Identità e diversità

Identità e diversità

di Maria Grazia Carnazzola

1. Diritto di nascita.

Alcino a Odisseo “Dimmi il nome con cui ti chiamano tuo padre e tua madre e quelli della tua città e coloro che vivono intorno”. “Sono Odisseo, figlio di Laerte”. In quell’universo raccontato nell’Odissea, che rappresentava se stesso e consentiva a ciascuno di rappresentarsi al suo interno, bastava il riferimento all’origine per connotare l’identità: un’identità data per intero alla nascita e immutabile fino alla morte, declinata nel paradigma dell’appartenenza. Il progetto esistenziale di ciascuno non dipendeva dalle volontà dei singoli, ma era controllato dalle tradizioni, dall’appartenenza familiare e sociale…con qualche rara eccezione, come ad esempio nell’antica Roma durante le feste decembrine in onore di Saturno, o in occasione del carnevale, feste che consentivano un travestimento e in cui la maschera era il veicolo della temporanea trasformazione. I carnevali e le maschere li abbiamo anche oggi, ma non si limitano a qualche periodo dell’anno. Oggi ciascuno ha, quasi sempre, la possibilità di essere l’artefice della propria identità, attingendo a un mercato di opzioni che possono condurre a continui e a volte paradossali modificazioni del corpo, della mente e dei comportamenti. Qualche volta può essere difficile scegliere, perché ogni scelta può tramutarsi in rimpianto; sappiamo che l’identità non è un “fatto” definitivo, ma un processo di continua ridefinizione delle combinazione di diverse componenti presenti contemporaneamente- familiare, etnica, religiosa, professionale, di gruppo- che possono interagire per diventare un progetto di vita- o esistenziale( Nietzsche, Heidegger…) , oppure diventare una successione di trasformazioni intercambiabili non finalizzate, fini a se stesse, con il rischio di adottare uno stile di vita frammentato che sfocia nella precarietà.

2. Gli elementi costitutivi.

L’elemento più problematico del concetto di identità è che con un’unica parola ci si riferisce contemporaneamente a ciò che è uguale a sé e a ciò che è diverso dagli altri: una persona ha caratteristiche proprie che la rendono differente da altre persone perché l’identità nasce dal rapporto dell’individuo, e della sua storia, con gli altri. Si possono individuare quattro grandi aree concentriche a cui fanno capo le identità. L’area dell’individualità a cui afferiscono i progetti e gli interessi personali; quella della socialità primaria (famiglia, scuola, lavoro…) che incide fortemente sui nostri atteggiamenti e comportamenti. C’è poi l’aspetto che identifica ciascuno di noi come membro di un macro-soggetto collettivo: identità etnica, religiosa, nazionale…, che costituiscono l’dentità secondaria, che si sovrappone a quella primaria; da ultimo, siamo parte di “una parte” di mondo- cultura occidentale, Europea…- e della specie umana. L’interrogativo che connota la prima area è “chi sono io”, domanda a cui solo l’individuo che se la pone può dare una risposta. Per le altre tre l’accento si sposta perchè sono largamente riconducibili alle domande “chi sono io per gli altri e chi sono gli altri per me”, in questi casi ciascuno risponde a seconda del peso che attribuisce alle diverse appartenenze: sono italiano, europeo, straniero, cattolico…

William James, il primo ad affrontare in modo sistematico il tema dell’identità, in una felice metafora sosteneva che l’identità è un torrente che ha confini ben netti nei confronti dell’ambiente che lo circonda, ha continuità nella sua lunghezza, si muove autonomamente sotto il proprio peso e impeto. La perdita di uno o più di questi aspetti del senso di identità genera disagio, senso di depersonalizzazione, ansia, a volte panico. In questo senso l’identità costituisce uno sforzo costante per trasformarsi senza contraddirsi, cosa non proprio facile.

3. No alla discriminazione, ma anche no all’ostentazione.

Zigmunt Bauman ne “La società dell’incertezza”, riprendendo un’affermazione di Richard Sennet, sostiene che “ … un uomo o una donna possono divenire nel corso della loro esistenza come stranieri a se stessi, assumendo atteggiamenti o percependo sentimenti che non si adattano al quadro di riferimento della propria identità fornito dai caratteri sociali apparentemente fissi della razza, classe, età, genere o etnia”. Nel corso della vita può capitare di perdere un’identità e di acquisirne un’altra: è un percorso complesso che ciascuno compie a partire dai primi anni di vita e che inizia ancora prima della nascita nell’immaginario dei genitori. L’abbozzo della propria identità avviene mentre si impara a riconoscersi come individuo distinto, apprendimento che avviene inizialmente attraverso il corpo dove si localizzano le tensioni, le sensazioni e le emozioni. Con l’emergere dell’identità corporea compare anche quella di genere e l’interesse per i modelli di femminilità e di mascolinità che si incontrano. Quello che avviene a livello motorio, sensoriale ed emotivo, avviene anche a livello cognitivo, in un movimento di relazioni fatto di opposizioni e di avvicinamenti, di aperture e di chiusure, di assimilazioni e di differenziazioni. Il ruolo dell’identificazione (con familiari in primis, altri adulti, amici, coetanei, con gli ideali culturali…) è fondamentale per l’interiorizzazione di norme e di modelli di comportamento che permettono dapprima di definire un “noi” e successivamente di riconoscere la propria identità, intesa come espressione della propria singolarità, nel pieno rispetto della singolarità dell’altro. I diritti sono i diritti civili uguali per tutti, non sono i privilegi. Gli stranieri, gli omosessuali, le persone con disabilità sono uomini e donne con le loro particolarità, cittadini e non specie protette come a volte alcune iniziative di questo o di quel partito possono far pensare. Così come le tutele giuridiche non sono sinonimo di uguaglianza sostanziale che può essere garantita solo attraverso l’educazione; e la prima istituzione educativa rimane la famiglia, nell’accezione più larga del termine. Ho letto e riletto il testo del DDL Zan, di nuovo rispetto a quanto contenuto nella Costituzione ho trovato solo parole. Wittgenstein aveva riconosciuto che il linguaggio non è isomorfo al mondo: aggiungere parole non è arricchire la realtà, così come modificarle o toglierle non significa cambiarla, ma con le parole si narra, si rappresenta una realtà che può essere diversa da come viene narrata. In questo caso specifico mi pare si confondano le cose, a discapito di persone che forse non intendono esibire le proprie specificità ma vogliono proteggere la propria privacy e vivere la vita come è diritto di tutti. Maschio e femmina sono evidenze biologiche; uomo e donna sono identità soggettive che riguardano il percorso individuale in un contesto culturale che situa la memoria e la storia di ciascuno, percorso che va rispettato e garantito sempre. Solo la conoscenza e l’educazione possono renderlo possibile. È evidente che nella collettività deve crescere il senso di rispetto e di responsabilità dei comportamenti, perché non si generino pensieri infausti di discriminazione o di darwinismo inconsapevole, o, ancora, di sgretolamento progressivo dei valori perché ciascuno guarda il suo cortile e si sgancia dalla comunità. Il DDL Zan potrebbe rappresentare un’occasione di riflessione per tutti e non occasione di ostentazione, in un senso e nell’altro, perché da una parte ci possono essere discriminazioni e offese vere, dall’altra l’eventualità di doversi discolpare senza prova della colpa, creando di fatto lo scontro di due diritti. Ovviamente non si può costringere alla responsabilità, ma si può insegnare a vedere nella responsabilità un guadagno per tutti.

4. Identità soggettiva e identità culturale.

Il concetto di identità soggettiva- conscia e inconscia- si combina con quello di identità culturale che è forse il primo aspetto fondante di ogni percorso di educazione-formazione-istruzione. Tornando alla citazione di Sennet, è evidente che l’insegnamento deve confrontarsi con la trama del concetto polimorfo di identità che si costruisce in contesti storici, geografici, culturali, con le dimensioni esistenziali delle esperienze soggettive e collettive, con il sistema dei valori e dei simboli. Per dirla con Claude Lévi-Strauss “il tema dell’identità si situa al punto di confluenza non di due semplicemente ma di più strade insieme, interessa praticamente tutte

le discipline” perché la cultura include i saperi, le credenze, l’arte, la morale, il diritto il costume e ogni altro aspetto che riguarda i membri di una società. Affrontare “scientificamente” i dibattiti presenti nella società permette ai ragazzi di comprendere il significato e il senso di quanto accade intorno per farsi un’idea che permetta loro di operare delle scelte e di assumersi impegni e responsabilità, nei confronti di sé e degli altri. Intraprendendo quel passaggio dalla totale accettazione dei valori parentali, alla fase di diffusione dell’identi, a quella di moratoria e di giovane adulto (E. Erikson) che consente di fare scelte strategiche, compromessi, transazioni, di accogliere tensioni e conflitti chiedendosi sempre “perché”. Di impegnarsi nello sforzo di realizzare una continuità nel cambiamento: da quello che si era a quello che si pensa di essere nei progetti per il futuro, preparandosi ad assumere il ruolo che altri, intorno a lui, già ricoprono. Percorso non semplice in questo tempo che è fondato più sul consumo (anche delle identità) che sulla produzione: quando si è convinti che la propria identità possa essere cambiata, aggiustata, modificata, allora si può diventare ansiosi perché non sicuri di aver fatto la scelta giusta e si avverte il bisogno di ottenere il riconoscimento degli altri e la validazione dell’identità esibita.

5. L’impercettibile erosione dei principi democratici.

Rendersi conto di chi si è, di dove si vive, di quello che succede e di ciò che si fa è il primo passo, ma non basta: mostrarsi inclusivi per definirsi progressisti, non significa esserlo realmente. C’è la necessità di allargare e approfondire il discorso attraverso il confronto e la mediazione, per una visione “dall’alto” che permetta di guardare gli eventi del reale nella loro complessità. Il rischio è di far sempre più posto al sensazionale a discapito del normale, presentando come nuove cose che nuove non sono e disorientando con l’eccesso e l’incalzare insostenibile delle informazioni. La sostenibilità non riguarda solo l’ambiente: è per noi, per la vita. Verifichiamo ogni giorno come l’ambiguità eroda impercettibilmente i principi democratici e la fiducia nelle Istituzioni. Si può normare tutto, sanzionare- giustamente- comportamenti offensivi, ma il rispetto e la responsabilità sono valori che passano attraverso l’esempio, sono frutto e oggetto dell’educazione. Insegnare ad essere “pro” e non “anti” potrebbe essere un inizio, ma per insegnarlo bisogna saperlo fare: i pavidi, gli indecisi, possono insegnare il coraggio?

Che la Scuola debba contribuire all’educazione è pacifico: sul cosa insegnare probabilmente siamo quasi tutti d’accordo, il problema rimane il come, per “costruire” la consapevolezza;

– che la bontà di una legge non si giudica dalle intenzioni di chi la propone, ma dagli effetti che produce; che gli effetti sono le conseguenze fattuali e non sono gli obiettivi; che i fatti – in sé- non sono né morali né amorali. Che il diritto dovrebbe rappresentare il punto di equilibrio tra posizioni sociali anche contrapposte, indipendentemente dal peso del partito o gruppo di riferimento; che una sentenza riguarda il diritto e non la morale;

– che la scuola stessa è un bene pubblico e come tale deve essere pensata e gestita. Si fonda su un patto sociale e politico, sulla condivisione mediata di principi e di paradigmi che connotano “un sistema” che sarà gestito su una linea di continuità dall’alternanza degli schieramenti di partito, finchè quei principi saranno proficuamente praticabili;

– che le parole rappresentano il mondo e che più parole usiamo, maggiori possibilità di rappresentazione e di scambio informativo abbiamo. Usiamo parole per identificare evidenze scientifiche (maschio, femmina, sesso, razza) e altre parole che appartengono all’universo delle scienze umane (uomo, donna…) e che a usare le parole si impara. Che l’informazione è importante ma non deve essere settoriale se vuole “dare una forma” al dibattito, comprensibile a tutti;

– che bisogna dare ai ragazzi gli strumenti per una cittadinanza attiva da praticare, insegnando ad utilizzare le fonti, come ad esempio i motori di ricerca, per orientarsi – verificandone l’attendibilità- distinguendo i fatti dalle opinioni, per non farsi prendere nei meccanismi della bolla.

BIBLIOGRAFIA
Baumann Z., La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999;
Mead C. H., Mente, Sé e Società, Ed. Giunti, Firenze 1968;
Lévi-Strauss C., L’identità, Sellerio, Palermo 1980;
Erikson E., Identity: Youth and crisis, Norton, New York 1998;
Morin E., L’identità umana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002; Jung C.G., Tipi psicologici, Bollati Boringhieri, Milano 1977;
James W., Principi di psicologia, Società Editrice Libraria, Milano 1901;

Il nuovo reclutamento dei Docenti

Un’amara riflessione sul nuovo reclutamento dei docenti previsto dall’art. 59 del Decreto Sostegni bis n. 73

di Pietro Boccia

La scuola italiana, governata con superficialità e senza obiettivi educativi, ha, oggi, con l’articolo 59 del Decreto Sostegni bis n. 73, relativo al nuovo percorso di reclutamento, raggiunto il punto di non ritorno.

Prima di tutto valutare le competenze disciplinari di un candidato è inutile e non garantisce per niente la professionalità di un docente.

Poi escludere dalla partecipazione al concorso, per eventuali immissioni in ruolo, anche i precari della seconda fascia dei GPS con 36 mesi di servizio, è candidare l’Italia a nuove e giuste condanne da parte dell’Unione europea.

Tutti, inoltre, dovrebbero sapere che le competenze disciplinari per chi intende insegnare sono acquisite e assicurate attraverso un lunghissimo percorso di frequenza scolastica (a partire dalle scuole dell’infanzia – campi di esperienza – sino al diploma di laurea – discipline -).

Diventa, allora, fondamentale da parte del ministero verificare, invece, il possesso delle competenze culturali e professionali di chi vuole intraprendere l’arte dell’insegnamento. L’insegnante, oggi, deve, infatti, nella società complessa, saper progettare, orientare, comunicare, valutare, impiegare metodologie adeguate, certificare le competenze, includere, gestire la classe e motivare a pensare criticamente. L’input è, in tal senso, stato, in verità, offerto dal D.lgs n. 59/2017.

La scuola italiana con l’avvento dell’ideologia neoliberista ha subìto un lungo processo di aziendalizzazione, iniziato negli anni Novanta del Novecento (con i ministri Lombardi e Berlinguer) e conclusosi con la Legge n. 107, nel 2015. Soltanto il ministro Valeria Fedeli, pur in possesso di un semplice diploma della scuola magistrale (triennale), dimostra, senza eclatanti titoli accademici, intelligenza sul campo e stabilisce, nel 2017, con una normativa, che, per poter svolgere la funzione e il ruolo di docente, bisogna, attraverso non solo una formazione teorica e pratica ma anche con l’acquisizione delle competenze antropo-psico-pedagogiche e metodologico-didattiche, possedere elevate capacità a livello culturale e professionale.

E’ opportuno semplificare, anche con una sola prova, le procedure ma i contenuti sono sostanza per far acquisire identità, funzione e ruolo ai futuri docenti e alle istituzioni scolastiche per formare, nella società complessa, innanzitutto cittadini autonomi e consapevoli e poi produttori e lavoratori. Bisogna, inoltre, rendere il reclutamento del personale stabile e funzionale non con utopici concorsi annuali ma biennali e con doppio canale (all’espletamento del concorso tutti i posti disponibili per le nomine in ruolo siano destinati ai vincitori ben posizionati in graduatoria; gli altri che hanno superato la prova o le prove entrino in una graduatoria permanente del doppio canale e soggetta al rinnovo ogni due anni. Da questa graduatoria attingere il personale per il ruolo durante l’anno in cui non viene espletato il concorso).

Nel 2017, il ministo Fedeli, attraverso il D.lgs. n. 59 (Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’art. 1, commi 180 e 181, lett. b, della Legge 13 luglio 2015, n.107):

– riordina, adegua e semplifica il sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’art. 1, commi 180 e 181, lett. b, della Legge 13 luglio 2015, n. 107;

– introduce, poi, una nuova procedura per la formazione iniziale e per il reclutamento dei docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado.

Nel Decreto è prevista anche una fase transitoria per la stabilizzazione dei docenti già abilitati e/o con almeno tre anni di servizio come supplenti.

L’art. 2 parla del sistema di formazione iniziale e di accesso, organizzato in:

– un concorso pubblico nazionale, indetto su base regionale o interregionale;

– un successivo percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente, di seguito denominato «percorso FIT» (Formazione Iniziale e Tirocinio), differente fra posti comuni e posti di sostegno, destinato ai soggetti vincitori del concorso;

– una procedura di accesso ai ruoli a tempo indeterminato, previo superamento delle valutazioni intermedie e finali del percorso formativo.

L’art. 2 del presente Decreto viene, però, già annebbiato con il ministro Marco Bussetti dalla Legge di bilancio 2018, perché il termine FIT diventa «percorso annuale di formazione iniziale e prova».

Il percorso FIT del D.lgs. n. 59/2017 si articolava, invece, in:

– un primo anno, finalizzato al conseguimento del diploma di specializzazione per l’insegnamento nella scuola secondaria o in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno didattico e l’inclusione scolastica;

– un secondo anno di formazione, tirocinio e primo inserimento nella funzione docente; – un terzo anno di formazione, tirocinio e inserimento nella funzione docente.

Il percorso era realizzato attraverso una collaborazione strutturata e paritetica fra scuola, università e istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, denominate «istituzioni AFAM», con una chiara distinzione dei rispettivi ruoli e competenze.

La collaborazione si esplicitava nella progettazione, gestione e monitoraggio del percorso FIT, effettuati tramite gli appositi organi collegiali a carattere regionale.

Il percorso FIT aveva l’obiettivo di sviluppare e rafforzare nei futuri docenti:

– le competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, in relazione ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza fissati per gli studenti;

– le competenze proprie della professione di docente, in particolare pedagogiche, relazionali, valutative, organizzative e tecnologiche, integrate in modo equilibrato con i saperi disciplinari;

– la capacità di progettare percorsi didattici flessibili e adeguati al contesto scolastico, al fine di favorire l’apprendimento critico e consapevole e l’acquisizione delle competenze da parte degli studenti;

– la capacità di svolgere con consapevolezza i compiti connessi con la funzione docente e con l’organizzazione scolastica.

Il percorso FIT era progettato e realizzato in coordinamento con il Piano nazionale di formazione, di cui all’art. 1, co. 124, della Legge 13 luglio 2015, n. 107.

Si veniva immessi in ruolo, secondo il D.lgs. n. 59, nel rispetto della programmazione del fabbisogno delle istituzioni scolastiche, solo per mezzo di un pubblico concorso, bandito con cadenza biennale a partire dal 2018.

La partecipazione era aperta ai neo-laureati che fossero in possesso di almeno ventiquattro crediti nell’ambito psico-pedagogico-antropologico-didattico e nelle metodologie e tecniche didattiche.

Il concorso prevedeva due prove scritte e una prova orale. La prima sulla disciplina della classe d’insegnamento, la seconda sull’ambito psico-pedagogico) e la prova orale sulle discipline, la lingua straniera e l’informatica. I partecipanti al concorso per sostegno dovevano sostenere anche una terza prova scritta sulla didattica speciale, punto modificato dalla Legge di bilancio 2018 (oggi prova scritta e prova orale).

Il percorso FIT aveva una durata triennale, secondo la normativa del D.lgs. n. 59, e vi potevano accedere i vincitori di concorso, in due scaglioni annuali successivi. Il primo anno si svolgeva nelle strutture universitarie con alcuni periodi di tirocinio presso le istituzioni scolastiche.

Tale percorso faceva conseguire il diploma di specializzazione all’insegnamento nella propria classe di concorso o nel sostegno. Il percorso FIT aveva la durata di dieci mesi, con un compenso di circa 600 € mensili.

Nel secondo anno si aveva una forma d’integrazione tra la formazione e il tirocinio. In tale fase era, inoltre, possibile avere incarichi di supplenze brevi (max 15 giorni).

Anche il percorso del secondo anno aveva la durata di dieci mesi, con un compenso di circa 600 € mensili.

Al terzo anno era assegnato un incarico annuale a tempo determinato con la relativa retribuzione.

Il candidato, valutato positivamente al termine del primo e del secondo anno, era, in base all’art. 13, co. 3, del D.lgs. n. 59/2017, modificato dalla Legge di bilancio 2018, assegnato, in caso di valutazione finale positiva, all’ambito territoriale presso il quale aveva prestato servizio nel corso del terzo anno del contratto e gli era attribuito un incarico triennale, ai sensi dell’art. 1, commi dal 79 all’82, della Legge 13 luglio 2015, n. 107, ed era assunto a tempo indeterminato.

Il percorso FIT aveva lo scopo assicurare un’adeguata formazione e qualificazione professionale ai docenti.

Il D.lgs. n. 59/2017 stabiliva anche che chi non risultava vincitore di concorso, purché a proprie spese e nell’ambito del contingente previsto dal Ministero, poteva iscriversi per conseguire il corso di specializzazione.

Nella fase transitoria si aveva l’immissione in ruolo attraverso le GAE (Graduatorie ad esaurimento) per il 50% e le graduatorie del concorso 2016 (considerando gli idonei) per il 50%. Il D.lgs. n. 59 (art. 17) prevedeva, nel 2018, una tantum, riservato ai docenti già abilitati (presenti in GAE e in seconda fascia).

Erano sottoposti alla sola prova orale e, dopo un anno di prova, venivano assunti a tempo indeterminato. Nel 2019 era previsto un concorso con una prova scritta e una orale, riservando un 10% di posti ai precari con almeno tre anni di servizio e iscritti nelle terze fasce d’istituto (modificato prima dalla legge di bilancio 2018 e poi, attraverso una serie di cambiamenti, pubblicato nella Gazzetta ufficiale lo scorso 10 luglio 2020, integrando e modificando il Decreto direttoriale n. 510 del 23 aprile 2020).

Per i vincitori era previsto un percorso FIT (Formazione iniziale e tirocinio) di due anni.

Successivamente il concorso straordinario per la scuola secondaria era previsto dal Decreto legge scuola n. 126 convertito nella Legge n. 159 del 20 dicembre 2019.

Erano previsti due bandi, uno con procedura per il ruolo, un altro per i docenti che partecipavano solo a fini abilitanti. Nello stesso anno (2019), il decreto prevedeva l’inizio della procedura concorsuale ordinaria.

In linea con quanto previsto dall’art. 5 del D.lgs. n. 59 del 2017 (Requisiti di accesso al concorso per l’ammissione al nuovo istituzionale percorso FIT), a coloro che avebbero superato le prove di esame, previste per i singoli insegnamenti inseriti nei moduli proposti, verrebbe rilasciata la certificazione per un totale di almeno 24 crediti formativi universitari (CFU), nelle discipline antro-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche.

Facendo qualche condiderazione critica il docente oggi e soprattutto il futuro docente, a qualsiasi concorso della scuola indirizzato, dovrebbe sapersi cibare dei contenuti proposti dalla psicologia, dalla pedagogia e dalla metodologia.

Nulla dovrebbe essere lasciato all’improvvisazione perché la scuola è vita, respiro, condivisione, apertura, relazione di aiuto in ogni senso e soprattutto infinita professionalità.

Come le competenze hanno fatto il pieno delle conoscenze e delle abilità, così il sapere non può non diventare sempre di più saper fare.

E’ un assurdo concepire il vissuto scuola senza cibarsi della storia della pedagogia e dei canoni della pedagogia generale. Il bambino prima e l’adolescente poi possono essere compresi e guidati mai fuori dall’orbita della loro età cronologica e mentale.

Ecco allora l’aiuto della psicologia e delle proposte fasi dell’età evolutiva.

E’, dunque, una storia infinita di proposte che bisogna conoscere e che sono l’anticamera di una didattica e di una metodologia al passo con i tempi. Via allora all’insegnamento “costruito” e significativo, a un rapporto apprendimento/insegnamento diversificato e vivo, con l’allievo sempre più protagonista, costruttore di conoscenze, attraverso al ricerca, e capace di vivere in modo consapevole le nuove esperienze e strategie di tecnologie maggiormente innovative e per certi versi rivoluzionarie che sanno godere dei benefici proposti dall’informatizzazione.

Chi è deputato, per scelta e convinzione, a condividere il percorso della “scuola” deve essere pronto a dare risposte esaurienti e convincenti, con la consapevolezza che solo una “forte” preparazione può assicurare in ognuno il successo scolastico e formativo.

Il Ministero ha, con il D.lgs. n. 59/2017, voluto dare indicazioni precise e mirate, considerando che solo una perfetta integrazione delle competenze antropo-psico-pedagogiche e metodologico-didattiche e di tutte le discipline può garantire una sana gestione del vissuto scuola.

Le conoscenze e le competenze sono frutto di un disegno strategico verso la consapevolezza che si rende necessaria per una stretta connessione tra teoria e pratica.

Conto consuntivo 2020

la Nota 10 marzo 2021, AOODGRUF 5467, tenuto conto del perdurare dell’emergenza sanitaria in corso e del connesso aumento dei carichi di lavoro delle segreterie scolastiche per adempiere a tutti i protocolli ed i monitoraggi attivati, nonché dell’immissione in ruolo di circa 1.500 Direttori dei Servizi Generali ed Amministrativi (DSGA) neo-assunti, dispone – in via del tutto eccezionale per l’anno 2021 – la proroga di 30 giorni di tutti i termini previsti all’art. 23, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del Decreto Interministeriale 28 agosto 2018, n. 129.

Ne consegue che le istituzioni scolastiche provvedono all’approvazione del conto consuntivo 2020 secondo le tempistiche di seguito indicate:

  • entro il 15 aprile 2021, le istituzioni scolastiche predispongono il conto consuntivo e la relazione illustrativa da sottoporre all’esame dei revisori dei conti;
  • entro il 15 maggio 2021, i revisori dei conti esprimono il parere di regolarità amministrativo- contabile sul conto consuntivo con apposita relazione;
  • entro il 30 maggio 2021, le istituzioni scolastiche provvedono all’approvazione del conto consuntivo.