E pluribus unum
di Stefano Stefanel
Ci sono tre locuzioni che stanno quasi come “motto” sopra le scuole, perché costituiscono la cornice ovvia entro cui situare l’autonomia funzionale delle scuole italiane: sono le “finalità generali del sistema”, gli “obiettivi generali del sistema formativo”, i “livelli essenziali delle prestazioni”. Le prime due locuzioni si trovano nel DPR 275/1999 e la terza alla lettera m) dell’art. 117 della Costituzione così come modificato dalla legge costituzionale n° 3 del 2001. Chi sta fuori dal sistema scolastico nazionale può immaginare di trovarsi di fronte ad un libro in cui finalità, obiettivi e livelli essenziali delle prestazioni siano definiti in modo chiaro ed enciclopedico. Tutto numerato e ordinato, con precisi riferimenti normativi, contratti del personale firmati regolarmente di conseguenza, nessuna sovrapposizione o contraddizione. E invece, il sistema si ordina per salti, senza nessun documento che definisca tutto quello che è in vigore e che deve essere applicato (o disapplicato), con anche le modalità di applicazione.
Forse in un momento così convulso, com’è quello attuale, può essere interessante comprendere perché il sistema si sia ordinato in questo modo e non come una semplice enciclopedia che tutti (giudici inclusi) possono, alla bisogna, consultare. Solo quest’anno il sistema scolastico italiano ha licenziato (finora) le Linee guida per l’orientamento, la nomina dei tutor e del tutor orientatore, il Liceo Made in Italy che convive con Liceo Economico Sociale, dopo che era stato annunciato che l’avrebbe assorbito, il percorso di 4 e non 5 anni per gli Istituti Tecnici su base vocazionale (scelta delle scuole e scelta delle famiglie), lo sviluppo piuttosto senza regole degli ITS, l’attuazione del PNRR, il PNRR sui “divari territoriali”, i D.M. 65 e 66, il personale ata assunto fino a dicembre sul PNRR e poi prorogabile con le modalità decise dal ministero, ma pagato coi fondi delle scuole, il concorso straordinario per dirigenti scolastici aperto a chi ha perso l’ultimo concorso ma ha fatto ricorso e, poi, molto altro di varia entità. Oltre ai provvedimenti ci sono le quotidiane esternazioni sul ripristino dei voti e poi dei giudizi nella scuola primaria, del voto numerico per il comportamento nella scuola secondaria di primo grado, sulla tutela legale per i docenti aggrediti dagli studenti (non ricordo se c’è anche per chi è aggredito dai genitori e per i dirigenti aggrediti da chiunque), sulle norme sull’occupazione delle scuole da parte degli studenti, sulle classi differenziate per gli stranieri e, anche qui, via enumerando. Una volta questi argomenti venivano trattati uno a biennio e davano vita a manualistiche complesse, piuttosto enciclopediche poi confluite tutte nel testo unico del 1994, di cui sono rimaste ampie tracce, ma che è stato, anche lui, modificato attraverso tagli e incollature. Da ultimo, ma non ultimo, il nuovo contratto dei docenti con modifiche ad anno in corso, il tentativo del ritorno tout court in presenza anche laddove è più efficace ed efficiente lavorare a distanza e poi azioni che si sommano ad altre azioni senza sostituirle. Tutto questo con lo sfondo integratore dell’autonomia differenziata che “ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
Dentro un simile oceano si potrebbe ritenere che il “dividi et impera” sia la base strutturale del sistema scolastico italiano, ma io credo non sia così. Il sogno di ogni Ministro o di ogni Direttore di Dipartimento o di Ufficio Scolastico sarebbe quello di avere tutto sotto controllo, a cominciare dalla rubrica di ciò che va tenuto sotto controllo. E questo, dal punto di vista solo formale ma non sostanziale, è ciò che avviene. Rimane un vulnus costituzionale, laddove l’autonomia delle scuole prevista dalla Costituzione non è tutelata da alcuna possibilità che le singole scuole (in quanto autonomie funzionali dello Stato) possano impugnare un provvedimento ministeriale che sia ritenuto eccessivo rispetto ai poteri statali, che comunque non potrebbero ledere l’autonomia delle scuole costituzionalizzata. Così i limiti dell’autonomia sono definiti in forma unilaterale dallo Stato, attraverso provvedimenti che dichiarano sempre che questa autonomia è fatta salva, anche se spesso a chi lavora nella scuola non pare sia proprio così. Quindi il sistema si muove in forma frammentata e plurale perché manca un’idea generale e condivisa che non sia generica o di parte: si sa, però, che le cose generali poi nei particolari fanno annidare i problemi e che in Italia nessuna parte è mai riuscita a prevalere in maniera definitiva.
Quindi sono molti gli elementi che non permettono l’enciclopedia di finalità, obiettivi e livelli essenziali di prestazione, perché il soggetto titolato ad amministrare decide in autonomia i perimetri senza un reale possibile contraddittorio con chi quell’autonomia ha il diritto di applicarla dentro un quadro normativo certo, non incerto e sempre in evoluzione. Per cui tutto è finalità, tutto è obiettivo, tutto è livello essenziale di prestazione e questo determina una sovrapposizione di note, circolari, decreti ministeriali, ordinanze, leggi, decreti-legge, decreti legislativi, regolamenti, dichiarazioni, proposte, interviste e quant’altro la burocrazia e la politica hanno inventato per complicare le cose semplici. Resta il fatto che nessuno tocca organici, orari, discipline, tempi neppure quando tutto questo diventa obsoleto, stantio e rallentante. L’esperienza del Covid non ha insegnato niente, dato che tutti vogliono tornare al gennaio del 2020, anche a rifare cose che si facevano male a quel tempo e che poi si è dimostrato si possono fare bene in modo totalmente diverso. A tutto questo si somma il fatto che la piramide decisionale non funziona più né a livello di macrosistema, né a livello di micro organizzazione, laddove le risorse e le progettualità provengono da soggetti fuori dalle piramidi ordinarie. Sono nate così le Autorità di gestione e le Autorità di missione, nelle scuole ci sono Animatori digitali, Tutor, Team di progetto. Nascono nuovi nomi (Mentor, Tutor, Facilitatore, Coach) e gli insegnanti si percepiscono non più come centrali, ma tendono, ugualmente, a lavorare come se la centralità fosse rimasta intatta. Così si alimenta la confusione e il Ministro invia circolari prive di valore normativo, mentre l’Autorità di missione condiziona la vita delle scuole dentro finanziamenti epocali. A livello scolastico il collaboratore del dirigente gestisce i quattro soldi delle ore eccedenti, mentre l’animatore digitale può gestire PON e PNRR da centinaia di migliaia di euro. La piramide è crollata, ma tutti la venerano lo stesso.
Il PNRR viene attuato dallo Stato attraverso performance decise dall’Unione Europea ma operativamente attuate dalle scuole. La performance più complessa è quella che riguarda la formazione di almeno 680.000 docenti (sono quelli dell’organico di diritto) che sono conteggiati “per testa” e non “per attestato” (se qualche volonteroso docente frequenta dieci corsi di formazione vale sempre uno). Così una questione strategica, un LEP ovvio (docenti formati che forniscono istruzione di qualità), determina un’inondazione di soldi nelle scuole senza una logica di sistema, perché l’obiettivo è difficile da raggiungere dato che l’obbligo di formarsi non c’è (c’è invece un comico/drammatico diritto, che troppi docenti – soprattutto di materie STEM – declinano come diritto non fare formazione, tanto la materia la so già e se gli studenti non imparano è perché non studiano abbastanza).
Per cui spesso non si comprende se la finalità e l’obiettivo del sistema scolastico italiano siano quelli di diminuire la dispersione implicita ed esplicita oppure quella di bocciare di più, perché nel secondo caso il “gravemente insufficiente” alle primarie è un’ottima intuizione, nel primo caso l’anticamera della catastrofe. Però nella narrazione quotidiana ognuno narra quello che vuole e possono stare insieme un sistema scolastico di alto livello e gli ultimi posti nelle rilevazioni OCSE-Pisa, un sistema scolastico che valorizza la matematica e al tempo stesso la certificazione europea del peggior divario di genere in matematica di tutta l’area OCSE, con le ragazze italiane che tendono a non appassionarsi troppo alle STEM. Con la lettura dei fenomeni in atto si certifica, al tempo stesso, che gli insegnanti di matematica italiani sono ottimi e le studentesse di matematica svogliate (e si vede ad occhio nudo che non è così). Se non vogliamo dire che il sistema scolastico italiano propugna il principio di non contraddizione per poi contraddirsi, diciamo almeno che il tentativo di attuare l’e pluribus unum è almeno un po’ velleitario.
Forse però su una cosa possiamo metterci d’accordo: le “finalità generali del sistema”, gli “obiettivi generali del sistema formativo”, i “livelli essenziali delle prestazioni” dovrebbero essere frasi che, inserite in un motore di ricerca qualsiasi, forniscono un bel testo elencativo ed esplicativo alla portata di tutti e comprensibile da tutti. La somma delle pluralità anarchiche non fa unitarietà di sistema neppure nel mondo delle enneadi di Plotino.