chiaramente in una parola continua a essere detto confusamente in due o in tre. Il dicolon regna sempre sovrano; spuntano qua e là aggettivi puramente decorativi (”attivare a livello nazionale percorsi articolati di formazione in servizio…”), o pletorici (”predisporre una trama di reciproca cooperazione”); la nebulosa dei termini astratti si fa ancora più fitta, la realtà arretra, gli studenti i banchi le lavagne svaniscono in una calda luce crepuscolare (”una base comune di competenza sulla progettazione e sulla organizzazione degli interventi con l’acquisizione di tecniche avanzate e metodi didattici che siano al tempo stesso rigorosi, innovativi e coinvolgenti ed includa l’uso di strumenti pratici indispensabili per gestire aule efficaci”), gli elenchi si fanno onnicomprensivi e scriteriati: “[competenze] di grande importanza per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, l’arricchimento dell’offerta formativa, l’efficienza di tutta una serie di servizi decisivi per la scuola, gli studenti e le famiglie, la comunità di riferimento”. Quando salta fuori l’espressione tutta una serie, la patacca non è lontana. E quando dallo sfondo indistinto dei possibili beneficiari si stacca “la comunità di riferimento”, potrebbe anche scorrere del sangue.

Che cos’è questo? Non è esattamente quello che si chiama burocratese. Non è esattamente, come recita la definizione del vocabolario, “lingua pressoché incomprensibile perché infarcita di termini giuridici e inutili neologismi, tipica dell’amministrazione pubblica”. Nel documento ministeriale c’è anche il burocratese – per esempio:

Supportare i processi di valutazione e farsi carico del monitoraggio della loro corretta applicazione in base ai criteri definiti dal C.d.D.

Anziché, parlando più chiaro:

Aiutare nella valutazione e controllare che essa sia in linea con i criteri stabiliti dal collegio dei docenti.

Queste – i “processi di valutazione” al posto delle “valutazioni”, i “farsi carico del monitoraggio” invece di “verificare”, le problematiche e le tematiche al posto dei problemi e dei temi – queste sono bruttezze abituali, sciocchezze abituali, che ormai non chiamano più l’attenzione: uno potrebbe persino dire che sono i ferri del mestiere, un idioletto non più dissonante e arbitrario degli idioletti di tanti altri ambiti professionali.

Non è neppure esattamente l’antilingua di cui ha parlato una volta Calvino. L’antilingua, secondo Calvino, era “l’italiano di chi non sa dire ho fatto ma deve dire ho effettuato”, l’italiano del brigadiere dei carabinieri che, anziché scrivere così la deposizione di un teste: “Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone”, la scrive così: “Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile”.

La lingua della circolare ministeriale non è esattamente questo. Certo, anche qui c’è quella che Calvino definiva “la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato, come se fiasco stufa carbone fossero parole oscene, come se andare trovare sapere indicassero azioni turpi”. Ma la sostituzione di fiasco con prodotti vinicoli, di stufa con impianto termico, di carbone con combustibile, per quanto idiota, non impediva di venire a capo, alla fine, di un senso: ritradotto in un italiano “reale”, il messaggio passava.

Il messaggio della circolare ministeriale, invece, non passa. Non tanto perché la scuola viene chiamata servizio scolastico e la regione diventa l’ambito territoriale, quanto perché, nel suo insieme, la circolare ministeriale non sembra scritta in italiano, o meglio perché le parole che contiene sono certamente italiane, ma i rapporti tra le parole non sembrano produrre un senso compiuto: è come se la pressione delle parole – che sono troppe, e troppo pesanti – avesse fatto evaporare i nessi sintattici (che sono anche nessi logici). Il risultato sono locuzioni senza senso come “processi di crescita dei livelli” (”tentativi di migliorare la qualità degli insegnanti”?), o interi periodi che sembrano scritti estraendo a caso dal sacchetto delle parole astratte, come:

Reti di istituzioni scolastiche ben organizzate, facendo ricorso ove possibile alle risorse interne, favoriscono la valorizzazione delle specificità professionali presenti nel territorio in funzione di supporto alle esigenze di rinnovamento e arricchimento dei curricoli, di iniziative progettuali, di miglioramento dell’azione educativa e dell’efficienza organizzativa del servizio scolastico.

La formazione degli insegnanti contribuisce ad esempio, ad attuare significativi interventi nel campo di un orientamento che guardi alle connotazioni delle professioni, che possono trovare spazio con l’utilizzo delle quote di flessibilità praticabili dalle scuole autonome.

Qui c’è tutto: la punteggiatura messa a caso (la virgola dopo esempio, ma non prima), gli aggettivi esornativi (”significativi interventi”), le perifrasi astruse (cosa sono mai le “connotazioni delle professioni”?), i tecnicismi inutili (”quote di flessibilità praticabili”); quelli che mancano sono i nessi sintattici: a cosa si riferisce il che di “che possono trovare spazio”, agli interventi, alle connotazioni o alle professioni? E cosa vuol dire che gli interventi (o le connotazioni, o le professioni) “possono trovare spazio con l’utilizzo”? Sarà “attraverso l’utilizzo” (vulgo: “adoperando”)? Ma cosa vuol dire, comunque? E una “quota di flessibilità”, qualsiasi cosa sia, si “pratica”?

Pare che una volta, mentre era negli Stati Uniti, abbiano detto a Salvemini che stavano traducendo Vico in inglese. E pare che Salvemini abbia risposto: “L’inglese è una lingua onesta: di Vico non resterà niente”. Intendendo – non importa se a ragione o a torto – che Vico aveva idee fumose, e che l’inglese è invece una lingua chiara e distinta, che le idee fumose le smaschera, le dissolve.

Chissà se è vero. Chissà se esiste davvero uno spirito delle lingue, che ne rende alcune oneste e altre disoneste, o se invece le lingue non c’entrano, e l’onestà e la disonestà stanno nella coscienza di chi le adopera. Ma l’etichetta è trovata. Né burocratese né antilingua: quella della circolare del Miur del 27/11/2014 (prot. 0017436) è la lingua disonesta di chi non sa bene che fare, non ha le idee chiare, non vuole assumersi le responsabilità che gli competono (e che il discorso chiaro impone a chi lo pronuncia), e lascia a chi deve leggere (e soprattutto: a chi deve obbedire) il compito di decifrare, di leggere fra le righe, di stiracchiare le parole e i concetti dalla parte che vuole, anzi di interpretare le parole e i concetti come s’interpreta il Talmud, cercando d’indovinare le intenzioni di un padrone invisibile e capriccioso, che dice e non dice, che lascia agli altri il compito di riempire con qualcosa lo spazio che lui ha lasciato vuoto non per liberalità ma per inabilità a parlar chiaro, ossia a decidere, e cioè per codardia.

La lingua disonesta. In un suo saggio sull’educazione, Neil Postman sosteneva che la cosa davvero importante era insegnare non tanto a essere intelligenti, quanto a non essere stupidi, e che quindi una buona didattica avrebbe dovuto mirare, più che a riempire la testa degli studenti di buone idee e buone abitudini, a togliere dalla testa degli studenti le idee e le abitudini dimostrabilmente sbagliate o sciocche. Se questo è vero, un’ora di lettura in classe della circolare Miur del 27/11/2014, un’ora di lingua disonesta, potrebbe giovare più di un’ora di Manzoni, e certamente più di tante regole astratte su come si scrive e non si scrive. (Nel frattempo, suggerirei alla ministra Giannini, che prima di essere ministra è una glottologa, di convocare la direttrice generale del ministero, dottoressa Maria Maddalena Novelli, e di rileggere insieme a lei piano piano, parola per parola, solecismo per solecismo, la circolare suddetta, che la dottoressa Novelli ha firmato, così come l’hanno dovuta leggere tutti i dirigenti scolastici d’Italia, una mattina di qualche settimana

Claudia Fanti, Odissea nella scuola

Odissea nella scuola*
Un romanzo di formazione

di Gabriele Boselli

fanti1Conosco Claudia da una ventina d’anni; era allora una ragazza al suo primo ingresso nella scuola forlivese dopo brevi esperienze nelle scuole di Milano e dopo-scuola nei quartieri di immigrazione della periferia. I primi sintomi del riflusso non avevano ancora espletato i loro effetti e prender parte alla politica scolastica e all’impegno pedagogico era una scelta di qualche soddisfazione. I gruppi di potere che occupavano lo Stato non erano del tutto staccati dalla società e vi era in essi, ancora, qualche idealista che giustificava speranze.

Io, che sono più vecchio di lei di un’altra ventina d’anni, avevo appena terminato i miei lavori sulla postprogrammazione e sulla valutazione di tipo ermeneutico. Come ispettore scolastico mi interessai al suo lavoro in classe e raccolsi la sua pur critica attenzione. Erano tempi in cui il cambiamento non era subìto ma faceva parte dell’ evolutività delle istituzioni scolastiche da poco autonome, anche se si deve dire che la scuola è sempre stata in evoluzione e forse era più in movimento quando ufficialmente non sarebbe stata ancora autonoma: la vera “buona scuola” detiene da sempre autonomia intellettuale, politica, etica, pedagogica. Si studiava molto, molti scrivevano, si stava in movimento.

In seguito, il movimento della storia ha invertito la direzione, la sinistra pedagogica si è iperintegrata o scomparsa, le scuole hanno ricevuto in dono dai media una certa fama di resistenza aprioristica al cambiamento; solitamente stampa e TV ora hanno cura di aggiungere che, se vi è un cambiamento, questo non è certo in meglio. Queste tesi intenzionalmente distruttive del prestigio della scuola di Stato a volte sono semplici sparate, altre volte fanno uso di ricerche valutative di sistema più “scientificamente” articolate.

Invece la scuola muta continuamente forma, perché è viva, perché la scuola è cultura, è lo spirito e lo spirito è vento. Vento che attraverso la voce di docenti/Maestri come Claudia Fanti innescherà nuovi eventi di pensiero. Ed è intimamente aperta all’innovazione. Influiscono sull’innovare le persone che si incontrano (le scuole di Forlì sono ricche di maestri e maestre straordinari), i luoghi che si attraversano, gli spazi che si occupano per ridisegnarli; in questo intreccio, in questa relazione ipercomplessa -in senso buono- pluralmente si costruisce e s’inventa qualcosa. Gli aspetti che mi appaiono da temere e avversare oggi sono chiaramente indicati da Claudia: il burocratismo che esonda dall’ambito strettamente amministrativo per invadere i campi della didattica (prove INVALSI), la quotidianità senza senso, l’indifferenza etica, la passività intellettuale, l’applicazione acritica di pratiche non sentite ma subite, ove possibile evase.

 

fanti2La scuola è degli alunni. E dei Maestri

Claudia scrive di far parte “di quel sottobosco silenzioso, ma resistente, che si misura con la realtà ogni giorno”. Perché “sottobosco”? Lei è nel novero degli alberi più alti, dei tanti magnifici alberi che fanno la qualità politica, scientifica e didattica della scuola. In gran parte delle scuole elementari (a me piace chiamarle ancora così) di Romagna ci sono per fortuna pochi maestri ma tante maestre che magari mugugnano -o gufano, direbbe il figlioccio di Berlusconi- ma con il loro concreto discutere e operare cercano di istruire alla sopravvivenza nel mondo attuale e in quello imminente ma anche di aiutare ad educare soggetti che, nelle ristrette contingenze e nei sempre brevi anni della loro vita, non siano costretti a pensare solo al mercato del lavoro ma attuino il diritto alla vita (la pienezza dell’esistenza). Un docente/Maestro con la maiuscola, che porti gli interi (le persone) all’intelligenza e all’amore per l’Intero, è quel che occorre, dalla scuola dell’infanzia all’università. Un Maestro verticale, in quanto non si limita a guardarsi intorno, ma pensa anche in profondità e in altezza, consapevole di Nadir e volto allo Zenith. E’ l’autoaffermarsi di chi lavora nella scuola non solo come diligente impiegato ma anche autore dei propri giorni di magistero. Contrastando il conoscere “asettico”, emotivamente neutro, replica meccanica di conoscenze altrui, atto seriale che potrebbe essere indifferentemente recitato da una persona come da un’altra senza significative variazioni e ridefinizioni di senso, Maestre e maestri costruiscono ragioni di speranza nel pensiero e nella scuola a venire. E anche nella società ventura.

 

L’io autentico che guarda. E spesso riesce a vedere

Claudia Fanti non declina solo quanto vogliono le Indicazioni nazionali (piuttosto andrebbero definte “cinesi”, a mio avviso) ma illustra il mondo come l’ha visto lei, con la lingua che parla, dal suo angolo di storia, dalle finestre che si sono aperte durante la sua vita di cittadina e di insegnante.

Oltre al conoscere, le buone scuole (nulla a che vedere con la “buona scuola” renziana) rafforzano la coscienza. Coscienza è quell’idea e quel sentimento di sé che ci si forma attraverso l’attività del con-sapere, con-sentire e con-dividere criticamene con altri un campo di esperienze e di idee. E’ l’atto oscillante che può far guadagnare un razionale, relativamente stabile sentimento di sé e una forza di protensione che faccia conseguire un inserimento autonomo nel mondo. Le discipline insegnate nella scuola elementare (mi piace chiamarla ancora così) infatti portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come possono cambiare.

 

Una scuola del conoscere

Gli ultimi vent’anni di didattica ufficiale “di servizio”, a volte solo servizievole, non occorre dire a chi, hanno sopra tutto parlato di apprendimento, di come un ragazzo debba prender su da e applicare. Dobbiamo ricominciare (Claudia e i colleghi del I circolo di Forlì lo fanno da tempo) a parlare del Maestro e dell’insegnamento, del volto e del messaggio di chi in modo più maturo del bambino si è confrontato con la conoscenza. Insegnare a conoscere avendo in vista non il successo ma la verità è invitare a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato e dal sistema di controllo INVALSI (fin troppo indulgente il parere di Claudia su questo strumento del Potere che non ha nulla a che vedere con il Conoscere). I Maestri insegnano il pensare il mondo di quando chi oggi ha dieci anni ne avrà trenta e più. Le conoscenze essenziali –saperi di libertà- valorizzano le diversità e le differenze mentre i test premiano le conformità; le sole competenze –quando anche fossero apprese- darebbero a tutti qualcosa che é estraneo a ciascuno. Un fattore di alienazione.

 

Sul valutare

Pratica alienante è certo la valutazione oggettivistica, quella che sotto mentite spoglie pretende di stabilire il valore di un testo, di un alunno, di un insegnante, di una scuola, di un intero sistema scolastico. Sotto mentite spoglie perchè non lo dichiara esplicitamente e asserisce per bocca del suo attuale Presidente e nel sito ufficiale INVALSI di voler solo stabilire il grado di apprendimento in limitati settori della conoscenza. Dichiara di non essere al servizio del committente ma di voler fornire a insegnanti e dirigenti elementi di autovalutazione del proprio operato e di autocorrezione.

Forse qualche operatore Invalsi lo crede davvero; comunque i risultati sono ben altri e finisce che i giornali propinano classifiche e i veri programmi di studio rischiano di essere orientati sui test dell’anno precedente. La prossima valutazione degli insegnanti sarà ineluttabilmente basata sui risultati dei test. E chi resiste alla valutazione è solo uno che ha paura di non figurare bene.

“Può capitare che sostenendo con decisione la via di una valutazione formativa, senza verifiche standard, si ricevano insulti, risposte alquanto arroganti e impertinenti (del tipo: hai paura della valutazione esterna?!). A me è successo”.

 

Suggerimenti per insegnare con passione

Il ponderoso volume (pp.410) a dispetto della mole si legge con diletto e fa pensare e ri-pensare. A me fa pensare a questo mezzo secolo che ho trascorso lavorando nella scuola tra una sedicente riforma e l’altra. Come scrive Claudia, penso che

“bisognerebbe restituire dignità e senso alla parola “riforma”, una parola che potrebbe e dovrebbe tornare ad avere un’accezione positiva se le si restituisse il significato alto di merito e di metodo”. E aggiungo che una riforma ha –parola abusata- “coraggio” quando confligge con gli interessi forti non quando colpisce i soggetti più deboli.

Le pseudo-riforme passano, per fortuna i veri Maestri rimangono e i loro messaggi fanno sì che il mondo sia, almeno un po’, migliore. Questo libro, frutto dell’esperienza di una vera Maestra invita a

-Non lasciar perdere

-Corrispondere ai vuoti di esistenza e di pensiero con offerte coinvolgenti, sensate:

“a corsi di formazione si aggiungono corsi su come applicare qualcosa di sterile, di decontestualizzato, di insensato, soprattutto di controproducente perché dentro una situazione di scuola riformata nonostante l’opposizione diffusa del corpo docente”.

-Offrire alle persone prospettive sull’Intero del sociale e dell’immaginario, altrimenti quello scolastico può essere non tempo obbligato ma forzato, prigione da cui evadere mentalmente.

-Inventare, argomentare didatticamente la locale fisionomia dei saperi affinché non siano solo giustapposizioni insensate di discipline pensate in separatezza

-Fare un sapere in movimento e in discussione, offerto da un insegnante autore della propria giornata.

-Pensare tutti i discorsi di istruzione su una visione pedagogica e politica complessiva e generatrice di intelligenti passioni.

 

*Claudia Fanti   Odissea nella scuola Youcanprint, Lecce, 2014

Omissione di soccorso

REATO DI OMISSIONE DI SOCCORSO PER LA MORTALITà SCOLASTICA di Umberto Tenuta

Canto 337

Sapete quanta potenziale umanità muore ogni istante per carenza di educazione?

È una quantità che supera ogni umana possibilità di misura.

Tutti ne siamo responsabili.

Ma nessuno ne risponde.

 

Nessuno viene chiamato a rispondere dell’umanità che non si realizza in ogni giovane che viene alla luce.

La prima responsabile è la madre!

La madre che tutto, proprio tutto non fa per ossigenare quel bimbo che ha in corpo.

E l’ossigenazione del grembo materno, sin dai primi mesi di gestazione, rende più intelligenti i nascituri!

E poi le ninne nanne, i canti, le musiche che la mammina ascolta, il bimbo assorbe come nutrimento della sua mente e del suo cuore.

E le prime carezze materne, e i vestitini belli, e la culla col carillon, e le pareti di caldi colori ornate?

E le dolci nenie, le tenere parole, le lievi carezze la madre in abbondanza offre?

Se questo la mamma non dona, il bimbo non cresce in virtute e canoscenza.

La madre è rea di omissione di atti dovuti a chi alla umana vita nasce.

Ed il padre se ne sta in disparte, non accorre amoroso a regalare il sorriso al figlio candidato alla condizione umana.

Anch’egli responsabile di omissione di atti dovuti a chi ha diritto a farsi uomo.

E tutto il parentado, e tutto il vicinato, e tutto il contado a lui debbono offrire i loro froebeliani doni.

Anch’essi, il parentado e il vicinato, responsabili di omissione di atti dovuti a chi ha diritto alla piena formazione della sua personalità.

E poi…

E poi vien Ella, l’attesa, l’agognata Madre, Materna Scuola!

Comeniana Scholae gremii materni!

Oh quante materne attese!

Oh quante paterne speranze!

Oh quanta fanciullesca fiducia in te, Scuola!

Scuola dell’Infanzia.

Scuola Prima.

Scuola Seconda.

Seconda Prima.

Scuola Seconda Seconda.

Scuole, quale che sia il vostro strano nomignolo.

A voi la Sacra Carta affida un compito che non ha l’eguale!

L’umanizzazione del cucciolo d’uomo.

Nasce il bimbo, candidato alla condizione umana.

Candidato!

A voi umanizzarlo.

Farlo nascere uomo.

Solo in ordine temporale seconda gestazione.

Uomini non si nasce, ma si diventa solo attraverso l’educazione.

Lo ha detto nientepopodimeno che Immanuel Kant.

Attenti, uomini di scuola!

Siete pagati per garantire il successo formativo ad ogni figlio di donna.

GARANTIRE!

SUCCESSO FORMATIVO!

<<garantire loro il successo formativo>> ( D.P.R. 8.3.1999, n. 275).

Garantire!

Successo formativo garantito.

Garantire loro la vita, la vita umana.

Non lasciarli morire, come Victor, il Selvaggio dell’Aveyron.

Garantito per quanti anni?

Per otto anni!

Se non lo garantite?

Stante la patria generosità, le attenuanti generiche vi saranno concesse!

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

Incontro con Loredana Frescura

“Vado ad essere felice” di Loredana Frescura

Intervista di Mario Coviello

frescuraIl 9 e 10 gennaio 2015 gli alunni delle scuole medie di Bella, Rionero, Ripacandida e Barile, con i loro docenti e genitori si incontreranno con Loredana Frescura, autrice di “ Vado ad essere felice”, Raffaello editore nell’ambito dell’ottava edizione del Torneo di lettura fra dieci scuole in rete della provincia di Potenza.

Il romanzo racconta la vicenda di Andrea, una ragazza che deve imparare ad accettarsi, convivendo con un corpo che non ama. A questo si aggiunge l’arrivo di Gigliola, sua cugina e coetanea, che sembra possedere tutta la bellezza, la sicurezza e la grazia che Andrea non riesce a conquistare. La vita però sa essere bellissima e crudele al contempo: mentre Andrea conosce l’amore di un ragazzo speciale, Gigliola nasconde la fragilità di una malattia. Questa scoperta imprevista avvicinerà Andrea a Gigliola e la spingerà a un gesto di intensa generosità che cambierà per sempre la sua visione della vita.

Il libro, proprio per la tematica affrontata, ha ricevuto il patrocinio di ADMO, l’Associazione Donatori Midollo Osseo, che da anni ha lo scopo principale d’informare la popolazione italiana sulla possibilità di combattere leucemie, linfomi, mielomi e altre malattie del sangue attraverso la donazione e il trapianto di midollo osseo. Per questo il romanzo è al centro di molte iniziative su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alle scuole, per sensibilizzare i ragazzi sul tema delle donazioni e della solidarietà.

Loredana Frescura vive in Umbria, in un piccolo paese della media Valle del Tevere. Ha sempre amato leggere, soprattutto all’aperto, in un prato come davanti al mare o tra i rami sicuri di una quercia. Da piccola ascoltava incantata le storie che raccontava il suo papà, e insieme scoprivano il nome di alberi, fiori, uccelli e insetti. Da grande ha cominciato lei a raccontarle, continuando a curiosare nel mondo, sempre attenta a scrutare la prima stella della sera. Ha pubblicato oltre 40 titoli per bambini, ragazzi e adulti. Nel 2006 ha scritto, insieme a Marco Tomatis, Il mondo nei tuoi occhi (Fanucci Editore), che ha vinto il Premio Andersen ed è stato tradotto in diversi Paesi.

 

frescura2L’abbiamo intervistata. Ecco le sue risposte

  • Perché nella introduzione del libro ti firmi Loredana ( detta Mezzaluna )?

Mezzaluna è un utensile da cucina che, un giorno scherzando, ho affermato fosse per me inutile visto che cucino da quando avevo nove anni. Così questo nomignolo mi è stato attaccato e io mi ci sono tanto affezionata.

  • Ti ho intervistato nel 2007 per “ Elogio della bruttezza” (http://www.edscuola.it/archivio/antologia/recensioni/frescura.htm )che hai presentato alla Mostra del libro dell’ Istituto Comprensivo di Bella. Mi parlasti dei tuoi due figli maschi, della tua vita di maestra di scuola elementare, del tuo senso di inadeguatezza da adolescente che si faceva stirare i capelli ricci , proprio come Andrea la protagonista del tuo libro, e va fino a Roma perché vuole fare la plastica al naso. Dopo sette anni quali sono i cambiamenti più importanti nella tua vita?

Lavoro come allora e i miei figli sono cresciuti e combattono nella ricerca di un lavoro cercando una strada propria. Sono sempre la stessa, qualche ruga in più, qualche preoccupazione in più. Sono sempre la stessa persona che cerca di fare del proprio meglio e si sforza di essere, sopra ogni altro desiderio, una brava persona. Ho scritto e pubblicato altri romanzi e di loro vado orgogliosa come vado orgogliosa dei miei amici e dei lettori che mi cercano.

  • “ Vado ad essere felice “ e’ un romanzo con il racconto in prima persona dei tre protagonisti Andrea, detta “la Rospa”,Fabio, ” l’ imbranato ” e Gigliola “la Fata”. Come riesci a raccontare personaggi maschili e femminili e perfino ” angeli”?

Gli attori recitano personaggi tra i più disparati e diversi; un autore fa lo stesso. Si informa, osserva, scruta, si immedesima e diventa albero o gladiatore; fiore o ingegnere.

  • Andrea e Fabio sono due adolescenti che si sentono ” inadeguati”.Andrea ha l’incubo del cibo,combatte i foruncoli, copre in casa tutti gli specchi, nasconde la ciccia in pantaloni sformati e felpe, trasformandosi in un ragazzaccio con gli anfibi, ed è chiamata “rospa” dai “compagni di scuola”. ” Elogio della bruttezza” combatteva lo stereotipo delle veline,delle modelle anoressiche taglia 38. La bellezza secondo Loredana Frescura che cosa è ?

Domanda complessa che posso evadere così: la bellezza è armonia e vitalità nella gioia di far parte di un tutto. Voglio dire cioè che è bello essere se stessi, prendersi cura di ogni aspetto che ci rappresenta meglio ed essere contenti di essere ciò che si è cercando di migliorarsi per se stessi, ma anche per ciò che siamo all’interno di un sistema più complesso.

  • Fabio confessa che “sta bene solo con se stesso”,non ha amici, ha sempre paura, e quando si muove combina guai. E a un certo punto afferma “ si è prigionieri di quello che gli altri vorrebbero vedere in te e naturalmente non li accontenti mai”. Anche tu da adolescente ti sei sentita come Fabio ?

Certo che sì. Da adolescente ci si sente sempre in debito: verso i genitori, verso gli amici, verso se stessi. Il motivo è in questo crescere senza capire bene ciò che si è e ciò che si vuole diventare.

  • La “fata” che tutti vogliono principessa” è felice quando può essere un pagliaccio e ha il cancro. Hai affrontato questo tema con delicatezza e il tuo libro ha il sostegno dell’Admo. A Bella incontrerai due terze medie che da più di un un anno vivono questo dramma con una loro compagna di classe che combatte la leucemia. Quando scrivi e parli con i ragazzi della malattia e della morte quali emozioni ti attraversano ?

Il mio terrore della malattia è noto a chi mi frequenta. Parlare di essa è stato quindi molto difficile e scegliere di affrontarla evitando la disperazione è stato ancora di più faticoso, ma doveroso ! Le emozioni sono molteplici: paura senza dubbio, coraggio, desiderio di vincere, fiducia. Quando parlo con loro, non evito la parte dolorosa, ma non deve prendere mai il sopravvento, perché una speranza per me ci deve essere sempre e spessissimo è così nella realtà.

  • Per gli adolescenti l’innamoramento è una tappa fondamentale per la costruzione della propria identità e così avviene nei due protagonisti che si scoprono innamorati e vincono così paralizzanti insicurezze. L’innamoramento attraversa tutti i tuoi libri basti pensare a “ Ho attraversato il mare a piedi “che racconta l’amore di Anita per Giuseppe Garibaldi.Tu come hai vissuto il tuo primo innamoramento?Come parlare di sesso e amore agli adolescenti ?

Il mio primo innamoramento è stato assolutamente assoluto! Come per tutti o quasi, prendeva ogni momento della giornata, ogni battito di cuore era per lui! Ma non è sempre così? L’innamorarsi è sempre così a qualsiasi età e i ragazzi hanno diritto a una informazione corretta e chiara. Si può dire tutto purchè sia la verità. L’amore esiste, ce ne sono prove certe e va a braccetto con il sesso che non è cosa da svendere e che vuole il suo tempo e la sua preparazione.

  • Nel libro la famiglia di Fabio è in crisi e quella di Andrea appare inadeguata. I tuoi genitori ti hanno aiutato a crescere ? Tu come madre come hai aiutato i tuoi figli adolescenti ?

La mia famiglia ha fatto tutto ciò che poteva con gli strumenti che aveva e ha dato serenità alla mia vita e senso di appartenenza. Come madre ho cercato sempre di comunicare con i miei figli evitando di utilizzare i famosi e terribili “ sensi di colpa” per farmi ascoltare. Sono una madre da migliorare, certamente. Ho fatto del mio meglio. Quando ho sbagliato, ho chiesto scusa e ho cercato di rimediare.

  • Nelle famiglie dei due protagonisti son fondamentali, soprattutto per Fabio, i nonni. Ne parli con innamorata partecipazione. Anche tu hai avuto nella tua adolescenza nonni che ti hanno aiutato a crescere?

I miei nonni! Nonna Maria fantastica…mi ha insegnato a cucinare, ad amare gli orti, i campi, i girasoli. Nonno Giovanni che mi adorava. Mio padre ha fatto da padre a mio figlio. Mio figlio ha voluto tatuarsi il nome del nonno. Sì ritengo i nonni un grande patrimonio!

  • Nel libro ci sono degli angeli. Cosa rappresentano ?

In questo caso l’angelo non ha connotazione spirituale-religiosa. O forse sì. Questa domanda è ricorrente e capisco la curiosità, ma per me l’angelo è la parte di Fabio che vuole capire: capire il mondo ma soprattutto capire se stesso. Alcuni lo hanno inteso come “personaggio di transizione, di passaggio “. Ognuno lo intenda come vuole. Lui rimane un angelo fantastico.

  • “La felicità è vera solo se condivisa” fai dire al solitario Fabio che ha visto centinaia di volte “Into the wild”, un film che anch’io ho amato molto. Il bel titolo del tuo libro è “ Vado ad essere felice” che cosa è per te la felicità.

La felicità. Un sapore che rende squisito un cibo. Un colore che rende unico un pezzo di cielo. Una nota che non può essere tolta in uno spartito. Una dolce malinconia che rende più bello pensare al domani. La felicità è progetto. E’ l’antitesi della solitudine e della morte. Ci fa riconoscere in qualcun altro più belli, più forti, più sicuri. La felicità mette al riparo dalla negatività. E’ ovvio che anch’essa ha numerose sfaccettature , ma in generale, si è felici se si è capaci di amare e amare rende capaci di cura verso noi stessi e gli altri.

  • Con quaranta libri all’attivo e la vittoria al Premio Andersen hai incontrato tanti adolescenti nelle scuole di tutta Italia per presentare i tuoi libri. Sei prima di tutto, come affermi, una madre e un’insegnante. In ”Vado ad essere felice” la scuola rimane sullo sfondo. Il professor Torini è soprannominato Jack lo Squartatore e ha al suo attivo “almeno cento anime di corpi segati negli ultimi 10 anni “ , la prof di latino ogni tanto ..”si perde” perché ha l’Alzhaimer, dicono i suoi alunni. Si salva la prof Fioravanti che cerca inutilmente di capire “Andreina” .I protagonisti, due liceali che frequentano la stessa classe, non hanno negli insegnanti figure di riferimento. I docenti come possono aiutare e sostenere gli adolescenti nel loro difficile ed entusiasmante cammino di crescita ?

La scuola è l’ultimo baluardo della libertà. Gli insegnanti in “ Vado a essere felice” , sono positivi e veri. Voglio dire che un insegnante deve fare quello che è: un insegnante. Secondo me l’importante è che si lascino “ scoprire” un po’ in modo da lasciare sempre aperto il canale della comunicazione, che siano appassionati di ciò che fanno e la prima passione siano proprio i ragazzi e quando sbagliano, lo riconoscano. Non è facile, ma non è facile nulla e se ci lasciamo andare all’improvvisazione, allora davvero non avremo più speranza.

Lingue non si studiano si imparano ascoltando e parlando

LINGUE NON SI STUDIANO SI IMPARANO ASCOLTANDO E PARLANDO di Umberto Tenuta

CANTO 336

Oggi come non mai necessita conoscere le lingue del mondo.

La scuola le fa studiare.

Ma gli studenti non le parlano!

 

Tempo perduto!

Tempo, fatica e denaro perduto quello dello studio delle lingue.

Studio della grammatica, studio della sintassi, studio del lessico.

La docente insegna, spiega, si sgola, in italiano.

Fa lezioni d’inglese e di spagnolo, di tedesco e di cinese.

Gli alunni seguono attenti, leggono la grammatica, traducono col vocabolario.

Tutti, docenti e studenti, chiacchierano in italiano.

I padri saggi ed i saggi padri inviano i loro figli a Londra, a Parigi, a Bonn, a Shangai…

Ma io come faccio, i soldi non ho.

Allor che fò?

Vai dalla Dirigente Scolastica!

−Signurì, ‘u figliu miu nun sa parlà!

−Come non sa parlare?

−Nun sa parlà u’ ‘nglisi!

−Tuo figlio ha 9 in INGLESE.

−Signurilla bella, iu u saccio, ma parlà nun sa!

−Tuo figlio ben conosce Morfologia, Sintassi e Lessico, che altro vuoi?

−Signurilla beddra, iu vurria ch’a Mastra tuia parlassi lu ‘nglisi au figghiu miu!

−Ma che dice, Signora?

−Assì, ccussì iddru mparai u sicialianu bieddru miu!

−Iu siempri gli parlau, ancu ntru ventri miu.

−Iddru ascultai e lu parlaie, bieddru ddu figghiu miu!

−Signora, Ella chiede l’impossibile!

−Che vuole, più di questo la Scuola non fare!

−Signurinella beddra, sa cchi facciu?

−Che fa, Signora?

−Aru figghiu miu mmo’ gli cumpru ‘nnu tabbulet, unu di chiddri chi parlanu ‘nglisi, francisi, spagnuli, chinesi!

−Bè, Signora, e così che fa sua figlio?

−U figghiu miu bieddru divenne puliglutta!

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

 

Decreto Ministeriale 29 dicembre 2014 n. 975

Decreto Ministeriale 29 dicembre 2014 n. 975
in Gazzetta Ufficiale 2 marzo 2015, n. 50

Programma per reclutamento di giovani ricercatori “Rita Levi Montalcini”

 

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

VISTO il Cap. 1694 dello stato di previsione della spesa di questo Ministero per l’esercizio finanziario 2014 destinato al funzionamento delle Università e dei Consorzi Interuniversitari;
VISTO il D.M. n. 815 del 4 novembre 2014 relativo ai criteri per la ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università per l’anno 2014,  registrato alla Corte dei Conti il 4 dicembre 2014, foglio 5343;
VISTO in particolare l’art. 6 del predetto  D.M.  n. 815 del 4 novembre 2014  con il quale vengono destinati € 5.000.000 per la prosecuzione del programma denominato “Programma per giovani ricercatori “Rita Levi Montalcini” a favore di giovani studiosi ed esperti italiani e stranieri, in possesso di titolo di dottore di ricerca o equivalente da non più di 6 anni e impegnati stabilmente  all’estero in attività di ricerca o didattica da almeno un triennio, finalizzato alla realizzazione di programmi di ricerca autonomamente proposti presso Università italiane, attraverso la stipula di contratti ai sensi dell’art. 24, comma 3, lettera b), legge 30 dicembre 2010, n. 240, sulla base di criteri e modalità stabiliti con decreto del Ministro;
CONSIDERATO che con il termine “stabilmente” si fa riferimento ad un impegno attivo, possibilmente continuativo di almeno 30 mesi nell’arco del triennio;
VISTA la legge 30 dicembre 2010, n. 240, recante norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario;
VISTO l’art. 24, comma 2, lettera b) e comma 3 lettera b) della predetta legge n. 240 del 2010, che prevede la possibilità di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato di durata triennale non rinnovabili, con possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica che hanno usufruito, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post-dottorato ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri.
VISTO l’art. 24, comma 8, della medesima legge n. 240 del 2010, il quale prevede che il trattamento economico spettante per i contratti  di cui al comma 3, lettera b) del medesimo articolo è pari al trattamento iniziale del ricercatore confermato a tempo pieno elevato fino a un massimo del 30 per cento;
VISTO l’articolo 24, comma 5, della medesima legge n. 240 del 2010, ai sensi del quale, “nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l’università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e). In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati. La valutazione si svolge in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro”;
VISTO l’art. 29, comma 7, della medesima legge n. 240 del 2010, che, modificando l’articolo 1, comma 9, della legge n. 230 del 2005, attribuisce al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il potere di identificare, sentiti l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca ed il Consiglio universitario nazionale, i programmi di ricerca di alta  qualificazione, finanziati dall’Unione europea o dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, i cui vincitori possono essere destinatari di chiamata diretta per la copertura di posti di professore ordinario e associato e di ricercatore  a tempo determinato da parte delle università;
VISTI i pareri dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, e del Consiglio universitario nazionale, limitatamente alle disposizioni relative al reclutamento di giovani ricercatori del “Programma per giovani ricercatori “Rita Levi Montalcini” attuative del  predetto art. 29, comma 7, della legge n. 240 del 2010;
RITENUTA la necessità di dettare disposizioni in merito alle modalità di presentazione delle domande, alla selezione delle proposte ed alla erogazione delle risorse a disposizione ai sensi dell’art. 6  del predetto D.M.  n. 815 del 4 novembre 2014;

DECRETA

ART. 1

Il programma per il reclutamento di giovani ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 6 del D.M.  n. 815 del 4 novembre 2014,  si rivolge a studiosi  di ogni nazionalità, in possesso del titolo di dottore di ricerca o equivalente conseguito successivamente al 31 ottobre 2008 e che risultino continuativamente e stabilmente impegnati all’estero da almeno un triennio in attività didattica o di  ricerca presso qualificate istituzioni universitarie o di ricerca. I servizi prestati all’estero in ragione di borse di studio o di finanziamenti ottenuti in Italia non sono computabili ai fini della maturazione del triennio di attività di ricerca o di didattica svolto all’estero. Nel corso del triennio di servizio all’estero, gli studiosi non devono aver ricoperto alcuna posizione (ricercatori a tempo determinato che hanno svolto prolungati periodi di ricerca e/o didattica all’estero, assegnisti, contrattisti, dottorandi anche iscritti a corsi di dottorato in co-tutela con università e centri di ricerca stranieri, titolari di borse di studio) presso enti/istituzioni universitarie e non, nel territorio dello Stato Italiano. Gli studiosi dovranno aver conseguito il titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente entro il 31 ottobre 2011, in modo che nel triennio siano comprese attività didattiche e/o di ricerca post-dottorale non finalizzate al solo conseguimento del  dottorato di ricerca o titolo equivalente.

ART.2

A valere sulle disponibilità di cui all’art.6 del  D.M.  n. 815 del 4 novembre 2014,  vengono banditi 24 posti da ricercatore a tempo determinato ai sensi dell’articolo 24, comma 3, lettera b) della legge 30 dicembre 2010, n. 240.

ART.3

Le domande dovranno essere presentate con riferimento alle Università che hanno dichiarato la disponibilità a partecipare al bando, esclusivamente per via telematica, utilizzando l’apposito sito web MIUR-CINECA (http://cervelli.cineca.it), entro e non oltre trenta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto sulla Gazzetta Ufficiale. La domanda deve contenere tassativamente:

  • – il curriculum vitae dell’interessato;
  • – l’elenco delle pubblicazioni scientifiche e allegata una pubblicazione realizzata nell’ultimo triennio;
  • – l’autocertificazione di stabile permanenza all’estero, con impegno in attività didattiche o di ricerca, da almeno un triennio alla data di scadenza delle domande e con interruzioni massime complessive di non oltre sei mesi;
  • – il programma di ricerca, che dovrà specificare: il contesto in cui la ricerca si inserisce, la metodologia prevista, i risultati che si intendono conseguire e l’articolazione in fasi; i costi della ricerca che dovranno essere direttamente correlati all’attività dello studioso nella sede di svolgimento del contratto;
  • – il nominativo e l’indirizzo di posta elettronica di due esperti stranieri ai quali verranno richieste due lettere di presentazione confidenziali;
  • – l’indicazione, in ordine di preferenza, di cinque università statali tra quelle che hanno dichiarato la propria disponibilità ad accogliere ricercatori del presente bando, ivi compresi gli  istituti ad ordinamento speciale, presso le quali il candidato intende svolgere l’attività di ricerca. L’elenco delle sedi è portato a conoscenza del Comitato di cui all’art. 4 una volta completata la graduatoria finale di merito.

ART. 4

La selezione delle proposte è affidata ad un Comitato composto dal Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e da quattro studiosi di alta qualificazione scientifica in ambito internazionale, nominati dal Ministro, con il compito di esprimere motivati pareri sulla qualificazione scientifica dei candidati e sulla valenza scientifica dei progetti di ricerca.  Il Comitato valuta le domande avvalendosi, ove necessario, di revisori anonimi competenti in materia.  Al termine della fase di valutazione il Comitato ordina, secondo liste di priorità, una per macro-area, tutte le domande valutate positivamente e propone al Ministero quelle da finanziare in relazione allo stanziamento disponibile.
Le liste di priorità e il risultante elenco dei  24 vincitori sono approvate  dal Ministro e pubblicate sul sito del Ministero. Successivamente, il Ministero prende contatto con i vincitori per l’accettazione che deve avvenire entro  15 giorni e successivamente con le istituzioni, tenuto conto dell’ordine di preferenza indicato dai candidati selezionati.
Queste ultime, entro 45 giorni, devono inviare al Ministero la delibera del Consiglio di Amministrazione contenente l’impegno alla stipula del contratto ai sensi dell’articolo 24, comma 3) lettera b) della legge 240 del 2010 e l’attestazione dell’impegno del Dipartimento a fornire adeguate strutture di accoglienza e di supporto, ovvero la dichiarazione che non intendono accogliere la richiesta.
I vincitori stipulano il contratto e prendono servizio presso l’ateneo entro gli otto mesi successivi all’assunzione della delibera del Consiglio di Amministrazione.
In caso di mancata accettazione del contratto o mancata presa di servizio da parte del vincitore nei tempi previsti, nonché in caso di non accettazione da parte di tutte le cinque università statali indicate dal vincitore in ordine di preferenza in sede di presentazione della domanda lo stesso è dichiarato decaduto. In tal caso la graduatoria può essere utilizzata a scorrimento entro i 12 mesi successivi dalla pubblicazione della stessa sul sito del Ministero.
Il Ministero provvede altresì al finanziamento del costo ritenuto ammissibile per l’esecuzione del programma di ricerca, che non potrà comprendere oneri relativi  all’utilizzo di personale esterno.
Il contratto stipulato con l’ateneo disciplina l’impegno esclusivo ed a tempo pieno del ricercatore presso l’università ai sensi della legge n. 240 del 2010 di cui alle premesse.

ART. 5

Il Ministero, successivamente alla stipula del contratto, provvede al trasferimento all’università dell’intero ammontare dell’importo accordato per l’esecuzione dell’attività di ricerca e per la corresponsione del trattamento economico onnicomprensivo determinato in misura pari al 120 per cento del trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo pieno attribuito all’interessato ai sensi dell’art. 24, comma 8, della legge n. 240 del 2010. In caso di risoluzione anticipata del contratto, il Ministero provvederà al recupero dell’importo residuo non utilizzato a valere sul fondo di finanziamento ordinario dell’università.
ART. 6

Non oltre 90 giorni prima della scadenza di ciascun anno di durata del contratto il ricercatore presenta al Dipartimento dell’università presso cui svolge la propria attività una dettagliata relazione sull’attività di ricerca svolta nel periodo di riferimento e, al termine della durata complessiva del contratto, una relazione finale. La predetta relazione finale, unitamente al parere espresso dal dipartimento, è trasmessa al Ministero entro 30 giorni. Al termine del contratto il dipartimento è inoltre tenuto a presentare al Ministero il rendiconto finanziario del progetto.
Inoltre, ai sensi di quanto previsto dall’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010,  nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, l’università valuta il titolare del contratto stesso che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16 della legge 240 del 2010, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e), della medesima legge. In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, può essere inquadrato nel ruolo dei professori associati. La valutazione si svolge in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro.

ART. 7

Per il funzionamento del  Comitato di cui all’art.4, non sono previsti oneri a carico del bilancio di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Il presente decreto sarà trasmesso alla Corte dei Conti per il controllo preventivo di legittimità e al competente ufficio per il controllo preventivo di regolarità contabile, nonché pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Registrato alla Corte del Conti il 10/02/2015 – Foglio n.536
Roma, 29 dicembre 2014

IL MINISTRO
f.to Prof.ssa Stefania Giannini