Autismo, mai più visite in commissione Inps. “Il regalo più grande del 2 aprile”

da Superabile

Autismo, mai più visite in commissione Inps. “Il regalo più grande del 2 aprile”

Una direttiva trasmessa dal direttore Piccioni a tutte le sedi provinciali elimina il passaggio per la commissione medica: l’invalidità sarà accordata sulla base della certificazione dello specialista o del centro del Servizio Sanitario Nazionale. Pennino: “Svolta per le famiglie e risparmio per lo Stato”

ROMA – Dal 2 aprile scorso, le persone con autismo non dovranno più sottoporsi alla visita presso la commissione Inps per ottenere l’invalidità civile: è il “regalo che il dottor Piccioni (coordinatore generale Medico-legale dell’Inps, ndr) ci aveva promesso ed è riuscito a farci per la Giornata mondiale – riferisce Rosi Pennino, del comitato Autismo parla -, trasmettendo a tutte le sedi provinciali dell’Inps la direttiva che, di fatto, elimina un passaggio che costituiva un appesantimento burocratico, un abbrutimento umano e un onere per le casse pubbliche”. Per spiegare la novità con le parole della direttiva, “in considerazione della peculiarità del disturbo autistico, che è una sindrome comportamentale con deficit sociale che deve essere valutato da strutture specializzate e accreditate dal Ssn, si dispone che, in presenza di documentazione sanitaria probante da centri di riferimento, si debba procedere ad accertamento su atti. E’ necessario infatti – continua la direttiva – evitare inutili disagi ai miniroi e alle famiglie per un accertamento diretto medico legale le cui evidenze clinico-obiettive sarebbero comunque insufficienti in assenza di documentazione sanitaria attestante ripetute osservazioni nel tempo”.
Si tratta di “un cambiamento enorme per noi – assicura Pennino – perché di fatto l’invalidità sarà riconosciuta sulla base delle Linee guida sull’autismo che l’Inps si è data nei mesi scorsi”: in pratica, il riconoscimento dell’invalidità avverrà sulla base della diagnosi documentata da un centro o da un professionista del Servizio sanitario nazionale. “A carte risponderanno carte – spiega Pennino – e smetteranno di girare le persone”. Un importante risultato era già stato ottenuto in questo senso, lo scorso anno, quando una circolare dell’Inps eliminò la visita di revisione per i minori con autismo. Ora, l’iter per il riconoscimento dell’invalidità alle persone con autismo si alleggerisce fin dal principio: “in pratica, la famiglia si recherà al centro di riferimento per avere il certificato con la diagnosi, che poi trasmetterà all’Inps per la richiesta dell’invalidità. L’Inps quindi verificherà la documentazione e risponderà con l’invalidità civile”. Con grande beneficio per le famiglie, stressate oltremisura da queste lungaggini burocratiche, ma anche per le casse dello stato, perché “le commissioni costano – ricorda Pennino – e tute queste visite sono state, finora, un inutile sperpero di denaro”. (cl)

Le covergenze paralelle

LE CONVERGENZE PARALLELE

di Gian Carlo Sacchi

L’autonomia delle scuole avrebbe dovuto essere il vero indicatore del cambiamento degli ultimi trent’anni. Proveniente dall’apertura alla partecipazione della famiglia-società, è passata attraverso il decentramento della pubblica amministrazione, per arrivare a configurare la personalità giuridica ad ogni istituzione scolastica mettendola in grado di dialogare con il “sistema” delle autonomie sul territorio. Il tutto rinfrancato dalla riforma costituzionale del 2001 che introduceva un nuovo ruolo delle regioni nella programmazione del servizio in concorso con lo Stato che si sarebbe dovuto occupare di “norme generali” a carattere nazionale. Da qui era partita da un lato la revisione degli organi collegiali e, dall’altro, l’elaborazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” dai quali dedurre i “costi standard”.

In attesa di recidere il cordone ombelicale che le collegavano all’amministrazione scolastica, il dibattito era acceso su quale collocazione politico-istituzionale le scuole autonome avrebbero assunto: o più simile ad un comune, soprattutto per quanto riguardava l’autonomia finanziaria e la dimensione partecipativa, o assomigliare di più ad un “corpo intermedio” per la sua caratteristica comunitaria e la vocazione educativa , o rimanere nell’ambito delle “scuole della Repubblica” come promozione del “diritto allo studio” per tutti i cittadini e garanzia dell’uguaglianza sociale.

Praticamente la discussione è rimasta ai preliminari in quanto le scuole sono appese al cappio amministrativo statale per ragioni finanziarie e di gestione del personale, senza che però gli Enti Locali e soprattutto le Regioni rivendicassero come in altri paesi europei una competenza specifica e soprattutto assumessero precisi impegni economici e di governo. Nessuna delle parti in causa ha fatto quello che doveva sulla base del riformato dettato costituzionale: lo Stato ha mantenuto le competenze gestionali sulle scuole e poche regioni hanno provveduto ad una legge di sistema. Risultato, anni di impasse con evidenti conflitti di attribuzioni e gran lavoro per l’alta Corte.

Senza dunque aver mai dato compiuta applicazione alla predetta revisione, con l’inevitabile contenzioso dettato in gran parte da dispute giuridiche prive di esperienze concrete, si apre una nuova stagione, sia sul piano della legislazione in campo scolastico, sia sul modello costituzionale: una grossa operazione che ancora come filo rosso ha l’autonomia. Sembra di capire però, se non vi saranno successive modifiche, che si cambi rotta e cioè che vi sia più autonomia nella scuola, ma meno della scuola. La legislazione precedente faceva arrivare al singolo istituto un carico di competenze e responsabilità per cui allo stesso tempo avrebbe dovuto lavorare per la promozione della propria comunità e raggiungere gli standard nazionali (sistema nazionale di valutazione), lasciandosi alle spalle uno stato regolatore e custode dei diritti dei cittadini.

L’attuale dibattito parlamentare sembra improntato alle convergenze parallele dove la parola autonomia è largamente spesa nell’ottica del “come” fino anche ad arrivare all’autofinanziamento, ma il governo del sistema sembra restare nelle mani del centralismo amministrativo che sarà mantenuto per effetto della “controriforma” del titolo quinto e rappresentato dal dirigente scolastico, che certo non può essere pensato elettivo, anche se viene chiamato “sindaco”, ma magari nominato direttamente dal presidente del consiglio. Gli uffici amministrativi centrali e periferici dell’istruzione, che si pensava sparissero in ossequio al predetto sistema delle autonomie locali di cui la scuola entrava a far parte, si vedono potenziati in un’operazione di ricentralizzazione complessiva.

Nel rapporto del commissario sulla spending review non si propongono tagli per l’istruzione pubblica e questo se da una parte è un fatto positivo, dall’altra mantiene tutto l’apparato così com’è, mentre si sarebbe potuto effettuare qualche risparmio sui predetti uffici amministrativi, in previsione dell’annunciata riforma della governance e dell’accentuazione dell’autonomia scolastica, con economie da riversare sulle scuole stesse, come aveva già previsto la legge 440/1997.

Il segnale più forte dell’inversione di tendenza lo troviamo nella nuova riforma del titolo quinto approvata alla Camera, all’art. 30, dove modificando l’art. 116 della Costituzione si parla di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia…che potranno essere concesse alle Regioni……”(virtuose, senza cioè deficit di bilancio) nelle “politiche attive del lavoro e istruzione e formazione professionale”, materie queste ultime che la Costituzione aveva attribuito come competenze esclusive alle regioni stesse. Prima vengono tolte, attraverso la modifica dell’art. 117, e poi per gentile concessione potrebbero venire di nuovo attribuite.

Nell’ultima versione di questo articolo oltre alle “disposizioni generali e comuni sull’istruzione” si ribadisce la competenza esclusiva dello Stato “sull’ordinamento scolastico”. Alle Regioni la “potestà legislativa” per “l’organizzazione…dei servizi della formazione professionale, … scolastici, di promozione del diritto allo studio”. Mentre per sanità e welfare si parla anche di programmazione, nel settore educativo sembra molto depotenziata tale potestà, al punto che assomiglia di più alle funzioni che oggi svolgono le Province che saranno abolite e sotto il controllo degli Uffici Scolastici Regionali del Ministero. Manca altresì un’importante funzione oggi regionale che è quella della programmazione della rete scolastica, che in passato non si è mai riusciti ad integrare con gli altri servizi sociali e che in futuro sarà difficile far entrare nel processo di riorganizzazione dei Comuni: si parla genericamente di “pianificazione del territorio”.

In queste condizioni a poco servirà la partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti normativi dell’UE, in un’Europa che sarà sempre più dei governi regionali, ed ancora più complicata sarà la pratica relativa ai fondi europei. Qui non si tratta più soltanto di sostituire le regioni inadempienti, ma di ristatalizzare, come si è detto, tutto il processo.

A conclusione di questo primo ma fondante filone di riforma c’è da chiedersi a cosa può servire il Senato, come Camera nazionale di coordinamento di politiche federali che con tale impianto si possono dare per abbandonate. Non toccando poi le regioni a statuto speciale si accentua la distanza tra il sistema nazionale e quelli locali.

Un’altra strada si sarebbe potuta intraprendere se si voleva razionalizzare il regionalismo e cioè quella della riorganizzazione territoriale nel tentativo di costruire macroregioni più omogenee. In tal senso era sorta una commissione al ministero delle regioni, ma il governo ha ribadito che non esistono le condizioni (ministro Boschi, audizione alla commissione bicamerale per il federalismo fiscale il 20/11/2015): segno di una volontà anche politica di neocentralismo, che forse coglie un favorevole momento di debolezza delle regioni stesse.

Diventa perciò politicamente contraddittorio vedere che il disegno di legge sulla buona scuola dedica tanto spazio all’autonomia delle istituzioni scolastiche. Sembrava più coerente ai tempi delle riforme Bassanini con un decentramento della pubblica amministrazione che sfociava in un’articolazione di autonomie territoriali di cui quella scolastica avrebbe fatto parte, in una prospettiva di autodeterminazione. Una governance soggetta alle norme generali sull’istruzione da parte dello stato, leggi regionali relative all’autogoverno del sistema scolastico territoriale, autonomia didattica, finanziaria, di ricerca e sviluppo da parte delle scuole in una prospettiva di valutazione nazionale.

In questo nuovo ddl si vorrebbe “garantire la massima flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio….e l’integrazione con il contesto…” Si richiede addirittura una programmazione triennale dell’offerta formativa ad una scuola che sul piano costituzionale rimane saldamente ancorata alle competenze esclusive dello stato che le esercita attraverso il Ministero e le sue articolazioni.

Il sospetto che l’autonomia sia soltanto una questione metodologica viene dalla proposta di modificare l’art. 21 della predetta legge Bassanini, che introduceva l’autonomia in un’ottica decentralistica, a cui segue il rafforzamento della funzione del dirigente scolastico.

Insomma per garantire “ i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio” si poteva agire come previsto da un governo dei vari ambiti territoriali per arrivare alla nuova camera delle autonomie e ad un consiglio nazionale dell’autonomia scolastica, mentre qui si sceglie la strada restauratrice del centralismo burocratico.

Non mancheranno certo le discrasie tra una simile importazione programmatica e organizzativa delle scuole autonome ed i compiti degli Enti Locali, rispetto anche alle risorse da impiegare, a meno che non si pensi di far governare la scuola dall’Ufficio Scolastico Regionale (di organi collegiali si parla molto poco), che approva i piani triennali, di scaricare di fatto sugli Enti Locali l’operatività del servizio (lo Stato vuole aprire le scuole al pomeriggio, le Province le vogliono chiudere anche il sabato mattina perché non hanno i soldi per il riscaldamento) e farlo pagare agli utenti attraverso modalità di investimento e di defiscalizzazione.

Scorrendo l’articolo due del ddl governativo si vede come l’autonomia proclamata viene gradualmente ridotta ad un asse: dirigente scolastico-Ufficio Scolastico Regionale-Ministero. E qui si registra la convergenza con l’impostazione della riforma del titolo quinto. A che serve il consiglio di istituto ?

Un altro esempio che sul piano della governance non convince completamente riguarda l’istituzione dei “poli per l’infanzia”. Mentre da un lato è da superare la parcellizzazione di un servizio ancora definito a “domanda individuale”, facendolo diventare un bene generalizzato della Repubblica, dall’altro è da valutare il suo trasferimento sotto lo Stato in relazione all’attuale governo degli Enti Locali.

Un’ultima questione che una vera autonomia avrebbe contribuito a risolvere è il rapporto tra le scuole statali e quelle paritarie. A parte la necessità di dare piena attuazione alla legge 62/2000 è solo a livello territoriale che si può superare la difficoltà costituzionale del finanziamento. Le paritarie infatti oltre ad essere l’esempio della libertà di educazione devono svolgere una funzione pubblica comprendendole in una programmazione territoriale, come già avviene per la scuola dell’infanzia e per la formazione professionale, nonostante una progressiva e non chiara statalizzazione di questo segmento. Tutto ciò perché abbiano piena cittadinanza le provvidenze per il diritto allo studio ed altre forme di autofinanziamento che saranno introdotte anche per le scuole statali, fino ad arrivare al possibile pagamento dei docenti da parte dello Stato, attinti a loro volta dagli “albi regionali”.

Con delega al Governo saranno disciplinati gli organi collegiali in base a “nuovi criteri” (sic ?) che valorizzano la partecipazione, individuando “le articolazioni funzionali all’esercizio dell’autonomia”. E’ previsto per ciascuna scuola l’adozione di uno “statuto”, già presente in precedenti progetti di legge, ma con ben altra concezione dell’autonomia, che rasentava la privatizzazione. Nel principio della delega si parla di organi rappresentativi a livello nazionale, regionale e territoriale, pensati però come filone a parte rispetto alla potestà legislativa e amministrativa delle Regioni ed Enti Locali. Qui manca il potere sostitutivo e di vigilanza, che ovviamente dovrà competere ai predetti Uffici Scolastici Regionali; inevitabilmente come nel passato regime dei “decreti delegati” del 1974 in cui i Provveditori agli Studi finirono per attrarre a sé le autonomie scolastiche allontanandole da quelle territoriali.

Riti legittimi incomprensibili

RITI LEGITTIMI INCOMPRENSIBILI

di Alessandro Basso

 

La polemica nei confronti del D.D.L La buona Scuola di questi giorni non mi rappresenta e forse non sono l’unico, non tanto perché non si possano trovare degli elementi di criticità da esprimere nelle forme e nei modi opportuni, ma perché i caratteri che sta assumendo questa protesta a tutto porteranno meno che al bene della scuola.

Di fronte ad un protagonismo critico a volte incomprensibile, quanto legittimo e democratico, si coglie un silenzio assordante da parte dei docenti che stanno già facendo la Buona Scuola.

Chi li rappresenta? Forse siamo noi presidi a rappresentare i buoni docenti, perché siamo perfettamente in grado di individuarli e di sostenerli e nei confronti della nostra utenza e nei confronti dell’opinione pubblica.

La preoccupazione di fronte ad un cambiamento è fisiologica, ma il terrore preventivo pare assolutamente ridondante.

Quale preside non è in grado di elencare, uno per uno, i buoni docenti di cui dispone? Perché, parimenti, non può avere la possibilità di intervenire nei confronti di quelli che sono meno brillanti?

Non è forse questo che le famiglie ci chiedono? Proviamo, ogni tanto, a metterci dalla loro parte, quando vengono da noi preoccupati quando si verifica qualche criticità a scuola. Perché dobbiamo dir loro, a volte parafrasando, che non possiamo fare niente? È corretto?

Troviamo, invece, dei margini di garanzia per poter sostenere politiche di ri-orientamento del personale, di formazione in servizio obbligatoria.

Come è evidente agli occhi di tutti, la maggior parte dei docenti sono buoni docenti e non sono interessati a questo. Non è giusto non poterli gratificare e non eliminare quell’egualitarismo che nemmeno Don Milani aveva promosso. A chi serve? Quale miglioramento ha prodotto nella scuola?

Nessuno si sta preoccupando dell’immagine che si sta dando di questa scuola nei confronti del mondo di chi lavora nella scuola.

Ieri sera abbiamo assistito, in molti, alla trasmissione “Porta a Porta” e che cosa può aver pensato la gente comune?

Penserà che, ancora una volta, ci sono migliaia di persone da piazzare nel pubblico impiego, perché quello che emerge è proprio questo: il dato occupazionale, prima di tutto. Assumere tutti, subito, poi si vedrà cosa fare di loro.

Possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che ci siano spazi di perfezionamento, così come è assolutamente fisiologico che chiunque possa esprimere il proprio malcontento anche in maniera molto franca.

Lascia perplessi, mi sia consentito dirlo, che questa critica sia rivolta ad una riforma di un governo di centro-sinistra dopo che per lunghi anni si è acclamato l’intervento sulla scuola da questa parte politica.

Non sono stati gli insegnanti a non volere la riforma dei Cicli di Berlinguer? Non sono stati gli insegnanti a non volere il tutor e il portfolio?

Forse sarà il caso di riflettere su questo paradigma storico, perché non è così altrettanto filologico che si metta in continuazione mano sulla scuola per preservare alcune sacche di privilegi, che non sono più nemmeno privilegi.

Sul lavoro non si scherza e il dramma del precariato italiano non va assolutamente minimizzato, in quanto c’è stata una complicità diffusa nell’inventare forme di reclutamento incomprensibili (PAS, TFA, concorsi riservati, lauree abilitanti, poi non più abilitanti, poi di nuovo abilitanti).

Non deve sicuramente suonare sinistro che un vertice politico riaffermi il principio che alla Pubblica Amministrazione si accede per concorso, lo dice addirittura la Costituzione.

Non si può riflettere sul fatto che la patologia è diventata ordinaria (le abilitazioni selvagge) e l’ordinario appare patologia (i concorsi).

Allo stesso modo, suscita imbarazzo il dibattito politico sulla necessità o meno di una valutazione del personale. Non è dal D. lgs 29/93 che il rapporto di lavoro nella P.A. è di tipo privatistico? Allora dove sta la sorpresa sul fatto che si debbano valutare le performance delle persone? Non avviene quotidianamente nel privato?

E per primi dovrebbero essere valutati, a mio avviso, i dirigenti scolastici. Gli ultimi assunti, di cui faccio parte, sono pronti e hanno anche effettuato un percorso ad hoc per avviare il sistema, siamo pronti a dare l’esempio.

Non facciamo bella figura, come comparto, a sostenere che la valutazione è l’ultima delle priorità della scuola, da docenti che valutano i loro alunni quotidianamente.

In conclusione, un appello ai buoni docenti e a chi organizza gli eventi di critica televisiva o giornalistica: diamo spazio a questi docenti perché raccontino la bella e buona scuola, perché spieghino che la si può ancora risollevare le sorti di una professione così delicata e così importante.

Questo è quello che auspico dalla Buona Scuola.

Passaggio dalla IV alla III fascia GaE

Passaggio dalla IV alla III fascia GaE: in tribunale vince l’ANIEF

I Tribunali del Lavoro di Verona e La Spezia hanno dato ragione all’ANIEF e riconosciuto il diritto di due nostri iscritti, inseriti in IV fascia a seguito del D.M. 53/2012, all’inserimento all’interno della III fascia delle Graduatorie a Esaurimento d’interesse in virtù del principio del merito e del punteggio posseduto. Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli, Piera Bianchi e Maria Maniscalco ottengono due nuove vittorie a carico del Ministero dell’Istruzione condannato anche al pagamento di 4000 Euro di spese di lite.

L’inserimento in IV fascia consentito dal MIUR con il D.M. n. 53/2012 – come da sempre sostenuto dall’ANIEF – risulta, infatti, illegittimo in quanto stravolge la logica che ha ispirato la norma istitutiva delle Graduatorie a Esaurimento, con l’effetto perverso di togliere ogni rilievo al merito dei docenti e per riaffermare il desueto criterio della mera anzianità di iscrizione in graduatoria per aver conseguito i titoli per l’ammissione nelle Graduatorie in data precedente. Tale considerazione discende proprio da quanto più volte espresso dalla Corte Costituzionale, laddove ha ribadito che “il mero dato formale della maggiore anzianità di iscrizione… <non può comportare> il totale sacrificio del principio del merito”, con particolare riguardo agli artt. 3, 51 e 97 della nostra Carta Costituzionale.

I Giudici hanno dato ragione all’ANIEF, dunque, riconoscendo che “né l’art. 401 del TU n. 297/94 né l’art. 2 della legge n. 124/99 di istituzione delle graduatorie uniche permanenti, hanno previsto l’articolazione delle stesse in scaglioni elaborati secondo una regola di precedenza cronologica, ponendo piuttosto quale criterio per determinare l’ordine progressivo dei docenti, anche in conseguenza di aggiornamenti e inserimenti nell’elenco, quello del punteggio posseduto dagli stessi e, quindi, quello del merito”.

L’ANIEF esprime piena soddisfazione per aver nuovamente ottenuto giustizia grazie alla sapiente professionalità dei propri legali riuscendo, ancora una volta, a salvaguardare principi di rango costituzionale pervicacemente violati dal MIUR. Il nostro sindacato rassicura i propri iscritti e persevererà con la propria azione di vigilanza e tutela della legalità in tutte le sedi opportune per continuare, come sempre, a dare voce ai loro diritti e a quelli di tutti i lavoratori della scuola.

SCUOLA, UNIVERSITA’ E VALUTAZIONE DEI DOCENTI

SCUOLA, UNIVERSITA’ E VALUTAZIONE DEI DOCENTI: SABATO 11 APRILE CONVEGNO GILDA E CIPUR

“Scuola e università: come valutare i docenti?”. E’ questo il tema del convegno nazionale promosso dalla Gilda degli Insegnanti e dal Cipur (Coordinamento Intersedi Professori Universitari di Ruolo) che si svolgerà sabato 11 aprile a Roma dalle 10 alle 13,30 presso il Best Western Hotel Universo (via Principe Amedeo 5/B).

Tra scuola e università, pur essendo realtà educative culturalmente vicine, si registra troppo spesso la mancanza di un dialogo costruttivo e le politiche pubbliche in termini di valutazione del sistema formativo, procedendo secondo una logica di comparto, non incoraggiano un’interazione efficace. Con questo convegno la Gilda degli Insegnanti e il Cipur intendono aprire una breccia nello steccato che separa scuola e università, discutendo insieme delle modalità e dell’utilità della valutazione dei docenti per suggerire modifiche e correzioni da apportare agli attuali sistemi.

Il programma del convegno, che si aprirà con il saluto di Stefano Fantoni, presidente dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca),  prevede gli interventi di Manuela Di Franco, segretario generale del Cun (Consiglio Universitario Nazionale), Massimo Castagnaro, componente del Consiglio Direttivo dell’Anvur, Alberto Incoronato, presidente Cipur, Gianluigi Dotti, responsabile Centro Studi Nazionale Gilda degli Insegnanti, Claudio Gentili, direttore Confindustria Education, e Giancarlo Cerini, esperto di valutazione e direttore della “Rivista dell’Istruzione”.
I lavori saranno moderati da Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda degli Insegnanti.

Educazione alla legalità, Bergamo fa scuola

Educazione alla legalità, Bergamo fa scuola

Mercoledì 15 aprile 2015 dalle 9.15 alle 12.30

auditorium Istituto superiore Giulio Natta, via Europa 15, Bergamo,

convegno di presentazione del Centro di promozione della legalità (Cpl) per la provincia di Bergamo costituito grazie a un progetto che ha ottenuto il massimo del punteggio (100/100) e un finanziamento di quasi 13 mila euro al Concorso per progetti di educazione alla legalità bandito il 9 gennaio dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia in attuazione della convenzione sottoscritta con Regione Lombardia.

Cpl Bergamo viene promosso da una rete di sessantuno istituzioni scolastiche e diciannove organizzazioni di settore bergamasche impegnate nell’educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva.

Web: www.istruzione.lombardia.gov.it/bergamo

Assemblea 10 aprile 2015

Assemblea del Coordinamento contro “La buona scuola” di Torino
Venerdì 10 ore 17.30
presso Cavallerizza Via Verdi, 9 Torino

L’assemblea è indetta allo scopo di creare un momento di confronto tra i diversi interlocutori presenti sul Territorio, individuare una linea d’azione comune contro l’imminente riforma della scuola e lavorare alla costruzione di un’opposizione unitaria e coesa, dentro e fuori le scuole, che trascenda gli interessi delle singole categorie per mirare alla salvaguardia della scuola pubblica e del diritto all’istruzione.

La scuola che cambia il paese

La scuola che cambia il paese
Appello al Parlamento

Ci rivolgiamo al Parlamento per chiedere di cambiare il disegno di legge sulla scuola presentato
dal Governo. Rappresentiamo studenti, insegnanti, genitori, forze sociali e sindacali,
associazioni interessate a una scuola buona. I vari governi che si sono succeduti dal 2011 a
oggi, tuttavia, nonostante le proposte di confronto avanzate, non ci hanno mai dedicato uno
spazio di ascolto.
L’investimento di tre miliardi nella scuola pubblica può essere una positiva inversione di
tendenza, se finalizzato a innalzare i livelli di istruzione e di competenza di tutto il Paese e a
contrastare le gravi diseguaglianze socio-culturali e territoriali che condizionano gli esiti
scolastici.
Siamo convinti che senza la partecipazione attiva dei soggetti che rappresentiamo, nessuna
riforma possa raggiungere questi obiettivi decisivi per lo sviluppo del Paese. La consultazione
sui temi della “Buona Scuola”, come dimostrato dagli stessi dati esposti dal MIUR, non ha
purtroppo coinvolto il Paese nell’auspicato dibattito capillare.
Pertanto, consideriamo indispensabile aprire un ampio confronto nel Paese per delineare una
visione generale, il più possibile condivisa, sul nuovo ruolo della scuola nella società della
conoscenza. A questo proposito riteniamo decisivo partire dal diritto di ogni persona
all’apprendimento permanente come base per un progetto complessivo di cambiamento del
sistema educativo italiano.
Pur rappresentando organizzazioni con punti di vista anche molto diversi, abbiamo individuato
in cinque punti le proposte per cambiare il disegno di legge presentato dal governo:
Diseguaglianze. I risultati delle indagini internazionali dicono che la nostra scuola è
penalizzata dall’essere tra le più diseguali d’Europa, con il rendimento degli studenti legato non
tanto al merito individuale quanto al contesto territoriale e alle scelte dell’indirizzo e dello
specifico istituto. Il fatto che ci siano, di norma, basse differenze di rendimento all’interno della
stessa scuola e alte differenze fra scuole diverse significa che il contesto socio-economico delle
scuole stesse incide al momento più di quello delle famiglie sui risultati dei discenti.
Potenziare l’autonomia scolastica significa allora ridurre le diseguaglianze che frenano il diritto
al successo formativo di ogni studente e la crescita di qualità dell’intero sistema.
L’organico dell’autonomia non deve essere destinato prioritariamente alla copertura delle
supplenze, ma al rafforzamento delle strategie per combattere la dispersione scolastica e a
promuovere il successo scolastico di tutti. Si deve sviluppare quel progetto di scuola che non è
la somma di mille progetti, ma corrisponde alla costruzione di curricoli che sappiano misurarsi
con i nuovi modi di apprendere e di vivere dei giovani, facendo della scuola un laboratorio
permanente di innovazione educativa, partecipazione ed educazione civica. Per fare questo ci
vogliono sperimentazione e costante ricerca, così che la scuola possa assumere anche un ruolo
centrale nel sistema nazionale di formazione degli insegnanti.
E’ altresì fondamentale garantire l’accesso al diritto allo studio, nel rispetto della Costituzione e
come primo essenziale strumento di uguaglianza sostanziale, adottando una legge quadro
nazionale che imponga dei livelli essenziali di prestazione e che sia soprattutto finanziata:
qualsiasi intervento legislativo in materia di diritto allo studio che non preveda un grande
investimento dello Stato sarebbe semplicemente inutile. È poi necessario, in secondo luogo,
potenziare gli strumenti di welfare studentesco attraverso un sistema di servizi, che
garantiscano una piena inclusione degli studenti e delle studentesse non solo nella dimensione
scolastica ma anche in quella di cittadini.
La strategia di innalzamento dei livelli di istruzione e competenza riguarda anche la
popolazione adulta, come ci ricorda l’indagine Ocse-Piaac. Un significativo investimento di una
quota di organico funzionale per lo sviluppo dell’Istruzione degli Adulti rappresenta un passo
decisivo per la costruzione del Sistema Integrato dell’Apprendimento Permanente (Legge
92/2012).
Governance. Occorre rafforzare l’autonomia nel senso pieno del DPR 275 e quindi come
“garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale”, strumento per porre al centro
l’apprendimento degli studenti e “garantire loro il successo formativo”.
A questi fini è nata l’autonomia scolastica, come strumento di democratizzazione della scuola:
tramite il decentramento dei livelli decisionali e attivando una reale partecipazione delle
componenti, la scuola deve diventare una comunità che si auto-governa, dove tutti sono
soggetti attivi del processo educativo e delle scelte chiave. In questo modo la scuola potrà
rispondere alle nuove esigenze della società odierna, così multiforme e diseguale.
Invece l’eccessivo accentramento dei poteri nelle mani del preside-manager, previsto nel ddl, e
la conseguente completa estromissione degli studenti, dei docenti, dei genitori e del personale
ATA dai processi decisionali non rispondono affatto alle necessità di corresponsabilità e
partecipazione che riteniamo essere imprescindibili per conseguire le finalità originarie
dell’autonomia.
Vanno quindi riviste a fondo le prerogative previste per il dirigente scolastico, che
nell’articolato del ddl ne vede enfatizzati poteri e ambiti di competenza, evidenziando una
parallela compressione della dimensione collegiale della scuola: riaffermiamo il valore degli
organi collegiali come cuore di una comunità educante che svolge anche la funzione di palestra
di democrazia per gli studenti.
La scuola ha fondato le sue conquiste più importanti su un clima di cooperazione reso possibile
proprio dalla impersonalità delle norme e dalla crescita di un sistema complesso a
responsabilità diffusa. I poteri del dirigente scolastico non escono né umiliati né diminuiti dal
fatto che le sue responsabilità sono chiamate a coesistere con le prerogativa affidate agli altri
soggetti della scuola: il dirigente dirige, ma non dei “sottomessi”. La responsabilità è certo
necessaria ma non deve essere monocratica e unilaterale, perché la partecipazione attiva delle
componenti si concretizza solo se queste hanno un effettivo potere decisionale. E’ necessario
perciò affinare gli strumenti di gestione dei processi educativi e formativi, che costituiscono in
definitiva l’essenziale ragion d’essere del sistema scolastico, affinché sia perseguibile un
sostanziale esercizio delle distinte e sinergiche responsabilità nel processo di costruzione delle
decisioni. Riteniamo dunque importante riformare gli organi collegiali in direzione radicalmente
opposta ed incentrata su una maggiore partecipazione di studenti e famiglie, così da rendere la
gestione della scuola sempre più collettiva, responsabilizzando tutte le componenti del tessuto
scolastico nell’elaborazione dell’offerta formativa, nella scrittura di progetti, nell’individuazione
di punti deboli e strategie collettive di miglioramento.
Sono improrogabili interventi per valorizzare il lavoro nella scuola nel rispetto della funzione
contrattuale, indispensabile per raggiungere soluzioni efficaci e condivise.
Risorse economiche. La scuola italiana necessita urgentemente di un aumento dei
finanziamenti pubblici, almeno fino a riallineare il nostro paese con la media europea. Sono
inammissibili le dichiarazioni per cui lo Stato non può coprire le spese per l’istruzione. È tuttavia
possibile prevedere forme di finanziamento aggiuntivo, che in ogni caso non possono andare a
finanziare singole istituzioni scolastiche: le diseguaglianze tra regioni e tra scuole della stessa
regione sono altrimenti destinate ad aumentare, nonostante gli interventi perequativi che si
possano prevedere. Riteniamo indispensabile quindi che forme di finanziamento privato
totalmente libere e dirette, come la cessione del 5 per mille, siano finalizzate a potenziare il
sistema educativo pubblico migliorandone i livelli di qualità ed equità.
Il F.I.S. e il M.O.F., i canali con cui viene ordinariamente finanziata l’attività autonoma delle
singole scuole, devono essere rinforzati e stabilizzati, così come peraltro annunciato nelle linee
guida iniziali della “Buona Scuola”.
La ripresa di una politica di investimenti nel sistema educativo pubblico deve inoltre essere
accompagnata a un piano pluriennale che permetta all’Italia di raggiungere almeno la media
europea.
Rapporto scuola e lavoro. Lo sviluppo del rapporto-scuola lavoro deve essere orientato ad
arricchire il percorso educativo e potenziare le opportunità occupazionali di tutti i giovani,
assicurando a ognuno effettive capacità di apprendimento lungo tutto il corso della vita.
Deve essere superato il pregiudizio, ancora molto radicato, dei percorsi per il lavoro destinati a
chi è ritenuto poco adatto per gli studi. Tutti i percorsi scolastici devono essere aperti alla cultura
del lavoro anche attraverso concrete esperienze di alternanza scuola-lavoro.
I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro devono essere articolati secondo criteri
di gradualità e progressività rispettosi dello sviluppo personale, culturale e professionale
degli studenti in relazione alla loro età. Per questo ha grande rilievo la qualità della funzione tutoriale
svolta dal docente tutor scolastico e dal tutor formativo. I diritti delle studentesse e degli
studenti in alternanza scuola lavoro devono essere garantiti per mezzo di uno Statuto che
impedisca la creazione di sacche di lavoro gratuito mascherate da opportunità formative.
La didattica laboratoriale deve essere sostenuta e diffusa in tutti i percorsi formativi.
A ogni giovane, a conclusione del percorso formativo, deve essere assicurata la certificazione di
tutte le competenze acquisite e la possibilità di accedere all’università. Un’idea molto diversa si
rintraccia nel DDL laddove si prevede la possibilità di svolgere l’alternanza nelle pause estive,
affidando alle sole imprese la gestione del percorso formativo; così facendo si afferma un’idea
che dequalifica l’idea di apprendistato prevedendo una remunerazione nulla o irrisoria per le
ore di formazione. L’utilizzo del contratto di apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio
deve essere esclusivamente finalizzato all’apprendimento e comunque successivo al conseguimento
dell’obbligo di istruzione. La possibilità di acquisire un diploma di istruzione in apprendistato
deve essere reintrodotta per dare continuità e sviluppo al programma sperimentale per lo
svolgimento di periodi di formazione in azienda e come opportunità per i giovani NEET privi di
diploma.
Deleghe al Governo. Riteniamo che le numerose deleghe al Governo previste nel ddl siano
un errore perché vi sono previsti temi troppo importanti, cruciali per il miglioramento della
scuola italiana, che non possono essere affrontati senza un serio dibattito parlamentare.
Crediamo inoltre che i criteri direttivi previsti siano insufficienti e spesso troppo vaghi, per
determinare in quale direzione debbano andare queste importanti riforme; allo stesso tempo è
inaccettabile la specifica previsione di non finanziare queste deleghe, perché temi come il diritto
allo studio necessitano prioritariamente di un finanziamento da parte dello Stato.
L’idea che il Parlamento abdichi alla sua funzione legislativa in favore del Governo, delegando
senza i necessari criteri direttivi e senza finanziamenti su materie che sono determinanti per
una qualsiasi riforma scolastica, è per noi ingiusta e inammissibile.
Davvero oggi occorre cambiare la scuola, per cambiare l’Italia. Dunque riteniamo che, su un
tema tanto cruciale per il futuro del nostro Paese, la discussione parlamentare non possa
essere sottoposta a scadenze perentorie, ma anzi debba essere aperta all’ascolto e al
confronto con il mondo della scuola e la società civile. Studenti, docenti, famiglie e personale
hanno diritto a una “buona scuola”, già dal prossimo anno scolastico. Auspichiamo dunque che
il Parlamento possa inserire nel proprio dibattito le questioni che abbiamo voluto segnalare
come qualificanti, per la costruzione di una scuola che risponda ai dettati costituzionali e alle
sfide del moderno contesto nazionale e comunitario.
Per consentire di portare a sistema interventi ambiziosi come quelli che noi, tutti insieme,
portiamo all’attenzione, riteniamo necessario lo stralcio del tema delle assunzioni per garantire
il regolare ed efficace avvio del prossimo anno scolastico e dare una risposta ai tantissimi
docenti precari che da anni tengono in piedi la nostra scuola.
Tempi adeguati all’ascolto e al confronto non sono un modo per rallentare o, peggio, per
rinviare i primi interventi di rilancio della scuola pubblica. Sono, invece, la condizione per
correggere gli errori contenuti nel testo di ingresso e creare il necessario clima di condivisone
per avviare nel minor tempo possibile i primi interventi di cambiamento.

Aderiscono:
Agenquadri
AIMC
ARCI
AUSER
CGD
CGIL
CIDI
CISL
CISL Scuola
Edaforum
FNISM
FLC CGIL
IRASE
IRSEF-IRFED
Legambiente
Legambiente Scuola e Formazione
Libera
Link – Coordinamento Universitario
MCE
Movimento Studenti di Azione Cattolica
Movimento di Impegno Educativo di Azione Cattolica
Proteo Fare Sapere
Rete della Conoscenza
Rete degli Studenti Medi
Rete29Aprile
UCIIM
UDU
Unione degli Studenti
UIL
UIL Scuola

Nuovo CPIA e sistema per l’apprendimento permanente

Assessore Regione Toscana
Scuola, Formazione, Ricerca e Università
Presidente Cons. Metropolitano
Città di Firenze
Direttore Ufficio Scolastico Regionale
del MIUR

Le Conferenze per l’educazione, l’istruzione, la formazione, l’orientamento e il lavoro della zona fiorentina Sud-Est, dell’Unione Montana dei Comuni del Mugello e dell’Unione di Comuni Valdarno e Valdisieve, affrontando e analizzando quanto emerso durante la riunione del 17 febbraio 2015 degli enti e delle istituzioni degli Enti Locali che hanno sottoscritto il Protocollo “Obiettivo Lisbona”, hanno approvato la seguente dichiarazione congiunta:
1. La situazione determinata dalla istituzione di un unico CPIA nella Provincia di Firenze, titolare delle competenze e delle sedi in passato attribuite a tutti i CTP della nostra zona, oltretutto senza la nomina di un dirigente scolastico e di un DSGA, ma solo con l’attribuzione di due reggenze provvisorie, è insostenibile. Le attività di istruzione degli adulti e soprattutto di educazione non formale sono risultate di difficile programmazione e realizzazione e sono state rese possibili solo grazie a soluzioni provvisorie, che hanno mortificato il lavoro svolto in questi anni, che aveva reso i CTP punti di riferimento nell’azione di promozione dell’istruzione degli adulti, considerata il perno di una politica a favore della Life-Long Learning (apprendimento permanente). Per questo motivo le tre Conferenze richiedono la costituzione, all’interno dell’Area Metropolitana Fiorentina, almeno di un secondo CPIA dotato di dirigenza e DSGA, con competenze sulle tre sedi dei vecchi CTP di Bagno a Ripoli, Pontassieve e Borgo San Lorenzo, cioè la zona Sud-Est di Firenze, la Valdisieve – Valdarno e il Mugello.
2. Tale costituzione avrebbe anche un valore preliminare alla decisione delle tre Conferenze di zona di proporsi e essere individuati dalla Regione Toscana e dalla Conferenza Stato-Regioni come zona di sperimentazione della costituzione di un sistema per l’apprendimento permanente, soprattutto tenendo conto dell’esperienza consolidata dalla rete di enti e istituzioni che hanno sottoscritto il Protocollo “Obiettivo Lisbona” e hanno realizzato progetti specifici in tal senso, come il Ri.Co.R.Di. (Riconoscimento delle Competenze e Raggiungimento del Diploma), finanziato dalla Regione Toscana per l’anno scolastico 2012/2013.
Le tre Conferenze di Zona sottoscrivono congiuntamente la presente dichiarazione, che sarà trasmessa all’Assessore a Scuola, Formazione, Ricerca e Università della Regione Toscana e al Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale del MIUR, augurandosi che la Città Metropolitana di Firenze, attraverso il suo Consiglio Metropolitano, vorrà appoggiare le relative richieste.

Buonascuola che verrà

BUONASCUOLA CHE VERRà di Umberto Tenuta

CANTO 448

LEZIONI

ESERCITAZIONI

INTERROGAZIONI

Ahimè! Questa la terna che si giocava nella Scuola di ieri e che si gioca nella Buonascuola di oggi.

 

Il docente siede in cattedra e fa lezione.

Gli studenti ascoltano.

Repetita juvant!

A casa il libro di testo riporta tale e quale la lezione del docente: te la leggi, te la rileggi, quante volte vuoi, e les jeux sont faits!

Repetita juvant.

Sembra proprio che abbia ragione Dante:

“…Apri la mente a quel ch’io ti paleso

e fermalvi entro; ché non fa scienza,

sanza lo ritenere, avere inteso…”

Ripetete, giovani!

Ripetete, ripetete, ripetete.

Cinque esercizi non bastano.

Ce ne vogliono dieci, anzi venti.

Meglio venticinque.

Sì, trenta bastano.

Difficili compiti?

Che importa, c’è la mamma.

La mamma, la zia, la nonna rispiega.

Spiega, rispiega.

Spiega ancora.

E tu ripeti, ripeti ancora, ripeti tutta la vita.

Qualcosa resterà.

Resterà nella memoria del tuo cranio.

Che importa che non hai capito!

Importa ricordare.

Ripetere tali e quali al docente le quattro pagine di Storia, come faceva il mio compagno di scuola Eugenio.

Egli, sì, si prendeva il DIECI E LODE.

Ed io, che mi ero affannato a capirci qualcosa, mi accontentavo di un banale OTTO senza lode.

Questa era la cattiva scuola di ieri.

Questa è la BUONASCUOLA di oggi.

LEZIONI

ESERCITAZIONI

INTERROGAZIONI.

Le LEZIONI le fa l’INSEGNANTE.

Le ESERCITAZIONI le fa lo STUDENTE.

Le INTERROGAZIONI le fa il DOCENTE.

Questa era la Scuola di ieri.

Questa è la BUONASCUOLA.

Ma se è uguale, tale e quale, a quella di ieri, perchè oggi la chiamate BUONASCUOLA?

Se un po’ di LOGICA resta ancora, questa Scuola è uguale a quella di ieri.

Il QUADRO ORGANICO è stato riempito coi docenti che mancavano.

Adempimento dovuto!

Il resto resta come prima.

Signore e Signori, non prendiamoci in giro!

Se questa è BUONASCUOLA, SCUOLA BUONA era quella di ieri.

Tertium non datur!

La BUONASCUOLA non esiste ancora.

Verrà, verrà, verrà.

Verrà, quando le lezioni, le ripetizioni, le interrogazioni non ci saranno più.

Quando al posto delle LEZIONI ci saranno le INVENZIONI,

Quando al posto delle RIPETIZIONI ci saranno NUOVE INVENZIONI.

Quando al posto delle INTERROGAZIONI ci saranno nuove SPERIMENTAZIONI.

E la pena sparirà.

E la noia non ci sarà.

E la GIOIA fiorirà.

La BUONASCUOLA verrà.

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

Altri saggi sono pubblicati in

www.rivistadidattica.com

E chi volesse approfondire questa o altra tematica

basta che ricerchi su Internet:

“Umberto Tenuta” − voce da cercare

La Scuola che non c’è e non ci sarà

LA SCUOLA CHE NON C’E’, E CHE NON CI SARA’

di Maurizio Tiriticco

Confesso di avere atteso con una certa ansia il Porta a Porta di stasera, Zingaretti vs Giannini, ma… una grossa delusione!

Scommetto che qualunque spettatore generico avrà cambiato canale dopo le prime battute!

Io ho resistito, ma… nulla di nuovo sul fronte della scuola… un ministro che sa solo sorridere e che non dice nulla, un DS di appoggio che al nulla aggiunge altro nulla, e i due oppositori che avrebbero dovuto fare a fettine i due Buonisti e che invece… si sono dispersi nel mare magnum delle cose più vaghe e scarsamente informative per il pubblico generico di Bruno Vespa.

E un Vespa che vede nel Sessantotto lo spartiacque tra la scuola Buona di ieri e quella Cattiva di oggi, preoccupato soltanto di saltellare qua e là da una slide a un’altra, da un argomento a un altro senza portare a termine nulla e fare il gioco del padrone, o meglio della padrona, a sua volta preoccupata soltanto di elargire sorrisi e concludere il nulla nel minor tempo possibile!

Siamo proprio messi male!

Io lo so il perché: perché la Buona scuola e il decreto che ne è seguito sono soltanto un Buon pasticcio.

Io non parlo e non scrivo a vanvera!

Le mie indicazioni le ho date: non so se sono Buone, ma sono molto sensate.

Basta cliccare su Tiriticcheide, in www.edscuola.it.

Non propongo aggiustamenti Buonisti che non servono a nulla, ma un riordino complessivo, che veramente ci porti in Europa e non ci costringa a guardare sempre l’immarcescibile ombelico gentiliano!

A questo punto, l’unica cosa da salvare di questo DL buonista sarebbe solo l’assunzione dei precari.

Lo facessero e la piantassero con “cose” che non sono capaci di fare.

Basterebbe un DL di un articolo solo.

Sanato il bubbone dolente, riapriamo il discorso su come avviare veramente e seriamente un riordino vero del nostro SISTEMA EDUCATIVO DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE che a tutt’oggi sistema non è affatto.

Ah! Dimenticavo!

E la piantassero per almeno qualche anno con le prove Invalsi, con i Rav e prodotti similari!

Non si infierisce sui malati!

Sport a scuola, il vademecum per certificazioni, tempi e modalità

da Il Sole 24 Ore

Sport a scuola, il vademecum per certificazioni, tempi e modalità

di Lorena Loiacono

Sport a scuola e attività non agonistiche, è la Regione Lombardia a stilare il vademecum per fare chiarezza e rispondere ai dubbi avanzati dalle scuole. Una guida pratica per gli istituti e per le famiglie, confuse dalla giungla di certificati ed esami diagnostici richiesti da palestre e centri sportivi. Tutte le indicazioni sono contenute nella nota H1.2015.0009787 del 26 marzo scorso. L’attività sportiva che si svolge a scuola, è bene ricordarlo, è di tipo non agonistico.
In gara per i giochi sportivi? Sempre con il certificato
L’obbligo del certificato medico per consentire allo studente di scuola media o superiore di svolgere attività sportiva non agonistica riguarda gli studenti che partecipano alle attività fisico-sportive organizzate dagli organi scolastici, nell’ambito delle attività parascolastiche, e gli studenti che aderiscono ai giochi sportivi studenteschi nelle fasi precedenti a quella nazionale. Per stilare il certificato sono necessari l’anamnesi, l’esame obiettivo, la misurazione della pressione arteriosa e l’elettrocardiogramma a riposo. L’Ecg deve essere debitamente refertato anche non contestualmente alla visita medica. Il certificato, così composto, viene richiesto direttamente dall’autorità scolastica.
Costo zero per le famiglie
Gli studenti, per avere il certificato medico necessario alle attività non agonistiche che si svolgono in ambito scolastico, possono rivolgersi al pediatra di libera scelta o al medico di medicina generale. Il certificato viene rilasciato gratuitamente senza costi per le famiglie, nell’ambito delle attività previste per i medici dai rispettivi accordi collettivi nazionali.
Ecg gratuito, con esenzione totale
L’elettrocardiogramma viene effettuato sugli studenti gratuitamente e per questo il medico di base o il pediatra appone sulla ricetta rossa il codice per l’esenzione totale “I01” specificando come motivazione della richiesta «Per certificazione non agonistica richiesta dalla scuola». L’Ecg va effettuato una sola volta e non ripetuto ogni anno con il rinnovo del certificato: sarà sufficiente che il medico ne prenda visione e riporti sul certificato la data in cui è stato effettuato l’Ecg.
In pista senza certificato
Non è necessario il certificato medico per svolgere le lezioni curriculari di educazione fisica, previste dal programma scolastico. Non serve neanche per i ragazzi già in possesso del certificato medico valido per attività sportive agonistiche. La Regione Lombardia, in merito, si era già espressa con la nota Prot. N. H1.2014.0005182: per partecipare alle attività fisico-sportive parascolastiche e ai giochi studenteschi è sufficiente presentare una copia del certificato per l’attività agonistica.

Quando una classe si può dire ‘pollaio’?

da Tuttoscuola

Quando una classe si può dire ‘pollaio’? 

Non esiste una definizione ufficiale delle cosiddette classi ‘pollaio’. Quando si può dire che la numerosità di una classe supera il limite di gestione e di sicurezza?

Se la dimensione delle classi ‘pollaio’ viene considerata secondo la normativa scolastica (v. DPR 81/2009), si ha la seguente situazione.

Per la scuola dell’infanzia normalmente il limite massimo è fissato in 26 bambini per sezione, ma eccezionalmente può arrivare anche a 29. Da 30 in poi le sezione si possono considerare ‘pollaio’.

Per la scuola primaria, come nell’infanzia, il limite è fissato a 26 alunni, elevabili a 27 al massimo. Da 28 in su si può parlare di classe ‘pollaio’.

Per la secondaria di I grado il limite normale è 27, elevabile a 28. Da 29 in su è classe ‘pollaio’.

Nelle classi prime delle superiori il numero massimo è di 30 alunni. Dopo è ‘pollaio’.

Se si considera, invece, il limite di sfollamento fissato dal decreto del ministero degli Interni del 26 agosto 1992 che ha dettato Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica, il numero massimo di persone che normalmente possono stare in un’aula è fissato in 26: 25 alunni più l’insegnante.

Il punto 5.0 (Affollamento) del decreto stabilisce, infatti, che Il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in 26 persone/aula. Qualora le persone effettivamente presenti siano numericamente diverse dal valore desunto dal calcolo effettuato sulla base della densità di affollamento, l’indicazione del numero di persone deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare dell’attività.

Per la sicurezza, dunque, il numero massimo di alunni non può superare le 25 unità, limite di deflusso dall’aula con una sola porta. Se il numero di alunni supera quel limite, è il dirigente scolastico ad assumerne la responsabilità.

Cosa succederebbe se i dirigenti scolastici si rifiutassero di autorizzare presenze per aula oltre 25 alunni? Prevarrebbe la norma di sicurezza o quella di organizzazione del servizio?

Sul tema dell’esclusione dei 6.300 iscritti nelle graduatorie di merito del concorso 2012, fino ai primi di marzo 2015 ricompresi nel piano assunzionale straordinario di 100.701 docenti previsto dal disegno di legge presentato dal Governo sulla scuola, ma poi estromessi dal ddl, ci siamo già espressi nell’articolo Graduatorie di merito, una ‘deroga’ per non assumere gli iscritti.

In particolare, destava perplessità espungere dalle assunzioni straordinarie, all’interno di un provvedimento che ha come principi condivisibili il riconoscimento del merito e il ripristino del concorso come canale unico per le immissioni in ruolo, gli unici docenti (un numero tutto sommato molto ridotto, rispetto al totale delle assunzioni previste) che hanno superato un concorso a cattedra negli ultimi 15 anni e che per questo sono iscritti in graduatorie, appunto, di merito.

Il meccanismo utilizzato per questa esclusione è quello chirurgico della deroga alla normativa vigente, e proprio sulla legittimità dell’utilizzo di questo strumento Tuttoscuola ha chiesto un parere all’avvocato Salvatore Russo, esperto di diritto scolastico di Roma.

L’avvocato Russo è molto netto sul tema: “Non è pensabile che una norma possa derogare in via eccezionale dalla normativa speciale che regola le immissioni in ruolo o dichiarare decadute graduatorie di merito senza la pubblicazione delle graduatorie del concorso successivo e senza rispettare la validità triennale delle stesse e allo stesso modo è illegittimo prevedere di non rispettare la proporzione del 50% dei posti per le immissioni in ruolo”.

“L’art. 400 del D.Lgs. 297/94, al comma 17 – ricorda l’esperto di diritto scolastico – prevede proprio che le graduatorie relative ai concorsi per titoli ed esami restino valide fino all’entrata in vigore della graduatoria relativa al concorso successivo corrispondente”.

“Quindi – conclude Russo – non solo non si possono far decadere le graduatorie di merito del concorso bandito a seguito del D.D.G. n. 82/2012, ma parimenti non possono essere dichiarate decadute eventuali graduatorie di merito dei precedenti concorsi per cui non è stato ancora bandito concorso corrispondente. Anche questa operazione potrebbe generare un massiccio contenzioso anche perché, appunto, già si è proceduto allo scorrimento delle graduatorie di merito immettendo in ruolo gli idonei”.

#riformabuonascuola, non solo assunzioni: ad ogni scuola 15mila euro in più l’anno

da La Tecnica della Scuola

#riformabuonascuola, non solo assunzioni: ad ogni scuola 15mila euro in più l’anno

Lo ha detto il ministro Giannini a “Porta a Porta”: con il ddl è previsto un incremento strutturale di 126 milioni l’anno del Fondo per il funzionamento delle scuole, dal 2016 fino al 2021. Serviranno per comprare quel materiale didattico, dal toner per le stampanti alla carta igienica, di cui tante volte si sono fatte carico le famiglie. Ai docenti: da settembre faranno un lavoro motivante, meglio retribuito, con una premialità. Ma dal 9 aprile partono proteste e scioperi.

Nella riforma non ci sono soltanto assunzioni e insegnanti. Nell’articolo dedicato alla valorizzazione dell’offerta formativa (art.2, comma 16) è previsto un incremento strutturale di 126 milioni l’anno del Fondo per il funzionamento delle scuole, dal 2016 fino al 2021: a dirlo è stato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, nel corso della puntata di “Porta a porta” dell’8 aprile.

Il responsabile del Miur ha specificato che si tratta di soldi che serviranno anche a comprare anche quel materiale didattico, dal toner per le stampanti alla carta igienica, di cui tante volte si sono fatte carico le famiglie visti i magri bilanci delle scuole negli ultimi anni. Certo, dividendo i 126 milioni di euro per le circa 8.500 autonome, anche se non tutte percepiranno la stessa quota, risulta che ad ogni istituto andranno in media meno di 15mila euro in più l’anno: poco più di mille euro al mese, che non sono poche ma, francamente, nemmeno possono costituire quel grande serbatoio di fondi di cui necessitano gli istituti per risollevarsi e sanare progetti e acquistare i materiali necessari.

Il ministro è convinto che la riforma, anche se i tempi per l’approvazione sono strettissimi, andrà in porto già da settembre. Sulle audizioni in corso a Montecitorio, si andrà avanti sino a venerdì, ha ammesso che “sono tante, ma stanno andando bene. Realisticamente tra metà e fine maggio il provvedimento potrà arrivare in porto”, ha detto Giannini aggiungendo che questi tempi sono compatibili con l’avvio delle procedure necessarie per le immissioni in ruolo: il titolare del Miur ha ricordato che “il piano assunzionale vale 2 miliardi e 200 milioni a regime mentre 800 milioni sono destinati alla copertura strutturale di tutte le altre operazioni (premialità degli insegnanti e cioè card per i prof e riconoscimento del merito ‘valgono’ insieme 580 milioni)”.

Inoltre, ha tenuto a dire che da settembre “ritorniamo alla Costituzione. Si entra a scuola – ha spiegato – perché è un lavoro motivante, meglio retribuito, con una premialità aggiunta e perché, finalmente, si fa una selezione tramite concorso”, riferendosi alla volontà del Governo, espressa nel ddl, di chiudere con le graduatorie di supplenti per fare spazio, dal 2016, ai soli ‘concorsoni’.

Le parole di soddisfazione del ministro, comunque, non frenano le proteste: proprio dal 9 aprile, per una decina di giorni, il personale scolastico attuerà lo sciopero delle attività non obbligatorie indetto da Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Gilda e Snals. Nella seconda decade del mese sono previsti assemblee e sit-in in tutta Italia promossi dall’Ugl. Il 24 aprile, infine, è previsto lo sciopero per l’intera giornata, con manifestazione a Roma, indetto da Usb, Unicobas e Anief.

La “Buona Scuola” farà crescere il PIL del 2,4%

da La Tecnica della Scuola

La “Buona Scuola” farà crescere il PIL del 2,4%

Ma solo nel “lungo periodo”. La previsione è contenuta nel Documento di Economia e Finanza che prevede però che la spesa per l’istruzione in rapporto al PIL è destinata a diminuire. Era del 3,9% nel 2010, sarà del 3,5% nel 2020.

Nel lungo periodo la riforma del sistema scolastico  prevista dal ddl sulla Buona Scuola dovrebbe portare ad un aumento del 2,4% del PIL: è quanto si legge nel DEF (Documento di Economia e Finanza) che entro pochisssimi giorni dovrà essere trasmesso dal Governo al Parlamento.
L’aumento del PIL legato alla riforma della scuola dovrebbe essere dello 0,3% a partire dal 2020, dello 0,6% a partire dal 2025 e del 2,4% nel lungo periodo.
Secondo le stime dei tecnici del Ministero dell’Economia le riforme in atto dovrebbero produrre a lungo termine un aumento del PIL del 7,6%: un terzo di tale aumento sarebbe quindi dovuto alla “Buona Scuola”.
Il DEF conferma comunque che a partire dal 2016 la spesa per  l’istruzione  aumenterà di 3miliardi di euro anche se una delle tabelle che accompagnano il documento chiarisce che la spesa stessa rappresenterà nel 2020 una quota pari al 3,5% del PIL (nel 2015 è del 3,7% e nel 2010 era del 3,9%).
Ma i tecnici spiegano così il dato: “La previsione della spesa per istruzione in rapporto al PIL presenta una sostanziale stabilità fino al 2016 poiché le misure di contenimento della spesa per il personale previste dalla normativa vigente trovano compensazione nelle risorse stanziate dalla Legge di Stabilità per gli interventi di riforma del settore”.
“Negli anni successivi – spiegano ancora dal MEF – la spesa per istruzione in rapporto al PIL mostra un andamento gradualmente decrescente che si protrae per circa un quindicennio. A partire dal 2020 tale riduzione è essenzialmente trainata dal calo degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche”.
Difficile esprimere un giudizio su queste previsioni e quindi non ci resta che aspettare almeno qualche anno per renderci conto un po’ meglio della situazione.