La scuoletta delle minoranze
Con una chiusa sui buoni professori che amano le buone letture
di Annalisa Comes
«[…] perché, secondo me, chi dice di sé con tanta fierezza che “adora i bambini” – e sono in molti a dirlo – nel profondo del cuore li considera un’unica, generica creatura, con un’unica faccia e un unico carattere; insomma, gli “appassionati di bambini” li trattano davvero con disprezzo, perchè chi ha mai sentito qualcuno proclamare “adoro gli adulti”: non è così? Mentre di “appassionati di bambini” se ne trovano ovunque, e per loro sono tutti dolci e morbidi, fanno solo giochi allegri e ballano tutto il giorno. “Oh”, dicono quegli imbecilli cresciuti, “quanto è felice la stagione dell’infanzia!”, così ti viene voglia di lisciare quella loro testa tonta e dire: “Già, e quanto sono felici gli stupidi!”. Bambini: attenzione agli appassionati di bambini!»
David Grossman, Ci sono bambini a zigzag
È
noto che la scuola piaccia molto alla politica italiana, ogni governo vi ha lasciato,
negli anni, più che la sua traccia, la
sua impronta. Un’impronta animale, anzi animalesca, selvaggia, di possesso.
Ogni animale politico vi ha lasciato anche il suo odore, perché fosse ben
chiara la marcatura del territorio. Ciò che succede nei grandi, kafkiani
meandri ministeriali ha però una sua diretta corrispondenza nelle anguste,
scrostate, aule scolastiche. Qui la lotta per il potere e il possesso è fatta
di piccole cose di pessimo gusto: è
una lotta fra poveri che si contendono qualche progetto, una o due ore di
materia alternativa, o che giocano a nascondino per evitare verbali,
compilazioni di complesse, verbose analisi di competenze, conoscenze e abilità,
PDP, obiettivi minimi, GLH, GLO. Chi abita il mondo della scuola lo sa bene…
per tutti gli altri, è un misterioso mondo a sé, di esseri, spaventosamente
folli o incredibilmente furbi. Il professore e il maestro di scuola non sono
più figure degne di rispetto, non hanno più autorità, né autorevolezza,
schiacciati, come sono ormai da tempo, da una burocrazia con cui devono fare i
conti ogni giorno, da responsabilità schiaccianti, da famiglie pressanti e
invadenti, spesso realmente poco interessate all’educazione dei propri figli.
Ma
una questione tutta ancora sommersa e quindi poco nota, è quella degli effetti
del politically correct e dell’inclusione. Se i concetti generali sono ovviamente
condivisibili (almeno lo sono per la sottoscritta, che insegna da più di
vent’anni), benemeriti, e certo benefici, la loro applicazione ed estensione
(ma direi piuttosto invasione) – in questo ambiente così dissestato, – è
diventata perversa e fuori controllo.
Dalla scuola di un tempo, caratterizzata spesso da abusi, esclusioni, coercizioni, autoritarismi, da una scuola che sembrava escludere quasi a priori le minoranze, in cui gli studenti svogliati, incapaci, in difficoltà erano tutti dei somari da mandare dietro la lavagna con le orecchie d’asino, da una scuola sorda e incapace di prestare attenzione e comprensione alla diversità e alla singolarità, si è passati a una scuola che sembra fatta apposta solo per le minoranze, solo per i particolarismi, le eccezioni, i casi speciali e in cui la denuncia è la spada di Damocle collettiva. Basta leggere qualche statistica sull’incremento, davvero inverosimile, delle compilazioni dei vari PDP (Percorso Didattico Personalizzato), Obiettivi minimi, e Obiettivi Differenziati, dei casi di denunce e di aggressioni. Oggi una classe su due (elementari, secondarie di I o II grado) è composta da una buona metà di minoranze, che, per motivazioni cliniche diverse – vere o presunte – richiederebbero un numero di professori pari al numero di questi studenti.
E,
invece il professore, in cattedra, è ancora sempre e solo uno, semmai accostato
(ma non sempre) da docenti di sostegno sulle cui spalle gravano tutta una serie
di responsabilità fisiche, emotive e anche didattiche enormi. Dalla disgrafia,
alla dislessia, dalla discalculia, ai disturbi emotivi di varia natura, questo
professore è costantemente confrontato con una parcellizzazione di competenze,
di richieste, di attenzioni, di rallentamenti, dovendo dimostrare – almeno formalmente, sulle carte – che allo
studente e alla studentessa sono dispensati gli “appositi provvedimenti dispensativi e
compensativi”
(legge 170/10). Formalmente, sì,
perché la mancanza di motivazione e di passione – a nostro avviso ben più gravi
della mancanza di qualche corso di aggiornamento, – la mancanza cronica di
mezzi in cui la scuola si trova, gli stipendi ridicoli che la classe docente
percepisce, la pressione mediatica, politica e della società tutta, rendono l’inclusione
spesso una pura utopia. Perché il Mito,
la Mistica ministeriale, hanno
ridotto l’inclusione a una mera copresenza.
Ogni
ragazzo dovrebbe avere il suo personal
professor, come un personal trainer?
Sono sicura che si arriverà anche a una proposta del genere, si tratta solo di
aspettare l’impronta di uno dei prossimi governi…
Il
fatto è che il particolarismo ottuso dominante della società, qui nella scuola
ha trovato il suo luogo d’elezione, il suo nido. Nessuno più di un professore
che ogni mattina si reca nella sua bella aula
scrostata, nella sua scuola deprimente perché abbandonata all’incuria dalle
impronte dei vari governi, – priva di mezzi, di biblioteche, di bagni decenti,
– nessuno più di un professore sa cosa voglia dire insegnare in classi dove il
disagio è evidente. L’inclusione di ragazzi particolarmente difficili, o
violenti è un problema che nessuno vuole vedere, di cui poco si parla – pena
essere tacciati da reazionari, retrogradi, elitisti. Si chiede, agli studenti
che non presentano particolari difficoltà, comprensione, discrezione,
sopportazione; il ragazzo difficile magari farà una passeggiata in cortile (se
c’è ed è agibile) accompagnato da un docente di sostegno (sempre che anche
questo ci sia)…
Insomma,
i pericoli di questa visione distorta dell’inclusione, sono pari a quelli
dell’esclusione e la convinzione che la scuola debba essere lo specchio della
società è pericolosa e fuorviante. La scuola non ha bisogno di ulteriori carte,
di moduli da riempire, la scuola, ha bisogno di buoni educatori: di professori
passionali e appassionati, voraci lettori in grado di passare ai giovani la
loro dieta salutare, così come dei loro sguardi lunghi e affilati a scrutare l’orizzonte
e del fuoco delle loro lenti da ingrandimento. Qualcuno sorriderà, perché lo
riterrà scontato e banale. Solo questo? Lo sapevamo… Ma ricordarlo, è
necessario.
Il
professore di oggi deve essere una sorta di intrattenitore, perché questo – la società,
la politica – gli chiede: di andare incontro ai gusti del “fruitore”, farlo
divertire, distrarre, soprattutto di seguire i suoi interessi, i suoi gusti… Ma
il gusto non va educato? il ragazzo non legge Robert Louis Stevenson, Mark
Twain, Astrid Lindgren, Charles Dickens, Jane Austen, Primo Levi? Sono troppo
difficili? poco interessanti? non più attuali? Il professore gli
“somministrerà” (il termine va molto di moda in ambito scolastico) uno di quei
penosi autori contemporanei che gli varranno il plauso generale (in particolare
dei genitori “non lettori”, soddisfatti di vedere il figlio o la figlia con un
libro in mano), ma che con tutta probabilità gli rovinerà il palato per sempre.
Una prova Invalsi sulla conoscenza dei classici offrirebbe sicuramente materia
su cui meditare.
Competenza,
lungimiranza, passione, visione del particolare e attenzione per il vasto
orizzonte, singolarità dello studente e quadro d’insieme della classe, non si
improvvisano. E sembrano essere doti, queste, non più moda, non si caldeggiano,
non si incoraggiano. E poi, ahimè, la scomoda verità è che nessun concorso
basato sui contenuti, nessun cumulo di corsi di aggiornamento fa di un
professore un buon professore.
Tenere
a mente qualche esempio potrebbe servire. Come Giuseppe
Pontremoli (1955), precocemente
scomparso nel 2004. Figura eclettica di maestro, studioso, critico e scrittore, si è occupato di lettura,
teatro, letteraturaper l’infanzia
ma anche di problemi educativi, ha scritto articoli in riviste specializzate e
non, ma anche saggi, romanzi e poesie per bambini e ragazzi. Vero, autentico,
coraggioso passeur – (tanto per
ricordare anche Daniel Pennac) era anche un lettore instancabile, e non sono
pochi coloro che ricordano ancora oggi, la
magia delle sue letture/interpretazioni ad alta voce. La misura del suo
impegno e l’originalità della sua didattica si risolvono in una pratica tanto apparentemente
semplice quanto lontana anni luce dalle intricate, formali, indicazioni
ministeriali:
Avendo a che fare ogni giorno con loro se ne vedono tanti, ma mai un Bambino, e si scoprono in loro mille bisogni, e poi desideri, folate impetuose di voglie. E avere a che fare ogni giorno con loro non è senza eco, e insegna qualcosa. Ad esempio, che forse i nemici più grandi sono il Mito e la Mistica, quando invece sarebbe sufficiente guardarli, i bambini. E infatti le cose più chiare su loro le han viste e le han dette coloro che hanno guardato i bambini e le cose d’intorno. Il più delle volte fuori dei luoghi deputati; o anche dentro, ma lavorando fitto per intrecciarlo al fuori, questo dentro
(Giuseppe Pontremoli, Bambini e bambinologi. La triste spocchia della Principessa Pedagogia e la necessità di ridiscutere le immagini generiche e di comodo dell’infanzia, in «Linea d’ombra», n. 33, dicembre 1988).
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