Ramadan e dintorni

Ramadan e dintorni

di Gian Carlo Sacchi

Qualche anno fa la sindaca leghista di Lodi aveva cercato attraverso impossibili richieste di documenti di estromettere i figli dei migranti dalla mensa scolastica; dopo le solite sguaiate grida mediatiche il tribunale di Milano, interpellato da associazioni per la difesa degli immigrati, considerò tale comportamento discriminatorio. Qualche settimana fa lo stesso partito ha cercato di travolgere l’Istituto Comprensivo di Pioltello perché aveva chiuso la scuola l’ultimo giorno del Ramadan, motivandolo dall’assenza di tanti alunni e quindi dalla ritenuta inefficace giornata didattica.

Non è una novità che certa politica cerchi di sfruttare le contrapposizioni sociali che possono generarsi dal rancore verso gli immigrati, ma quando ci sono di mezzo le istituzioni occorre che vengano poste con obiettività a difesa dei diritti di tutti e non utilizzarle per ricercare il consenso popolare. Infatti se alla sindaca non era consentito introdurre specifiche e gravose procedure a carico dei cittadini extra-comunitari, al consiglio di istituto è consentito adattare il calendario scolastico alle esigenze del territorio. Insomma non è andata bene quando non si voleva che questi bambini mangiassero e non può essere che non possano nemmeno digiunare.

L’adattamento del calendario scolastico avviene anche per le feste di carnevale, per prolungare il rientro dei tanti docenti fuori sede e perché al termine del Ramadan non si può riconoscere un giorno di riposo e preghiera soprattutto se già le famiglie si prendono carico di giustificare le assenze dei figli? Gli organi collegiali dell’istituto ne sono ben consapevoli che tale decisione è nelle loro disponibilità, e per questo hanno anticipato di un giorno l’inizio delle lezioni proprio per recuperare, senza subire dinieghi di carattere burocratico, o peggio ancora scomposte reazioni mediatiche che la politica ha fomentato e che la scuola non avrebbe di certo desiderato.

Nessuno ha voluto introdurre la festa del Ramadan nel calendario scolastico, come si è cercato di imputare, ma semplicemente sfumare una scelta che proviene da attività esterne e che avrebbe compromesso la ripresa della didattica. Da quel che si legge tutta la comunità civile e religiosa si è stretta attorno alla scuola che ha saputo interpretare le esigenze della propria comunità e ha voluto integrare le richieste delle famiglie immigrate e italiane, compresi alcuni amministratori che si sono dichiarati leghisti controcorrente.

E’ la comunità scolastica che deve prendere quelle decisioni, è una delle poche prerogative assegnate all’autonomia delle scuole e se,come pare, tutto sia stato deliberato all’unanimità, piaccia o no, deve essere rispettato e la politica si occupi di migliorare la qualità del sistema, che ha già molto da fare, senza entrare a gamba tesa in queste situazioni lasciando trasparire una volontà di strumentalizzare l’accaduto e di far ritornare il controllo centralistico da parte dell’amministrazione.

Qualche screzio tra il digiuno e il rendimento scolastico c’era stato anche prima quando gli stranieri erano molti meno, ma ora che a Pioltello sono il 43%, e non è il solo istituto, soprattutto nelle aree metropolitane delle grandi città, è necessario che la presenza di questi allievi venga organizzata, non solo per ragioni di efficacia didattica, ma anche perché in tali contesti è proprio la scuola il primo avamposto per l’integrazione sociale. Non tutte le scuole mettono mano al calendario, ognuna giustamente si regola in base alle proprie esigenze (magari i musulmani sono meno), alcuni alunni escono durante la pausa pranzo, altri fanno attività diverse, ma non per questo a Pioltello si sono commesse illegalità e men che meno si può pensare che siano succubi dell’ISLAM.

Se contestare l’irregolarità amministrativa sembra debole allora è meglio prendersela con gli scarsi risultati scolastici sanciti dalle prove INVALSI, e questo portato alle estreme conseguenze comporterebbe la chiusura della scuola o la fuga dell’utenza, ma qui sorge una domanda: lo Stato deve redarguire le scuole che conseguono scarsi risultati o aiutarle a migliorarli? L’educationprioritaire francese si occupa dei contesti fragili con finanziamenti superiori e maggiore autonomia gestionale delle scuole stesse. E noi? Almeno potevamo pensare a Pioltello con i fondi del PNRR.Il confronto tra i risultati poi l’INVALSI lo fa tra gli istituti che si trovano nelle medesime condizioni socio-culturali (indicatore escs) e quindi il quadro cambia. Se poi le scuole a prevalenza straniera perdono in media un anno è anche perché l’inserimentodi questi alunni avviene nella classe precedente a quella cui avrebbero diritto per età.

Non si può non condividere l’indicazione del ministro Valditara (Il Giornale) sulla qualità dell’istruzione offerta, in particolare in quelle scuole considerate “di frontiera”; è giusto chiamare ad una riflessione collettiva sulla necessità di garantire un’educazione inclusiva e di qualità a tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro origini. Speriamo dunque che l’invio degli ispettori sia servito anche per offrire supporti e suggerimenti per il miglioramento diquei risultati.

Il futuro di tante nostre città è quello di far crescere in modo possibilmente armonico e democratico comunità formate da più provenienze e visto che i ragazzi, soprattutto quelli di seconda generazione, hanno sempre più punti in comune con gli italiani si conferma la scelta interculturale. Da qui deriva la concezione di scuola laica, tutelata dalla nostra Costituzione, quale risultato dell’incontro e del confronto di culture diverse.

Il consiglio dell’istituto milanese ha adottato una nuova delibera che ha confermato la decisione, la scuola è rimasta chiusa nel giorno prefissato e la politica, dopo una fallita manifestazione di opposizione, ha cambiato argomento. Ma il Ministro non demorde ed è pronto ad un provvedimento legislativo che impedisca alle scuole di prevederne la chiusura per festività religiose non approvate dallo Stato: vediamo come andrà.

Per ora si possono trarre tre più generali insegnamenti da questa esperienza. Il primo riguarda il rapporto con l’ISLAM in Italia, che se non vogliamo decretare un conflitto permanente, il governo deve mettere mano ad accordi come avviene per altre religioni, nei quali sarà possibile regolamentare anche il ruolo del Ramadan nell’organizzazione sociale e dunque anche scolastica. Il secondo riguarda l’autonomia delle scuole, che sembra più che altro un ornamento da esibire e non una condizione da rispettare, se è consentito alla politica di aggredire una scuola passando attraverso il potere centralistico dell’amministrazione. Un partito che si fa paladino dell’autonomia differenziata per i territori a maggior ragione deve essere rispettoso di quelle comunità che cercano di interpretare i territori stessi. Il terzo si riferisce all’attenzione dovuta ai giovani musulmani nel nostro Paese, di cui esiste un’ampia letteratura. Si tratta di creare un senso di appartenenzaeuropeo tra i giovani e armonizzare la religiosità islamica con la vita della società italiana, nonché stimolare i giovani musulmani a valorizzare il territorio in cui vivono.

L’approccio interculturale deve essere anche interreligioso e deve essere considerato in un progetto educativo per una reinterpretazione continua della realtà al fine di ricavare nuovi spazi di autonomia per i giovani, in cui le religioni sono vissute come risorse per la partecipazione sociale. L’associazionismo laico può aiutare le famiglie musulmane a non chiudersi sulla difesa, promuovendo reti sociali trasversali alla religione e alla cultura d’origine. Insomma il giorno di sospensione delle lezioni non mina la laicità, ma è inclusivo e, come hanno espresso i rappresentanti della chiesa cattolica locale, crea ponti tra giovani di fedi differenti: lavorare insieme nella scuola e nella società civile per contrastare paure, stereotipi e discriminazioni.

Anche questa vicenda ci offre un’ulteriore prova di come venga interpretato dalla politica il dettato costituzionale circa le “norme generali sull’istruzione”. Compito del governo nazionale infatti è quello di creare un quadro normativo dei rapporti tra lo stato e le confessioni religiose, mentre si vuole sempre intervenire sui provvedimenti gestionali, che invece competono alle scuole, previa la definizione dei calendari di competenza regionale. Basta però che il consiglio di istituto cambi la “motivazione” della delibera perché il reato sia estinto, rivelando così tutta la strumentalità della contestazione.