Sostegno: la Cassazione riapre il dibattito tra scuole paritarie e statali

Sostegno: la Cassazione riapre il dibattito tra scuole paritarie e statali (Cass. 10821/14)

Nelle precedenti schede n° 450 e n° 454 si era dato conto di alcune decisioni di Tribunali circa l’obbligo gravante sullo Stato di fornire il corrispettivo per i docenti per il sostegno alle scuole paritarie che accolgono alunni con disabilità.

Ora la Corte di Cassazione a Sezioni unite con la sentenza n. 10821 del 16 Maggio 2014 capovolge questo orientamento rigettando il ricorso col quale una scuola paritaria, vincitrice in primo grado, ma soccombente in appello, chiedeva l’annullamento della sentenza di appello e quindi allo Stato il rimborso di due anni di stipendio a due insegnante per il sostegno, assunti per un alunno con disabilità.

Le precedenti decisioni dei tribunali ritenevano che lo Stato dovesse rimborsare le spese per i docenti per il sostegno poiché in base all’art. 33 comma 4 della Costituzione lo Stato deve assicurare alle scuole paritarie ed ai loro allievi trattamento eguale alle scuole statali ed ai loro studenti. Ne conseguiva che, dal momento che lo Stato paga il sostegno agli alunni delle scuole statali, avrebbe dovuto pagarlo anche agli studenti delle scuole paritarie; anzi ove ciò non avvenisse, vi sarebbe discriminazione tra i due tipi di studenti, censurabile ai sensi della L. n. 67/06e dell’art. 3 comma 2 della Costituzione che vietano la discriminazione tra alunni senza disabilità e quelli con disabilità delle scuole paritarie (che dovrebbero pagarsi il docente per il sostegno); vi sarebbe ancora discriminazione tra alunni con disabilità delle scuole statali (che hanno il sostegno pagato dallo Stato) e quelli delle paritarie.

La Corte di Cassazione fa un ragionamento più lineare, fondato sempre sull’art. 33 della Costituzione, ma fonda la propria decisione non sul comma 4, ma sul comma 3, secondo il quale gli enti privati sono liberi di aprire scuole, purchè senza oneri per lo Stato”.

Argomenta la Corte che in base all’art. 1 comma 4 della L. n° 62/2000 sulla parità scolastica, le scuole paritarie quando chiedono ed accettano la parità scolastica assumono, come condizione pregiudiziale,l’obbligo di accogliere alunni con disabilità. Pertanto esse sono consapevoli che tutte le spese di inclusione di tali alunni debbono essere a loro carico, poiché debbono rientrare nei loro costi di gestione. Nè sarebbe legittimo accollare tali spese allo Stato stante il divieto dell’art. 33 comma 3 della Costituzione che vieta allo Stato di sopportare oneri per il funzionamento delle scuole paritarie.

Queste ultime, afferma la Corte di Cassazione, non hanno quindi il diritto soggettivo ad ottenere né il pagamento né il rimborso per le spese dei docenti per il sostegno.


OSSERVAZIONI

La decisione, presa a sezioni unite, si fonda sostanzialmente sull’art. 33 comma 3 della Costituzioneche ha fatto scorrere fiumi di inchiostro fin dall’approvazione della Costituzione stessa. Nella prassi politica, tradotta in atti legislativi, lo Stato, col voto contrario minoritario dei partiti laici, ha sempre erogato ed eroga fondi alle scuole paritarie: direttamente a quelle primarie parificate in base alla convenzione con la quale dette scuole ricevono la concessione di gestire corsi per conto dello Stato ricevendone il compenso (vedi scheda n° 201), sia indirettamente tramite bonus e vaucer agli alunni.

E quanto agli alunni con disabilità l’art. 1 comma 14 della stessa L. n° 62/2000 sulla parità scolastica stanzia un finanziamento apposito, ovviamente che però non copre il costo dello stipendio annuale di un docente per il sostegno.

È probabile che, a questo punto, le scuole paritarie potrebbero invocare la violazione dell’art. 33 comma 4 della Costituzione. Però nel ricorso rigettato questa eccezione di costituzionalità non è stata sollevata e quindi, per questo caso, la decisione della Corte di Cassazione è ormai passata in giudicato. Ma non è detto che essa non possa essere sollevata in altra eventuale causa, dal momento che le decisioni della Cassazione valgono solo per la causa trattata e hanno solo valore di precedente giurisprudenziale per il futuro.

Le scuole private potrebbero forse sollevare questione di costituzionalità pure con riguardo all’art. 118, comma 4 della Costituzione(introdotto con le modifiche del 2001) secondo cui lo Stato e gli altri Enti territoriali “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. La formula della norma costituzionale invero non sembra però assicurare un diritto soggettivo essendo stato usato il termine “favoriscono”.

Lascia infine perplessi l’affermazione della Corte di Cassazione secondo la quale lo Stato effettua una concessione amministrativa ai privati per la gestione di scuole. Qualificare come “concessione amministrativa” l’esercizio di una attività didattica sembra contrastare però con l’art. 33 comma 3 secondo cui i privati hanno riconosciuto direttamente dalla Costituzione la libertà di aprire proprie scuole. Forse il concetto di concessione amministrativa potrebbe applicarsi solo alle scuole Primarie Paritarie che siano anche parificate in base ad apposita convenzione, in forza della quale lo Stato paga a dette scuole tutti i docenti, e quindi anche quelli per il sostegno. Però il concetto di concessione amministrativa sembra piuttosto antiquato in questa ipotesi.

In dottrina è stata avanzata invece l’ipotesi di un “contratto a favore di terzi”, di cui agli artt. 1414 e seg. Del Codice Civile; in forza di esso lo Stato, che ha l’obbligo di garantire l’istruzione ai cittadini, si avvarrebbe di terzi (scuole primarie parificate) per adempiere questo suo obbligo. Comunque si qualifichi il rapporto tra Stato e scuole private, resta il fatto che l’art. 1 comma 1 della L. n° 62/2000 fa rientrare nel sistema nazionale di istruzione le scuole private paritarie, le quali acquistano certamente una connotazione pubblicistica, se non altro al fine della realizzazione del servizio nazionale d’istruzione (art. 41 comma 3 della Costituzione).

 

È appena il caso di ricordare che prima della L. n° 62/2000 la giurisprudenza era orientata nel senso di affermare l’obbligo per le scuole private di accettare alunni con disabilità nel solo caso in cui lo Stato pagasse gli insegnanti per il sostegno, come ad esempio per le scuole Primarie parificate. Con l’art. 1 comma 4 della L. n° 62/2000invece l’obbligo è divenuto generale in considerazione del principio costituzionalmente affermatosi dell’inclusione scolastica. A chi affermasse, secondo la vecchia giurisprudenza, che lo Stato non può imporre obblighi senza fornire i mezzi per il loro adempimento, alla luce della presente sentenza si potrebbe replicare che i privati assumono tali obblighi nell’ambito del rischio d’impresa e provvedono a coprire i maggiori costi costi aumentando le rette. La questione è assai dibattuta, come dimostra il fatto che la presente sentenza è stata pronunciata a sezioni unite, poiché si erano determinati orientamenti contrastanti in diverse sezioni della stessa.

Sarà interessante vedere come il problema verrà affrontato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, specie dalla Corte Costituzionale in caso di eventuale ricorso alla stessa, circa il conflitto apparente tra i commi 3 e 4 dell’art. 33 della Costituzione, anche alla luce dei finanziamenti fin qui legalmente erogati dallo Stato alle scuole paritarie, pure per l’inclusione degli alunni con disabilità.

Potrebbe riaprirsi l’annoso dibattito tra scuola statale e privata a causa dell’inclusione degli alunni con disabilità? E con quali risvolti politici?

Salvatore Nocera

Il TAR Lazio ribadisce il diritto al sostegno

Il TAR Lazio ribadisce il diritto al sostegno ed all’assistente per l’autonomia e la comunicazione ma solo per un anno scolastico (TAR Lazio 5913/14)

 

Il TAR Lazio con la sentenza breve n° 5913/14, pronunciata il 22 Maggio 2014 e depositata il 4 Giugno 2014 ha accolto un ricorso collettivo di numerose famiglie di alunni con disabilità che lamentavano la mancata assegnazione del massimo delle ore di sostegno e di assistenza per l’autonomia e la comunicazione ai propri figli.

 

La sentenza ribadisce l’orientamento giurisprudenziale prevalente nel senso di assegnare il massimo di ore di sostegno (una cattedra completa) e di ore di assistenza per l’autonomia e la comunicazione, nella misura richiesta, agli alunni certificati con disabilità grave ai sensi dell’art. 3 comma 3 L. n° 104/92, la cui documentazione sanitaria e scolastica dimostrino la necessità del rapporto 1 a 1 sia per il sostegno che per l’assistenza.

 

La sentenza distingue tra natura giuridica e compiti degli insegnanti per il sostegno ed dell’assistenza per l’autonomia e la comunicazione.

Nega, in via di principio, che debba assegnarsi il massimo delle ore senza la dovuta documentazione.

Nega pure che, in via di principio,l’esito delle sentenze debba automaticamente riguardare anche gli anni successivi.

Nega il risarcimento dei danni pecuniari se non documentato; compensa le spese.

 

OSSERVAZIONI

 

Come detto, la sentenza è nel solco di una consolidata Giurisprudenza; pertanto sembra assai strano che il TAR abbia deciso di compensare le spese, in quanto il numero di decisioni favorevoli alle famiglie è tale che ormai il comportamento omissivo dell’Amministrazione scolastica e dei Comuni sembrerebbe potersi addirittura inquadrare in quello di lite temeraria”.

 

È invece interessante aver rimarcato la differenza di ruoli tra sostegno ed assistenza per l’autonomia ed ancor di più aver distinto tra assistenza per l’autonomia e la comunicazione come supporto organizzativo all’inclusione scolastica” (art. 139 decreto legislativo n° 112/98) e “servizi sociali integrati”, anch’essi a carico dei Comuni, cui però i cittadini possono accedere con una contribuzione economica graduata sulla base dell’ISEE.

La sentenza chiarisce che il supporto organizzativo all’inclusione scolastica” è espressione del diritto allo studio ai sensi dell’art. 34 della Costituzionee, per gli alunni con disabilità, è strumento di eguaglianza e non discriminazione garantita agli alunni con disabilità, rispetto ai compagni senza disabilità, ai sensi dell’art. 3 commi 1 e 2 della Costituzionee degli art. 3 e 24 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, ratificata dall’Italia con L. n° 18/09.

Se ne deduce che tale servizio deve essere fornito dagli Enti Locali (Comune per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo e Provincia per la scuola superiore) gratuitamente, poiché se dovesse essere pagato, sia pur sulla base dell’ISEE, verrebbe a creare una discriminazione ai danni degli alunni con disabilità, censurabile ai sensi della L. n° 67/06, in forza della quale le famiglie potrebbero chiedere, non solo la cessazione della discriminazione, ma anche il risarcimento dei danni non patrimoniali.

Lascia anche perplessi la circostanza che il TAR non abbia pronunciato condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali, come è ormai Giurisprudenza consolidata, per il ritardo di accoglienza delle richieste documentate del massimo delle ore di sostegno e di assistenza.

Infatti la Giurisprudenza ormai consolidata si è orientata a stabilire il risarcimento dei danni non patrimoniali per la sofferenza subita dall’alunno per non avere avuto tutte le ore richieste e documentate, in misura di circa           € 1000 per ogni mese di ritardo; essendo stata notificato il ricorso in Marzo, il TAR avrebbe potuto condannare a risarcire il danno per gli ultimi due mesi di scuola, senza bisogno di provare l’esistenza di questo danno, trattandosi di lesione di un diritto costituzionalmente garantito; a meno che tale risarcimento non sia stato richiesto dalle famiglie.

È infine da richiamare l’attenzione sulla circostanza che la sentenza nega l’automatismo di applicazione della stessa anche agli anni scolastici successivi.

Su questo punto è da osservare che la giurisprudenza è ondivaga.

L’orientamento prevalente sembrerebbe comunque che le decisioni valgano anche per gli anni successivi se ciò è richiesto nel ricorso e se si dimostra che non vi possono essere miglioramenti di tipo sanitario che giustifichino una riduzione del numero delle ore assegnate negli anni successivi alla sentenza.

È quindi importante che all’atto del ricorso ciò venga evidenziato o che venga evidenziato nel GLHO al momento del rinnovo della richiesta del sostegno con il PEI per ciascuno degli anni successivi.

Salvatore Nocera

Maturità, è il turno della terza prova. Gli studenti si cimentano nel “quizzone”

da Il Fatto Quotidiano

Maturità, è il turno della terza prova. Gli studenti si cimentano nel “quizzone”

Dopo il tema di italiano e la prova specifica a seconda dell’indirizzo, è la volta dello scritto multidisciplinare, che verte su una massimo di 5 materie studiate dai maturandi nel corso dell’ultimo anno scolastico

di Redazione Il Fatto Quotidiano

Ultima prova scritta prima degli esami orali per i circa 490 mila studenti alle prese con la Maturità 2014. Dopo il tema di italiano e la prova specifica per ciascun indirizzo, questa mattina ad attenderli c’è lo scritto multidisciplinare, il cosiddetto “quizzone”. Lo scritto verterà su un massimo di cinque materie che i maturandi hanno studiato durante l’ultimo anno scolastico. In questo caso ogni commissione d’esame ha preparato una prova ad hoc  a seconda dell’indirizzo scelto e delle nozioni studiate. I candidati dovranno cimentarsi con domande a risposta chiusa o aperta, trattazioni sintetiche o esercizi, problemi a soluzione rapida oppure con lo sviluppo di un progetto su diverse discipline. La tipologia più gettonata resta quella mista: almeno 8 quesiti a risposta singola e 16 a risposta multipla in quattro discipline. Il tempo a disposizione degli studenti sarà ridotto rispetto a quello concesso per la prima e la seconda prova; i maturandi, infatti, avranno tra 1 ora e 1 ora e 30 minuti per risolvere i quesiti preparati dalla commissione.

La terza prova verterà sulle discipline che non sono già state oggetto delle due precedenti prove scritte; per cui al classico non ci sarà il greco (oggetto della seconda prova) e allo scientifico mancherà matematica. Al termine dei tre scritti gli studenti riceveranno una prima votazione, un massimo di 45 punti ripartiti tra le varie prove, mentre il punteggio più alto previsto per l’orale è di 30 punti;  a questi si aggiungono poi i crediti maturati nel corso degli anni di liceo.

Il ministero accorpa Nell’aula-pollaio si ritrovano in 42

da La Stampa

Il ministero accorpa Nell’aula-pollaio si ritrovano in 42

Casale Monferrato, il record di un liceo scientifico
mauro facciolo
casale monferrato (AL)

«Da Renzi in giù, tutti sostengono che il ruolo della scuola deve tornare centrale. Benissimo, allora perché nel mio istituto rischio di avere una classe di 42 studenti? Come si può fare lezione?». Mentre gli studenti del quinto anno delle superiori stamattina sono alle prese con la terza (e ultima) prova scritta dell’esame di maturità, il “quizzone”, i presidi guardano con preoccupazione al prossimo anno scolastico, con il rischio concreto di dover fare lezione in “aule pollaio”, con classi di 33, 34 o più allievi. L’allarme parte dalla provincia, anche se riflette una situazione non certo isolata.

 

Lo lancia Riccardo Calvo, dirigente scolastico dell’istituto superiore Cesare Balbo di Casale (raggruppa tre licei). È lui a segnalare il caso limite dei 42 allievi. «Una comunicazione del Provveditorato ha proposto prima e poi imposto, nonostante le nostre obiezioni (percorsi differenti, libri non uguali, curriculum non omogeneo, addirittura una materia differente per quanto riguarda la lingua straniera), di passare da tre a due classi per il liceo scientifico Palli, con la conseguenza davvero stupefacente di una classe con il tedesco di 24 alunni e una con l’inglese di 42».

 

Aggiunge il preside: «Sappiamo che potrebbe essere, poi, rimediato il numero di 42, ridefinendo le classi e riposizionando gli allievi, ipotizzandone una articolata per le ore di tedesco: resta il fatto che agli alunni viene imposto uno totale smembramento della loro esperienza scolastica di anni e che a un liceo scientifico come quello di Casale, a cui sono state tolte tutte le sperimentazioni dalla Riforma Gelmini, tutti i potenziamenti e gli arricchimenti dell’offerta formativa, viene negata la possibilità di una proposta didattica equilibrata per i propri studenti».

 

Altri istituti hanno lo stesso problema. E se una classe con 42 elementi potrebbe essere ingovernabile, la situazione non è facile neppure se gli allievi sono 34-35: «Ma al ministero sanno che cosa significa insegnare ai ragazzi seriamente, dando loro i giusti spazi e i giusti tempi per l’apprendimento?» si chiede una prof di lettere.

 

Bisogna poi considerare elementi che vanno oltre la didattica, come la sicurezza delle aule. Lo sottolineano i rappresentanti sindacali. Carlo Cervi, Cisl Scuola: «Vigileremo perché vengano rispettate le norme per la sicurezza nel rapporto alunni-aula, per il diritto allo studio e per l’inserimento dei disabili».

 

Intanto, parte la mobilitazione. Domani al Balbo di Casale si riuniranno collegio docenti, consiglio d’istituto e assemblea dei genitori: «Ai politici, alle rappresentanze dello Stato e alle istituzioni – dice il preside Calvo – chiediamo d’intervenire. Il ministero riconsideri la situazione prima della chiusura degli organici, assumendo una responsabilità forte nel nome della scuola e delle famiglie. Siamo pronti ad andare davanti agli organismi competenti almeno per il rispetto e la salvaguardia della sicurezza dei ragazzi».

Arte o Storia dell’arte

184 ARTE O STORIA DELL’ARTE di Umberto Tenuta

Canto 184 Domanda imbarazzante, non certo per la Ministra dell’istruzione, e non dell’educazione. Che, se Ministra dell’educazione, certo se la porrebbe.

 

Alla Ministra dell’Istruzione certamente imbarazzo non pone la Storia dell’Arte senza l’Arte.

Del resto, non si studia forse la Storia della Filosofia senza la Filosofia, la storia della Letteratura senza la Letteratura, la Storia delle Storia senza la Storia?

Certo, cento anni fa non si studiava la storia della Televisione, e la storia digitale corrispondeva alla storia fatta con le dieci dita delle mani.

Sembrerebbe che la storia non possa esistere senza l’oggetto storico.

Se Pinco Pallino non esiste non ne posso raccontare la storia!

Insomma, se io non ho mai conosciuto le patate, non ne posso studiare la storia.

E, invece, no!

I giovani a scuola non imparano a dipingere, ma studiano la Storia della Pittura.

I giovani a scuola non imparano a suonare, ma studiano la storia della Musica.

I giovani  − gli studenti, mica i professori!− a scuola non si preoccupano di andare a conoscere le realtà architettoniche della propria città, ma studiano la Storia dell’architettura.

D’altra parte, non è anche vero che gli studenti studiano la morfologia e la sintassi della lingua tedesca, ma non conoscono il tedesco.

Ma che discorsi!

Non è forse attraverso lo studio della fonologia, della morfologia, della sintassi che si impara a parlare la lingua tedesca, quella inglese, quella francese, quella cinese?

Ma, a prescindere!

A prescindere dalla Storia −che è sempre utile conoscere, perché l’umanità è la sua storia, e l’uomo, il singolo uomo, è la sua storia− a prescindere, non sarebbe cosa bella e cosa buona se gli studenti a scuola −nel normale orario scolastico, con i docenti già pagati, e non nell’orario pomeridiano, orario aggiuntivo, pagato dai genitori− imparassero a suonare il flauto dolce per costruire, per scoprire, per conoscere le note prima dello studio del pentagramma?

Siccome è storia, ricordo che a Maiori, provincia di Salerno, sulla Divina Costiera Amalfitana, Andrea, bravo pittore e maestro, trasformò l’atrio della scuola in laboratorio di pittura, con tanti cavalletti costruiti alla buona da un discreto falegname, utilizzando fogli di carta della vicina macelleria e terre colorate sciolte in acqua e vinavil, riempiendone barattoli di vetro a non finire.

Unica spesa era quella dei pennelli e delle pennellesse messe a disposizione dal Patronato scolastico che al tempo soccorreva gli studenti bisognosi.

La mostra che allestì a fine anno attrasse genitori ed amministratori comunali. Il Provveditore agli studi delegò il suo Vice e considerò in regolare servizio i funzionari che vennero ad ammirare come non si faceva storia della’arte, ma arte della pittura.

Facile no?

Per la Pittura.

Ma la musica è altra musica!

E, sì!

Francesco, direttore, ascoltò come e quanto esaltavo Giovanni, maestro di scuola e maestro di musica, e lo invitò a tenere −con pagamento di un misero compenso per le ore di fatica− un corso di aggiornamento musicale per tutti i docenti del suo circolo didattico.

Io non seppi nulla.

L’anno scolastico successivo, alla fine del primo trimestre, il Direttore mi trascinò per le maniche della giacca in una delle otto aule delle classi prime.

Tolta la cattedra, i maestri, ciascuno nella propria aula,  salirono sulle pedane e, con la bacchetta di bambù in mano, diedero il SI e la musica uscì dai flauti dei ventisette bambini.

Una classe dopo l’altra!

A fine anno, una cerimonia finale, con videoregistrazione, per la gioia delle mamme e dei papà.

Ma anche mia, ispettore che mai ispezionava, ma sempre nelle aule andava a giocare a logica coi bambini!

Che c’entra la logica con la musica?

Mi sembra logico che la storia della musica si impari dopo aver fatto musica!

E la storia della pittura dopo aver fatto pittura.

O forse è logico il contrario, come dice la logica della Ministra dell’Istruzione?

 

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http://www.edscuola.it/dida.html

 

Maturità, oggi l’ultimo scritto In 490 mila alla prova del “quizzone”

da La Stampa

Maturità, oggi l’ultimo scritto In 490 mila alla prova del “quizzone”

Questa mattina tocca al quiz preparato ad hoc dalle singole commissioni.
Tra i #quasimaturi 9 su 10 hanno trascorso il fine settimana a ripassare

Il giro di boa è stata la prova di giovedì, quella diversa da indirizzo a indirizzo. Oggi invece tocca al «quizzone», ultimo scritto prima dell’orale. I 490 mila studenti dell’ultimo anno – ribattezzati #quasimaturi dal Miur su twitter – cominciano a vedere la luce in fondo al tunnel. La prova di oggi sarà la penultima, il traguardo è vicino: fatto l’orale, comincia l’estate.

 

A differenza delle altre due prove, elaborate dal Ministero dell’Istruzione, il terzo scritto è stato preparato ad hoc dalle singole commissioni d’esame: i ragazzi dovranno dimostrare di aver appreso le nozioni base delle materie studiate nel corso dell’ultimo anno. Impropriamente chiamata «quizzone» (non si limita a essere un test a crocette), la prova, che verte su un massimo di 5 discipline, chiede ai candidati di svolgere un elaborato sintetico oppure di rispondere a quesiti a risposta singola o multipla. Potrebbero anche venir chiamati a risolvere problemi scientifici, casi pratici e professionali oppure, secondo gli indirizzi di studio, potrebbero dover realizzare un progetto.

 

Il regolamento prevede che quesiti e materie, su cui verte lo scritto, non siano svelati prima della prova, anche se talvolta capita che qualche commissione lasci trapelare indizi utili. La prova è strutturata per accertare la conoscenza di almeno una lingua straniera, ma se nella commissione non è presente almeno un insegnante abilitato all’insegnamento dell’inglese, è possibile a priori escluderne la presenza.

 

Dal «quizzone» i #quasimaturi potranno ottenere un massimo di 15 punti (il 10 è la sufficienza), che andranno sommati agli altri già ottenuti con il tema di italiano e la seconda prova. Per la parte scritta sono previsti fino a 45 punti, ripartiti egualmente tra le prove. All’orale invece il punteggio massimo potrà essere pari a 30. Seduti di fronte alla commissione, gli studenti cominceranno il loro esame discutendo un argomento a piacere; a seguire risponderanno a domande su tutte le materie studiate nel corso dell’anno.

 

In attesa che cominci la loro vera estate, ieri i ragazzi del quinto sono piegati sui libri. Secondo un sondaggio di skuola.net, 9 su 10 stanno trascorrendo questo fine settimana a ripassare. Bandita ogni sorta di relax, Mondiali esclusi: uno studente su tre passerà il poco tempo libero a disposizione davanti alla tv a tifare.

Docenti pagati o dispensati

183 DOCENTI PAGATI O DISPENSATI MA NON PESATI di Umberto Tenuta

Canto 183  Giorgio Israel “Invalsi istituto fuori controllo. Prof state in guardia: potreste diventare semplici passacarte. Impossibile stabilire l’unità di misura per competenze e abilità” di Eleonora Fortunato

 

Ripetente anch’io!

Dovevo essere e non sono stato. Per virtù di un docente che si limitava a fare l’uffizio per il quale era pagato. Garantire il successo formativo a tutti i suoi studenti.

Più che l’obbligo giuridico di docente pagato dallo Stato, era il rispetto di se stesso e dei figli dei suoi simili che glielo imponeva.

Egli sapeva bene che un docente, il quale, magari a prescindere dalla sua buona volontà, non sa garantire il successo formativo a tutti i giovani che gli sono affidati, così come ha assunto impegno anche giuridico di fare, si autosospende, al pari di un neorochirurgo che si ritrova i primi sintomi del morbo di Parkinson.

Nelle sale di neurochirurgia possono operare solo i medici che possono svolgere, e bene, la loro attività professionale.

Essi hanno un codice deontologico che rispettano.

D’altra parte, prima di farmi operare, io mi informai sul prestigio di cui godeva il mio Specialista.

Fama volat!

Io scelgo il medico della mutua a prescindere dal quartiere nel quale abito.

Cari miei, quando ne va della mia salute, ci penso bene.

Figurarsi del parto alla condizione umana!

Ben lo sanno ormai tutti che uomini non si nasce ma si diventa solo attraverso l’educazione.

Sennò, sebbene partorito da una donna, si rimane allo stato animale, come Victor, il Selvaggio dell’Aveyron.

Qualcuno dice che i neurochirurghi sono pagati bene, anche dal Ministero della Sanità.

Ecchè, forse la Giannini è una ministra di serie C?

Non le danno i fondi perché i figli delle donne che sono partorite meno di diciotto anni fa non restino allo stato animale e non vadano a vivere nelle foreste dell’Aveyron?

Ma scherziamo?

I docenti non vanno retribuiti secondo il loro peso accertato con le bilance di precisione delle Farmacie.

I docenti vanno pagati perchè fanno bene il loro mestiere che è quello di garantire ad ogni figlio di donna il mestiere di uomo.

Ve lo ricordate, voi, questo libro?

Il mestiere di uomo di Giorgio Scerbanenco.

Ma, se preferite, c’è anche  Il mestiere di uomo di Jollien Alexandre.

Tutt’e due reperibili su AMAZON, per meno di una decina di euro.

E forse ce ne sono anche altri.

Allora, ascoltiamo Giorgio Israel!

Lo ascolti la Ministra Giannini.

Prima delle serrande alle finestre, occorrono stipendi adeguati al ruolo che svolgono, debbono svolgere, non possono non svolgere i docenti.

Certo, vanno pesati e soppesati coloro che appaiono palesemente sottopeso.

Ma forse occorre tenere anche presente  se lo sono per i loro magri stipendi!

Senta, Ministra Giannini, faccia una cosa!

Al prossimo ventisette luglio faccia trovare nella busta paga dei docenti una prima trance di 80 euro, alla quale si sommeranno quelle dei mesi successivi, fino a raggiungere lo stipendio dei neurochirurghi.

Per ora sospenda la verifica del peso dei docenti.

Pardon, del merito!

All’inizio dell’anno scolastico 2017/2018, prima che vada via, pesi i docenti e i dirigenti che appaiono vistosamente smagriti e consigli loro di cambiar mestiere.

Ma una sola cosa non faccia, se non vuole andare via prima dell’anno scolastico 2017/2018.

Non verifichi il merito dei docenti e dei dirigenti!

Peraltro, tutti si rifiuteranno di salire sulla bilancia.

Disobbedienza?

No, sono troppi leggeri perché la bilancia possa pesarli.

Berlinguer docet!

UN AMICO SINCERO

 

Al via l’aggiornamento delle graduatorie, 622 mila gli aspiranti insegnanti

da  Repubblica

Al via l’aggiornamento delle graduatorie,  622 mila gli aspiranti insegnanti

di Corrado Zunino

Oggi si inizierà ad aggiornare le graduatorie della scuola, la cosa più complessa dell’intera scuola italiana. Il cuore dei suoi problemi. Le graduatorie sono quelle degli insegnanti, dalle scuole materne ai licei classici, e dicono da una parte chi entrerà in ruolo e dall’altra chi potrà fare le supplenze.

Bene, il nuovo aggiornamento – oggi, giorno di chiusura delle iscrizioni – ci dirà che gli aspiranti maestri-professori italiani non ancora in cattedra sono 622 mila. Sì, 622 mila. Seicentoventiduemila sono più del numero dei quattordicenni che stanno provando l’esame di terza media, più degli abitanti di Genova, la sesta città d’Italia. Seicentoventiduemila sono più dell’un per cento della popolazione italiana. È un numero impressionante di persone che chiede ospitalità alla scuola, o in alcuni casi ha chiesto alla scuola perdendo poi ogni speranza e mettendosi a cercare altro. E la possibilità di guadagnare uno stipendio certo e di mostrare a una classe di bambini o pre-adulti tutto quello che hanno imparato loro, gli aspiranti insegnanti, in trent’anni di scuole.

È una richiesta, quella di insegnare, che è sempre cresciuta dal dopoguerra a oggi e che negli ultimi vent’anni ha trovato ingressi sempre più strozzati. L’ex ministro Francesco Profumo, primo di una serie di rettori universitari alla guida della scuola italiana, aveva provato ad allargare quel muro con il concorsone pubblico che tornava dopo tredici anni di rinvii e svecchiava le assunzioni, ma l’esperienza del governo Monti durò poco più di un anno e i rettori – le rettrici – che sono arrivati dopo in viale Trastevere non hanno dato continuità ai bandi pubblici. In una discontinuità di scelte, che è un altro grande male di una scuola italiana bisognosa invece di certezze, ogni sei mesi si cambiano le carte delle graduatorie e si creano nuove code, nuove cancrene.

Guardiamole dentro queste classifiche di accesso all’aula. Seguendo i dati forniti dal Miur, le famose Graduatorie ad esaurimento provinciali (le storiche Gae, chiuse per sempre, destinate a un lento esaurimento in una decina di anni) per il triennio 2014-2016 ospiteranno 154.398 abilitati. Da qui si attinge per metà delle assunzioni, l’altra metà arriva dai concorsi (in questi mesi, tuttavia, fermi). Poi ci sono le graduatorie d’istituto, e da lì si attinge per le supplenze. Si stanno chiudendo, appunto, le iscrizioni e nelle prossime settimane i dati saranno fermi. Nella prima fascia sono inserite le stesse persone delle graduatorie a esaurimento, che quindi hanno priorità sia per la cattedra che per le supplenze. Il numero massimo dovrebbe corrispondere – il condizionale è dello stesso ministero, consapevole dei propri limiti statistici – a quello delle graduatorie provinciali: 154.398 candidati. Nella seconda fascia di istituto (gli abilitati non inseriti nella graduatoria a esaurimento provinciale) agli inquilini del precedente triennio (9.502 aspiranti) si aggiungeranno ben 121 mila neoabilitati, portando la seconda fascia a quota 130.000. Questo dato si stabilizzerà nei prossimi giorni. Poi c’è la terza fascia di istituto (i non abilitati/laureati). Qui l’ultimo numero analizzabile è quello del triennio precedente: 337.458 in attesa. Aspettando le integrazioni, tutte le leve (alcune in avanti con gli anni) che chiedono l’arruolamento nella scuola è superiore alla cifra di 620 mila. Ben sopra il mezzo milione citato più volte dal ministro in carica, Stefania Giannini.

Per dire dell’attrazione ancora forte dell’insegnamento in Italia, per il secondo ciclo del Tirocinio formativo attivo (Tfa) ci sono 147 mila domande per 22mila posti: solo uno su sette ce la farà. E al termine del percorso abilitante, come ricorda il sindacato Anief, il sopravvissuto scoprirà che l’abilitazione non gli servirà per entrare nel doppio canale di reclutamento che permetterebbe di insegnare con continuità aspirando all’assunzione in ruolo. “Lo Stato deve permettere a migliaia di professionisti di fare quello per cui hanno studiato, sono stati selezionati nelle nostre università. Solo in Italia si invecchia sognando un posto da insegnante che ormai arriva over 40”, dice Marcello Pacifico, segretario dell’Anief.

Sono un partito, gli aspiranti insegnanti italiani, davvero grande. Tre volte tanto Scelta civica, per dire. Se votassero tutti dalla stessa parte, sposterebbero più del due per cento dei consensi. Colpisce che la politica non se ne sia ancora accorta.

Spariti i 10 milioni di euro per l’aggiornamento?

da tecnicadellascuola.it

Spariti i 10 milioni di euro per l’aggiornamento?

La somma era espressamente prevista dall’articolo 16 del decreto legge “La scuola riparte” del 12 settembre 2013. Il Ministro avrebbe dovuto emanare un decreto applicativo per dare il via alle attività formative. Ma per ora non se ne sa ancora nulla. Si vocifera che una parte della cifra sia già stata dirottata altrove.

Dall’approvazione del decreto legge 104 del 12 settembre 2013 denominato “La scuola riparte” sono passati ormai più di 9 mesi.
In qualunque Paese normale (non diciamo neppure “efficiente”) le disposizioni in esso contenute sarebbero già state applicate da un pezzo.
Da noi, non si capisce perché, ci sono voluti mesi per dare attuazione alla norma relativa all’ingresso gratuito dei docenti nei musei statali, e – quel che è peggio – nulla ancora si sa di una disposizione molto sbandierata a suo tempo, quella sullo stanziamento di 10milioni di euro per la formazione e l’aggiornamento dei docenti.
Norma che peraltro aveva destato non poche perplessità per diverse ragioni: 10milioni di euro vogliono dire, in pratica, 1.200 euro in media per ciascuna istituzione scolastica o, se preferite, 12-13 euro per ogni docente in servizio.  Persino l’officina meccanica dove mi rivolgo per la manutenzione dell’auto spende sicuramente di più.
Ma il dato incredibile non è solo questo: c’è il fatto che, a tutt’oggi, del decreto ministeriale che avrebbe dovuto dare il via all’operazione (comma 2 dell’articolo 16 del DL 104/2013) non si è vista ancora neppure l’ombra ed è quindi molto improbabile che le risorse possano essere disponibili già dal prossimo settembre.
E’ probabile (ma non certo) che se ne parlerà a partire dal 2015.
Anche perché, secondo voci non ufficiali ma piuttosto attendibili, la Ragioneria Generale dello Stato abbia già messo un vincolo sul gruzzoletto, non si sa bene se per i soliti problemi legati al patto di stabilità o se per racimolare quattro soldi per altre operazioni. Si vocifera che una quota del 40-50% sia già stata “requisita” per essere utilizzata per scopi del tutto diversi, ma per il momento si tratta solo di voci.
Resta il fatto, assolutamente certo e inoppugnabile che il decreto ministeriale previsto dal DL non è ancora stato emanato.
Evidentemente la formazione e l’aggiornamento del personale docente non rientra fra le priorità del ministro Giannini.

Riforma PA, Governo e Quirinale ancora stanno modificando i decreti

da tecnicadellascuola.it

Riforma PA, Governo e Quirinale ancora stanno modificando i decreti

Gli esperti dell’Esecutivo continuano a verificare i testi per prevenire eventuali ricorsi. Mentre dal Colle non è tornata la nuova versione delle misure spacchettata in due distinti provvedimenti. Si vuole poi cercare di non intasare il Parlamento con troppe norme da convertire prima della pausa estiva. Tra i punti più controversi, lo stop al trattenimento in servizio per i magistrati oltre i 70 anni e il dimezzamento dei distacchi sindacali, per i quali però occorre decidere in fretta: la liste vanno consegnate verso metà luglio.

Avevamo visto giusto nell’asserire che sul decreto di riforma della pubblica amministrazione bisognava essere cauti prima di esprimere giudizi sulla stesura definitiva del testo. Nella serata di domenica 22 giugno, l’Ansa ha fatto sapere che quando sono ormai passati più di dieci giorni dall’approvazione dei provvedimenti da parte del Consiglio dei ministri, “il Governo sarebbe ancora al lavoro sui testi”: i tecnici dell’Esecutivo starebbero al lavoro per la “stesura di un provvedimento complesso, che sarebbe comunque alle battute finali”.

A rallentare la costituzione della versione definitiva di due distinti decreti (uno sulla PA e l’altro con le misure per il rilancio della competitività per le imprese) non è solo il pericolo di impugnazione in alcune sue parti (una potrebbe essere quella dei trasferimenti obbligatori entro i 50 chilometri da un comparto e l’altro).

Ma anche “la probabilità che la firma del Capo dello Stato, annunciata dal ministro Marianna Madia al massimo per lunedì, possa invece arrivare un po’ più in là, almeno a metà settimana”.

“Dopo i rilievi del Quirinale su un provvedimento inizialmente unico e che portava con sé troppe materie eterogenee (rilievo che peraltro Napolitano ripete da mesi, a tutti i governi) – continua l’Ansa – , al Colle non sarebbe infatti ancora tornata la nuova versione delle misure, spacchettata, come annunciato sempre dal governo, in due distinti provvedimenti”.

Ma i nodi da sciogliere sono anche altri. Occorre evitare, ad esempio, “di intasare il Parlamento con troppi provvedimenti da convertire in 60 giorni alla vigilia della pausa estiva. Pausa che ancora non è stata fissata né per la Camera né per il Senato, e che già gli anni scorsi (anche per fronteggiare un sempre più forte sentimento ‘anti-casta’ nell’opinione pubblica) si era assottigliata”.

Come se non bastasse, a complicare la situazione c’è l’appuntamento ‘urgente’ per le Camere “non nella forma (non si tratta di decreto), ma nella sostanza: quello delle riforme, che negli annunci del Governo dovrebbe ricevere il primo via libera entro luglio. Nella riforma dell’apparato pubblico, comunque, altri nodi resterebbero ancora da sciogliere, a partire dallo stop al trattenimento in servizio per i magistrati oltre i 70 anni, che, secondo l’allarme lanciato dalle toghe, rischierebbe di mandare in tilt gli uffici”.

Decisamente complessa appare anche la questione del taglio a distacchi e permessi sindacali, sui quali i sindacati, in particolare Anief e Gilda hanno già annunciato battaglia: ci sono comparti, su tutti quello della scuola, dove le comunicazioni sui distacchi, i nominativi dei prescelti fino al 31 agosto dell’anno successivo, vanno fatte verso metà luglio. In questo modo che il personale che per cui il sindacato ottiene un esonero totale o parziale dal servizio può essere sostituito con l’assegnazione delle supplenze annuali. Ed in questo mondo non creare difficoltà agli studenti e agli istituti nella definizione degli organici. Rimanere in uno stato di incertezza a pochi giorni dalla comunicazione delle liste dei distacchi non è quindi fattibile. A meno che per la scuola non si decida di rimandare l’applicazione del taglio dei permessi e distacchi sindacali all’anno scolastico 2015/16.

Martedì 24 giugno c’è la quarta prova scritta EsaBac

da tecnicadellascuola.it

Martedì 24 giugno c’è la quarta prova scritta EsaBac

Grazie ad un accordo fra Italia e Francia, sottoscritto nel 2009, sono già 123 gli istituti scolastici coinvolti nel progetto EsaBac (Esame di Stato+Baccalauréat) che consente di ottenere un doppio diploma: italiano e francese, o meglio un diploma congiunto

E ci sono anche più di 500 candidati, che quest’anno faranno la maturità in 23 istituzioni scolastiche italiane all’estero, fra statali e paritarie.
Già lunedì 23 giugno, per lo svolgimento della seconda e della terza prova scritta, nei corsi linguistici interessati dalla modalità EsaBac ci si avvale di lingue diverse dal Francese; e nelle sezioni di liceo linguistico ad opzione internazionale ci si avvale di lingue diverse dalla lingua del Paese partner (cfr. art. 15 comma 3 dell’O.M. n. 37/2014).
Mentre martedì 24 giugno, dalle ore 8.30 si svolge la QUARTA PROVA SCRITTA, nei licei ed istituti tecnici presso i quali è presente il progetto sperimentale EsaBac e nei licei con sezioni ad opzione internazionale spagnola, tedesca e cinese (cfr. art. 12 comma 7). Si tratta di una prova obbligatoria nazionale (il cui testo viene mandato nelle scuole interessate tramite mail dal Miur) su Letteratura e Storia. Il punteggio della doppia prova sarà in quindicesimi e dopo se ne farà la media. Questo punteggio della quarta prova andrà a fare media con quello della terza prova solo se compreso tra 10 e 15. Se il voto complessivo della quarta prova è inferiore a 10, non si fa la media con la terza prova poiché l’alunno non ha superato la prova scritta dell’EsaBac e non accede quindi al secondo diploma “straniero”; però questo candidato deve sostenere ugualmente la prova orale di letteratura francese perché questa contribuisce alla valutazione del colloquio per l’Esame di Stato.
Gli accordi tra Italia e Francia prevedono anche la presenza di ispettori francesi, senza però poteri di intervento diretto, ma come osservatori del regolare svolgimento delle prove. La doppia certificazione costituisce ormai un vero passo avanti per la cooperazione educativa tra i due paesi: una marcia in più per gli allievi italiani e francesi.
Al di là dell’interesse che presenta per gli allievi il rilascio simultaneo dei due diplomi nazionali, l’EsaBac è un segno della fiducia reciproca tra i due paesi, e ha permesso di rafforzare il partenariato tra Italia e Francia nel settore dell’istruzione. Per la prima volta, le istanze decisionali dei sistemi educativi italiani e francesi hanno elaborato congiuntamente i programmi e hanno definito le prove delle due discipline specifiche dell’EsaBac (lingua/letteratura e storia). Per le altre materie, da entrambe le parti delle Alpi, gli allievi seguono i programmi nazionali. I candidati che avranno superato con successo da un lato le prove dell’Esame di Stato e dall’altro le due prove specifiche dell’EsaBac, si vedranno consegnare il diploma d’esame di Stato, secondo la procedura in vigore in Italia, e il Baccalauréat francese, da parte del rettore dell’accademia di Grenoble.
Per le commissioni di esame interessate all’EsaBac, è molto utile e importante seguire passo passo il verbale (allegato all’O.M. n. 37/2014, alle pagg. 57-61) sia per l’attribuzione del voto finale che per la certificazione.

Il regolamento del “Quizzone”

da tecnicadellascuola.it

Il regolamento del “Quizzone”

Per regolamento gli studenti non possono sapere in anticipo le materie e i quesiti scelti dalle commissioni. Ma Skuola.net fa sapere che la metà degli studenti del suo sondaggio conosce già parte della struttura dell’esame. Chi fa la spia?

Già, chi fa lo spione, spifferando agli studenti i contenuti (materie e argomenti specifici) della terza prova, che come è noto formula la commissione? Ma i prof, naturalmente e non può essere altrimenti, perché sono loro che costruiscono le prove; ma scordano colpevolmente che nel preciso istante in cui metà conosce il contenuto delle prove, l’altra metà parte svantaggiata e umiliata in partenza, derubata e in parte sconfitta. E ci chiediamo: che torto hanno commesso?
Ritornando al sondaggio, nel 50% di coloro che già hanno saputo in cosa consisterà l’esame, c’è un 19% che parla di anticipazioni arrivate durante tutto l’anno, un 13% che assicura di saper le materie e il restante 18% che ammette di sapere già anche qualche domanda.
Anche da questa chiara consapevolezza scatta pure l’ordine di scuderia dei ragazzi di copiare e copiare e mettercela tutta per guadagnare un buon voto se non addirittura la promozione. E allora secondo gli intervistati di Skuola.net, 3 studenti su 4 proveranno a chiedere aiuto: la risposta si basa sull’esperienza in classe durante le prime due prove scritte. Il 65% dei candidati, infatti, assicura che la commissione controlla ma non troppo e che quindi si può tentare la copiata. C’è anche un 10% che invece assicura che i professori in commissione non controllano proprio niente. Quindi copiata libera per tutti.
Che fare allora per ovviare a tanto “presunto sbracamento? Cambiare la terza prova? La maggior parte, circa il 38%, ha risposto che vorrebbe sapere per tempo almeno le materie su cui vertono i quesiti. Il 22% ha invece detto che preferirebbe che venisse ridotto il numero delle materie oggetto di esame mentre il 18% vorrebbe più tempo per studiare prima della terza prova.

L’Usr Lombardia anticipa all’1 luglio l’insediamento dei dirigenti neo immessi in ruolo

da tecnicadellascuola.it

L’Usr Lombardia anticipa all’1 luglio l’insediamento dei dirigenti neo immessi in ruolo

In Lombardia, i 355 i dirigenti scolastici vincitori del concorso del 2011, dovrebbero presentarsi nelle scuole di nomina al 30 giugno.
 Molti di loro però sarebbero impegnati nelle commissioni agli esami di stato, col rischio di sostituzioni confusionarie agli orali.

Secondo Lettera43, questa accelerazione dell’Usr Lombardia nella nomina dei dirigenti, che si doveva avviare dal 1° settembre, rischia di mettere in difficoltà diverse commissioni di esame dove codesto personale al momento sarebbe impegnato come commissario o presidente.
I ragazzi dunque, secondo il giornale online, si troverebbero a essere esaminati da un docente-sostituto che però non avrebbe preso parte alla correzione degli scritti e che quindi avrebbe meno elementi per valutarli.
 E, peggio ancora, a essere sostituito potrebbe essere anche un membro interno, un insegnante che ha accompagnato gli alunni durante tutto il percorso didattico dell’ultimo anno preparandoli all’esame di Maturità e lasciandoli poi nelle mani di qualche altro collega
Tuttavia la comunicazione dell’ Usr Lombardia relativa agli adempimenti dei neo dirigenti immessi in ruolo è dei primi di giugno, per cui appare strano che i diretti interessati, e quindi anche il direttore dell’Ufficio, non abbiano preso le misure del caso e quindi di non considerare la nomina di componente della commissione in attesa di assumere quella di preside nelle 335 scuole di appartenenza.
Lettera43, fra l’altro, sostiene che “l’idea di anticipare l’inserimento dei dirigenti scolastici nelle loro future sedi al 30 giugno” è legato al fatto che il Tar lombardo dovrebbe pronunciarsi su molti ricorsi contro le procedure concorsuali per dirigente del 2011, già a partire dal mese di luglio, creando così delle situazioni scomode da gestire. Proprio il grande numero di contestazioni potrebbero far saltare i nuovi contratti di settembre e i 355 dirigenti trovarsi senza posto.

Basta “atipicità”: ci vogliono subito le classi di concorso specifiche

da tecnicadellascuola.it

Basta “atipicità”: ci vogliono subito le classi di concorso specifiche

La revisione delle classi di concorso è attesa da 6 anni in quanto era espressamente prevista dall’articolo 64 della legge n. 133/2008. Il fatto è che l’accorpamente delle classi determinerebbe forti esuberi con situazioni di soprannumero persino a livello provinciale.

L’idea singolare e miope di chi sostiene che tutti possono insegnare tutto, non serve assolutamente a migliorare il livello della didattica nella scuola pubblica italiana, ma al contrario crea grossi problemi per l’apprendimento dei nostri ragazzi.
Le tabelle di confluenza delle classi di concorso cosiddette atipiche sta creando seri problemi e, in alcuni casi, anche contenziosi che finiscono nelle aule di tribunale. Pensiamo alle problematiche sorte tra le classi di concorso A052 e A051 e a quelle tra l’A049 e l’A047. Il Miur non ha ancora risolto il problema; per adesso in modo pilatesco se ne è lavato le mani e, attraverso una norma transitoria (per di più con una semplice circolare), ha lasciato la scelta dell’assegnazione delle classi di concorso dei vari insegnamenti alle singole scuole e agli uffici scolastici. Le conseguenze di questa circolare (la n. 34 del 2014) sono state di una sua applicazione difforme tra scuola e scuola e tra i vari ambiti territoriali d’Italia. In buona sostanza ognuno ha agito per come ha voluto comportandosi in modo diverso per situazioni identiche. L’atipicità delle classi di concorso e l’applicazione della circolare n. 34 dell’aprile 2014 ha provocato un vero e proprio Far West dell’attribuzione delle classi di concorso ai vari insegnamenti.
Ma cosa aspetta il ministro Stefania Giannini a fare un serio e definitivo riordino delle classi di concorso? Il ministro forse non sa che la scuola italiana attende da anni il regolamento sulle classi di concorso? D’altronde la riforma Gelmini sul riordino dei cicli scolastici ed in particolare delle scuole secondarie di II grado è ormai entrata a pieno regime, tanto che con l’anno scolastico 2014/2015 le quinte classi dei licei saranno quelle della riforma dell’ex ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini.
L’urlo accorato che arriva dalla scuola è: “Basta atipicità e norme transitorie sulle classi di concorso servono al più presto regole certe”.
Il problema è soprattutto di natura didattica, alla prova del nove le tabelle di confluenza risultano dannose e didatticamente inefficaci, per questo motivo vanno abolite e sostituite con un regolamento che individui seriamente classi di concorso specifiche per insegnamenti specifici.
In buona sostanza non è pensabile che per la salvaguardia degli esuberi o dei soprannumeri si consenta a tutti di insegnare tutto, è necessario discernere e tutelare l’apprendimento dei ragazzi. Inoltre bisogna ricordare quanto scritto nell’articolo 64 della legge n. 133/2008, che ha disposto l’adozione di un regolamento per la revisione complessiva delle classi di concorso. A distanza di 6 anni da questa legge e con il succedersi di ben quattro ministri dell’Istruzione dal 2008 ad oggi, non si è ancora riusciti ad approvare tale regolamento.
Ma qual è il nodo ostativo che impedisce l’approvazione di un DPR che razionalizzi ed accorpi le classi di concorso ai sensi del comma 4 dell’art. 64 della legge n. 133/2008? Il nodo principale è quello di trovare forme di tutela per i docenti più anziani facenti parte dell’incrocio di classi di concorso atipiche, infatti molti di questi, se venisse approvato il DPR sull’accorpamento delle classi di concorso, rischierebbero di andare in soprannumero nella scuola di titolarità e addirittura in esubero provinciale. La situazione sul riordino delle classi di concorso è quindi un’urgenza e per questo motivo chiediamo al responsabile del Miur Stefania Giannini cosa intenda fare per risolvere definitivamente una situazione che sta assumendo contorni kafkiani.

Circa il 95% degli ammessi passa l’esame di stato contro l’85% in Francia

da tecnicadellascuola.it

Circa il 95% degli ammessi passa l’esame di stato contro l’85% in Francia

P.A.

Una volta ammessi agli esami, l’anno scorso quasi il 99% degli studenti li hanno passati con buon esito. In un sistema di esaminazione simile, come il Baccalaureat Francese, il tasso di buon esito si attesta mediamente attorno all’85%.

Anche se esistono lievi differenze tra i due sistemi, sottolinea Linkiesta.it, la percentuale di coloro che ottengono il diploma è altissima, vicina al 95%.

“Viene da chiedersi, viste queste statistiche, il vero valore di tale esame” e il significato di valorizzare merito e competenze.
Nel 2013, scrive sempre L’inkiesta.it, il 10% degli esaminati ha ottenuto un voto pari a 60: quale valore intrinseco potrà mai avere tale diploma? Da un punto di vista informativo il non ottenerlo o ottenerlo con la votazione minima conterrebbero in entrambi i casi la stessa informazione. Si può essere più o meno magnanimi, ma non si può pensare di ingannare il mercato, una volta completato il ciclo di studi. Le aspettative e le informazioni, in un ambiente lassista, sono più furbe dei furbi.