Risposte ad ulteriori quesiti sull’insegnamento dell’educazione civica

Risposte ad ulteriori quesiti sull’insegnamento dell’educazione civica

di Gennaro Palmisciano (*)

Il presente documento contiene risposte alle richieste di chiarimento di portata ed interesse generale pervenute in merito all’insegnamento dell’educazione civica. Si veda anche Risposte a quesiti sull’Educazione civica

L’insegnamento dell’educazione civica può essere affidato ad un solo docente del team o del consiglio di classe?

Assume rilievo la qualificazione trasversale dell’insegnamento presente in tutti gli atti che disciplinano l’educazione civica, dalla legge 92 del 2019, alle linee guida, ad alcune circolari.

Pertanto, non appare coerente con lo spirito dell’introduzione di un insegnamento trasversale individuare un solo docente con particolare riferimento  alla scuola primaria. Al contrario, ai dirigenti scolastici è offerta un’importante occasione per orientare team e consigli di classe verso assetti cooperativi tanto nella programmazione, tanto nella realizzazione, tanto nella valutazione dell’insegnamento dell’educazione civica.

Può essere coinvolto nell’insegnamento dell’educazione civica un insegnante di religione quando nella classe sono presenti non avvalentesi?

Il caso non è disciplinato specificamente. Se non si vuole segmentare il gruppo classe, si può far presente ai genitori dei non avvalentesi che l’insegnante di religione in quelle ore si dedicherà  all’insegnamento dell’educazione civica e allo sviluppo del senso civico. In caso di opposizione dei genitori e quando appare opportuno segmentare il gruppo classe, gli alunni non avvalentesi seguiranno un percorso equipollente con l’insegnante di materia alternativa o autonomamente (in caso di studio autonomo) adeguatamente valutati, in modo che elementi di giudizio siano forniti al docente coordinatore per l’educazione civica. Comunque, si ha notizia di numerose istituzioni nelle quali gli insegnanti di religione sono coinvolti validamente nell’insegnamento. In dette realtà viene segnalato agli alunni non avvalentesi opportunamente quando l’insegnante di religione svolge l’educazione civica e quando, invece, l’insegnamento della religione cattolica. Sono meno numerose le scuole nelle quali l’insegnante di materia alternativa cura l’educazione civica per i non avvalentesi.

Quale insegnante deve proporre l’adozione di un libro di testo per l’educazione civica?

Sebbene il caso non sia regolamentato, in primo luogo va sottolineato che competente per la proposta di adozione è il consiglio di classe, la quale è ratificata dal collegio dei docenti. Praticamente, la  proposta di adozione di un libro di testo per l’educazione civica può essere formulata dal docente che intende utilizzarlo, per il tramite del docente coordinatore di classe per l’educazione civica. Si ritiene che l’indicazione di un testo consigliato vada comunque deliberata  dagli organi collegiali, anche se non incide sullo sforamento del tetto di spesa.

Un docente svolge 25 ore annuali di educazione civica, mentre altri 8 docenti un’ora ciascuno. Deve essere prevista una valutazione ponderata?

La normativa non obbliga né ad adottare né a non adottare griglie ponderate al numero di ore svolte. Come per gli obiettivi specifici di apprendimento e per i traguardi intermedi, anche in questo caso le scuole autonome hanno facoltà di scegliere gli strumenti ritenuti più confacenti alla comunità educante di riferimento, i quali possono essere rielaborati da un anno all’altro entro il 31 ottobre insieme al PTOF. Quindi è opportuna una riflessione in merito da parte dei collegi dei docenti.

Dopo il primo triennio di applicazione dell’insegnamento è previsto che il ministero definisca obiettivi e risultati di apprendimento a livello centrale: “la valutazione dell’insegnamento di educazione civica farà riferimento agli obiettivi /risultati di apprendimento e alle competenze che i collegi docenti, nella propria autonomia di sperimentazione, avranno individuato e inserito nel curricolo di istituto.

A partire dall’anno scolastico 2023/2024 la valutazione avrà a riferimento i traguardi di competenza e gli specifici obiettivi di apprendimento per la scuola del primo ciclo, gli obiettivi specifici di apprendimento per i Licei e i risultati di apprendimento per gli Istituti tecnici e professionali definiti dal Ministero dell’istruzione” (dalle Linee guida).

Il voto di condotta deve esprimersi anche in quello dell’ educazione civica e viceversa?

Il combinato disposto dell’articolo 2, comma 5 e dell’articolo 1, comma 3 del D. Lgs. 62/2017, relativamente al primo ciclo di istruzione, prevede che la valutazione del comportamento “si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto educativo di corresponsabilità e i Regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche, ne costituiscono i riferimenti essenziali”.

Si ritiene pertanto che, in sede di valutazione del comportamento dell’alunno da parte del Consiglio di classe, si possa (e non debba) tener conto anche delle competenze conseguite nell’ambito del nuovo insegnamento di educazione civica e, viceversa, in sede di valutazione dell’educazione civica si possa (e non debba) tener conto del voto di condotta. Alcuni collegi dei docenti hanno adottato un indicatore del voto di educazione civica al riguardo, denominato comportamento civico.

Chi corregge le prove per il saldo del debito in educazione civica?

Va premesso che il voto di educazione civica concorre all’ammissione alla classe successiva e/o all’esame di Stato del primo e secondo ciclo di istruzione e, per le classi terze, quarte e quinte degli Istituti secondari di secondo grado, all’attribuzione del credito scolastico; e che compito principale degli insegnanti è accompagnare gli alunni al successo formativo.

“Nel caso in cui il voto di profitto dell’insegnamento trasversale di Educazione civica sia inferiore ai sei decimi, opera, in analogia alle altre discipline, l’istituto della sospensione del giudizio di cui all’articolo 4, comma 6 del d.P.R. n. 122 del 2009.

L’accertamento del recupero delle carenze formative relativo all’Educazione civica è affidato, collegialmente, a tutti i docenti che hanno impartito l’insegnamento nella classe, secondo il progetto d’istituto” (Nota M.I. n. 699 del 6/5/2021).

Nell’ipotesi si spera remota e residuale, ma pur possibile, di un debito, le prove per verificarne il saldo  vengono valutate da chi dovrebbe averle preparate, ovvero tutti gli insegnanti coinvolti nell’insegnamento, salvo diversa regolamentazione interna.

(*) Dirigente ispettore tecnico

La Irradiazione dei Virus con Luce Ultravioletta

La Irradiazione dei Virus con Luce Ultravioletta

di Paolo Manzelli

Nello spettro elettromagnetico, l’ultravioletto (UV) ovvero nelle lunghezze d’onda tra i 100 e i 400 nanometri (10-400 nm) , si colloca tra la banda del visibile (400-700 nm ) e le emissioni a raggi X Da 10 nm fino ai picometri) .

Questo intervallo di lunghezze d’onda UV è stato ulteriormente suddiviso in UVA (320-400 nm); UVB (280-320 nm) e UVC (100-280 nm)

La Irradiazione con Frequenze UV puo’ essere realizzata anche utilizzando, anziche Lampade a Vapori di Mercurio , le sorgenti puntiformi LED la cui area di illuminazione viene ampliata con apposite lenti .

Sono in uso Lampade di Irradiazione anti.Covid.19 LED-UVC tra 275-280.nm- che sostituiscono le Lampade UVC , diminuendo le spese energetiche.

Sono sufficienti pochi minuti di irradiazione per inattivare il Virus Sars.Cov.2 da un ambiente chiuso ( aule delle Scuole. stanze di Ospedali ed Industrie , ecc.. che debbono rimanere esenti , durante il periodo di Irradiazione, della presenza di persone .

Con la Irradiazione Ultravioletta si puo’ intattivare il Virus anche da Superfici , Aria e Acqua , con la modulazione di metodologie appropriate .

Certamente la attenzione e importante per la protezione per gli operatori della Irradiazione degli ambienti con Radiazioni UVC , in quanto   la radiazione UV e invisibile all’ occhio umano e non dà alcuna sensazione termica, e in vero sono suffìcienti pochi secondi di esposizione per provocare danni di severa infiammazione ad occhi e alla cute, inoltre è essenziale ricordare che una esposizione ripetuta UVC è cancerogena .

Inoltre come afferma uno studio della Universita di Siena è inoltre possibile inattivare il Virus sars Cov.2 , (con persone in presenza) , utilizzando  un insieme di luce visibile Blu e luce UVA , compreso   tra i 380 e 405 nm  .

Rf.1.)_https://stream24.ilsole24ore.com/video/economia/coronavirus-luce-led-blu-che-inattiva-sars-cov2/ADGK0yq ….

Infine , anche la esposizione Solare di Frequenze Visibili e UVA .in ambiente aperto, sappiamo che interferisce sull’ abbattimento della diffusione del virus Pandemico e pertanto diviene  necessario demandarci perche’ queste conoscenze di irraggiamento per la inattivazione e disinfettazione ambientale del Virus Sars Cov.2.,  non siano  state a tutt’oggi sistematicamente utilizzate, per disinfettare (assieme ad apparecchiature di ventilazione) gli ambienti chiusi come ad esempio quelli ospedalieri nonche’ quelli delle ambulanze per i trasporti del malati da covid 19. , cosi come di tanti altri casi necessari a sanificare gli ambienti chiusi al fine di favorire un netto calo dei contagi virali.

Quel che non è stato detto…

Quel che non è stato detto e che il ministro attende di sentirsi dire

di Fancesco G. Nuzzaci

1. Nell’incontro tenutosi con il ministro Bianchi il 7 maggio, trasmesso in diretta streaming e riascoltabile su https://www.youtube.com/watch?v=NYJqDeuPz5w, le sigle sindacali FLC CGIL, Cisl Scuola, Uil scuola RUA e SNALS Confsal, come corpo unico e a una sola voce, gli hanno esposto le problematiche della dirigenza scolastica.

Si è parlato di rinnovo del CCNL, che dovrebbe realizzare il completamento della perequazione retributiva rispetto alle dirigenze di pari seconda fascia presenti nella composita area Istruzione e Ricerca e nell’area delle Funzioni centrali (dove sono collocati i dirigenti amministrativi e tecnici del Ministero dell’istruzione); delle questioni legate alla definizione degli organici (dovendosi assicurare a ogni istituzione scolastica un proprio DS e un proprio DSGA) e alla mobilità sia regionale che interregionale, per un celere rientro degli esiliati; della rivisitazione della normativa sulla sicurezza a scuola per sollevare i dirigenti dalle pesanti responsabilità per carenze e inadempienze degli enti locali proprietari degli edifici e tenuti alla loro manutenzione; delle molestie burocratiche riversate sulle scuole, costrette a defatiganti adempimenti impropri; del mancato supporto delle strutture periferiche dell’Amministrazione; e di altro ancora.

Nella replica il ministro ha evidenziato alcune misure già attuate e richiesto la propositiva collaborazione degli interlocutori sugli altri necessari percorsi da intraprendere per la soluzione delle segnalate criticità, tutti integranti il Patto per la scuola al centro del Paese, in via di sottoscrizione con le diverse confederazioni sindacali.

E proprio riguardo alla propositiva collaborazione ha egli manifestato la propria sorpresa per non essere stata profferita neanche una parola su due argomenti di non poco momento: i collaboratori dei dirigenti scolastici, altrimenti detto Middle Management, e il reclutamento e formazione del personale, includenti i dirigenti scolastici. E dunque attendendosi che una parola ci sia, su un articolato testo scritto e in tempi brevi.

Le sollecitate sigle sindacali presumibilmente vi provvederanno entro i quattro giorni richiesti. Ma intanto proviamo a ri-dire la nostra sui due temi e invertendone l’ordine a mero scopo espositivo.

2. Confortati dalla lettura delle linee programmatiche del suo ministero, che il prof. Bianchi ha esposto nell’audizione tenutasi il 4 maggio u.s. davanti le commissioni VII di Camera e Senato congiunte, restiamo fermi su alcuni punti basilari.

2.1. Una pubblica amministrazione efficiente – e pubblica amministrazione è ogni singola istituzione scolastica, ex art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/2001 – senza dubbio richiede di attivare e implementare organici sistemi di reclutamento, conformi a Costituzione e senza scorciatoie o sanatorie variamente camuffate e finanche in assenza dei titoli di studio prescritti dalla legge, ora richiamandosi a ragione giustificante l’emergenza; seguiti da mirati percorsi di formazione e ricorrente aggiornamento di tutto il personale: dai dirigenti ai collaboratori scolastici e ulteriori figure di affiancamento e supporto, perché possa compiutamente adempiersi ai sempre più eterogenei compiti significati dalla normativa.

In particolare, per chi deve dirigere le istituzioni scolastiche, vanno rivisti i requisiti di accesso, pur mantenendosi la provenienza dalla docenza, evidentemente finché piaccia al Legislatore assicurare la confidenza con i processi educativi, l’affinità di linguaggio con i professionisti della formazione che si devono coordinare, la familiarità con i peculiari contesti organizzativi (P. ROMEI).

Al riguardo va ripristinato il sistema di reclutamento nazionale con affidamento al Ministero dell’istruzione, inteso nella sua struttura centrale, di certo non fondato su quiz a risposta multipla o su quesiti la cui soluzione sia contenuta entro un tot righi e in tempi cronometrati.

Già  previsto dal decreto legge 104/2013 e legge di conversione 128/2013, sperimentato nell’ultimo concorso, lo si è poi  improvvidamente restituito al livello regionale dal decreto legge 126/2019  e legge di conversione 159/2019, col solo effetto d’irrigidirlo, senza alcuna esigenza di sistema,incardinandolo negli uffici scolastici regionali: e con il fondato rischio  di dover ri-registrare le abnormi difformità dei criteri di valutazione e di conseguenti graduatorie chilometriche (magari poi trasformate in permanenti) ovvero talmente esigue da non poter coprire i posti – localmente – messi a concorso, in disparte la reviviscenza di possibili spinte clientelari e/o di veri e propri fenomeni corruttivi.

2.2. Ancor più grave, seppure non immediatamente percepibile, è lo svilimento della dirigenza scolastica – la più gestionale tra le dirigenze pubbliche – per essere stata sottratta a ogni rapporto, quanto meno nella formazione, con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, dotatadi expertise nelle materie di carattere manageriale, di sviluppo delle risorse umane, di innovazione e digitalizzazione, nonché finanziarie-economico-statistiche, e in senso lato riferibili alle scienze dell’organizzazione: tutte attingenti quelle competenze di regola non adeguatamente possedute da chi proviene dalla funzione docente e nella cui nuova veste non gli si richiede di essere – riduttivamente – un semplice coordinatore della didattica.

Se si condivide l’assurdità di collaboratori scolastici che diventano, per contratto o per semplici intese, assistenti amministrativi e assistenti amministrativi che diventano DSGA, si stimerà che non è meno assurdo pensare, e pretendere, che ora un “semplice concorso per titoli ed esami” – com’è scritto nella relazione tecnica al menzionato decreto legge 126/2019 – basti a formare un dirigente “a tutto tondo e onnisciente, che deve cioè sapere di pedagogia, di organizzazione aziendale, di psicologia, di contabilità, di relazioni sindacali, di gestione del personale, di anticorruzione, di gestione dei sinistri scolastici, di polizze assicurative, di gare e appalti, di finanziamenti comunitari, di contratti pubblici, di relazioni con gli enti locali poco collaborativi (e sovente latitanti e arroganti), di accesso agli atti e trasparenza, di privacy, di gestione di dati sensibili, oltre a relazionarsi ogni giorno con docenti, alunni e genitori sempre più invasivi”(V. TENORE, Il  dirigente scolastico e le sue competenze giuridico-amministrative, Anicia, Roma, 2017, p. 27 ).

2.3. Accanto al reclutamento e alla formazione si pone l’irrisolto – e pare irresolubile –  problema della valutazione. Sul quale le quattro sigle sindacali hanno completamente glissato.

L’ultimo organico intervento legislativo in materia – D. Lgs. 150/2009, c.d. riforma Brunetta, sulla valutazione della performance sia individuale che della struttura organizzativa e sull’attribuzione di meriti e premi – esclude (art. 74, comma 4) “il personale docente della scuola”, nella a tutt’oggi vana attesa di un decreto della Presidenza del Consiglio, di concerto con i ministeri dell’Istruzione e delle Finanze, che detti i limiti e le modalità di applicazione dell’apposito dispositivo rispetto alla disciplina generale: presumibilmente con riferimento implicito all’articolo 7, comma 2 del D. Lgs. 165/2001, c.d. testo unico del pubblico impiego, a tenore del quale “Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca”.

Ma il coriaceo, presunto impeditivo, mantra della libertà d’insegnamento non può significare la sottrazione delle prestazioni professionali dei docenti a ogni forma di apprezzamento, in positivo o in negativo. Anche, e soprattutto, perché essa non si configura affatto alla stregua di diritto soggettivo assoluto (ius excludendi alios), essendo all’opposto, per legge, qualificata in termini di funzione (art. 395, D. Lgs. 297/1994) e tale figurando nello stesso contratto collettivo nazionale di lavoro (art. 27 CCNL per il triennio 2016-2018), vale a dire come complesso di facoltà, che combinano diritti e doveri, obbligatoriamente – e correttamente –  esercitabili per la realizzazione di un diritto altrui.

Siamo sempre convinti che questa persistente omissione deve essere sanata, dopo che si è sostanzialmente dissolto il surrogato – sperimentale, ad tempus – costituito dal c.d. bonus premiale, messo a punto dalla legge 107/2015 con non poche dosi d’improvvisazione.

Per contro, non esiste e non è prevista una norma speciale per la valutazione del personale amministrativo-tecnico-ausiliario, che può agevolmente essere condotta assumendo a canovaccio il mansionario contrattuale; mentre per la dirigenza scolastica è imposta dalla legge, come per tutta la dirigenza pubblica, ma tuttora inattuata e sostituita da cervellotici iperconcettuosi caravanserragli eternamente sperimentali e scientemente costruiti per farli fallire, perché aventi il duplice fine di legittimare a tempo indeterminato esperti o presunti tali – anche ex colleghi annidatisi nelle comode stanze di viale Trastevere, comprensibilmente  restii al rientro nell’anonimato della ben più faticosa e meno remunerata trincea – e nel contempo di suggellare con l’indelebile marchio di una dirigenza dimidiata quella che, ipocritamente, si ammanta  di sublime specificità.

È perciòpienamente legittimo, e indilazionabile, pretendere che i dirigenti scolastici siano valutati in base alle generali coordinate prescritte dalla normativa primaria esistente, con gli aggiustamenti di stretta indispensabilità affinché non la snaturino; che dovranno figurare nel provvedimento d’incarico e annesso contratto individuale di lavoro. Per cui il Ministero poteva, e può, sempre e per tempo formalizzare la proposta di un modello di valutazione e su cui far seguire l’immediato – serio, secondo le modalità codificate nel CCNL – confronto. Di modo che la retribuzione della dirigenza scolastica, così come avviene per tutte le altre dirigenze pubbliche, oltre a dover essere perequata nella posizione di parte variabile, possa completarsi con la voce accessoria della remunerazione di risultato se in esito a una valutazione positiva: una voce a tutt’oggi amputata e sostituita da una mancia con criteri di mero automatismo, quantificata – si fa per dire! – con riferimento alla fascia di complessità dell’istituzione scolastica cui si è preposti (criterio invece legittimo, e sensato, per determinare l’importo della poc’anzi menzionata posizione di parte variabile) e di consistenza così infima da essere corrisposta in un’unica soluzione annuale.

3. Parimenti, non è più procrastinabile, nella riconfigurazione dell’intera governance delle istituzioni scolastiche, l’incardinamento nelle medesime – per legge, anche recuperando i contenuti di non poche proposte affacciatesi nell’ultimo ventennio – di un middle management fin qui accanitamente osteggiato in nome di una malintesa unicità della funzione docente, ovvero istituzionalizzare figure intermedie di comprovata specifica professionalità, in luogo di quei labili surrogati, varie ed eventuali, abusivamente introdotti nei contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto scuola.

Un middle management va primariamente impiantato sul versante della didattica, per esercitare precise funzioni, con ampi poteri istruttori e correlate responsabilità, nel quadro dell’unità d’indirizzo del dirigente scolastico, che così potrà azionare i suoi poteri di impulso-coordinamento-controllo sulla prestazione fondamentale – l’insegnamento: recte, l’organizzazione dell’insegnamento – senza disperdersi in dettagli operativi, di spicciola o minuta manutenzione, nelle quotidiane urgenze rappresentategli e sempre per la decisione di ultima istanza. E senza potersi rifugiare – anche volendolo – in quel mostro della burocrazia difensiva.

Occorre, insomma, superare il modello a pettine: un vertice cui formalmente è intestato ogni potere decisorio, con relative responsabilità, a fronte di una massa indistinta e fungibile che non si assume nessuna specifica responsabilità e non ne risponde, potendo in qualunque momento tirarsi liberamente fuori.

Indubbiamente, un passo avanti, lungo un percorso da sempre accidentato, si è avuto con la citata legge 107/2015, il cui comma 83 consente al dirigente scolastico di costruirsi uno staff di supporto sia alla didattica che, estensivamente, all’organizzazione, impegnando sino al 10% dei docenti dell’organico dell’autonomia. Ma non c’ènessuna garanzia che ogni istituzione scolastica abbia le figure di cui necessita, né che le stesse posseggano adeguate competenze, anche per l’assenza di differenziati, e istituzionalizzati, percorsi formativi ad hoc.

Un’autentica inversione di tendenza occorre invece nei riguardi della stessa legge sulla Buona scuola, che, in concorso con la legge 190/2014, ha desertificato il personale ATA, nel mentre è imprescindibile rinforzarlo e qualificarlo, a cominciare dal DSGA. Devesi infatti considerare che la gestione amministrativa e contabile e i correlati adempimenti inerenti la contrattualistica, la gestione della sicurezza, l’attuazione della trasparenza e dell’accesso agli atti…, che assorbono il dirigente, solo coadiuvato dal DSGA, non è la soluzione più idonea per il corretto funzionamento gestionale delle scuole autonome. Trattandosi di ambiti involgenti non improvvisate competenze professionali, queste dovrebbero essere presidiate da una tecnostruttura servente sotto la diretta responsabilità del DSGA, vincolato agli indirizzi e alle direttive di massima del dirigente scolastico, e che si avvale di personale appositamente selezionato per concorso: dai prefigurati, e rimasti virtuali, coordinatore amministrativo e coordinatore tecnico, ai riqualificati assistenti amministrativi e assistenti tecnici, sino ai collaboratori scolastici il cui profilo dovrebbe parimenti essere rivisto.

Liberato dalle tante incombenze improprie, ma pure necessarie della burocrazia, il dirigente scolastico potrà concentrarsi sull’organizzazione dell’attività educativa e didattica nei luoghi istituzionali predisposti dall’ordinamento: nel Consiglio d’istituto, nel Collegio dei docenti, nei consigli di classe e nei dipartimenti, ovvero nei gruppi di progetto o nei gruppi di studio, di ricerca-azione; e potrà seguire in maniera sistematica la suddetta attività didattico-educativa per apprezzarla sulla scorta di coordinate di natura tecnica-professionale deducibili dalle fonti normative, siccome contestualizzate e formalizzate nei documenti programmatici e progettuali dell’istituzione scolastica. Così dandosi tra l’altro un innegabile senso alla sua obbligata provenienza dalla funzione docente.

Va inoltre considerato che l’introduzione, a livello di sistema, del middle management aprirebbe prospettive di carriera (non solo) ai docenti, atteso che non pare che abbiano poi tanto interesse per l’unico percorso oggi disponibile, se ai concorsi a dirigente scolastico – non ingannino i numeri, all’apparenza straripanti – fa domanda di partecipazione meno del 5% della potenziale platea, e tra i vincitori – ultimo e inusitato fenomeno – non pochi rinunciano appena hanno contezza della difficoltà e delle responsabilità nell’essere gli unici dirigenti universali nel panorama della restante dirigenza pubblica e peraltro a fronte di una retribuzione di neanche la metà di quanto percepito dai colleghi dirigenti amministrativi, felicemente generici e non specifici, e dai dirigenti tecnici di pari seconda fascia e dipendenti dal medesimo datore di lavoro (Ministero dell’istruzione), benché, in quanto soggetti non apicali di pubbliche amministrazioni, privi della congerie di responsabilità che invece incidono, e sommergono, i figli di un dio minore.

Ecco il Patto per la scuola: concorsi semplificati ogni anno, 80 mila precari subito stabilizzati

da la Repubblica

Corrado Zunino

Ecco il Patto per la scuola, a cui il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha voluto dare un’accelerazione nella notte inviando ai sindacati un documento di cinque pagine e mezzo, che Repubblica ha visionato, in cui si tratteggia la scuola futura a partire da settembre, si indica come dovranno essere i prossimi concorsi, ordinari e straordinari, ci si impegna per reclutare 80 mila docenti precari subito e per un anno, quindi a far crescere la disponibilità dei finanziamenti per il rinnovo del contratto per un milione di lavoratori della scuola. “Il Paese ha la responsabilità di superare l’emergenza in atto con una visione strategica in grado di affrontare le molteplici sfide per la ripresa”, si legge nel Patto, “con la consapevolezza che il futuro dell’Italia sarà nelle mani dei giovani che oggi frequentano le nostre scuole”.

In queste ore i segretari generali dei sindacati confederali, accompagnati dai responsabili del comparto, sono al ministero dell’Istruzione a trattare e limare l’accordo. Bianchi ha suggerito con forza di chiuderlo entro la giornata e, a sua volta, sta chiedendo nuove risorse al capo di gabinetto del presidente del Consiglio Mario Draghi. Il premier ora è a Porto, lunedì potrebbe far suo – a nome del governo – l’accordo.

Questi sono i punti del documento “Patto per la scuola al centro del Paese”. I numeri che vi indicheremo non sono presenti sulla bozza del documento, ma sono frutto della trattativa ai tavoli in corso che porterà nell’arco di due settimane alla definizione completa dell’accordo.

Nuovi concorsi annuali e semplificati

Il problema centrale della scuola italiana è la mancanza di cattedre assegnate, che comporta vuoti di insegnamento che si trascinano per mesi. Oggi, spiegano al ministero, ci sono 112 mila ruoli da trovare, e bisogna fare tutto entro il 31 agosto prossimo. Patrizio Bianchi, con il capo Dipartimento del ministero dell’Istruzione Stefano Versari e il capo di Gabinetto Luigi Fiorentino, ha deciso di snellire i classici concorsi ordinari che impiegano, dal loro bando, tra i dodici e i ventiquattro mesi per portare docenti in cattedra. I prossimi “ordinari” saranno annuali e semplificati. Tutti i neolaureati del Paese potranno partecipare, e ovviamente potranno farlo anche i precari già impiegati in classe. Ci sarà una preselezione iniziale, visti i numeri sempre ipertrofici dei candidati della scuola, e quindi chi passerà il primo test potrà affrontare un anno di prova e formazione: la fine dell’anno di prova coinciderà con un esame di valutazione dell’attitudine e della preparazione del docente. L’insegnante stabilizzato che lo supererà sarà insegnante fino alla pensione.

Il concorso semplificato annuale, che potrà partire quando il sistema andrà a regime, è la vera novità di un’istruzione che nelle ultime ventun stagioni è riuscita a portare in fondo soltanto tre procedure di selezione ordinarie.

Si prevedono rinforzi, attraverso questo strumento, in tutte le categorie scolastiche: “Servono nuove procedure di reclutamento”, si legge nella bozza, “finalizzate ad assicurare la presenza di tutte le figure professionali al primo settembre di ogni anno”, questo “per superare la difficoltà della ripresa annuale delle attività scolastiche, determinata dal numero di posti – di personale dirigente, docente e amministrativo, dei direttori generali e degli educatori – non coperto dal personale di ruolo”.

La stabilizzazione straordinaria

C’è un problema, tuttavia, di arruolamento immediato. E qui la discussione è ancora aperta. Vuoti esistenti e prossimi pensionamenti – saranno 28 mila – hanno già fatto scattare l’allarme al ministero dell’Istruzione. Serve avviare una “procedura urgente e transitoria”, così definita nelle carte. Ha caratteristiche simili ai futuri concorsi ordinari semplificati, ma viene applicata soltanto ai docenti oggi ancora precari. In testa a questo esercito da stabilizzare ci saranno i vincitori del concorso straordinario appena concluso, ancora gli iscritti alle Graduatorie a esaurimento e alle Graduatorie di merito, quindi un’ampia quota di precari con almeno 36 mesi di insegnamento (come chiede una sentenza europea). Sono 70-80 mila i potenziali candidati e, questi, attraverso una procedura rapida, entreranno subito in classe per un anno. Anche in questo caso la stagione, qui la 2021-2022, servirà per valutare gli ottantamila stabilizzati temporanei “valorizzando la formazione del personale”. E anche in questo caso attraverso una prova finale, intorno a giugno 2022, si stabilirà chi merita di avere l’assunzione a tempo indeterminato. Bianchi, di fronte alle dure critiche di una parte dei Cinque Stelle che oggi trovano voce nella sottosegretaria Barbara Floridia, ha sempre detto: “Non sarà una sanatoria, sceglieremo secondo i bisogni delle scuole nei territori e tenendo conto dei diversi percorsi fatti dalle categorie oggi precarie. Alla fine avremo in cattedra docenti qualificati”. Il progetto di un arruolamento urgente e l’avvio di concorsi rapidi hanno già un finanziamento stabile dai tempi della Legge 107, la “Buona scuola”.

Una più ordinata continuità didattica dovrà essere assicurata attraverso “una programmazione pluriennale degli organici e dei contratti a tempo determinato”.

Il rinnovo del contratto

Nel Patto per la scuola (al centro del Paese) si parla anche del rinnovo del contratto per oltre un milione di lavoratori del settore, 850 mila sono docenti. La cifra che la Funzione pubblica ha messo a disposizione è pari a un aumento medio di 86 euro lordi per ogni testa docente, ma tutti i sindacati hanno chiesto risorse aggiuntive per far salire la cifra sopra l’asticella dei cento euro. Senza soldi in più, non firmerebbero l’accordo. Gli incontri di Bianchi con il governo, in queste ore, servono proprio a trovare risorse per il contratto. Nel Patto, peraltro, già si parla di “risorse aggiuntive” e di un “adeguato riconoscimento” per i dirigenti scolastici.

Scuole più sicure, tempo pieno al Sud

Nel documento, definito dalla Gilda, il sindacato più critico, “un testo di buone intenzioni”, si parla della necessità di “garantire la sicurezza degli ambienti scolastici in relazione all’evolversi della pandemia” attraverso interventi sismici e di risparmio energetico negli edifici. Qui i soldi del Recovery Fund sono già previsti. Più in generale, “anche attraverso la contrattazione”, bisognerà innalzare i livelli di istruzione per contrastare l’abbandono scolastico, quest’anno profondo, far crescere l’offerta formativa delle scuole e “sviluppare percorsi didattici individualizzati per tutti gli studenti”. L’orientamento scolastico degli alunni, necessario per comprendere le personali attitudini, dovrà partire dalle scuole primarie e medie. ll tempo scuola dovrà aumentare, soprattutto al Sud, e consentire in quei territori pomeriggi in classe nell’ambito 0-6 anni.

Investire negli istituti tecnici e professionali

Risorse autonome e ingenti saranno dedicate al potenziamento degli istituti tecnici e professionali “favorendo la sinergia dell’istruzione tecnica superiore”, gli Itis, “con università ed enti di ricerca”. Il Patto vuole potenziare la formazione iniziale dei docenti, ma, come chiedevano i sindacati, non la rende obbligatoria. La “formazione continua”, che sarà gestita dalle singole scuole, prevede un irrobustimento delle competenze linguistiche e digitali. Un fondo strutturale specifico servirà “per la valorizzazione di tutto il personale”. Già, la valorizzazione delle persone “è la leva fondamentale e necessaria per condividere la visione di un’unità del Paese e per accrescere il ruolo della scuola quale catalizzatore di idee, visioni, progetti, innovazione”.

Devono essere rafforzati i provveditorati, “amministrazioni periferiche” appunto, con uomini e tecnologia. E la redazione di un Testo unico sulla scuola semplificherà norme stratificate nelle stagioni. Si ridefiniranno le responsabilità in tema di sicurezza negli edifici scolastici distinguendo quelle strutturali, “in capo ai proprietari degli istituti”, da quelle gestionali, “affidate ai dirigenti scolastici”.

Si legge nel documento: “Le istituzioni scolastiche costituiscono il volano di crescita culturale ed economica, sono il luogo di sviluppo delle competenze per una cittadinanza consapevole e partecipativa nel nostro tessuto sociale”. Quindi, “un nuovo modello culturale è la base di una nuova organizzazione del lavoro nelle scuole e di ogni capacità di utilizzare l’innovazione tecnologica per il miglioramento del benessere collettivo”. Serve “una riforma di sistema per costruire un nuovo modello di istruzione. Il ruolo del docente è cruciale per riposizionare la scuola al centro del processo di sviluppo sostenibile del Paese. Un accordo corale sull’istruzione e la formazione per il Terzo millennio deve passare attraverso il pieno compimento della riforma costituzionale dell’autonomia scolastica, a garanzia dell’unitarietà del sistema”.

Il ministro Bianchi, in un incontro di questo pomeriggio con le organizzazioni sindacali dei dirigenti scolastici, ha spiegato: “Con questo Patto dobbiamo cambiare la scuola, cambiarla molto”.

Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, ha detto: “Stiamo lavorando in queste ore per definire un Patto per la scuola e l’istruzione, un segnale di grande speranza che può segnare davvero una svolta positiva per il Paese e un giusto riconoscimento per le persone impegnate nel mondo scolastico”.

Tornano le bocciature. I presidi: “Terremo conto delle difficoltà, ma non sarà un tutti ammessi”

da la Repubblica

Ilaria Venturi

La circolare è arrivata ieri. E ripristina ufficialmente quello che già si sapeva: quest’anno le scuole potranno bocciare e rimandare, ovvero assegnare agli studenti materie da recuperare. Anche – novità di quest’anno – l’educazione civica. Ma come? Con un occhio di riguardo alle difficoltà che hanno avuto i ragazzi in questo secondo anno di pandemia, sia in Dad che in presenza.

L’anno scorso ci fu la promozione per tutti. Quest’anno non sarà più garantita. Il destino scolastico degli studenti torna nelle mani dei consigli di classe. E l’orientamento è quello di bocciare, se necessario. “Come si è sempre fatto, pur tenendo conto del contesto” ripetono i presidi. Il discorso riguarda le superiori, mentre i bambini della primaria avranno la novità dei giudizi in pagella, non più i numeri.

La circolare a firma del capo dipartimento Stefano Versari invita a una valutazione che rifletta “la complessità del processo di apprendimento maturato nel contesto dell’attuale emergenza epidemiologica”. E si ribadisce che “il processo valutativo sul raggiungimento degli obiettivi di apprendimento avverrà in considerazione delle peculiarità delle attività didattiche realizzate, anche in modalità a distanza, e tenendo debito conto delle difficoltà incontrate dagli alunni e dagli studenti con riferimento all’intero anno scolastico”.

L’unica deroga potrà essere quella che riguarda il numero di giorni di frequenza. Gli studenti che non siano riusciti a seguire le lezioni a distanza a causa di difficoltà di connessione o più in generale per problemi legati al Covid potranno comunque essere ammessi alla classe successiva se hanno la sufficienza in tutte le materie.

Racconta Anna Maria Savarese, vicepreside all’istituto tecnico-professionale Belluzzi di Bologna, un istituto da 1600 ragazzi: “Una nostra studentessa è rimasta bloccata in Germania per lungo tempo a causa del covid, non potevamo farle avere una connessione e la strumentazione per collegarsi a distanza. Ma è molto brava, ha tutti voti alti: ecco in questo caso chiederò una deroga”. Ma far passare tutti, proprio no. Nei tecnici e professionali soprattutto al primo e secondo anno le percentuali dei bocciati superano il 20%. “Non credo che quest’anno cambierà molto, anche se terremo conto di tutte le difficoltà. Ma l’ottica rimane sempre quella: capire se uno studente ha le potenzialità per recuperare e andare avanti o se è meglio fermarlo”.

“Io sono dell’avviso di far valere il problema delle assenze solo se ci sono situazioni negative di profitto – spiega Nicoletta Puggioni, preside dell’istituto Devilla a Sassari – ed è ovvio che non si boccerà tenendo conto solo delle medie matematiche dei voti. Un criterio sarà anche quello di vedere chi si è impegnato nel recupero di quanto perduto lo scorso anno. Le difficoltà sono nei ragazzi che hanno sofferto di crisi d’ansia e di panico, casi che abbiamo avuto in tutte le classi. Un fenomeno del genere in 15 anni che sono preside non lo avevo mai visto. Questo è il contesto di cui dovremo tenere conto in fase di valutazione, alle famiglie ho chiesto certificazioni mediche che attestino queste sofferenze dovute all’emergenza pandemica”.

Insomma, in sede di scrutini molti dirigenti chiederanno di usare criteri “elastici”, ma non “per chi ne ha approfittato”. “Quale vantaggio può avere uno studente a passare all’anno successivo senza averne le competenze? – ragiona Nicoletta Puggioni – l’anno scorso la decisione di non bocciare è stato un danno per i ragazzi”. Lo pensano in molti dirigenti e professori.

“La ripetenza punitiva non serve a nulla” osserva Gabriella Benzi, preside dell’istituto comprensivo di Govone, in provincia di Cuneo. Il tema delle bocciature, residuale alle medie, comunque si pone. “I ragazzi hanno patito molto, cercheremo di capire il percorso di maturazione e le criticità legate alla connettività, visto che in alcune nostre zone non c’è la fibra, ma devono essere i consigli di classe a valutare il percorso dei tre anni. Nostra responsabilità è mandarli attrezzati alle superiori e nel valutarli rimane il buon senso e la conoscenza che abbiamo di ciascun alunno”.

Antonello Giannelli, voce dell’Anp, non si aspetta una valanga di ricorsi in caso di bocciature. “L’anno scorso la didattica a distanza è stata improvvisata, quest’anno era già rodata e ha funzionato. Il metro di valutazione sarà quello di prima della pandemia, tenendo ovviamente conto dell’emergenza vissuta anche quest’anno. Insomma, nessuna scusa: chi non ha studiato, rischia. “Non si tratta di essere più o meno severi – spiega Alessandra Francucci dell’associazione dirigenti scolastici – in questi giorni non faccio altro che incontrare famiglie con figli in difficoltà. Saremo molto comprensivi, ma non sarà una promozione per tutti”.

Gli studenti? Il 56% è d’accordo: no ai tutti.ammessi

Ma i ragazzi che dicono? Li ha interpellati Skuola.net con un sondaggio effettuato da fine marzo su 2.500 alunni di scuole medie e superiori. Il 56% è d’accordo sul ritorno delle bocciature. Mentre è il 44% chi si oppone. È soprattutto la valorizzazione dell’impegno l’aspetto che spinge così tanti ragazzi a schierarsi a favore di veri scrutini di fine anno. Per oltre due terzi di loro (68%), infatti, chi aveva voglia di studiare ha continuato a farlo anche a distanza e, quindi, “non sarebbe giusto se venisse riservato lo stesso trattamento indistintamente a tutti”. Ancora più duro il 16%, secondo cui “fermare” gli alunni più in difficoltà potrebbe essere quasi un bene, per aiutarli a recuperare le lacune accumulate. Mentre per circa 1 su 10 sarebbe un errore promuovere tutti perché la Dad, quest’anno, non ha inciso così profondamente sul rendimento rispetto a dodici mesi fa.

Scrutini primo e secondo ciclo, nota per le classi intermedie

da La Tecnica della Scuola

Con nota del 6 maggio 2021 il Ministero dell’istruzione ha fornito indicazioni circa la valutazione periodica e finale nelle classi intermedie nel primo e secondo ciclo di istruzione.

NOTA 699/2021

Il MI innanzitutto precisa che le attività svolte in DAD hanno lo stesso “valore” delle lezioni in presenza. Infatti, nella nota si legge: “la valutazione degli apprendimenti e delle attività svolte in modalità a distanza produce gli stessi effetti delle attività didattiche svolte in presenza”.

La valutazione dovrà comunque tener conto delle caratteristiche delle attività didattiche realizzate, anche in modalità a distanza, e tenendo in debito conto delle difficoltà incontrate dagli alunni e dagli studenti in relazione alla situazione emergenziale, con riferimento all’intero anno scolastico.

Scuola primaria

Quest’anno c’è una novità: la valutazione finale degli apprendimenti non è espressa con un voto numerico, ma mediante l’attribuzione di giudizi descrittivi per ciascuna disciplina di studio, compreso l’insegnamento di educazione civica.

Gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione.

È possibile non ammettere gli alunni alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione, con decisione assunta all’unanimità.

La certificazione delle competenze è rilasciata agli alunni delle classi quinte ammessi al successivo grado di istruzione.

Scuola secondaria di I grado

La valutazione finale degli apprendimenti per le classi prime e seconde è espressa con voto in decimi, tenendo conto dell’effettiva attività didattica svolta, in presenza e a distanza.

Nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline, il consiglio di classe può deliberare, con adeguata motivazione, la non ammissione alla classe successiva.

La valutazione del comportamento è espressa con un giudizio sintetico.

Le istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, motivate e straordinarie deroghe rispetto al requisito di frequenza, anche con riferimento alle specifiche situazioni dovute all’emergenza pandemica.

Scuola secondaria di II grado

Il consiglio di classe procede alla valutazione degli studenti sulla base dell’attività didattica effettivamente svolta, in presenza e a distanza.

Per le classi non terminali, sono ammessi alla classe successiva gli studenti che in sede di scrutinio finale conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi e una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina.

Se il voto di profitto dell’insegnamento trasversale di Educazione civica è inferiore ai sei decimi, opera, in analogia alle altre discipline, l’istituto della sospensione del giudizio. L’accertamento del recupero delle carenze formative relativo all’Educazione civica è affidato, collegialmente, a tutti i docenti che hanno impartito l’insegnamento nella classe, secondo il progetto d’istituto.

Le istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, motivate e straordinarie deroghe rispetto al requisito, anche con riferimento alle specifiche situazioni dovute all’emergenza pandemica.

Alunni con disabilità o DSA

La valutazione degli apprendimenti e del comportamento viene effettuata sulla base del piano educativo individualizzato (PEI), per gli alunni disabili, e del piano didattico personalizzato (PDP), per gli studenti con diagnosi di disturbo specifico di apprendimento.

Bianchi ai dirigenti: presto rinnovo del contratto e ad ogni scuola un preside

da La Tecnica della Scuola

Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi interviene nell’incontro con i dirigenti scolastici, per affrontare le diverse problematiche che si sono estremamente aggravate nel corso della pandemia.

“So perfettamente la fatica del lavoro di questi due anni,” esordisce il Ministro. “Ora ho bisogno di ascoltare i miei dirigenti, che rappresentano sul territorio il presidio dello Stato. Non so se saprò offrirvi tutte le risposte ma di sicuro tutte le vostre domande saranno ascoltate e insieme troveremo delle soluzioni”. Si mostra empatico e rassicurante, il Ministro, aperto all’ascolto delle istanze dei dirigenti scolastici.

“Grazie a tutti i dirigenti delle nostre scuole, voi avete posto dei problemi di vita vissuta che sono anche lo specchio del nostro Paese, che troppo spesso lascia soli i suoi dirigenti”.

L’urlo di dolore dei presidi: dovremmo avere 2mila euro in più al mese, siamo sepolti dalla burocrazia. Bianchi con loro

da La Tecnica della Scuola

“Conosco perfettamente il lavoro enorme che state facendo, ma ho bisogno di ascoltare i ‘miei’ dirigenti. Voi siete del ministero dell’Istruzione e rappresentate un presidio dello Stato e di legalità”: così il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha aperto l’incontro con i sindacati rappresentativi dei dirigenti scolastici, intitolato “Una giusta direzione“, tenuto in video-conferenza venerdì 7 maggio.

Cgil: mancano 55 milioni

Dopo l’intervento del ministro, Roberta Fanfarillo, della Cgil, ha ricordato che la dirigenza scolastica è diversa dalle altre, ha grandi responsabilità, ma p penalizzata economicamente. Il passaggio nel comparto Istruzione e Ricerca, rispetto ai dirigenti di seconda fascia, ha comportata uno stipendio inferiore agli altri dirigenti pubblici. Con l’ultimo contratto la distanza si accorciata, ma ci separano dagli altri dirigenti almeno 22mila euro annui (quasi 2 mila euro in più al mese). Servono 55 milioni di euro di risorse aggiuntive per il nostro contratto.

C’è poi un’altra e ben più grave emergenza retributiva: dal 2017 dal fondo dei ds vengono decurtati 18 milioni di euro l’anno, direttamente dal ministero dell’Economia. Senza gli stanziamenti straordinari delle ultime Leggi di Bilancio, sostenuti dei sindacati, i dirigenti scolastici avrebbero dovuto restituire somme non trascurabili.

Troppe reggenze

Si è quindi parlato di reggenze, con presidi che hanno tenuto anche tre scuole autonome contemporaneamente. A distanza di anni, queste reggenze non sono mai state pagate.

Rosa Cirillo, della Uil-Rua, ha chiesto di prevedere i concorsi prima che se ne presentino le necessità.

Paola de Faveri, Uil Scuola, ha ricordato che soprattutto durante il lockdown i presidi hanno “adattato il numero dei presenti a scuola, arginato con tutte le forze la crescente povertà educativa. Ancora oggi l’onda lunga dei contagi, spostata in altre aree del Paese, i dirigenti scolastici in questi interminabili mesi di pandemia hanno tenuto unita la ‘squadra’, l’Italia, anche quando è mancata la ‘palla in campo’. Anche quando era tutto chiuso, i dirigenti, le segreterie e i Dsga non si sono mai fermate”.

“Abbiamo dirigenti – ha continuato Faveri – che hanno scuole lontanissime dalle scuole di residenza, hanno rinunciato all’accudimento dei cari, per seguire studenti e scuole. Perché in questo momento straordinario, non si possono spostare sui posti liberi vicino casa. Le scuole in reggenza, inoltre, non fanno bene a nessuno. È rispettabile un ruolo per il quale il rinnovo del contratto naufraga da anni con le parti ferme sulle rispettive posizioni?”.

Snals: i problemi delle denunce da Covid

Giovanni De Rosa, dello Snals, ha lamentato l’enorme lavoro di controllo dei titoli per dei candidati alle supplenze inseriti nelle graduatorie. Tante procedure dovrebbero essere snellite, anche per le denunce di infortunio derivanti da Covid: è una materia oscura. Anche per la gestione delle denunce per ipotetici contagi presi a scuola.

“Le scuole ‘dovrebbero’ denunciare. Ma c’è forte disorientamento. Servono indicazioni da parte dell’amministrazione. Si investa, quindi, nella digitalizzazione e nell’interoperabilità delle banche dati”, ha detto ancora De Rosa.

Sulla sicurezza degli edifici, molto severa è stata la dirigente Viviana Ranucci: “Non dormiamo. Non garantiamo le condizioni minime per lavorare e studiare. Ci sono edifici che li ospitano che non possono essere scuole. Dobbiamo cambiare. Gli enti proprietari non riescono a controllare e ad intervenire. Chi è preposto, a volte non risponde nemmeno. E nemmeno il Parlamento interviene. Lei è sostanzialmente il nostro datore di lavoro: ci aiuti. Abbiamo colto nei suoi discorsi la serietà. Ci indichi la giusta direzione per fare squadra”, ha concluso la dirigente rivolgendosi direttamente a Bianchi.

Il ministro: sono colpito!

Il ministro ha replicato sostenendo le ragioni dei presidi. “Sapevo delle difficoltà, ma sono rimasto colpito” dalle vostre testimonianze: “bisogna risolvere i problemi, in fretta. Ne va di mezzo la credibilità dello Stato”, ha ammesso Bianchi.

“Il problema delle reggenze è complicatissimo. Come il tema delle molestie burocratiche, sulla base di richieste che possono essere anche legittime ma se non sono coordinate non va bene”. Molestie che “vengono dal ministero ma anche da una quantità di soggetti sul territorio che si sovrappongono tra loro e che finiscono per bloccare e rendere più complessa tutta l’attività”.

“Per la messa in sicurezza degli edifici scolastici”, ha ricordato Bianchi, “a marzo le province hanno già ricevuto un miliardo e 125 mila milioni. È bene che ognuno si prenda le proprie responsabilità. Costituiremo un gruppo di lavoro sulla sicurezza degli edifici, è necessario. Entro martedì attendo un documento con le problematiche dei dirigenti scolastici”.

Servono più dirigenti

Il titolare del Mi ha quindi detto che “è necessario l’aumento del numero dei dirigenti scolastici: ogni scuola deve avere un dirigente”, basta con le reggenze.

Poi ha aggiunto: “Servono, accanto al preside, figure altrettanto qualificate, il tema dell’organizzazione della scuola ha bisogno di più chiarezza. Ci sono scuole con 1.500 studenti che fanno capo ad un solo dirigente a cui arrivano tutte le responsabilità: è una struttura troppo verticale, servono altre figure specializzate”.

“I problemi della scuola sono vita vissuta e specchio del paese che troppo spesso lascia sole le scuole e i suoi dirigenti”, ha proseguito Bianchi che ha assicurato la volontà di andare in tempi brevi al rinnovo del contratto dei dirigenti scolastici anche per colmare la differenza con i dirigenti degli altri contratti della Pa.

Patto per la scuola: firma vicina, ma poco si sa sui contenuti dell’intesa

da La Tecnica della Scuola

Si è svolto nella mattinata di venerdì l’incontro fra sindacati e Ministro per il Patto per la scuola.
Per il momento, però, nulla trapela sull’esito del confronto se non che la firma dell’accordo potrebbe arrivare nei prossimi giorni, forse lunedì.

“Stiamo lavorando con grandissima attenzione ad un Patto per la scuola – dichiara il ministro Bianchi, secondo quanto riporta una nota dell’Ansa – per riporre la scuola al centro di questo Paese insieme alle forze sociali, ai sindacati”.
“Non perché dobbiamo immaginare che i problemi della scuola si risolvano semplicemente in fase negoziale – spiega Bianchi – ma perché immaginiamo sia necessario richiamare tutti a questo impegno collettivo per riporre la scuola al centro del paese, del suo sviluppo, al centro della sua crescita”.

Il Patto dovrebbe riguarda i temi del reclutamento, della stabilizzazione dei precari e del rinnovo contrattuale.
Su tutto però ci saranno tavoli tecnici già previsti peraltro da un precedente incontro svoltosi quasi due mesi fa.
Per quanto riguarda il reclutamento sembra che si stia valutando la possibilità di un percorso concorsuale finalizzato a stabilizzare i precari “storici” a partire dal settembre 2022, mentre potrebbe esserci una procedura straordinaria che consenta di coprire tutte le cattedre vacanti all’avvio dell’anno scolastico 2021/22. Ma, come abbiamo detto, per il momento si tratta di ipotesi che, tra l’altro, devono essere ancora valutate dallo stesso Ministero dell’Economia.
Per il rinnovo contrattuale si parla di risorse aggiuntive che però dovrebbero essere stanziate con una legge di bilancio e questo, ovviamente, allungherebbe ulteriormente i tempi e non consentirebbe di chiudere la trattativa in tempi brevi.
A questo punto non resta altro che attendere qualche giorno per capire se e come le parti riusciranno a trovare un accordo.

Mascherine a scuola, no all’uso delle FFP2 per gli studenti

da La Tecnica della Scuola

Ferma restando la necessità di utilizzo delle mascherine nei locali scolastici delle scuole primarie e secondarie di I e II grado, il Comitato tecnico scientifico, interpellato dal Ministero, ha espresso parere contrario circa l’ipotesi di prescrivere l’impiego dei dispositivi del tipo FFP2 da parte degli studenti, considerandone non consigliabile l’uso prolungato.

Lo ha fatto sapere il MI, con nota 698 del 6 maggio 2021, concernente “Profilassi vaccinale in favore del personale scolastico, docente e non docente. Mascherine FFP2. Piani di sicurezza – Aggiornamenti in tema di emergenza Covid-19”.

NOTA 698/2021

Quindi, nelle scuole, ci si dovrò ancora attenere ai protocolli di sicurezza approvati in precedenza dallo stesso CTS, in merito all’impiego delle mascherine chirurgiche da parte degli studenti, al mantenimento del distanziamento sociale, alla aerazione degli ambienti e all’igiene delle mani.

Vaccini, mascherine FFP2 e protocollo di sicurezza: la nota del MI per accompagnare le scuole alla fine dell’anno scolastico

da Tuttoscuola

Il MI ha pubblicato una nota per accompagnare le scuole, il personale scolastico, gli studenti e le famiglie in questo ultimo scorcio di anno scolastico avente per oggetto “Profilassi vaccinale in favore del personale scolastico, docente e non docente. Mascherine FFP2. Piani di sicurezza – Aggiornamenti in tema di emergenza Covid-19”. Vediamo  alcuni aggiornamenti di natura sanitaria.

Clicca qui per leggere la nota

Vaccini personale scolastico

Alla luce del positivo andamento della campagna vaccinale in favore dei cittadini appartenenti alle categorie prioritarie,  la Struttura di supporto commissariale per l’emergenza Covid-19 ha comunicato la ripresa della somministrazione vaccinale a favore del personale della scuola, docente e non docente, non ancora sottoposto alla prima somministrazione. Al fine di assicurare regolarità, rapidità e capillarità delle anzidette vaccinazioni, i Direttori Generali e i Dirigenti titolari degli Uffici scolastici regionali vorranno tempestivamente assumere diretto accordo con gli Assessorati alla Sanità delle Regioni e con le ASR/ASL territorialmente competenti, assicurando altresì la diffusione delle conseguenti informazioni alle istituzioni scolastiche e al personale della scuola interessato.

Mascherine FFP2

Ferma restando la necessità di utilizzo delle mascherine nei locali scolastici delle scuole primarie e secondarie di I e II grado, il Comitato tecnico scientifico costituito presso il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, interpellato da questo Ministero, ha espresso parere contrario circa l’ipotesi di prescrivere l’impiego dei dispositivi del tipo FFP2 da parte egli studenti, considerandone non consigliabile l’uso prolungato.

Protocollo di sicurezza

Il Comitato tecnico scientifico, ha altresì suggerito di continuare ad attenersi ai protocolli di sicurezza dallo stesso CTS già in precedenza approvati. Le istituzioni scolastiche seguiteranno pertanto ad applicare le disposizioni attualmente in vigore in merito all’impiego delle mascherine chirurgiche da parte degli studenti, al mantenimento del distanziamento sociale, alla aerazione degli ambienti e all’igiene delle mani.

Valutazione primo e secondo ciclo: avverrà in considerazione delle attività didattiche realizzate

da Tuttoscuola

Pubblicate in una nota del MI firmata da Stefano Versari ulteriori indicazioni in merito alla valutazione periodica e finale nelle classi intermedie per il primo e secondo ciclo di istruzione. La nota ricorda che la valutazione degli apprendimenti e delle attività svolte in modalità a distanza produce gli stessi effetti delle attività didattiche svolte in presenza.

Leggi la nota del MI

La nota inoltre precisa che il processo valutativo sul raggiungimento degli obiettivi di apprendimento avverrà in considerazione delle peculiarità delle attività didattiche realizzate, anche in modalità a distanza, e tenendo debito conto delle difficoltà incontrate dagli alunni e dagli studenti in relazione alle situazioni determinate dalla già menzionata situazione emergenziale, con riferimento all’intero anno scolastico.

Valutazione nelle scuole del primo ciclo

Per la scuola primaria la valutazione finale degli apprendimenti è espressa mediante l’attribuzione di giudizi descrittivi per ciascuna disciplina di studio, compreso l’insegnamento di educazione civica, che corrispondono a diversi livelli di apprendimento. Si ricorda che gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione. I docenti contitolari della classe in sede di scrutinio, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere gli alunni alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione. La certificazione delle competenze è rilasciata agli alunni delle classi quinte ammessi al successivo grado di istruzione.

Per la scuola secondaria di primo grado la valutazione finale degli apprendimenti per le classi prime e seconde è espressa con voto in decimi. Nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline, il consiglio di classe può deliberare, con adeguata motivazione, la non ammissione alla classe successiva.

La valutazione del comportamento è espressa con un giudizio sintetico riportato nel documento di valutazione in applicazione dell’articolo 2, comma 5, del d. lgs. 62/2017. Per procedere alla valutazione finale dell’alunno, le istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, motivate e straordinarie deroghe rispetto al requisito di frequenza di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n. 62/2017, anche con riferimento alle specifiche situazioni dovute all’emergenza pandemica.

Restano fermi i provvedimenti di esclusione dagli scrutini emanati ai sensi dello Statuto delle studentesse e degli studenti.

Valutazione scuola secondaria di secondo grado – classi non terminali

La valutazione degli studenti della scuola secondaria di secondo grado è condotta ai sensi del d.P.R. n. 122 del 2009. Il consiglio di classe procede alla valutazione degli studenti sulla base dell’attività didattica effettivamente svolta, in presenza e a distanza. Sono ammessi alla classe successiva gli studenti che in sede di scrutinio finale conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi e una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina.

Nel caso in cui il voto di profitto dell’insegnamento trasversale di Educazione civica sia inferiore ai sei decimi, opera, in analogia alle altre discipline, l’istituto della sospensione del giudizio. L’accertamento del recupero delle carenze formative relativo all’Educazione civica è affidato, collegialmente, a tutti i docenti che hanno impartito l’insegnamento nella classe, secondo il progetto d’istituto.

Per procedere alla valutazione finale dello studente, le istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, motivate e straordinarie deroghe rispetto al requisito di frequenza di cui all’articolo 14, comma 7 del d.P.R. n. 122 del 2009, anche con riferimento alle specifiche situazioni dovute all’emergenza pandemica.

Con riferimento all’attribuzione del credito scolastico nelle classi non terminali, restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 15, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62.

Valutazione nei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti

La valutazione degli adulti frequentanti i Percorsi di istruzione di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana, i Percorsi di istruzione degli adulti di primo livello e i Percorsi di istruzione di secondo livello si svolge ai sensi del DPR n. 263/12 secondo le
disposizioni dettate con la nota DGOSV prot. n. 22381 del 31 ottobre 2019, ivi comprese quelle in essa richiamate, che si intendono confermate anche per l’a. s. 2020/2021 fatte salve, comunque, le disposizioni relative agli esami di Stato I e II ciclo come disciplinate rispettivamente con OM 52/21 e OM 53/21.

Valutazione degli alunni e degli studenti con disabilità o con DSA

Per gli alunni e gli studenti con disabilità certificata si procede alla valutazione degli apprendimenti e del comportamento sulla base del piano  educativo individualizzato, anche tenendo conto degli adattamenti richiesti dalle disposizioni impartite per affrontare l’emergenza epidemiologica.

Per gli alunni e gli studenti con diagnosi di disturbo specifico di apprendimento ai sensi della legge n. 170 del 2010, la valutazione degli apprendimenti è coerente con il piano didattico personalizzato.

Classi pollaio: un piano possibile per eliminarle

da Tuttoscuola

Classi pollaio: qual è la situazione delle classi più numerose in questo anno scolastico? Assumendo a riferimento il parametro massimo (29 alunni per classe), consentito da DPR 89/2009, si ha questa situazione:

– sono 89 nella scuola dell’infanzia le scuole con un rapporto bambini/sezione superiore a 29: rappresentano lo 0,7% delle 13.234 di questo settore;
– sono soltanto 31 le classi pollaio di scuola primaria con oltre 29 alunni nella classe: rappresentano lo 0,03% delle 123.224 classi della primaria;
– sono in tutto 12 le classi pollaio di scuola secondaria di I grado con più di 29 alunni: rappresentano lo 0,015% delle 77.938 classi della scuola secondaria di I grado;
– sono 1237 le classi pollaio di scuola secondaria di II grado con oltre 29 studenti: rappresentano l’1% delle 122.615 classi degli istituti di secondaria del II grado.

Come si vede, le classi pollaio sono quasi un’esclusiva degli istituti superiori e, conseguentemente, è prioritariamente in questo settore che si deve intervenire per affrontare e risolvere il problema.

Per un’operazione coraggiosa e credibile di azzeramento effettivo delle classi pollaio il limite massimo, come Tuttoscuola ha già evidenziato, dovrebbe scendere a 25 alunni per classe, limite previsto dalle norme antincendio per il deflusso dalle aule.

Prendendo a riferimento questo parametro, la situazione dei diversi settori sarebbe la seguente:

 1oo5 scuole dell’infanzia, pari al 7,6% di tutte le 13.234 scuole, hanno oltre 25 bambini per sezione;
– nella scuola primaria 1852 classi, l’1,5% % di tutte le 123.234 classi, ha un numero di alunni superiore a 25;
– nella scuola secondaria di I grado sono 1271 le classi, l’1,63 % delle 77.938, che hanno più di 25 alunni per classe;
– infine sono 13.069 le classi, il 10,7% delle 122.615 classi, che hanno oltre 25 studenti per classe.

Quale potrebbe essere il piano per il rientro delle classi in una dimensione sopportabile e sicura, con il limite massimo di 25 alunni per classe?

Per una modifica graduale prendiamo a riferimento soltanto le prime classi dei diversi settori sopra individuati (esclusa la scuola dell’infanzia) per calcolare quante nuove classi devono essere istituite per garantire per tutte il limite massimo di 25 alunni, tenendo presente che in una stessa scuola con diverse prime classi le eccedenze del numero di alunni oltre il limite di 25 danno luogo ad una sola nuova classe (due nuove classi se le classi parallele sono nove o più).

Nella secondaria di II grado le prime classi con oltre 25 studenti sono 4.493; se riportate tutte entro il limite massimo di 25 studenti, darebbero luogo all’istituzione di 715 nuove prime classi.

Nella secondaria di I grado le prime classi con oltre 25 alunni sono 245; se riportate tutte entro il limite massimo di 25 alunni, darebbero luogo all’istituzione di 88 nuove prime classi.

Nella scuola primaria le prime classi con oltre 25 alunni sono 346; se riportate tutte entro il limite massimo di 25 alunni, darebbero luogo all’istituzione di 246 nuove prime classi.

Con questo piano ipotetico – possibile base per una elaborazione formale da parte del ministero – sarebbe necessaria l’istituzione annuale di un migliaio di nuove prime classi a cominciare dal prossimo anno scolastico.

Se davvero i decisori politici e istituzionali vogliono operativamente passare dagli annunci alle attuazioni concrete, questa ipotesi può essere assunta a riferimento. Se si vuole.

La fine di una tragedia

La fine di una tragedia

di Maurizio Tiriticco

8 MAGGIO! Un giorno come un altro, oggi! Ma per menonagenario è vivissimo il ricordo di quel lontano 8 maggio 1945: la tanto attesa fine di quella terribile seconda guerra mondiale! E a pochi giorni da quel 25 aprile, la definitiva liberazione del nostro Paese dalla feroce occupazione nazista.

Ricordo quei giorni… terribili e festosi! Il 27 aprile gli Alleati si avvicinano a Milano e Benito Mussolini viene catturato dai partigiani mentre sta cercando di fuggire in Svizzera insieme all’amante Claretta Petacci e una borsa piena di… non si è mai saputo con certezza di cosa. Il 28 aprile gli altri esponenti di spicco della Repubblica Sociale italiana (meglio nota come Repubblica di Salò), tra cui Alessandro Pavolini e Francesco Maria Barracu, vengono portati a Dongo e fucilati. Mussolini e Claretta Petacci, invece, dopo la cattura, sono fucilati a Giulino di Mezzegra. I corpi vengono trasportati a Milano e nella notte sono espostiinsieme ai cadaveri di altri 18 gerarchi fascisti in Piazzale Loreto. Nello stesso luogo dove il 10 agosto del 1944 erano stati fucilati ed esposti al pubblico i corpi di quindici partigiani. Purtroppo, nella tragica guerra scatenata dalla follia di due dittatori, sangue chiama sangue!

Nei giorni successivi le forze tedesche a Berlino si arrendono in via definitiva: il 2 maggio termina la Battaglia di Berlino. E il generale Helmuth Weidling, comandante dell’area difensiva di Berlino, consegna senza condizioni la città al Generale dell’Armata Rossa Vasilij Čujkov. Lo stesso giorno gli ufficiali al comando delle due armate a nord di Berlino, il Generale Kurt von Tippelskirch, comandante della 21ª armata e il Generale Hasso von Manteuffel, comandante della 3ª armata Panzer, si arrendono agli Alleati.

Ma che accade in Germania? Alle ore 15,15 circa del 30 aprile, Adolph Hitler, mentre infuria la fase conclusiva dellacosiddetta “battaglia di Berlino”, rendendosi conto che tutto è ormai perduto, si suicida nel bunker della Cancelleria assieme a sua moglie Eva Braun, che aveva sposato nella notte tra il 28 e il 29 aprile. Nel suo testamento nomina l’ammiraglio Karl Dönitz nuovo Reichspräsident e Joseph Goebbels nuovo Cancelliere del Reich. Goebbels si suicida il 1º maggio. Lutz Graf Schwerin von Krosigk, che era stato nel governo di Hitler Ministro delle finanze fin dal 1933,viene chiamato dal Presidente Dönitz a succedergli. Von Krosigk tuttavia rifiuta di ricoprire la carica di Cancelliere della Germania, assumendo la qualifica di Primo Ministro. Dönitz quindi assume contemporaneamente la carica di Reichspräsident e quella di Reichskanzler. Ma la battaglia incalza nelle strade di Berlino. Alle ore 22.50 del 30 aprile i sergenti sovietici Meliton Kantaria e Michail Egorovconquistano il Palazzo del Reichstag e innalzano sul tetto la bandiera della Vittoria dell’Armata Rossa. Una celebre foto immortala quel gesto!

Nei giorni successivi le forze tedesche stanziate nella Germania nordoccidentale, in Danimarca e nei Paesi Bassi si arrendono. Il 4 maggio il Feldmaresciallo britannico Bernard Law Montgomery riceve dai Generali Hans-Georg von Friedeburg e Hans Kinzel la resa incondizionata di tutte le forze stanziate in Olanda, nella Germania nord-occidentale e in Danimarca, comprese le forze navali. Anche in Italia le forze tedesche si arrendono in via definitiva. Il 1º maggio il generale delle SS Karl Wolff e il comandante in capo della 10ª armata tedesca, Generale Heinrich von Vietinghoff, dopo lunghi negoziati segreti e non autorizzati con gli Alleati, ordinano a tutte le forze tedesche in Italia di cessare le ostilità e firmano un documento di resa incondizionata.

Ma i tedeschi disponevano anche di forze navali. Il 5 maggio l’ammiraglio Dönitz ordina a tutti gli U-Boot di cessare le operazioni offensive e di tornare alle loro basi. Alle 14:30 il Generale Hermann Foertsch comunica la resa di tutte le forze comprese tra le montagne della Boemia e il fiume Inn al Generale statunitense Jacob L. Devers, comandante del 6º gruppo. Alle 16:00 il Generale Johannes Blaskowitz, comandante in capo in Olanda, si arrende al Generale canadese Charles Foulkes nella piccola città olandese di Wageningen alla presenza del Principe Bernhard (facente funzioni di comandante in capo delle forze interne olandesi). A Dresda avviene l’incredibile! Martin Mutschmann comunica che sta per essere lanciata un’offensiva tedesca in larga scala sul fronte orientale. Ma due giorni dopo viene catturato dalle forze sovietiche mentre, in realtà, cerca di fuggire.

Il 6 maggio alle 18:00 il Generale Hermann Niehoff,comandante della città-fortezza di Breslavia, circondato e assediato da mesi, si arrende ai sovietici. Un’ora e mezza dopo la caduta della fortezza di Breslavia, il Generale Alfred Jodl giunge a Reims e, seguendo le istruzioni di Dönitz,offre la resa di tutte le forze tedesche che combattevano contro gli Alleati in occidente. Eisenhower pretende invece la resa incondizionata di tutte le forze tedesche, comunicando a Jodl che, in caso contrario, avrebbe ordinato la chiusura delle linee occidentali ai soldati tedeschi, costringendoli ad arrendersi ai sovietici. Jodlinforma Dönitz della richiesta di Eisenhower. Poco dopo la mezzanotte Dönitz invia un messaggio a Jodl autorizzandocosì la completa e totale resa di tutte le forze tedesche.

Alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 il generale Alfred Jodl firma nei quartieri generali Alleati di Reims in Francia i documenti di resa della Germania. Viene deciso che la cessazione delle attività belliche tedesche deve avvenire alle 23:01 dell’8 maggio 1945. Il giorno successivo il feldmaresciallo Wilhelm Keitel ed altri rappresentanti dell’alto comando giungono a Berlino dove firmano un documento simile, alla presenza del maresciallo Georgij Žukov, arrendendosi esplicitamente alle forze sovietiche. La cerimonia della firma avviene in una villa, in cui era stato posto il Comando Sovietico, nella periferia orientale di Berlino, nel quartiere di Karlshorst, divenuto decenni dopo l’attuale museo russo-tedesco.

Siamo ormai alla fine della guerra in Europa. La resa definitiva viene firmata il 7 maggio a Reims tra la Germania e gli anglo-americani, ma, per volere di Stalin, viene firmata una seconda resa a Berlino nella tarda sera dell’8 maggio. Ma a Mosca è già il 9 maggio! Pertanto, mentre gli Stati Uniti dichiarano l’8 maggio il giorno della vittoria in Europa, nell’Unione Sovietica la resa della Germania avviene il 9 maggio. Quindi l’anniversario della vittoria viene proclamato il 9 maggio.

Purtroppo la seconda guerra mondiale non è finita! Continua in estremo Oriente contro il Giappone. Ma questa è un’altra storia.