25 aprile, in un ricordo personale

25 aprile, in un ricordo personale

di Vittorio Zedda 

Nel 1945 avevo 5 anni. Vivevo, in quei tempi, tra giochi e paure. Ho imparato allora che un bambino può capire chiaramente quel che vede  e che sente,attorno a sé. E può intuire quel che succede, anche dai silenzi, dalla tensione degli adulti. Dai loro pianti e dallo loro rabbia. Dai loro discorsi, talvolta sommessi, origliati.

Aldilà delle celebrazioni altisonanti e di maniera, oltre la retorica politica dei proclami ripetuti  ad ogni celebrazione della Resistenza, oltre la commozione  per i drammi, il sangue, le vite perdute e gli eroismi, c’è un “25 aprile” dei ricordi personali, non meno importante della storia scritta dopo, e, forse, di quella anche più vera. Quella storia che ci rimane dentro e quindi non fa storia, sparisce e si perde con noi.

Ho in casa qualcosa che è, per me, memoria di quell’epoca. E’ un quadro a ceramica, fatto,dipinto e poi donato a mio padre da un suo caro amico. Entrambi erano sottufficiali della Regia Aeronautica Militare. Rappresenta una delicatissima Madonna, non convenzionale, per disegno e colori. Quell’amico di papà era Dario Tarantino, che dopo l’8 settembre 1943, trovandosi al nord, scelse di abbandonare la divisa per fare il partigiano. Divenne il capitano “Massimo” e morì tragicamente a Milano, catturato dai fascisti. C’è il suo nome su una lapide, murata su un palazzo, nella zona ovest della città.

Sul retro del quadro una affettuosa, poetica dedica di Dario,tuttora leggibile: è un regalo a mio padre per la nascita della mia sorellina . E’ l’autografo di un eroe.

Ho ritrovato su internet l’immagine di Dario, quando ancora vestiva la divisa : è una copia della stessa foto che ho io, tra i cimeli di famiglia,tra altre foto che lo ritraggono assieme a mio padre, entrambi giovani allora, belli, eleganti e scanzonati.

Sono, questi, documenti  di un passato, che oggi ha la luce di un’ epopea gloriosa. Ma il mio ricordo di quegli anni non è per niente esaltante. Durante la guerra vivevamo “sfollati”, come si diceva allora, in un piccolo borgo agricolo della pianura emiliana, presso  Parma. Mio padre aveva fatto una scelta non meno rischiosa di quella di Dario. Non aveva aderito alla repubblica di Salò, rifiutando di passare dall’Aeronautica Regia a quella Repubblicana (o Repubblichina, come si diceva allora). Aveva giurato fedeltà al Re, diceva .Era rimasto a casa accanto alla moglie e ai suoi due bambini, cui doveva in qualche modo provvedere. Un giorno una compagnia di  soldati tedeschi occupò il piccolo borgo  e ci rimase a lungo. Fu l’inizio di un incubo. Di notte un sogno ricorrente mi agitava: temevo che i tedeschi portassero via mio padre. E invece mio padre, con quella sua incredibile arte del “sopravvivere” e rimediare a qualsiasi rovescio del destino, riuscì,senza nascondersi, a non farsi deportare, a trovare un modus vivendi con gli invasori ,presenti nella stessa casa, facendosi rispettare. E però  sentivo l’angoscia dei familiari e mia, ogni giorno. E la notte, di più. Quei soldati mettevano paura, ma mostravano rispetto per noi. Due di loro, forse graduati, chiedevano spesso  di entrare in casa nostra per ascoltare la grossa radio che era nel soggiorno. Battevano i tacchi sulla soglia, chiedevano “permesso”  e lasciavano fuori dall’uscio appoggiati al muro i fucili. Io, bambinetto, girellavo attorno a quelle armi che mi incuriosivano, tenendo ostentatamente le mani dietro la schiena, per far vedere che non toccavo nulla. Dalla porta aperta vedevo i due militari che cercavano di sintonizzare l’apparecchio su “Radio Londra” e su stazioni in lingua tedesca. Assistevo alle loro adunate,nel nostro giardino, mentre il loro comandante teneva loro i suoi incomprensibili discorsi, e sembrava che li redarguisse. Apparivano stanchi, tristi, rassegnati. C’era fra loro il soldato Willy, nei miei ricordi gigantesco. Talvolta  mi portava a passeggio tenendomi per mano.  Camminavamo in silenzio. Aveva ,tra le sue cose, nel fienile, una valigia piena di giocattoli. Ogni tanto l’apriva e me ne regalava uno. Furono i miei primi giocattoli: in tempo di guerra non ce n’erano.  Willy li aveva  presi  per i suoi figli, ma poiché , diceva, in Germania non sarebbe mai arrivato vivo, li regalava a me. Presagiva la sua fine, e questo me lo raccontò  anni dopo mia madre, confermando i miei ricordi.

Com’erano arrivati, i tedeschi sparirono all’improvviso, un mattino all’alba. Pochi giorni dopo arrivarono i “ribelli”. Così li chiamavano allora, i partigiani. Due di loro, facce pallide e barbe nere, fecero irruzione  in casa nostra con le armi spianate. Volevano cibo. Ricordo tutti gli adulti di famiglia, ritti immobili di fronte a loro, impietriti. E noi bambini, fra loro. Ci fecero più paura dei tedeschi. Forse perché dei ribelli non si sapeva nulla, e ci  parvero freddi e minacciosi.

Si portarono via dell’olio di oliva, ché molto di più non avevamo in casa. Non li  vedemmo più. Ma noi bambini sentivamo i discorsi dei “grandi”, che per mesi riferivano di vendette, saccheggi, rappresaglie, rese dei conti , violenze attribuite ai ribelli, in quelle campagne. C’era una cupa aria di pericolo, nella quale alla paura dei tedeschi e dei fascisti, s’era sostituita, in quella piccola comunità di contadini, il timore dei partigiani. Io non capivo allora chi fossero i buoni e i cattivi . Ma qualche giorno dopo mi sembrò che il confronto fosse tra cattivi e “più cattivi”. In una mattina di sole, all’aperto, guardavo con mio padre un cielo azzurro pieno di aerei argentei , che volavano altissimi a centinaia , con un rombo cupo, tutti nella stessa direzione. Erano inglesi e americani. Mai più visti così tanti aerei  volare tutti assieme, nemmeno nei film. Chiesi : “Vanno a bombardare ? Dove?”. “Vanno verso la Germania, ormai è finita”‐disse mio padre. Poi, chinò il capo e disse : “I fascisti hanno ucciso Tarantino. Gli hanno cavato gli occhi e tagliato le mani”. Rimasi impressionato, sia per quello che mi aveva detto, sia perché aveva detto una cosa così spaventosa proprio a me, che ero un bambino . E ancora mi chiedo perché. Forse la risposta era in un orrore, che pareva essere diventato quotidiano, impossibile da nascondere. Chissà quante altre famiglie, in Italia, custodiscono il ricordo di un congiunto o di un amico, caduto nella guerra partigiana, dall’una e dall’altra parte. Papà aveva un’immensa stima del suo amico Tarantino. Se c’è qualcosa nei miei ricordi, in quella mia piccola parte di storia personale, che ha riscattato il senso  di quegli avvenimenti e di quell’epoca triste,  è l’immagine di quel giovane sottufficiale, il cui nome rimane ora su una lapide e negli archivi della Resistenza. E’ il nome di quell’eroe gentile che è scritto di suo pugno, e che conservo, sotto una tenerissima dedica per una bimba  appena nata.

Presidi, Ancora «congelati» i 460 euro in più in busta paga

da Il Sole 24 Ore

Per un nuovo contratto che si annuncia di voler aprire, ce ne è uno che è stato firmato a ridosso dello scorso Natale, riguarda i circa 7.500 dirigenti scolastici, i cui effetti però ancora non si sono visti in busta paga.

L’intesa, 2016-2018, ha previsto, da gennaio, un maxi-adeguamento medio di circa 460 euro netti mensili (pari a un incremento lordo annuo di circa 11mila euro). Il ministero dell’Economia ha validato l’intesa (che interessa anche i 353 dirigenti di università ed enti di ricerca, seppur con aumenti stipendiali più contenuti) solo qualche giorno fa, ora il testo dell’accordo è al vaglio della Funzione pubblica.

Ai 460 euro netti in più al mese si arriva sommando l’incremento “standard” (previsto per la generalità dei dipendenti pubblici) del 3,48%, pari a 160 euro lordi al mese, circa 80 euro netti, ai 380 euro netti aggiunti sulla retribuzione di posizione parte fissa (che viene allineata ai valori riconosciuti alle altre figure dirigenziali pubbliche), che sale di 9mila euro, passando da poco più di 3.500 euro a oltre 12.500. Per quest’ultima operazione, nella manovra 2018, sono stati stanziati 37 milioni nel 2018, 41 nel 2019, 96 nel 2020, oltre ai 35 milioni previsti dalla Buona Scuola.


Frenata sulle autonomie: la scuola resta nazionale

da Il Messaggero

Lo sgambetto a Veneto e Lombardia si è consumato all’alba di ieri. Giuseppe Conte aveva convocato i sindacati della scuola alle otto di martedì sera a Palazzo Chigi. Lo stesso giorno del consiglio dei ministri chiamato ad approvare il decreto sulla crescita. Per ore, fino all’una di notte, i sindacalisti sono rimasti barricati nella Sala Verde in attesa che il premier finisse la riunione di governo e aprisse il tavolo di trattativa sui contratti della scuola. Nell’accordo, chiuso alle prime luci di mercoledì, i sindacati sono riusciti a capovolgere il testo del governo mettendo una zeppa al progetto di autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Il pacchetto portato da Conte prevedeva, infatti, che si tenesse conto delle richieste fatte dai governatori: la regionalizzazione dei concorsi, l’assunzione degli insegnanti in ruoli regionali, e una differenziazione negli stipendi. Conte, per evitare lo sciopero generale annunciato dai sindacati, ha ceduto.

L’IDENTITÀ CULTURALE

Nel testo è stato inserito un capitolo intitolato «La scuola del Paese», nel quale il governo si impegna a «salvaguardare l’unità e l’identità culturale del sistema nazionale di istruzione e ricerca, garantendo un sistema di reclutamento uniforme, lo status giuridico di tutto il personale regolato dal contratto collettivo nazionale e la tutela dell’unitarietà degli ordinamenti statali». La scuola, insomma, deve rimanere nazionale. Non è poco. L’istruzione e il trasferimenti del personale scolastico sono un pilastro del progetto spacca-Italia. La maggior parte delle risorse che Veneto e Lombardia vorrebbero trattenere sui loro territori sono legate a questa partita specifica. Senza la scuola il progetto autonomista è un’anatra zoppa.

LE RETRIBUZIONI

L’altro aspetto fondamentale per il mondo della scuola, presente nell’accordo tra i sindacati e il premier Conte, è la questione relativa agli stipendi del personale, sia docente sia ausiliario. È uno dei punti principali che hanno portato alla proclamazione dello sciopero. Si parte infatti, per la scuola, da uno stipendio medio annuo tra i più bassi d’Europa. Non solo, la retribuzione media attuale è anche inferiore a quella percepita nel 2008. Da qui la richiesta di aumentarla quanto meno per coprire l’inflazione prevista nel prossimo triennio. A cui poi dovrà seguire l’avvicinamento alle retribuzioni europee. E non sarà un passo semplice visto che, secondo i calcoli della Flc Cgil, la differenza tra lo stipendio medio annuo di un docente italiano rispetto a quello di un collega europeo è del 24%. Piuttosto ampia, quindi. Da Palazzo Chigi, intanto, è stata accolta la richiesta di salvaguardare gli stipendi dall’inflazione, con l’impegno a reperire i fondi per il rinnovo del contratto già dal prossimo DEF, per programmare nel triennio 2020-2022 un recupero salariale tanto che il ministro Bussetti ha parlato di «aumenti a tre cifre». In base a queste premesse, seguendo le stime sull’inflazione, gli aumenti dovrebbero arrivare gradualmente nel triennio 2019-2021 a 95 euro di media, anche un po’ di più. Come punto di partenza viene presa l’inflazione calcolata con l’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi membri dell’Unione Europea: la previsione per il triennio è del 4,2%. Vale a dire che, su uno stipendio medio annuo del personale scolastico, l’aumento sarebbe di 1.260 euro circa l’anno. Circa 95 euro al mese su 13 mensilità. Il personale della scuola infatti ha uno stipendio medio lordo annuo, comprensivo di tutto dagli straordinari alle indennità, di 30mila euro. Per salvaguardare gli stipendi rispetto all’inflazione andrebbero quindi stanziati circa 4,1 miliardi di euro netti, circa 6,8 miliardi lordi. Questo è il primo passo, legato all’inflazione, ma per i sindacati resta fondamentale aggiungere qualche euro mensile in più, per recuperare la distanza con le retribuzioni degli altri paesi europei. Per concretizzarlo, saranno necessarie nuove risorse da stanziare sul contratto.

GLI INCONTRI

I sindacati hanno chiesto quindi di avviare quanto prima gli incontri per giungere al nuovo contratto di lavoro. Quello vecchio è scaduto a dicembre scorso. Il primo incontro comunque, fissato nei primi giorni di maggio, riguarderà la stabilizzazione dei precari. Poi si procederà per il rinnovo contrattuale e lì la partita si giocherà sulle risorse aggiuntive.
Andrea Bassi
Lorena Loiacono


Aggiornamento GaE, ecco il decreto del Miur. Domande dal 26 aprile

da La Tecnica della Scuola

Di Fabrizio De Angelis

Come abbiamo riportato in precedenza, è stato firmato il decreto in merito all’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento 2019. Le domande potranno essere presentate dal 26 aprile al 16 maggio 2019.

Ricordiamo che l’aggiornamento Gae 2019 riguarda il personale docente ed educativo abilitato, già presente nelle stesse graduatorie e sarà valido per il triennio scolastico 2019/2020, 2020/2021 e 2021/2022.

La presentazione delle domande – con eventuali titoli e servizi svolti nell’ultimo quinquennio oppure conseguiti anche prima del maggio 2014 ma mai presentati – riguarderà condizioni di permanenza, aggiornamento, trasferimento e conferma.

IL DECRETO

I DOCUMENTI

Per facilitare la compilazione è disponibile un facsimile del Modello 1.

Successivamente per la costituzione delle graduatorie di istituto di prima fascia sarà possibile effettuare la scelta delle sedi tramite POLIS nel periodo compreso tra il 15 luglio ed il 29 luglio 2019.

Tutte le informazioni qui

Aggiornamento GaE 2019: dentro i depennati

Ci sarà la possibilità di reinserimento nelle GAE di quei docenti che ne erano stati cancellati per la mancata presentazione dell’istanza in occasione dei precedenti aggiornamenti.

Il reinserimento, tuttavia, non sarà automatico ma solo a seguito di apposita domanda: chi non la farà, comunque, potrà chiedere il reintegro fra tre anni, in occasione della prossima “finestra” di rinnovo delle GaE.

Aggiornamento Gae 2019: possibile scegliere province con graduatorie esaurite

Sarà possibile cambiare provincia indicando anche quelle province in cui le GaE oggi risultano esaurite, seguendo quindi un recente parere del Consiglio di Stato.

Aggiornamento Gae 2019: diplomati magistrale

Per quanto riguarda i diplomati magistrale, tutti i docenti che hanno ricorsi pendenti potranno confermare l’iscrizione con riserva anche cambiando provincia, pur mantenendo la riserva. Ciò vuol dire che non appena arriverà la sentenza di merito, la presenza in Gae cadrà.

Come fare domanda per l’aggiornamento gae 2019

In tutti i casi, la domanda dei vari insegnanti dovrà avvenire esclusivamente tramite la piattaforma telematica POLIS “Istanze on line”.

Conseguentemente alle GaE, verranno aggiornate anche le graduatorie di istituto di prima fascia.

L’aggiornamento doveva svolgersi nel 2017

Inizialmente, l’aggiornamento era stato previsto per il 2017, poi però prorogato al 2018/2019.
Poi, in base alla legge 12 dell’11 febbraio 2018 di conversione del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione, già in Gazzetta Ufficiale, l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento non subirà nessuna proroga al 2020.

Stiamo parlando delle liste ormai vigenti dall’anno scolastico 2014/2015, che sarebbero dovute essere aggiornate alla fine del triennio 2014/2017, ma che l’articolo 1 comma 10-bis, della legge n.21, 2016, ne aveva previsto la proroga: “Il termine per l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento di cui all’articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, già aggiornate per il triennio 2014/2017, è prorogato all’anno scolastico 2018/2019 per il triennio successivo. Conseguentemente, le prime fasce delle graduatorie di istituto di cui all’articolo 5, comma 5, del regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 13 giugno 2007, n. 131, per il conferimento delle supplenze ai sensi dell’articolo 4, comma 5, della legge 3 maggio 1999, n. 124, sono aggiornate a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020. Restano fermi i termini per l’aggiornamento delle graduatorie di istituto di seconda e di terza fascia.

Permessi disabilità, rilevazione entro il 30 aprile 2019

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Ai sensi dell’articolo 24 della Legge n. 183 del 4 novembre 2010 le Pubbliche Amministrazioni, comprese le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, sono tenute a comunicare entro il 31 marzo di ogni anno una serie di informazioni riguardanti i propri dipendenti che hanno fruito dei giorni di permesso di cui alla legge 104/1992, destinati ai lavoratori dipendenti affetti da disabilità o che assistono parenti o affini disabili.

Quest’anno, a seguito di alcuni malfunzionamenti causati da sovraccarico del sistema, la scadenza per invio della comunicazione dei dati è prorogata al 30 aprile 2019.

In particolare, la rilevazione prevede che le scuole debbano indicare:

  • i nominativi dei propri dipendenti cui sono accordati i permessi;
  • la tipologia di permesso fruita (permessi fruiti dal lavoratore per se stesso o per assistenza a terzi);
  • per i permessi fruiti per assistenza a terzi,  il nominativo dell’assistito, l’eventuale rapporto di dipendenza da un’amministrazione pubblica e la denominazione della stessa, il comune di residenza dell’assistito nonché il rapporto di parentela o affinità che intercorre tra ciascun dipendente che ha fruito dei permessi e la persona assistita;
  • per i  permessi fruiti dal lavoratore padre o dalla lavoratrice madre, la specificazione dell’età maggiore o minore di tre anni del figlio;
  • il contingente complessivo di giorni e ore di permesso fruiti da ciascun lavoratore nel corso dell’anno precedente per ciascun mese, specificando, in particolare, le ore o frazioni di ore fruite per ciascuna giornata nel corso del mese di riferimento.

La trasmissione dei dati dovrà avvenire telematicamente sul portale PERLA PA, tenendo conto che vanno comunicati i permessi conferiti nell’anno precedente anche nel caso in cui non siano stati accordati permessi (dichiarazione negativa).

Prove Invalsi 2019, a maggio al via nella primaria e nelle classi II delle superiori

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Il mese di maggio vedrà impegnati nelle prove Invalsi gli studenti delle classi II e V delle scuole primarie, nonché delle classi II delle scuole secondarie di secondo grado.

In particolare, queste sono le date in cui si svolgeranno le somministrazioni:

  • II primaria (prova cartacea):
    • Italiano: 6 maggio 2019
    • Prova di lettura solo per le classi campione: 6 maggio 2019
    • Matematica: 7 maggio 2019
  • V primaria (prova cartacea):
    • Inglese: 3 maggio 2019
    • Italiano: 6 maggio 2019
    • Matematica: 7 maggio 2019
  • II secondaria di secondo grado (prova al computer – CBT): Italiano, Matematica
    • classi NON campione: dal 6 maggio 2019 al 18 maggio 2019
    • classi campione: dal 7 maggio 2019 al 10 maggio 2019

Scuola primaria

Questo è il materiale utile per il corretto svolgimento delle prove:

Classi campione di II e V primaria

Classi non campione di II e V primaria

Scuola secondaria di II grado

Di seguito invece il materiale per il grado 10 –  secondo anno scuola secondaria di secondo grado:

Classi campione di II sec. di II grado

Classi non campione di II sec. di II grado

Intesa Governo sindacati: Conte promette un fondo speciale per il personale scolastico

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

L’intesa fra Governo e sindacati sui problemi della scuola c’è: su questo non ci sono dubbi, così come non ci sono dubbi che nell’intesa si parli proprio di quei punti che i sindacati hanno messo alla base della proclamazione dello sciopero del 17 maggio prossimo.
Si tratta solo di capire se e come l’intesa potrà essere rispettata.

Il nodo degli stipendi

Il primo nodo riguarda, a nostro parere, la questione retributiva, e non è un nodo di poco conto. L’intesa dice che con la legge di bilancio 2020 verranno stanziate le risorse per il rinnovo contrattuale; anzi si dice che nella legge ci dovranno essere risorse specificamente destinate al personale scolastico.
Questo significa che con le prossime due leggi finanziarie ci dovranno essere non solo i soldi per i contratti di tutto il pubblico impiego (con l’ultima tornata contrattuale erano stati stanziati all’incirca 4 miliardi di euro) ma anche una quota specifica per la scuola.
Nel concreto ci vorranno non meno di 6 miliardi in due anni e il tempo per “trovarli” non è molto: agli inizi di ottobre la legge dovrà essere depositata in Parlamento e per la scuola si dovranno reperire anche altri soldi, ad esempio un paio di miliardi per ridurre il numero di alunni per classe (c’è il ddl della pentastella Azzolina che aspetta di essere finanziato) e un altro miliardo per continuare ad estendere il tempo pieno al sud e per poter assegnare un docente specializzato in educazione motoria e sportiva a tutte le scuole primarie e dell’infanzia (è la proposta del ministro Bussetti).

La regionalizzazione

Su questo tema l’intesa prevede la salvaguardia del sistema nazionale di istruzione, un sistema uniforme di reclutamento e la tutela dell’unitarietà degli ordinamenti statali: tutti aspetti, per la verità, che sono già previsti e garantiti dagli articoli 116 e 117 della Costituzione e che, anzi sono stati anche ribaditi da diverse sentenze della Corte Costituzionale.
Corte che, è bene ricordarlo, in più di una sentenza ha però anche sottolineato che le prerogative delle Regioni espressamente previste dall’art. 117 non possono in alcun modo essere compresse.
Su questa materia, l’intesa sindacati-Governo prevede anche che il reclutamento del personale continui ad essere regolato da norme di carattere nazionale (proprio su questo c’è già una sentenza della Consulta) ma nulla dice sulla possibilità delle regioni di intervenire sugli organici e sulla gestione del personale che è invece proprio ciò che chiedono Veneto e Lombardia e che viene contestato dalla stragrande maggioranza del personale della scuola. Insomma, la sensazione è che l’intesa sia piuttosto lontana dalle richieste di una parte consistente del mondo della scuola.

Precariato

Più semplice appare invece il percorso riguardante il personale precario per il quale già da tempo il Ministro aveva annunciato qualche possibile soluzione (per esempio posti riservati nelle procedure concorsuali o concorsi “facilitati” per chi ha già maturato 36 mesi di servizio).
Sta di fatto che, per il momento, i sindacati rappresentativi del comparto hanno sospeso lo sciopero, in attesa di conoscere le prossime mosse del Governo.
Ma la situazione è molto fluida e non si escludono novità già a partire dai prossimi giorni.

Il testo dell’intesa

25 aprile 1945

25 aprile 1945

di Maurizio Tiriticco

Commemorare il 25 aprile ormai accade, anno dopo anno, perché il 25 aprile di quel lontano 1945 segnò la fine della guerra nel nostro Paese, nonché la definitiva caduta del fascismo, rinato dopo l’8 settembre 1943, grazie al soccorso dei “camerati germanici”! Ma va anche ricordato che quell’8 settembre fu un giorno terribile per tutti gli Italiani! Illusi dal fatto che, dopo la caduta di Mussolini e il suo arresto – 25 luglio 1943 – la guerra sarebbe finalmente finita! Chi di noi non ricorda quel magnifico film con Alberto Sordi, diretto da Luigi Comencini, “Tutti a casa”? Lo stupore di un ufficiale italiano fu lo stupore di tutto un popolo! Stupore a cui seguiva però un interrogativo angoscioso: che cosa succederà?
Ricordo quegli eventi! Ero un ragazzo, che aveva appena concluso gli studi ginnasiali. In quella dolce e fresca serata dell’8 settembre – ancora tanto sole al Lido di Roma (così Mussolini aveva rinominato la cittadina di Ostia) – all’altoparlante posto nella piazza centrale della cittadina, Piazza Anco Marzio, le trasmissioni dell’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) si interrompono e… un annuncio solenne. «Attenzione. Attenzione. Sua Eccellenza il Capo del governo e Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio rivolgerà un proclama alla nazione.» Era la voce di Arnoldo Foà, come poi seppi a guerra finita. Seguirono le parole di Badoglio, sì, proprio del Maresciallo Badoglio in persona: quindi la notizia doveva essere più che importante. Eravamo tutti sospesi. E poi… delle parole secche, stentoree, scandite, anche con una voce un po’ chioccia… perché non era uno speaker: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».
FINALMENTEEE… CHETTRIPUDIODIGGIOIAAA… ENORME, GRANDISSIMA!!! Però nessuno considerò che cosa significasse e che cosa avrebbe comportato quell’ultimo periodo! Eventuali attacchi? Da chi? E perché? Difficilmente ho vissuto emozioni più intense, momenti più felici. In piazza c’erano anche dei soldati in libera uscita. Ma la gioia, purtroppo, ebbe breve durata! Nel giro di 24 ore l’esercito tedesco, già presente con più divisioni in Italia (sapemmo dopo che Hitler ormai non aveva più alcuna fiducia del Governo Badoglio) si impadronì dell’intero Paese, ormai allo sbando, soprattutto dopo la fuga del Re (il “re pippetto”, come lo chiamavamo per la sua bassa statura), di Badoglio e dell’intero governo. Il tradimento del governo del Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia si era consumato! Contro l’alleato tedesco e contro l’intero popolo italiano!
E, dopo l’occupazione militare, i tedeschi, con il concorso di quei fascisti che credevano, se non nella vittoria, nel dovere di non tradire gli impegni assunti quando si era istituto l’Asse Roma Berlino (primo novembre 1936) dettero vita ad un rinnovato partito fascista. Va dato atto che non erano affatto pochi coloro che ancora credevano nel fascismo e che la guerra contro gli Anglo-americani dovesse continuare, non tanto per una vittoria ormai più che incerta, quanto per un presunto onore da difendere. Ebbi amici che si arruolarono nelle formazioni fasciste “repubblichine”. Io avevo avuto la fortuna di nascere in un contesto famigliare in cui il fascismo era “tollerato”, se si può usare questa espressione, più che apertamente combattuto. Quella sigla PNF, Partito Nazionale Fascista, che tutti gli adulti, quindi anche mio padre, dovevano portare all’occhiello, dai più veniva letto “Per Necessità Famigliari”.
Il resto è noto. Venne ricostituito il partito fascista, venne costituita la Repubblica Sociale Italiana, RSI, il cui governo fu insediato in Salò. Ovviamente, il tutto sotto la “supervisione” dell’”alleato germanico”. Il resto è storia nota e non vado oltre. Nel giro di un paio d’anni la Germania fu sconfitta, la RSI si dissolse e Mussolini, fece la fine a tutti nota. Molti fascisti furono sorpresi e indignati del suo comportamento. Invece di affrontare il nemico, ormai alle porte di Milano, e le formazioni partigiane del CNLAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), eventualmente combattendo, o avviando trattative per un armistizio, preferì la fuga per ripararsi in Svizzera! Addio ai suoi slogan ai quali anch’io avevo creduto! Credere, Obbedire, Combattere! Se avanzo seguitemi! Se indietreggio, uccidetemi! Se mi uccidono, vendicatemi!
Quei lontani giorni di aprile del 1945! Che i nostri ragazzi forse studiano poco nelle scuole della nostra Repubblica, nata appunto dalla lotta contro il fascismo! E che anche i nostri attuali governanti non conoscono! Stante la crassa ignoranza che li contraddistingue! In realtà, che cosa possiamo pensare di loro? Ignoranti, saccenti e prepotenti! Ma purtroppo a tanti nostri concittadini piacciono! Il linguaggio “diretto” – cosiddetto: io direi superficiale – di un Salvini purtroppo afferra e illude il popolo! Come gli slogan del Duce! E’ l’aratro che traccia il solco, è la spada che lo difende! Libro e moschetto, fascista perfetto! Dio stramaledica gli inglesi! Vivere pericolosamente! Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori! Un linguaggio che Salvini ha rieditato e che purtroppo – penso – piace ad almeno certe parti della nostra popolazione! Molto più che una dettagliata relazione! Come si usava, invece, nei congressi dei partiti di un tempo! Ma chi governava allora, o intendeva governare, aveva un progetto, condiviso o meno! Questi governano – o meglio, sgovernano – alla giornata! E si scordano pure ciò che hanno detto e fatto il giorno prima! Insomma, RIBADISCO: NON CI MERITIAMO I GOVERNANTI ATTUALI, per la stessa storia del nostro Paese, quello che con tanta fatica abbiamo costruito dopo il 25 aprile 1945.
Una data che Salvini ricorda come un “derby”! Se non fossi malandato e rincoglionito, sporgerei una denuncia formale alla Procura della Repubblica! Un ministro che irride al 25 aprile!!! A quell’intero periodo della nostra storia per cui tanti dei nostri concittadini hanno dato anche la vita! Quante volte mi chiedo e scrivo: ma ai miei concittadini gli insegnanti hanno insegnato qualcosa della nostra ultima storia patria? Hanno mai fatto leggere una delle tante lettere dei caduti della Resistenza?
Ne voglio copiare una, tra le migliaia che esistono! Quella di Albino Abico, di anni 24, operaio fonditore, nato a Milano il 24 novembre 1919. Prima dell’8 settembre 1943 aveva svolto propaganda e diffuso stampa antifascista. Dopo divenne uno degli organizzatori del GAP (Gruppi di Azione Partigiana), 113a Brigata Garibaldi, di Baggio (Milano) del quale divenne comandante. Fu arrestato il 28 agosto 1944 da militi della legione “Ettore Muti”, un corpo militare della Repubblica Sociale Italiana, in seguito a delazione di un collaborazionista infiltratosi nel gruppo partigiano. Fu tradotto nella sede della “Muti” in Via Rovello a Milano, venne torturato e sommariamente processato. Venne fucilato lo stesso 28 agosto 1944 contro il muro di Via Tibaldi 26 a Milano, insieme a Giovanni Aliffi, Bruno Clapiz e Maurizio Del Sale.
Ecco il testo della sua lettera: “Carissimi, mamma, papà, fratello sorella e compagni tutti, mi trovo senz’altro a breve distanza dall’esecuzione. Mi sento però calmo e muoio sereno e con l’animo tranquillo. Contento di morire per la nostra causa: il comunismo e per la nostra cara e bella Italia. Il sole risplenderà su noi domani perché tutti riconosceranno che nulla di male abbiamo fatto noi. Voi siate forti come lo sono io e non disperate. Voglio che voi siate fieri ed orgogliosi del vostro Albuni che sempre vi ha voluto bene”.
Mi chiedo e chiedo a chi mi legge ma un Conte, un Salvini, un Di Maio che cosa sanno della nostra storia patria? Ricordo con orrore, sì con orrore, quando Conte, un Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, in un suo discorso confuse l’8 settembre con il 25 luglio!!! Però, mi chiedo anche: quanti del pubblico presente si accorsero di questo svarione? Immagino pochissimi, perché a scuola, purtroppo, si continua ad “arrivare” sì e no alla fine della prima guerra mondiale! Fatti salvi, ovviamente, tanti nostri insegnanti autenticamente antifascisti, democratici, repubblicani.
Evviva il 25 aprile!