Tra Appelli e Cordate

Tra Appelli e Cordate

di Aldo Tropea e Loredana Leoni

La scelta di nominare una commissione per l’individuazione del prossimo Presidente dell’Invalsi, da parte del Ministro Carrozza, ha avuto almeno un aspetto positivo: non solo riavviare una discussione sulle finalità, i compiti, gli strumenti e i metodi dell’INVALSI, ma anche ribadire la necessità di mantenere prove standardizzate e confrontabili, da somministrare a tutte le scuole secondo un criterio censuario e non campionario, sostenuta da una maggioranza forse non prevista. E non è poca cosa, visto che questo inverno molte associazioni professionali avevano condiviso un documento che sosteneva il ritorno al sistema campionario e, addirittura, invocavano la sospensione della somministrazione delle prove INVALSI in attesa di una maturazione della “sensibilità valutativa nelle scuole”, come se la sua incontestabile carenza fosse causata dall’Istituto stesso e non da gravissime e lontane responsabilità politiche.

Il fatto ambiguo e allarmante, in quelle prese di posizione, giunte fino al punto di coinvolgere studenti e genitori, in nome persino della difesa della “privacy”, era che fossero assunte in nome di una cultura dell’autovalutazione e dell’attenzione ai processi, aspetti che in realtà sono stati rimessi sotto i riflettori proprio grazie ai rapporti INVALSI. Nelle scuole più attente alla progettazione, con dirigenti consapevoli del significato strategico che questa operazione può assumere, sono maturate riflessioni a partire dai dati restituiti. In particolare dove l’autoanalisi non si è fermata solo ai risultati generali della scuola e delle classi, ma si è entrati nel merito della connessione tra le singole parti delle prove e i processi cognitivi, delle conoscenze e delle abilità richieste dagli item. Se da una parte questo è certamente positivo per la riflessione sul curricolo e soprattutto sulle strategie di insegnamento, dall’altra la somministrazione all’intero universo e la contemporanea ricerca degli elementi che consentono l’individuazione di contesti ambientali omogenei consentono una corretta comparazione sincronica tra situazioni analoghe e un’analisi diacronica per valutare l’efficacia della programmazione educativa.

Come per ogni evento legato alla rilevazione e misurazione di fatti umani e sociali, si tratta certamente di un lavoro non privo di incertezze ed errori. Consapevoli che muoversi nel campo valutativo significa, come affermato da Bateson in Mente e Natura, Guardare con molta attenzione alle cose che si è deciso di guardare, è possibile migliorare la elaborazione delle prove, affrontare le difficoltà nella rilevazione dei condizionamenti ambientali e degli esiti nel tempo. E’ un lavoro tecnico che ha bisogno di interlocuzioni costanti con la didattica reale che si pratica nelle scuole ma soprattutto di competenze specialistiche complesse di natura statistica, a servizio del sistema e delle scuole.

Molte incomprensioni e successive alzate di scudi, se non legate a questioni di principio, sono certamente connesse a una mancata comprensione del senso complessivo dell’operazione. Per questo è fondamentale un rapporto costruttivo con le scuole; è necessario che gli insegnanti siano formati per comprendere le metodologie della rilevazione esterna e per poter leggere i rapporti ai fini dell’autovalutazione. Ciò è propedeutico a modalità di somministrazione corrette e al rispetto delle regole deontologiche che implicano.
Si tratta dunque di potenziare e migliorare, certo non di azzerare, il lavoro fatto dall’Istituto fino ad ora, con risorse davvero modeste se confrontate con quelle degli altri paesi con i quali ci confrontiamo nelle ricerche europee ed internazionali. Tutto questo è affermato con forza nel documento dei 74, di cui Cerini ha fatto su queste pagine una dettagliata presentazione e che abbiamo firmato.

Ma gli avversari “a priori” dell’INVALSI non hanno scelto la strada della sollecitazione critica, hanno piuttosto chiamato a raccolta tutti quelli convinti che, mentre gli insegnanti sono gli unici
legittimati a valutare gli esiti di apprendimento di ciascun allievo (cosa ovvia), nessuno è in grado di raccogliere dati attendibili e formulare giudizi comparativi sul grado di efficacia del sistema e sull’adeguatezza degli obiettivi raggiunti. Con ciò confondendo in maniera clamorosa e intenzionale il livello della valutazione di sistema con quello della valutazione degli allievi.
Franco De Anna, che pure non ha firmato il documento dei 74 rilevandone alcune ambiguità, ha chiarito in un lucido intervento su “Scuola oggi” la differenza di statuto epistemologico e di metodologia tra la ricerca educativa e quella pedagogica. “La Ricerca Educativa” rappresenta un insieme (di attività, competenze, oggetti di ricerca, metodologie, strumenti…) diverso e distinto dalla “Ricerca Pedagogica”: “se la ricerca educativa ha il suo specifico nell’essere ricerca “sul” sistema educativo, allora gli approcci economici, statistici, sociologici ecc… hanno assoluta pertinenza…. Chiedersi e “misurare” come funziona non solo è essenziale, ma doveroso per qualunque responsabile di “politica pubblica”.
E’ ovvio, d’altra parte, che la distinzione non significa estraneità, ma anche scambio di competenze e di linguaggio e proprio per questo la questione INVALSI non è riconducibile a un problema di persone e di prevalenza tra figure professionale di diversa origine.
Occorre anche dire che tra i sostenitori della valutazione esterna non sono mancati quelli che hanno offerto argomenti per questa scorretta identificazione: per esempio, coloro che hanno adombrato la possibilità che i risultati conseguiti nelle prove INVALSI potessero essere utilizzati per differenziare stipendi e carriere dei docenti.
E parimenti occorre pure dire che abbiamo molti dubbi sull’efficacia di un meccanismo di “media” tra prove che hanno significati e scopi diversi, come accade nell’esame al termine della scuola secondaria di primo grado.
E’ certo doveroso mettere in rilievo le differenze eclatanti tra i risultati delle rilevazioni esterne e le valutazioni espresse dai docenti, per esempio nei voti attribuiti agli esami di stato, ma questa problematica è di stretta competenza politica e dovrebbe portare alla riconsiderazione dell’esame di Stato, nella sua struttura e nel suo significato.
Anche per questo, insomma, si tratta di sperimentare e non di bloccare. A Milano giusto un anno fa si è svolto un proficuo dibattito su questo tema, su iniziativa dell’ANDIS, con ADI e Proteo che sarebbe bene riprendere.

Quanto poi alla questione del teaching to testing, davvero ci sembra che questa sia l’ultima delle preoccupazioni da nutrire in un paese come il nostro in cui fin dal biennio delle scuole secondarie ( e forse da prima…) la promozione o la bocciatura dipendono dall’esito di una interrogazione programmata su tutti i contenuti affrontati durante l’anno, o, all’opposto, su un capitolo studiato appositamente per la verifica e dimenticato subito dopo.

Rimangono due problemi seri, rispetto ai quali, pur partendo da posizioni non identiche, è stato raggiunto un grado soddisfacente di condivisione.

Il primo è relativo all’utilizzo pubblico dei risultati delle rilevazioni. Noi riteniamo che le rilevazioni abbiano il compito di dare informazioni sul grado di efficacia e di equità del sistema, sulla base delle quali il decisore politico deve assumersi la responsabilità di intraprendere azioni coerenti e conseguenti. La finalità principale è quindi quella del miglioramento del sistema. Alcuni – anche e soprattutto su queste pagine on line – sono convinti che enfatizzare i risultati ottenuti da ciascuna scuola sia il modo migliore per avviare una concorrenza virtuosa basata sulla libera scelta delle famiglie. Noi su questo punto la pensiamo come l’ex presidente Cipollone: non crediamo che questa strada sia, nella specifica situazione storica sociale e culturale del nostro paese, la più idonea a migliorare il sistema e temiamo che presenterebbe forti rischi di gerarchizzazione progressiva che, utile probabilmente a livello delle università, presenterebbe rischi pesanti di ghettizzazione nelle scuole primarie e secondarie.
Riteniamo invece doveroso e urgente pubblicare gli esiti delle rilevazioni con modalità tali da mettere in evidenza il trend della scuola nel tempo e in rapporto con quelle che si trovano nella medesima situazione socio-ambientale, visto che la restituzione Invalsi consente questo confronto. Fermo restando che la permanenza nel tempo di una segnalazione di carenza rispetto alla media, dovrà comportare un intervento correttivo da parte dell’amministrazione, prioritariamente in termini di investimento e di supporto al miglioramento e successivamente, in caso di non soluzione della problematica, di individuazione delle responsabilità.

L’altra fondamentale questione, è quella della delimitazione dei compiti dell’INVALSI e della sua terzietà.
Un istituto che abbia il compito di creare strumenti per la valutazione di sistema deve costruire, anche giovandosi delle collaborazioni internazionali, un sistema di prove e di griglie di osservazione, atto a verificare il conseguimento dei livelli di competenza fissati dal potere politico per il sistema educativo di istruzione e formazione. Lo deve fare in piena autonomia scientifica, ma se non si vuole che divenga “invadente” delle competenze altrui, occorre che chi ha la responsabilità politica dichiari con chiarezza gli standard e metta in campo le azioni necessarie per garantire le condizioni per cui la rilevazione esterna sia considerata e vissuta dagli operatori e dagli utenti come un momento essenziale per il buon funzionamento del sistema. Di queste azioni è sicuramente parte integrante la formazione del personale docente riguardo alle modalità con cui sono costruite le prove, le modalità di somministrazione, l’uso dei quadri di riferimento che le accompagnano.
Queste azioni non sono compito dell’INVALSI, ma del livello politico e questo è precisamente quello che il Ministero non ha fatto fino ad oggi, ed è davvero auspicabile che nessuno pensi che questo compito possa essere surrogato cambiando l’estrazione (pedagogica, docimologica o statistica) del nuovo Presidente, caricando con ciò di nuovo l’Istituto di finalità che non sono sue.
Proprio per questo il compito del Ministro Carrozza è assai più difficile della semplice nomina del Presidente: perché è l’attuazione del Regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione la vera scommessa da vincere, e l’Invalsi è solo una delle tre gambe previste dal disegno.
A noi sembra che il documento dei 74 e, per converso, l’appello promosso dall’ADI, cui abbiamo aderito, pur nella differenza di articolazione e di punti di vista, costituiscano contributi positivi per sostenere il cammino iniziato dall’Invalsi.

Stipendi degli insegnanti: una retromarcia che non convince

Stipendi degli insegnanti: una retromarcia che non convince

di Paola Frassinetti*

Brevissima sintesi della questione. Nel 2013 agli insegnanti che ne hanno diritto sono concessi gli “scatti” dello stipendio, cioè quei modesti aumenti che secondo normativa si conseguono dopo un periodo (il cosiddetto “gradone”) di cinque anni. Ma la nota n. 157 del 27 dicembre 2013 prevede – nell’arida prosa ministeriale – la restituzione delle somme con rate di 150 euro mensili “fino a concorrenza del debito”. In sostanza lo Stato toglie quello che ha dato, e senza neppure chiedere scusa. La nota (si osservi) è firmata da una Dirigente del Ministero dell’Economia e Finanze. A questo punto si sollevano le giustificate rimostranze di tutti i sindacati, e diversi esponenti politici cominciano a sentire odore di bruciato. Infine ecco lo scaricabarile fra il ministro dell’Economia Saccomanni e quello dell’Istruzione Carrozza. Quest’ultima ha asserito di aver appreso la notizia a cose fatte, mentre il primo ha attribuito l’iniziativa a una non meglio specificata “inerzia amministrativa” che lascia supporre la presenza di un milieu di burocrati ministeriali i quali rispondono solo a se stessi, impermeabili anche a chi esercita l’autorità politica e quindi, in teoria, sta sopra di loro. Per farla breve: uno non c’entrava, l’altra non sapeva. Ora che la situazione sembra (sottolineiamo sembra) risolta con la promessa di non procedere al recupero delle somme, urgono due righe di commento. Due righe rivolte soprattutto all’attenzione della categoria dei docenti.

Quando gli insegnanti vengono blanditi da politici che li gratificano dei più sperticati elogi (“baluardi della democrazia”, “custodi della Costituzione” ecc. ecc.) e asseriscono che l’Istruzione è una delle priorità assolute della loro azione, bisognerà soppesare con attenzione le loro parole. Bisognerà cioè considerare se esse provengono da persone che effettivamente hanno speso gran parte della propria esperienza parlamentare ed amministrativa occupandosi dell’istruzione e dell’educazione, oppure se di tale asserito impegno, o anche solo di un certo interesse per la scuola, nei loro curricula non c’è traccia. In tale ultimo caso – che noi riteniamo di gran lunga il più frequente – si dovrà prendere atto che lodi sperticate e dichiarazioni d’intenti non sono altro che finzioni intese ad accreditarsi presso una categoria numerosa e lucrarne immeritatamente il voto: le parole vanno in una direzione, le azioni in tutt’altra. E che questa sommaria analisi sia veritiera lo si comprende proprio osservando quella che è la concreta condizione professionale e sociale dei docenti: una condizione di minorità e di marginalità, tanto che il governo di turno può permettersi di concedere, togliere e poi (forse) riconcedere quello che ha tolto, in un inverecondo gioco delle tre carte.

*portavoce regionale della Lombardia di Fratelli d’Italia e già vicepresidente della Commissione Istruzione della Camera.

C. Abate, Il bacio del pane

Un pane che unisce

di Antonio Stanca

abateDi nuovo Carmine Abate, lo scrittore calabrese di cinquantanove anni che vive a Besenello, in Trentino, dove svolge il lavoro di insegnante. Ad Agosto del 2013 è comparso il suo ultimo romanzo Il bacio del pane, edito dalla Mondadori di Milano nella serie “Libellule” (pp. 173, € 12,00).

Abate è nato nel 1954 a Carfizzi, un paese italo-albanese della Calabria. Dopo la laurea in Lettere ha seguito il padre emigrato in Germania e qui ha cominciato ad insegnare in scuole frequentate da figli di emigranti. In Germania ha pure cominciato a scrivere. E’ autore di poesie, racconti, romanzi, saggi. A questa attività si è dedicato soprattutto quando, tornato in Italia, si è stabilito a Besenello. I racconti e i romanzi sono i suoi generi preferiti e quelli che gli hanno procurato notorietà. Sono tradotti in molti paesi stranieri ed hanno fatto sì che Abate venisse proposto come autore calabrese da studiare nelle scuole italiane. Tra i riconoscimenti più recenti ci sono stati nel 2012 il Premio Campiello assegnatogli per il romanzo La collina del vento e nel 2013 la cittadinanza onoraria attribuitagli dal Comune di Crotone.

Ricorrenti sono, nelle narrazioni dell’Abate, i luoghi, i tempi della sua infanzia in Calabria, gli anni della sua formazione. Ricorda, recupera egli, tramite i protagonisti di molte opere, gli ambienti, gli usi, i costumi che hanno fatto parte della sua vita. Riscattare vuole lo scrittore la sua terra, la sua gente dal silenzio che ancora le circonda, scoprire in esse valori, significati da trasmettere, liberarle dalla condizione di isolamento. E vi riesce perché capace si mostra di muovere dalle situazioni particolari, contingenti che ogni volta rappresenta e di pervenire a principi più estesi, di trarre dalla realtà di un posto l’idea che la trascende, di fare letteratura, arte di ciò che è solo vita. Alla vita riconosce qualità che vanno oltre l’evidenza, dalla vita ricava messaggi che superano il tempo. La lingua usata passa continuamente dal dialetto all’italiano, all’albanese, è molto scorrevole e rende chiaro, autentico il contenuto esposto, facile il messaggio perseguito. Questo consiste quasi sempre in un invito a superare le distanze, le differenze, ad annullare le ostilità, ad incontrarsi, ritrovarsi pur tra diversi e lontani.

Nell’ultimo romanzo la funzione di scambio, di comunicazione, il motivo d’incontro sono svolti da quel pane che in Calabria si faceva in casa alle prime luci dell’alba e che veniva offerto ai vicini e baciato prima di essere mangiato. A quel pane Abate affida stavolta il compito di ridurre le distanze, avvicinare, unire. Nella Calabria di alcuni anni fa, nel piccolo paese di Spillace è ambientata l’opera. Qui allora si faceva ancora quel pane in casa di Francesco, uno dei ragazzi protagonisti. Egli studia, dovrà diplomarsi il prossimo anno e intanto insieme ai compagni del posto e ad altri coetanei giunti da fuori per trascorrere le vacanze vive una serie di avventure comprese tra il mare, la campagna, i boschi, le montagne, i locali notturni, le bevute, le veglie, i bagni, le corse a piedi, in scooter, le ragazze, gli amori. Insieme, da soli, in gruppo questi ragazzi si muovono, organizzano, discutono, litigano, pensano, fanno. Le acque, le piante, i colori, le luci, i suoni del posto sono soltanto loro, tra essi si stanno formando alla vita, al mondo. C’è chi s’innamora e Francesco lo fa con Marta, la bellissima ragazza che risiede a Firenze e a Spillace viene ogni anno d’estate con la famiglia. Sono i ragazzi i protagonisti del romanzo, sono i loro giorni, le loro notti trascorse nei luoghi e nei modi più diversi i tempi dell’opera. Tra tanto movimento l’autore riesce a far sapere quanto ha fatto parte delle tradizioni del posto, a far riemergere quel che sembrava finito. E con un linguaggio così naturale da combinare perfettamente le vecchie con le nuove situazioni. Fra tutte risalta quella di Francesco e Marta. I due si legheranno, si ameranno, rimarranno uniti fino alla partenza della ragazza e a tenerli ancor più insieme interverrà il segreto dell’uomo del Giglietto, dello sconosciuto che viveva di stenti, nascosto in un rudere accanto ad una cascata a poca distanza da Spillace in compagnia di un cagnolino. Si chiamava Lorenzo, viveva nella paura, nel terrore perché temeva di essere scoperto e ucciso da chi aveva tolto la vita al fratello Giacomo non avendo essi ceduto alle minacce, ai ricatti che si erano attirati per essere riusciti, pur essendo degli umili calabresi, a costituire a Milano un’impresa edile di notevoli proporzioni. Sarà Francesco a scoprire Lorenzo, lo dirà a Marta e diventerà un altro dei loro segreti. Insieme frequenteranno l’uomo, ascolteranno la sua storia, gli procureranno vestiti, cibo e quel pane che la madre di Francesco faceva. Anche Lorenzo lo bacerà prima di mangiarlo perché anche lui da calabrese sentiva e viveva quella tradizione. Col pane, nel pane si sono ritrovati, si sono riconosciuti, si sono aiutati e lo scrittore è riuscito di nuovo ad ottenere quanto sempre perseguito, a far acquisire, cioè, valore ideale ad un elemento reale.

LA VALUTAZIONE NEL SISTEMA DELL’ISTRUZIONE

LA VALUTAZIONE NEL SISTEMA DELL’ISTRUZIONE

Valutare per dare valore

Incontro rivolto a dirigenti scolastici, docenti, personale ATA, genitori

Seminario di approfondimento

Proteo Fare Sapere – FLC CGIL

Mercoledì 15 gennaio 2014 ore 9.00

Sede CGIL Campania

Salone “G. Federico”

via Torino, 16

NAPOLI

La tecnologia da sola non fa scuola

da Il Sole 24 Ore
12 gennaio 2014

La tecnologia da sola non fa scuola

Dianora Bardi

A novembre il ministero del l’Istruzione ha lanciato il bando per il finanziamento delle reti wifi e per progetti formativi per le competenze digitali. Le Regioni hanno stanziato risorse per la dotazione tecnologica. Le lavagne interattive multimediali sono ormai presenti in moltissime aule e ci sono stati diversi progetti per informatizzare le scuole 2.0. Nella sola Lombardia sono stati stanziati 20 milioni di euro per le scuole secondarie e più di 500mila euro per la formazione dei docenti.

Il 2014 si preannuncia davvero come l’anno della svolta per la scuola italiana nella sfida della digitalizzazione, che parte dalla presa di coscienza dell’importanza che le tecnologie stanno assumendo nella vita quotidiana dei nostri ragazzi e dello spazio che devono avere nella vita scolastica. Ma non tutto fila liscio! Anche perché l’esperienza dimostra in maniera sempre più chiara che le tecnologie non rappresentano il fine, ma solo un mezzo – dalle potenzialità straordinarie – per realizzare i traguardi formativi.
Per molto tempo al centro dell’attenzione sono state le tecnologie e gli interrogativi che si portano dietro: «Meglio i tablet o i netbook?», «Android, iOs o Windows?», seguiti da domande sempre più dettagliate «Quanto costano, come si usano, quali app…». Intanto i docenti hanno visto le classi invase da Lim, proiettori interattivi, pc, registri elettronici o tablet, senza riuscire a comprendere quale ruolo avrebbero dovuto assumere, soprattutto di fronte a ragazzi tecnologicamente avanzati che li guardavano con grandi speranze e aspettative. Per gli studenti si apre una grande opportunità: finalmente nessuno proibisce più di andare in internet, di comunicare tramite chat, di prendere appunti in quaderni digitali o leggere libri elettronici. Dall’altra parte i docenti, che dovrebbero essere gli artefici di questa rivoluzione, sono in gran parte impreparati e troppo spesso, per incapacità di comprendere il mutamento, sono rimasti ancorati alla lezione frontale restando dietro la cattedra per paura di entrare in un’agorà in cui sanno di essere apparentemente perdenti. Nel migliore dei casi lasciano che gli studenti utilizzino le tecnologie per leggere i libri, iniziano a farli lavorare in gruppi strutturati, ma talvolta fanno anche chiudere quei “giocattolini che distraggono” per continuare a essere “il professore”.
Eppure il mondo della scuola sta cambiando in maniera irreversibile, i ragazzi si stanno trasformando e in più il mondo del lavoro richiede competenze assolutamente diverse da quelle a cui siamo stati sempre abituati. Invece si continua a parlare di tecnologie ed ebook solo in maniera formale, senza tenere conto dei processi, oppure si scambia per innovazione didattica l’avere una classe con banchi trapezoidali posti a isola dove svolgere lavori di gruppo, Lim per ogni isola, arredi affascinanti in spazi rinnovati. Utili? Assolutamente sì, se però non ci si ferma agli aspetti esteriori, se tali cambiamenti corrispondono a esigenze che trasformano l’ambiente di apprendimento per rendere effettivamente protagonisti i nostri ragazzi.
È questo il focus da cui partire: la scuola deve educare, formare, far diventare i nostri ragazzi veri cittadini digitali in mondo competitivo e globalizzato e tutti gli strumenti devono concorrere a renderne più efficace l’apprendimento. Tutto deve contribuire a una didattica nuova, che permetta ai ragazzi di confrontarsi con problemi articolati, complessi, mettendo in campo i loro saperi, spingendoli a misurarsi con compiti di realtà in cui dimostrare le competenze acquisite. A questo fine il web conduce a un apprendimento connettivo, a un sapere che si accresce e si modifica, se il docente è in grado di costruire un adeguato ambiente “liberante”, dove il docente interagisce con i ragazzi, ma anche con gli altri docenti sia della propria sia delle altre scuole.
Ci sono esperienze che fanno da modello. L’Istituto comprensivo Bruno di Osimo non ha ricevuto alcun finanziamento ma ha avviato una digitalizzazione del proprio istituto, in cui i tablet danno un grande valore aggiunto anche per i ragazzi stranieri e i disturbi dell’apprendimento (Dsa), i bambini/ragazzi lavorano a coppie, in gruppo (cooperative learning) o, se necessario, singolarmente, svolgendo attività di peer collaboration. Ai licei classici Aristofane di Roma e Liceo Leone XIII di Milano si fa ricerca didattica per avvicinare i ragazzi al mondo classico attraverso i mobile device e nuovi ambienti di apprendimento anche nel cloud, mentre al patronato San Vincenzo di Bergamo i ragazzi insegnano ai propri docenti come costruire ebook. Il progetto più ambizioso è Scuola Digitale Lombardia che punta a far interagire 326 scuole digitali lombarde nelle nuvole per creare un modello didattico e linee guida che partano da esperienze concrete
Sperimentazioni importanti stanno nascendo in tutta Italia, in scuole che si possono definire veramente innovative per la qualità dell’integrazione delle tecnologie nella didattica giornaliera nonostante aule inadeguate, spazi tradizionali, grandi banchi e vecchie sedie di legno o di plastica, reti insufficienti. Un gran numero di docenti ha raccolto la sfida di una didattica diversa, si aggiorna con grande fatica e prova a mettersi in gioco con umiltà e curiosità. Da loro bisogna partire, dalle loro esperienze di didattica provata e sperimentata per avere una scuola veramente digitale.

Dianora Bardi è vicepresidente
del Centro Studi Impara Digitale e referente scientifico di Scuola Digitale Lombardia

Lo scatto d’orgoglio dei docenti

da l’Unità

Lo scatto d’orgoglio dei docenti

di Mila Spicola

Questo è un post personale. A titolo assolutamente personale, tra me e voi, colleghi e colleghe della scuola, mettendoci dentro tutti i lavoratori della scuola, nessuno escluso. A tutti quelli che mi dicono: ma che vittoria è stata questa degli scatti restituiti? Una piccolissima cosa in un mare di guai. Vero, avete, abbiamo ragione. Ma andate avanti nella lettura, mettetevi comodi. Il tema è molto ampio e da qualcosa si deve ripartire. Il tema è il nostro orgoglio. Di che cosa trascurabile parli Spicola? Con l’orgoglio non si mangia? Uhm. Parliamone. Perchè secondo me è stata negli anni, oltre alla colpevole azione di governi in malafede, la mancanza di orgoglio, di compattezza e di consapevolezza a condurre alla progressiva proletarizzazione della Scuola. Quei governi in malafede hanno trovato un campo immenso da arare. E comunque. Parliamo in generale. Perchè il tema è il blocco degli stipendi.

Il tema del Blocco degli Stipendi non vale solo per gli insegnanti o per la scuola. Per me vale per tutti gli stipendi bloccati sotto 2mila euro. Non è una recriminazione di categoria, ma un tema del nostro Paese. Forze dell’ordine, infermieri, ricercatori, etc…E li abbiamo bloccati dal 2009, in un momento tragico per la storia del Paese. Il tema dicevo non è di categoria. La proletarizzazione del ceto medio sta bloccando la bilancia commerciale  interna del Paese, non solo di beni ma anche di servizi.

E’ inutile agire con leggi sul credito alle imprese o su riforme contrattuali generali se poi il ceto più numeroso del Paese non ha potere di spesa ma solo di debito. Solo se ridiamo potere di spesa al ceto medio riparte anche il tema del lavoro e si crea ricchezza diffusa. Ecco perchè mi riferisco a tutti gli stipendi sotto i 2 mila euro e sono solidale coi colleghi statali delle forze dell’ordine che ieri lamentavano la nostra piccolissima vittoria. Hanno ragione. Il tema è generale e riguarda l’affamamento progressivo della classe media a fronte dell’arricchimento progressivo, della classe benestante del Paese, che concentra e trattiene ricchezza e non la diffonde in spesa corrente di beni e servizi,  anche con atti e regole decise dallo Stato. La classe media, il corpaccione lavorante, le colonne portanti dello stato sociale e del welfare,  statalmente parlando, è costituita da Scuola, Forze dell’Ordine, Sanità (escludo i medici oltre certe posizioni) e pensionati. Oggi come oggi reggono il Paese. Perchè campano se stessi e quel 42% di giovani disoccupati, oltre che mandare avanti in modi perigliosi le famiglie. Non solo: costituiscono il grosso della bilancia commerciale interna di beni e servizi. Non sono cioè la spesa dello Stato, sono lo scheletro dello Stato medesimo e tale scheletro in questo momento è in osteoporosi galoppante.

Mi chiedo se non sia possibile bloccare i mille privilegi prima di intaccare l’essenziale delle persone che non serve solo a loro ma anche al paese. Domanda retorica lo so. Ma in Italia lo è diventata visto che non lo si fa. Il Paese è in mano a lobby conservative fondate sul paternalismo amorale che ha ammorbato e ammorba ogni cosa: politiche, amministrative, economiche e burocratiche. Ma lo stanno distruggendo a furia di cavilli. Il nostro piccolissimo caso degli scatti richiesti indietro è solo un piccolissimo esempio, ma possiamo aggiungere gli esodati, la quota 96, le ferie dei precari,..cavilli amministrativi che distruggono vite mentre la politica è assente, incapace e muta. Incapace di smuovere e scuotere e affrancarsi da quelle lobby che ne assicurano la mutua sopravvivenza. E allora ogni privilegio ha la controparte di un diritto offeso. Il mondo all’incontrario, l’ Italia di Trilussa.

Ad esempio, ma se ne posson fare mille di esempi di sprechi, limitare e definire con criteri veri, i premi di produzione dei dirigenti o direttori statali e parastatali. In media nella PA c’è un dirigente ogni sei impiegati (!!!), che dirige spesso se stesso e si autodefinisce da solo i premi di produttività. Sono somme che vanno da mille euro a 60mila euro l’anno. Non sono diritti acquisiti, non sono valutati da nessuno e alcuni se li determinano in modo balordo da soli, ad esempio dal numero delle mail lette. E non voglio riprendere ancora una volta il tema delle spese militari perché mi sembra una barzelletta ormai. Amara. Sacrifichiamoci tutti, noi “poveri” abbiamo già pagato. La Scuola: 4 miliardi sotto Prodi, 8 miliardi sotto Tremonti, e 3 miliardi come scie chimiche nei tre anni successivi al 2010.

Non possiamo mantenere l’Italia come una burla di Trilussa, appunto: a me tre polli e a te manco un pollo, anzi, dammi pure un dito delle tue, tanto ne hai dieci. Ovviamente non mi riferisco al libero mercato (anche se..su quello..ma lasciamo perdere), ma alla contrattazione dello Stato. E’ antieconomico sostenere ancora logiche simile, che poi è al limite con la corruzione.

Il primo postulato del Tractatus di Wittengstein afferma una verità sacrosanta, molto più cristallina e semplice del suo nome: tutto ciò che può dirsi deve essere detto. Aggiungo il corollario: tutto ciò che può farsi deve essere fatto. E l’altro corollario è, ovviamente: tutto ciò che non può farsi non deve essere fatto.

Come dire, le cose a prima vista più difficili, il Tractatus Logico-Philosophicus, sono molto molto semplici, se si usa una logica che abbia senso. Ebbene, vorrei che la logica impazzita, incomprensibile, messa in campo solo e soltanto per giustificare privilegi di lobby che ormai bloccano un Paese intero e si mangeranno alla fine anche se stesse finito di mangiare noi, tornasse ad essere una logica semplice e cristallina.

Dovremmo passare nuovamente dall’ Italia di Trilussa alla bellezza dell’Infinito di Leopardi. Un Paese, cioè, che riduce le ineguaglianze sociali invece di alimentarle. Un Paese che comprende che le ineguaglianze sociali sono il vero blocco alla crescita complessiva. Un Paese che comprende come la premessa per sanare le ineguaglianze sociali sta nel sanare i divari nelle conoscenze della sua popolazione. Un Paese che mette in cima a tutto virtute e conoscenza, non cavilli. E questo vogliamo e dobbiamo noi docenti: la nostra parte è quella di sanare i divari delle conoscenze del nostro Paese. E la sostanza del sanare tali ineguaglianze sta poi, da parte di altri,  nell’assicurare un giusto salario ai suoi lavoratori. Specialmente lo Stato: un giusto salario, né troppo, né troppo poco. Chi lavora nello Stato deve avere né troppo, né troppo poco. Né troppo né troppo poco se si lavora nello Stato. Logica elementare. Lo diceva De Gasperi, mica Lenin. Altrove, nel mercato, se la decidano altri. Ma uno Stato virtuoso non ammette privilegi insostenibili e corrotti pagati da chi non li può pagare tra l’altro. E scusate se mi ostino a mettere virtù e conoscenza prima dell’economia. Perchè alla fine virtù e conoscenza hanno una logica che garantisce anche l’economia, non viceversa. L’economia da sola è più dannosa di un bambino con in mano un coltello affilatissimo. Mi pare che lo abbiamo visto no? Quel coltello affilatissimo che ci ha tagliazzati tutti. Tranne coloro che ci han lasciati nella stanza.

Non abbiamo vinto la guerra con questa storia degli scatti. No. Nelle scuole siamo sempre dove stavamo: nell’ emergenza funzionale. Posto che noi lavoriam lo stesso non deve essere la scusa per dire tutto bene, madama la marchesa. Ma non potevamo accettare un gravissimo precedente: ammettere il gesto di uno Stato, il nostro Stato, per cui noi lavoriamo, che togliesse ai suoi lavoratori parte di un salario già pagato. Inaccettabile, nel principio e nella pratica. Sia che fossimo docenti, sia che fossimo altri tipi di lavoratori. Era e rimane inaccettabile. Alcuni di noi si sono sentiti di combattere per un principio. E’ poco? No, non è una vittoria di chissà cosa in termini concreti. E’ la vittoria di un principio generale, di un principio costituzionale, in un paese che naviga troppo a terra, in merito ai principi costituzionali. E chi li difende i principi oggi se non noi docenti che siam demandati dallo Stato e dalla nostra coscienza alla trasmissione di principi e valori comuni sanciti nella Costituzione? V virtute e conoscenza. Anche questo, non lo diceva un anarchico sessantottino. O meglio, lo dicevano anche loro, che in fondo si battevano per un mondo migliore, prima di acchiapparsi la seggiola e non mollarla più. La seggiola migliore.

Mila Spicola

Concorso a cattedra, per passare le preselezioni bastava prendere 30/50

da Tecnica della Scuola

Concorso a cattedra, per passare le preselezioni bastava prendere 30/50
di A.G.
Lo ha stabilito la III sezione bis del Tar del Lazio, accogliendo i ricorsi di 72 aspiranti docenti: per i giudici amministrativi il test preliminare non serve a saggiare le conoscenze dei candidati, avendo come fine solo quello di sfoltire la platea degli stessi. Per l’Anief, che segue 6.500 ricorrenti, la sentenza apre la strada ad un vero “ribaltone” degli esiti della discussa selezione.
La prova preselettiva non è volta a saggiare le conoscenze dei candidati, avendo come fine quello di sfoltire la platea degli stessi. E quindi il punteggio conseguito non si può elevare oltre la sufficienza. Con questa motivazione, la III sezione bis del Tar del Lazio, presieduta da Massimo Luciano Calveri, ha accolto i ricorsi proposti da 72 aspiranti docenti per contestare il decreto di indizione del concorso emanato dal ministero dell’Istruzione il 24 settembre 2012.
L’esito del ricorso annulla quindi il bando per il reclutamento del personale docente delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria, nella parte in cui ha stabilito l’ammissione alla prova scritta solo dei candidati che hanno conseguito un punteggio non inferiore a 35/50. I ricorrenti erano tutte persone che hanno partecipato alle prove preselettive del concorso, superate con un punteggio superiore o uguale ai 30/50. Impugnavano l’esito del concorso, deducendo l’illegittimità della norma del bando che prevede il superamento della prova con un punteggio minimo di 35/50.
Il Tar ha accolto i ricorsi, condividendo le censure proposte “proprio alla luce dell’osservazione – si legge nelle sentenze – che la prova preselettive non è volta a saggiare le conoscenze dei candidati, avendo come fine quello di sfoltire la platea degli stessi”.
Proprio per questo “ben diversa sarebbe dovuta essere la modalità di valutazione dei test – scrivono i giudici – potendo limitarsi l’Amministrazione a stabilire una soglia minima di quesiti superati al fine di ammettere i candidati che si fossero avvicinati o avessero superato detta soglia, come peraltro viene effettuato in molte procedure concorsuali, dove essa non concorre a formare il punteggio finale del candidato”. L’effetto è l’annullamento della parte del bando che ha previsto una soglia alta per il superamento delle prove preselettive, nonché nella parte in cui non include i ricorrenti.
“Ancora una volta avevamo ragione – commenta l’Anief – : la nostra denuncia si è dimostrata fondata. Queste prime sentenze riguardano due ricorsi seguiti da privati e, di fatto, aprono la strada agli altri undici ricorsi (per un totale di oltre 6.500 ricorrenti) patrocinati dal nostro avvocato Irene Lo Bue che saranno discussi il prossimo 3 aprile 2014”.
Per Marcello Pacifico, presidente dell’Anief e segretario organizzativo Confedir, “si tratta dell’ennesima conferma della tutela giudiziaria che il nostro impianto costituzionale riserva ai cittadini contro bandi di concorso scritti male e ingiusti. Sempre nei prossimi mesi saranno discussi in udienza pubblica gli altri ricorsi del sindacato, già vittoriosi in sede cautelare, contro gli altri punti del bando di concorso censurati”. Si tratta di tanti, tantissimi, ricorrenti. E se anche a loro i giudici amministrativi dovessero dare ragione, l’esito dell’ultimo concorso a cattedra andrà incontro ad un bel po’ di stravolgimenti.

Carrozza: scatti e assunzioni risolte. Investiamo su abilitati. Puntiamo sulla Costituente

da Tecnica della Scuola

Carrozza: scatti e assunzioni risolte. Investiamo su abilitati. Puntiamo sulla Costituente
di Alessandro Giuliani
Intervistato a “Che tempo che fa”, il Ministro dell’istruzione ha tenuto a precisare che la soluzione della questione degli scatti di anzianità per gli insegnanti ”non ha a che fare con Renzi, anche se si è impegnato personalmente sul tema e sulla scuola e devo essergli grata”. Ha ribadito che la questione è risolta ”per tutti i lavoratori della scuola”. Sia docenti che personale Ata. La scuola privata? La vedo come una risorsa: dobbiamo trovare un equilibrio, ma la pubblica sarà sempre predominante. E poi tanto altro….
Scatti automatici al personale scolastico e assunzione della prima tranche dei docenti di sostegno sono due vicende risolte. Il decreto per l’immissione in ruolo dei prof specializzati, in particolare, è stato già firmato dal ministro Saccomanni. Lo ha detto il ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, nel corso della trasmissione “Che tempo che fa”, intervistata da Fabio Fazio.
Il Ministro ha tenuto a precisare che la soluzione della questione degli scatti di anzianità per gli insegnanti ”non ha a che fare con Renzi, anche se si è impegnato personalmente sul tema e sulla scuola e devo essergli grata”. Carrozza ha ribadito che la questione è risolta ”per tutti i lavoratori della scuola”. Sia docenti che personale Ata.
Parte dei fondi arriveranno dal fondo per le attività extrascolastiche perché lo prevedono ”accordi del passato”. ”Ma è un fondo – ha aggiunto – che va rimpinguato”.
Sugli tanti docenti precari che hanno acquisito l’abilitazione tramite il Tfa ordinario – che Fazio ha ricordato scavalcati in graduatoria dagli 11mila abilitati dal concorso fatto quando Profumo era ministro – Carrozza ha spiegato che “su loro si deve investire per il reclutamento del futuro: hanno acquisito un’abilitazione molto selettiva. E dare valore al titolo che hanno conseguito. Per questo, stiamo lavorando per inserirli nelle graduatorie degli istituti e per permettere loro di fare supplenze e lavorare gradualmente per il riconoscimento dell’abilitazione”.
Per quanto riguarda la scuola privata, Carrozza ha detto che “la vedo come una risorsa: dobbiamo trovare un equilibrio aprendo alla collaborazione pubblico-privato. Anche se l’istruzione pubblica dovrà sempre continuare ad avere un impegno predominante”.
Sulla didattica moderna, nell’era di internet, il Ministro ha ricordato che si è accorta che qualcosa di importante era cambiato quando “ho comprato un’enciclopedia ai miei figli, ma poi ha visto che non la usavano: l’insegnante di oggi è sempre più un mentore che guida gli studenti. E la scuola funziona bene quando lo studente apprende al meglio. È soprattutto una questione di metodo.
A proposito della possibilità di destinare l’8 per mille all’edilizia scolastica, come prevede una proposta della senatrice Pd Mariangela Bastico, Carrozza ha detto di conoscere il progetto: ”la vedrei bene”, sottolineando il lato positivo nel ”coinvolgimento per donare alla scuola”. Il Ministro è andata oltre dicendo di essere favorevole alle forme di defiscalizzazione che facilitino le donazioni, ”fermo restando” che il settore pubblico deve pensare alla scuola.
Interpellato sulle riforme strutturali, il responsabile del Miur ha tenuto a dire che è ”un tema su cui riflettere. Festeggiamo i 50 anni dalla riforma della scuola media – ha specificato – noi dobbiamo essere in grado di pensare ad un cambiamento epocale della scuola”, resta poi da vedere se si tratterà di un cambiamento alle medie, alle superiori, o in che settore. ”Sarà una domanda – ha aggiunto – che faremo alla Costituente della scuola”. Questo governo avrà il tempo di farlo? ”Mi auguro di sì”.

A proposito del lascito che vorrebbe dare alla scuola italiana ha risposto ricordando che ”l’investimento sulla scuola è un’impresa sociale: spero che alle prossime elezioni politiche tutti i partiti si presentino con un programma che preveda il rilancio del settore, per ridargli dignità. E far diventare l’istruzione strumento di mobilità sociale ed economica del Paese”.

Un “tagliando” ai prof per certificarne l’efficienza

da Tecnica della Scuola

Un “tagliando” ai prof per certificarne l’efficienza
di Pasquale Almirante
Non si fa con le automobili, che periodicamente sono soggette a verifica? Lo stesso si faccia coi prof e col loro livello di bravura e di tenuta complessiva. E in Gran Bretagna scatta il “tagliando efficienza” ogni 5 anni. Non è stato specificato se si deve esporre sul petto o lasciare nel fascicolo
Prendiamo la notizia dal Sole 24 Ore che riporta la proposta del partito laburista britannico che fra l’altro l’adopererà come manifesto elettorale in vista delle prossime elezioni politiche del 2015. Si tratterebbe dunque di dare un “tagliando” di efficienza agli insegnanti se dimostreranno di essere aggiornati e competenti perché in caso contrario subiranno la rottamazione con la contestuale perdita della licenza per insegnare e del posto. L’obiettivo per i laburisti sarebbe quello di migliorare il livello di insegnamento nelle scuole pubbliche che, nonostante anni di riforme del sistema scolastico, resta insoddisfacente e inferiore a quello di molti Paesi europei. “Le licenze renderanno piú professionale il mestiere di insegnante – ha spiegato Tristram Hunt, ministro dell’Istruzione-ombra. Si tratta di riconoscere il loro importantissimo ruolo. Come gli avvocati o i dottori, dovrebbero avere uno status professionale, il che vuol dire avere una licenza e continuare ad aggiornarsi e a migliorare per mantenerla. Se non sei un insegnante motivato, appassionato alla tua materia, felice di essere in classe, allora hai sbagliato mestiere”. Secondo quanto i laburisti propongono, gli insegnanti dovrebbero frequentare corsi di aggiornamento e passare degli esami, per verificare, sia il loro livello di preparazione professionale, sia il modo in cui interagiscono con i loro studenti. Se ritenuti incapaci verranno licenziati, se ritenuti scadenti verranno mandati a fare corsi di perfezionamento, se ritenuti bravi manterranno la loro licenza. Il giudizio dei presidi delle scuole dove lavorano avrebbe grande importanza e il sistema di verifiche sarebbe gestito dal Royal College of Teaching. Sembra tuttavia, aggiunge Il Sole, che l’idea del tagliando quinquennale sia stato già proposto nel 2009 dall’allora ministro dell’Istruzione laburista Ed Balls ma che l’opposizione dei sindacati degli insegnanti fu così forte da essere accantonata. Ora però i laburisti sono decisi a ritornare all’attacco sul progetto, nonostante i sindacati abbiano già promesso battaglia. Un portavoce del partito conservatore ha detto che studierà con interesse la proposta laburista perché il Governo é aperto a qualsiasi riforma che “possa veramente migliorare la qualitá dell’insegnamento” in Gran Bretagna. “Se è un modo di valorizzare il mestiere e di migliorare il nostro lavoro, allora la proposta è bene accetta – ha commentato Ian Fenn, il preside di una scuola di Manchester, intervistato dalla Bbc – se invece si tratta di un test, allora é sbagliato. Non siamo automobili, non abbiamo bisogno di un tagliando”.

Apertura funzioni per le cessazioni dal servizio dal 1° settembre 2014

da Tecnica della Scuola

Apertura funzioni per le cessazioni dal servizio dal 1° settembre 2014
di L.L.
Disponibili su Istanze on line le funzioni per presentare le domande in modalità telematica. Resta il cartaceo solo in alcuni casi
Con avviso del 10 gennaio, pubblicato su Istanze on-line, il Miur fa sapere che è disponibile per il personale Dirigente scolastico, docente, educativo ed ATA di ruolo, compresi gli insegnanti di religione, la procedura web POLIS “istanze on line” per l’inoltro delle domande di cessazione.
Si ricorda che il termine finale di presentazione dell’istanza per il personale docente, educativo e ATA è fissato per il 7 Febbraio 2014, mentre per i Dirigenti scolastici il termine per la presentazione dell’istanza è fissato per il 28 Febbraio 2014.
Il sistema POLIS va utilizzato, per la comunicazione dei dati necessari, anche da parte di coloro per i quali opera il recesso dell’Amministrazione dal contratto.
Resta la modalità cartacea per il personale in servizio all’estero, Il personale della province di Trento Bolzano ed Aosta dovranno presenta le domande in formato cartaceo direttamente alla sede scolastica di servizio/titolarità, che provvederà ad inoltrarle ai competenti Uffici territoriali.
Sempre in modalità cartacea vanno presentate le domande di trattenimento in servizio.