Reddito di cittadinanza

Superando.it del 11-01-2019

Reddito di cittadinanza: la FAND in posizione di attesa 

ROMA. «Credo che in questo momento sia necessario mantenere i nervi saldi ed evitare strumentalizzazioni perché non abbiamo mai avuto problemi di spazi di confronto con gli esponenti governativi e se oggi l’urgenza richiede di procedere in tempi brevi, sono certo che durante i passaggi parlamentari potremo confidare su un dialogo che porti alla migliore soluzione possibile delle questioni sul tappeto»: lo dichiara in una nota Franco Bettoni, presidente della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità), in merito alla questione dell’inclusione delle persone con disabilità tra i beneficiari del reddito di cittadinanza.
«E d’altra parte – aggiunge Bettoni – fino a quando non avremo la disponibilità del testo definitivo del Decreto, ogni valutazione risulta prematura ed affrettata. Chiediamo in ogni caso al Governo una particolare attenzione sul provvedimento da un punto di vista tecnico, ossia sui requisiti, e primo fra tutti sul valore dell’ISEE [Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.]». (S.B.)

‘Quota 100’ e liquidazioni

Su ‘Quota 100’ e liquidazioni, il governo rischia di penalizzare drammaticamente lavoratrici e lavoratori dell’Istruzione. Se non cambia, sarà mobilitazione

“Il governo rinvia l’emanazione del Decreto su ‘Quota 100’ e persevera nell’errore di escludere il sindacato da qualsiasi confronto di merito, vanificando così un’opportunità determinante per evitare soluzioni pasticciate”. Così Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL, commenta le anticipazioni relative al provvedimento in discussione e i suoi riflessi sui lavoratori dei settori della Conoscenza. “Come trapela da fonti di stampa e da dichiarazioni di ministri e sottosegretari – continua Sinopoli- il provvedimento
presenta una inaccettabile e ingiustificata differenziazione tra i lavoratori pubblici e il resto del mondo del lavoro. Sembra infatti che la finestra di uscita per i lavoratori pubblici, rispetto alla data di maturazione del requisito 100, venga spostata avanti di sei mesi contro i tre degli altri lavoratori. Quindi, per quanto riguarda la scuola, se ci saranno ulteriori rinvii, si corre il rischio di penalizzare migliaia di lavoratori che, a causa della tempistica ristretta e delle specifiche esigenze del calendario scolastico, non potranno occupare i posti lasciati liberi dal personale docente e ATA beneficiario della Quota 100″.

“Per un assurdo tentennamento, il governo rischia un pasticcio con una penalizzazione del personale della scuola che sarebbe inaccettabile e contro la quale – avverte Sinopoli- ci  mobiliteremo”.

“Vi è poi l’altra grave vessazione – continua il segretario generale-  legata all’erogazione del TFR/TFS per i dipendenti pubblici: per poterlo anticipare, stando a quanto affermato da autorevoli esponenti del governo, si dovrà ricorrere ad un prestito bancario, con gli interessi parzialmente a carico dello Stato. Insomma per aver i propri soldi il lavoratore dovrà accendere un mutuo (un autentico paradosso), le cui modalità non potranno essere a costo zero per il lavoratore e per lo Stato. Possibile che si dimentichi che le liquidazioni sono un diritto maturato in decenni di lavoro ?”.

“Se a ciò aggiungiamo gli interventi regressivi in legge di bilancio, insufficienti per i settori dell’istruzione e della conoscenza, il blocco dell’indicizzazione delle pensioni che sarebbe dovuto scattare all’inizio di quest’anno e l’assenza di risorse sufficienti per i rinnovi dei contratti pubblici, risulta chiara l’assoluta disattenzione del governo a guida M5S-Lega rispetto al mondo del lavoro, dei lavoratori nel settore della formazione e dei pensionati.

“Se non ci saranno segnali nuovi alle richieste sindacali, la mobilitazione si renderà necessaria. La FLC CGIL sarà parte attiva delle lotte che la CGIL sta mettendo in campo insieme alle altre confederazioni sindacali – conclude Sinopoli – a partire dalla manifestazione già fissata per il 9 febbraio”.

Invalidità, 1.300 euro alla “mamma che sta a casa”

Redattore Sociale del 11-01-2019

Invalidita’, 1.300 euro alla “mamma che sta a casa”: l’idea di Di Maio non piace

Il ministro ha annunciato: “i 260 mila invalidi italiani avranno accesso al reddito di cittadinanza: 780 euro di pensione a chi vive da solo, oppure 1.300 euro al nucleo familiare”. Dove trovarli? “Abbiamo un tesoretto di 400 milioni di euro, avendo ridotto la platea degli stranieri”. Le mamme: “Non vogliamo elemosina, ma servizi e opportunità”. 

ROMA. Le pensioni d’invalidità saranno elevate a 780 euro, mentre arriveranno a 1.300 euro se la persona con disabilità vive in famiglia. “In modo tale che la mamma che ha un figlio invalido non dovrà cercare un lavoro”. Così il ministro Luigi Di Maio, rispondendo ieri a Radio Anch’Io a Giorgio Zanchini che gli domandava: “Il ministro Salvini ha chiesto più soldi per gli invalidi: ci saranno?” Ci saranno, “sì – ha assicurato Di Maio – 260 mila invalidi italiani che fino a oggi hanno un certo trattamento economico, avranno accesso al programma di reddito di cittadinanza, senza ovviamente che sia chiesta loro una riqualificazione al lavoro, perché sono persone diversamente abili (sic)”.In cosa consiste questo programma? “Questo consentirà loro, se vivono da soli, di portare la propria pensione d’invalidità a 780 euro. Se invece vivono in un nucleo familiare, noi daremo 1.300 euro al nucleo familiare, così chi sta vicino all’invalido non dovrà chiedere di trovare un lavoro. In questo modo, la mamma che ha un figlio invalido non dovrà lavorare”. Per quanto riguarda la copertura finanziaria, non ci saranno difficoltà, perché “c’è un tesoretto di 400 milioni – ha ricordato Di Maio – avendo alzato la soglia dei lungo soggiornanti a 10 anni. In questo modo abbiamo ridotto la platea degli stranieri e ci avanzano 400 milioni, che ridistribuiremo tra pensioni minime, pensioni d’invalidità e formazione per i centri per l’impiego”.

Sembra un preciso programma politico, una risposta all’ultimatum di Salvini e un’indicazione per le correzioni da apportare al decreto attuativo del reddito di cittadinanza. Un programma che però, così come è stato abbozzato dal ministro, non piace affatto alle “mamme degli invalidi”, a cui abbiamo fatto ascoltare le dichiarazioni di Di Maio.

Gabriella La Rovere, la “guerra tra poveri”, con la “fregatura certa”. Non piace affatto a Gabriella La Rovere, medico e scrittrice, ma sopratutto mamma di una ragazza ormai adulta con autismo grave. “Questa pensata di Di Maio mette in contrapposizione due categorie fragili, immigrati e disabili: toglie a uno e dà a un altro, la solita guerra tra poveri, la conosciamo bene. Ci dà questi 1.300 euro pensando di farci contenti, ma sono una goccia nel mare. Immagino già la fregatura: quando il prossimo adulto autistico picchierà la madre o il padre di turno, sui giornali si scriverà ‘Eppure avevano ricevuto 1.300 euro per il figlio: come li hanno spesi?’. Voglio dire al ministro che i nostri figli ‘invalidi’ hanno bisogno di persone qualificate al loro fianco: e io con .1.300 euro riesco forse a pagare una persona per ritagliarmi qualche ora al giorno per una settimana. Ed ecco che quei soldi finiscono. Ci vuole ben altro per stare accanto a un adulto con disabilità e purtroppo manca tutto: me ne sono resa conto proprio oggi, che un adulto autistico che frequenta uno dei laboratori che tengo come volontaria ha avuto un ricovero coatto: è una tristezza enorme, un fatto gravissimo, un terremoto. Eppure, in certi casi, non si può fare diversamente, proprio perché mancano quei servizi sul territorio che dovrebbero fare in modo che non succedano cose irreparabili. E’ di quello che abbiamo bisogno”.

Preoccupata dalla proposta anche Elena Improta, fondatrice di ‘Oltre lo sguardo onlus’ e protagonista di diverse battaglie per i diritti di suo figlio Mario e degli altri ragazzi adulti come lui, con disabilità gravi. “Il principio di aumentare i fondi per la disabilità è condivisibile e doveroso – premette Improta – Questi fondi sono stati sempre insufficienti ed è quindi un bene che si parli di elevare pensione d’invalidità. Va però considerato – prosegue – che la disabilità è un mondo complesso, che chiede interventi integrati. Quindi lo Stato ha il dovere di garantire anche il resto: non può chiedere alla la mamma, o la famiglia, di supplire con 1.300 euro alla mancanza di servizi e di supporti. In altre parole, è inaccettabile che lo Stato dia i soldi alla mamma, permettendole di non andare a lavorare. Anche perché, ce lo dicono le ricerche, questa donna finirà per ammalarsi”. L’idea abbozzata da Di Maio, in sintesi, condanna la famiglia alla “segregazione, anche perché sicuramente – osserva Improta – questo finanziamento comporterà la rinuncia ad altri servizi, magari aumentando il reddito familiare e l’Isee. Se così fosse – conclude Improta – andrà in fumo il ‘dopo di noi’ e sarà cancellato quel principio fondamentale su cui si basa: l’autonomia della persona con disabilità dal nucleo familiare. In questo modo, il ‘dopo di noi’ non esisterà: esisterà solo un durante noi fatto di segregazione e annullamento totale della persona, della mamma e di tutto il nucleo familiare”.

Molto “allarmata” e perfino “insultata” si dice Sara Bonanno, che ha un figlio adulto con una disabilità gravissima, di cui si prende cura 24 ore al giorno: “Noi non vogliamo l’elemosina di Stato – spiega – Siamo cittadini con la stessa dignità di tutti gli altri, anche se con maggiori difficoltà. La nostra Costituzione parla chiaro: chi ha maggiori difficoltà deve essere aiutato nel poter accedere alla stessa vita degli altri, non nel rimanere in una sacca di caritatevole compiacenza. Sia le persone con disabilità anche grave che i caregiver familiari devono essere messi nella condizione di poter lavorare, perché è solo attraverso il lavoro che si ottengono dignità e inclusione. E’ ovvio che io non potrò mai recarmi a 250 km dal luogo di residenza con un figlio allettato – aggiunge – ma posso essere supportata nel telelavoro, e/o in un part time conformato alle esigenze assistenziali di mio figlio. E gli stessi aspetti devono essere affrontati per le persone con disabilità anche molto gravi, che devono essere supportate nell’inserimento lavorativo”. E proprio sulla questione del lavoro insiste Sara Bonanno: “E’ arrivato il momento di superare l’antiquato concetto della ‘incollocabilità lavorativa’ delle persone con disabilità più gravi, esattamente come si è superato il concetto di ‘ineducabilità scolastica’. Chiunque può essere messo in grado di lavorare, lo dice la nostra stessa Costituzione. Ed è questa possibilità che chiediamo ci venga garantita”. (cl)

Iscrizioni, più trasparenza per prendere decisioni consapevoli

da Il Sole 24 Ore

di Daniele Checchi

Il problema della scelta della scuola per i propri figli è percepito differentemente nella scala sociale, e assume alta rilevanza nelle classi medie, indipendentemente dal grado di sviluppo economico del Paese che si prenda in considerazione. La ragione risiede nel fatto che sono proprio loro le famiglie che hanno sperimentato le possibilità di avanzamento sociale che l’istruzione può essere in grado di fornire. Per la maggioranza delle famiglie nelle classi inferiori l’istruzione si è rivelata un percorso accidentato. Per le élite l’istruzione è piuttosto uno status symbol a cui ambire per gli effetti di visibilità sociale.

Cosa possono fare allora nel contesto italiano i genitori alla ricerca di una formazione di qualità per i propri figli?

Di seguito alcuni spunti che vengono dagli studi sulle carriere scolastiche. Il primo è che la formazione scolastica è un processo cumulativo, che comincia dall’infanzia. La curiosità per la novità e il desiderio di apprendere si formano nei primi anni di vita attraverso la stimolazione percettiva. Quindi è fondamentale scegliere materna e primaria, perché lì si gettano le basi della capacità di apprendere di cui avranno bisogno i ragazzi nella secondaria. Il secondo spunto è che la qualità di una scuola è data dalla competenza e dall’impegno dei docenti. Se la competenza di un insegnante dipende dal percorso formativo che ha intrapreso, il suo livello di coinvolgimento dipende dalle condizioni in cui è richiesto di lavorare, che a loro volta dipendono dal clima che il dirigente della scuola riesce a garantire ai propri colleghi. Il terzo spunto dice che la formazione scolastica non è un percorso solo individuale, ma è un processo sociale, che avviene nel gruppo dei compagni di classe. La classe è la prima esperienza di socialità organizzata che affrontano i ragazzi. Alcuni genitori (e qualche preside) si preoccupano dell’eccessiva presenza di alunni di nazionalità non italiana, ma il problema non è quello. La scelta dei propri “pari” importa per il tipo di stimoli che produce sui ragazzi, in termini di conoscenza della diversità, di competizione e/o di emulazione dei comportamenti e di formazione delle aspirazioni. È esperienza comune registrare un disallineamento (specie nell’adolescenza) tra l’impostazione genitoriale e l’aspirazione del gruppo-classe.

Come tradurre allora questi spunti in criteri di scelta di una scuola che si desidera possa essere di qualità?

Il primo criterio suggerisce di cercare istituti che progettino i percorsi formativi integrati, possibilmente partendo dall’infanzia. In Italia il numero degli istituti comprensivi (che integrano almeno primaria e medie) è cresciuto negli anni, ma spesso si è trattato di un accorpamento amministrativo senza che a esso sia corrisposta una riprogettazione congiunta dei percorsi. I dirigenti scolastici si trovano a coordinare un numero eccessivo di scuole molto eterogenee, senza poter esercitare un indirizzo effettivo. Concretamente un genitore dovrebbe preoccuparsi non solo della sede specifica (l’edificio) dove vuole iscrivere il figlio, ma anche di capire la struttura organizzativa interna e il grado di coordinamento tra scuole. Il piano triennale dell’offerta formativa può fornire degli elementi.

Il secondo criterio richiede di conoscere chi siano e come lavorino gli insegnanti. A oggi non esiste alcuna possibilità di conoscere il percorso formativo e l’auspicabile aggiornamento periodico degli insegnanti. Trattandosi di pubblici dipendenti a cui affidiamo la formazione delle giovani generazioni, questa mancanza di informazione è particolarmente critica. Nelle università è obbligatorio a tutto il personale docente rendere visibile online il proprio Cv: perché non estendere la norma agli insegnanti della scuola? Nel sito Scuola in chiaro è possibile avere dati aggregati su composizione per genere ed età e sui tassi di assenteismo. Forse si può chiedere di più. Sulle condizioni di lavoro, l’unica fonte di informazione sarebbero gli insegnanti stessi. E infatti i genitori dei nuovi entranti chiedono informazioni ai genitori degli anni precedenti sulla “qualità percepita” degli insegnanti di una scuola, e spesso di una sezione. Sappiamo che ci sono team di insegnanti coesi e motivati e team scoordinati e disimpegnati. Perché non permettere di segnalare questa maggior qualità e disponibilità con una rilevazione del clima organizzativo ?

Il terzo criterio richiede di conoscere chi siano i propri futuri compagni di classe. Questo si scontra con il principio di ugual trattamento degli studenti e con il valore dell’educazione alla diversità. Per questa ragione fa bene il Miur a non rendere visibili i dati sulla composizione degli studenti per cittadinanza o per disabilità nel sito Scuola in chiaro (ma lascia visibili i dati sulle bocciature). I genitori possono però utilizzare strategie indirette per raccogliere questa informazione: sapere per esempio la quota di alunni che si iscrive a un liceo dopo la terza media, o all’università dopo la quinta superiore, fornisce informazioni (approssimative) sul grado di aspirazione prevalente in una scuola.

Sicurezza nelle scuole, presidi scrivono a Bussetti e Salvini: sono a rischio l’incolumità di 8 milioni di studenti

da Il Sole 24 Ore

L’Associazione nazionale presidi denuncia con una lettera ai ministri Bussetti e Salvini il problema della sicurezza nelle scuole, «una situazione non più rinviabile che riguarda l’incolumità di circa otto milioni di studenti, per lo più minori, e circa un milione di lavoratori».

«È un problema di estrema gravità – afferma il presidente Antonello Giannelli – una media di 44 crolli all’anno, una scuola su quattro con manutenzione inadeguata, oltre il 41% delle scuole si trova in zona sismica 1 e 2 e solo il 12,3% delle scuole presenti in queste aree risulta progettato o adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica. La metà delle scuole non ha mai ricevuto dall’ente proprietario il certificato di idoneità statica, di collaudo statico, di agibilità e di prevenzione incendi. Gli impianti elettrici sono completamente a norma in meno di un’aula su quattro e soltanto nel 15% delle palestre e nel 9% delle mense. Nel 18% delle scuole a più piani, non sono presenti scale di sicurezza, né vi sono uscite di sicurezza sui corridoi».

«È urgente intervenire destinando agli Enti locali proprietari risorse economiche commisurate ai necessari interventi di messa in sicurezza degli edificiscolastici per adeguare il patrimonio edilizio scolastico alle normative vigenti. In assenza di un piano di interventi, la questione della sicurezza delle scuole si riduce ad un improduttivo rituale di controlli e sanzioni, gravoso soprattutto per i dirigenti delle scuole», aggiunge Giannelli.

I dirigenti scolastici sottolineano infine come continui ad essere ad essere emblematica la vicenda dell’adeguamento degli edifici scolastici alla normativa antincendio: decorso
l’ennesimo termine per la messa a norma, il 31 dicembre 2018, resta solo l’obbligo per i dirigenti delle scuole di contenere il rischio «attraverso misure organizzative che non eliminano, però, le pesanti carenze strutturali e rischiano di produrre effetti solo temporanei e non risolutivi», conclude l’Anp.

Scuola, i presidi: “Troppi istituti non a norma, rischiamo di essere denunciati e multati”

da la Repubblica

Salvo Intravaia

Il governo Lega/5Stelle non proroga la norma sull’adeguamento alle norme antincendio per gli edifici scolastici. E nei prossimi mesi migliaia di presidi rischiano di essere multati e di essere denunciati penalmente.

L’allarme viene lanciato dall’Andis, la seconda associazione autonoma di dirigenti scolastici italiana, che attraverso il suo presidente ha inviato una lettera al ministero dell’Istruzione Marco Bussetti in cui esprime tutta la sua preoccupazione. “L’Associazione nazionale dirigenti scolastici – scrive Paolino Marotta – intende rappresentare la criticità che si è venuta a determinare a seguito della mancata approvazione nella legge di Bilancio 2019 della proroga del termine per l’adeguamento degli edifici scolastici alla normativa antincendio”.

Un differimento di un anno che tutti si aspettavano. Perché in base agli stessi dati diffusi dal Miur qualche mese fa sono oltre 22mila, il 55% del totale, i plessi scolastici sprovvisti del Certificato prevenzione incendi richiesto dalla normativa vigente. Il rischio è, continuano dall’Andis, che questi plessi fuorilegge a seguito di una visita dai Vigili del fuoco potrebbero essere trovati “in esercizio senza il completo adeguamento alle disposizioni normative”. In questi casi è prevista la contravvenzione a carico del capo d’istituto che andrebbe denunciato anche penalmente ai sensi della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Il fatto è che la competenza sugli edifici scolastici, e sul loro adeguamento, è in capo agli enti locali: i comuni per le scuole dell’infanzia, primarie e medie; le province per le scuole superiori.

E i presidi non hanno le risorse per provvedere a mettere in sicurezza le loro scuole. “È del tutto evidente – conclude Marotta – il rischio per un dirigente scolastico di diventare il capro espiatorio di inadempienze riconducibili invece agli enti proprietari degli edifici”. L’auspicio dell’Andis è quello di un intervento del ministro Bussetti “presso il ministero dell’Interno e il Dipartimento dei Vigili del Fuoco perché venga emanato un decreto ad hoc, che consenta agli enti proprietari di procedere al progressivo adeguamento alla norma degli edifici scolastici, magari con step triennali in analogia a quanto già avviene per le strutture sanitarie”.

Concorso Dsga, servizio svolto dall’assistente amministrativo nell’a.s. 2017/2018

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Possono partecipare al concorso per Dsga, oltre ai laureati previsti dal bando, anche gli assistenti amministrativi facenti funzione di DSGA con almeno tre incarichi annuali, anche non consecutivi, maturati al 1° gennaio 2018, data di entrata in vigore della legge di bilancio 2018. In quest’ultimo caso si prescinde dal possesso del diploma di laurea.

Nello specifico, tre anni interi di servizio devono essere calcolati, anche non consecutivi, nel caso in cui si sia svolto il servizio in via continuativa, fino al 31 agosto.

In merito ai periodi di servizio da prendere in considerazione, il Miur, oltre a quelle già pubblicate, ha pubblicato una nuova FAQ:

 

D: Sto compilando l’istanza del concorso DSGA e appartengo alla tipologia B (Assistente Amministrativo in possesso del requisito di accesso dei tre anni di servizio, di cui all’art. 2 comma 5 del bando, con diritto alla riserva del 30% dei posti); ho notato che nella sezione del titolo di accesso i servizi in qualità di DSGA sono riportati dal più recente al meno recente per tre annualità. Ho un servizio del 2017/18 ma questo non viene riportato. Perché?

R.: Il 2017/18 non è fra le annualità che è possibile indicare in quanto, ai sensi dell’art. 3 comma 2 del  Decreto Ministeriale protocollo 863 del 18 dicembre 2018, i tre interi anni di servizio nelle mansioni di DSGA devono essere stati prestati entro l’entrata in vigore della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (1° gennaio 2018).

Le altre FAQ

  1. D: Al link http://www.miur.gov.it/web/guest/concorso-dsga è scritto “ATTENZIONE: Per poter presentare la domanda di partecipazione al concorso, è necessario registrarsi all’applicazione POLIS. Successivamente all’inserimento dei dati richiesti, l’interessato è tenuto a RECARSI PRESSO UN ISTITUTO SCOLASTICO O UN UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE O PROVINCIALE OPPURE PRESSO l’URP del MIUR, ai fini della sottoscrizione del modulo di adesione prodotto dal sistema e dell’identificazione fisica, che dovrà essere effettuata in presenza del personale MIUR preposto per la conseguente conferma dell’abilitazione.” vuol dire che dopo aver inserito l’istanza devo recarmi a scuola per consegnarla fisicamente?
    R: No. E’ la registrazione al servizio POLIS che implica di doversi recare presso una scuola o un UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE O PROVINCIALE per il completamento della stessa. Una volta completata la registrazione, la fase di inserimento dell’istanza non prevede la presentazione del cartaceo del pdf prodotto.
  2. D: Come deve essere registrato il voto di laurea?
    R: Per il voto sono a disposizione tre diversi campi numerici: nel primo deve essere inserito il voto conseguito ad eccezione dell’eventuale parte decimale, nel secondo la parte decimale del voto (se il voto è intero inserire 0) e nel terzo la base effettiva con cui il voto è stato conseguito. Tale base è solitamente 110 per le lauree del vecchio ordinamento e 100 per le lauree del nuovo ordinamento. Per i diplomi la base potrà essere 60, per i vecchi diplomi, e 100 per i nuovi diplomi. Infine il campo “lode” va spuntato solo se la lode è stata effettivamente conseguita. Il campo non digitabile corrispondente alla voce “Votazione in centesimi” è calcolato automaticamente dal sistema e rappresenta il valore assunto dal voto di laurea se questo fosse su base 100. Il valore si ottiene con una semplice proporzione matematica.
  3. D: Quando all’articolo 2 comma 5 del bando di concorso si afferma che “Ai sensi dell’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, in deroga ai requisiti di cui al precedente comma 4, sono ammessi a partecipare al concorso gli assistenti amministrativi che, alla data di entrata in vigore della predetta legge, hanno maturato almeno tre interi anni di servizio, anche non continuativi, sulla base di incarichi annuali, negli ultimi otto, nelle mansioni di direttore dei servizi generali ed amministrativi” i tre anni di servizio si intendono svolti solo nelle scuole pubbliche o anche nelle scuole paritarie?
    R: I tre anni interi di servizio si intendono svolti solo nelle scuole pubbliche.

IL BANDO (clicca qui)

Notte nazionale del liceo classico, gli studenti aprono le porte alla cultura

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Domani, 11 gennaio 2019, si svolgerà la V edizione della Notte Nazionale del Liceo Classico, l’evento più atteso da tutti gli studenti dei Licei Classici d’Italia.
L’evento, che quest’anno vedrà la partecipazione di ben 433 Licei Classici su tutto il territorio italiano, si svolgerà dalle ore 18 alle ore 24.

Per l’occasione si è individuata una data comune, in contemporanea le scuole apriranno le loro porte alla cittadinanza e gli studenti dei Licei Classici d’Italia, che si esibiranno in svariate performance: maratone di letture di poeti antichi e moderni; drammatizzazioni in italiano e in lingua straniera; esposizioni di arti plastiche e visive; concerti ed attività musicali e coreutiche; presentazioni di libri e incontri con gli autori; cortometraggi e cineforum; esperimenti scientifici; degustazioni a tema e ispirate al mondo antico … e molto altro ancora, lasciato alla libera inventiva e creatività dei giovani guidati dai loro docenti.

L’idea della notte del liceo classico arriva da un docente della provincia di Catania, il prof Rocco Schembra del “Liceo Classico Gulli e Pennisi di Acireale (CT), che cinque anni fa ha avviato questo progetto, nel corso degli anni sempre più apprezzato.

Lo stesso Ministero dell’Istruzione, tramite una lettera dell’ex ministro Valeria Fedeli, ha espresso l’apprezzamento e l’entusiasmo per questa iniziativa che “rallegra le aule e gli spazi di un numero sempre crescente di Licei classici in tutta Italia”.

La quinta edizione della Notte Nazionale del Liceo Classico vede nascere, inoltre, un partenariato tra il suo Coordinamento Nazionale, RAI Cultura e RAI Scuola, che effettueranno un collegamento in diretta con le attività del Liceo classico “Giulio Cesare” di Roma.

Inoltre, la Notte di quest’anno punta ad assumere una prospettiva internazionale, attraverso la collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Atene e il patrocinio della Federazione delle Comunità e Confraternite Elleniche in Italia e della Cattedra di Lingua e Letteratura Neogreca di Sapienza Università di Roma.

Scuole al freddo: 2 studenti su 5 si lamentano per le aule gelide

a Tuttoscuola

Un rientro a scuola da “brividi” – è proprio il caso di dirlo, per tanti studenti italiani. Lunedì scorso, dopo la pausa natalizia, sono ritornati in classi spesso gelide per colpa, soprattutto, di riscaldamenti malfunzionanti, di strutture vecchie e quindi termicamente inefficienti o magari di un riavvio non tempestivo degli impianti. Gli istituti più colpiti sono stati quelli delle regioni del Sud, spiazzati dalla recente ondata di gelo che si è concentrata proprio in quelle aree. A confermarlo sono i 10mila ragazzi che hanno risposto a un sondaggio online di Skuola.net.

Circa 4 studenti su 10, infatti, raccontano che nella loro scuola negli ultimi giorni ci sono stati disagi legati al freddo e al malfunzionamento dei sistemi di riscaldamento (mentre il 59% dice che è tutto sotto controllo). Ma, se analizziamo la situazione al meridione, i ragazzi che stanno combattendo con le basse temperature delle aule diventano la maggioranza (56%). Tra le regioni più in difficoltà quelle appenniniche, complice la neve copiosa degli scorsi giorni: in Abruzzo e Molise quasi 6 studenti su 10 stanno patendo il freddo durante le lezioni. Ma il dato è diffuso omogeneamente in tutto il Sud, poco abituato a gestire condizioni del genere. La causa principale del freddo? Termosifoni che vengono accesi solo poche ore al giorno (lo dice il 28% del campione) ma anche una copertura a singhiozzo del riscaldamento (27%), con alcune parti degli edifici che non sono nemmeno raggiunte.

E poi c’è, appunto, il problema – che chiaramente i ragazzi non possono quantificare ma percepire – della dispersione del calore. Secondo un’analisi condotta da Skuola.net sugli Open Data messi a disposizione dal Miur qualche tempo fa, quasi la metà – il 42% – dei 40.151 edifici attivi (che, dunque, ospitano quotidianamente gli studenti) ancora non è dotato di alcun sistema per la riduzione dei consumi energetici.

Ma “The show must go on”, e pure le lezioni. E come si organizzano i ragazzi? Il 53% fa lezione regolarmente ma al caldo di cappotti, giubbini, coperte, guanti o, addirittura, riscaldando le aule con le stufette elettriche. In pochi casi è stata la scuola a predisporre alternative: il 4% si è spostato in aule più calde, al 2% è stato concesso di fare orario ridotto. Solamente il 6% degli studenti intervistati è rimasto a casa per decisione della scuola (ma un altro 10% non ci è andato lo stesso, facendo assenza).

E se in molti (40%) hanno sopportato in silenzio la situazione d’emergenza, tanti altri hanno voluto protestare formalmente: nel 37% dei casi è stata un’iniziativa spontanea degli studenti, in 1 caso su 5 c’è stata un’alleanza tra alunni e docenti, il 3% delle volte sono stati direttamente i professori a sollevare la questione. In che modo si è sollevato il problema? Soprattutto con scioperi (21%) o con lettere collettive inviate a presidi e istituzioni scolastiche (17%). Decisamente più rare (5%) autogestioni, assemblee straordinarie, manifestazioni, occupazioni e sit-in.

Numero di alunni per classe: la proposta di legge che vuole abbassarlo

da Tuttoscuola

Sta per iniziare il suo iter legislativo alla Camera la proposta di legge n. 877, presentata da deputati del M5S (primo firmatario l’on. Lucia Azzolina), che potrebbe cambiare la gestione delle classi, il rapporto educativo e fors’anche le condizioni di apprendimento per gli studenti.

L’obiettivo della proposta è annullare la riforma Tremonti-Gelmini che una decina di anni fa con la legge 133/2008 innalzò di un punto in un triennio il rapporto alunni/docente, portandolo da 8,94 del 2008 a 9,94 del 2012, per una “migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente”.

L’effetto di quella disposizione, come ricordano i promotori della proposta di legge, fu, invece, una pesante contrazione di posti per un totale oltre 67 mila unità.

Vi fu anche un altro effetto: l’affollamento eccessivo delle classi conseguente all’applicazione di quella norma che con il DPR 81/2009 fissò nuovi e più alti livelli del numero per classe per ottenere quella maggiorazione di un punto del rapporto alunni/docenti.

La proposta grillina vuole ritornare al passato, abbassando gradualmente quel rapporto di un punto entro il 2022/2023. Per ottenere quel risultato è previsto che a livello nazionale il rapporto alunni/classe diminuisca di 0,40 nel triennio 2019-2021.

Inoltre in ogni classe iniziale di ogni ordine e grado non potranno esserci più di 23 alunni, e non più di 20 nel caso vi siano alunni con disabilità.

Con la proposta di legge puntiamo a fissare un tetto massimo di 22 studenti per ogni classe delle scuole primarie e secondarie. Attualmente la normativa prevede che nelle scuole primarie si possano avere fino a 27 studenti per classe, numero che aumenta a 28 nella secondarie di primo grado e addirittura a 33 – con la possibilità di derogare fino a 36 – per le secondarie di secondo grado“. Così Lucia Azzolina e Vittoria Casa, rispettivamente prima firmataria e relatrice della proposta di legge in discussione in commissione Cultura a Montecitorio. “Come si può pensare di offrire un servizio di qualità con cifre come queste? Senza pensare – proseguono Azzolina e Casa – che in Italia ci sono circa 200mila studenti con disabilità, che in aule sovraffollate non potrebbero mai fare un serio percorso di inclusione. Dicendo basta alle ‘classi pollaio’ saremo anche in grado di ripristinare le migliaia di posti di lavoro tagliati dalla legge Gelmini che ha aumentato il rapporto tra insegnanti e alunni. Rispetto a quanto è stato fatto in passato, si inverte completamente la rotta: lo scopo è mettere al centro un apprendimento di qualità, sostenendo i più deboli e permettendo agli insegnanti di svolgere con più dignità il loro lavoro”, concludono le deputate del MoVimento 5 Stelle.

Come viene ricordato nella relazione che accompagna la proposta di legge, l‘abbassamento del numero di alunni per classe riporta la situazione ad un livello di sicurezza conformemente alle norme antincendio (decreto ministero interni 26.08.1992) che fissano il numero massimo di persone in una aula in 26 (25 alunni e l’insegnante).

Ma lo sfoltimento delle aule avrebbe soprattutto un benefico effetto sulla conduzione delle attività didattiche e sul rapporto educativo docente/alunno.

Senza contare che vi sarebbe un aumento del numero delle classi e un sensibile incremento dell’organico docenti.

La proposta di legge individua anche le risorse necessarie per finanziare questo ritorno al passato che sembra vestirsi di una nuova qualità organizzativa e didattica.

Nota 11 gennaio 2019, AOODGSIP 97

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione

Ai Dirigenti Scolastici degli Istituti scolastici di ogni ordine e grado
Loro Sedi
e p.c.
Uffici Scolastici Regionali
Loro Sedi
Sovrintendente scolastica per la lingua italiana
BOLZANO
Intendenza scolastica per la lingua tedesca
BOLZANO
Intendenza scolastica per la lingua ladina
BOLZANO
Sovrintendente scolastico per la Provincia di
TRENTO
Sovrintendenza agli studi per la Regione autonoma della Valle d’Aosta
AOSTA

OGGETTO: Offerta formativa nazionale 2018/2019 – Servizi educativi MiBAC Raccolta di attività didattico – educative gratuite per le scuole, percorsi di alternanza scuola-lavoro e proposte formative per i docenti

Si porta a conoscenza delle SS.LL che sul Portale del MiBAC – Direzione Generale Educazione e ricerca -Centro per i servizi educativi del museo e del territorio www.sed.beniculturali.it – sono stati pubblicati gli opuscoli con la raccolta delle attività di formazione e di educazione al patrimonio proposte dalla Rete dei Servizi educativi del MiBAC

I Servizi educativi operano in archivi, biblioteche, musei, soprintendenze e altri luoghi della cultura per favorire la partecipazione e la condivisione della comune eredità culturale.

Come previsto dal Piano nazionale per l’educazione al patrimonio culturale, la raccolta ha l’obiettivo di promuovere le attività educative rivolte agli studenti dei sistema scolastico, alle famiglie nonché di favorire le proposte di formazione rivolte al personale docente della scuola ed agli operatori di settore.

In considerazione del valore dell’iniziativa, si confida nella cortese collaborazione per fornire al materiale sopra descritto ampia visibilità.

IL DIRETTORE GENERALE
Giovanna BODA