Newsletter di Educazione&Scuola, A. XVII, n. 1019, luglio 2012
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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione Generale per il personale scolastico
Uff. III
Ai Direttori Generali degli U.S.R.
Ai Dirigenti delle sedi provinciali degli U.S.R.
LORO SEDI
Oggetto: Immissioni in ruolo a.s. 2012/13 del personale Docente e A.T.A., iscritto in graduatorie concorsuali, ad esaurimento e permanenti. – Nuove indicazioni operative.
Si premette che, come ogni anno, questa Direzione ha provveduto ad inoltrare la prevista rchiesta di autorizzazione per il numero di posti da destinare alle immissioni in ruolo per l’anno scolastico 2012/13.
Nelle more della definizione delle aliquote dei posti da destinare alle nomine sulle singole tipologie di posto, si invita il personale presumibilmente in attesa di nomina a:
In tal modo gli aspiranti docenti, iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, ed ATA, iscritti nelle graduatorie permanenti, potranno essere contattati tramite l’utilizzo di funzionalità analoghe a quelle già utilizzate per la convocazione dalle graduatorie d’istituto che consentono all’ufficio di:
Gli aspiranti beneficeranno di questa modalità in quanto potranno consultare i messaggi da qualsiasi località, evitando così di essere vincolati, nel periodo di vacanza, all’attesa del telegramma.
Per le tipologie di graduatoria per i quali le suddette funzionalità non sono disponibili (ci si riferisce in particolare alle graduatorie dei concorsi ordinari del personale docente), gli uffici saranno dotati di appositi elenchi estratti dall’anagrafe delle istanze on line e le convocazioni saranno effettuate, nei casi possibili, dagli stessi sempre tramite posta elettronica certificata. Non è previsto, in questo caso l’invio parallelo di sms.
Si raccomanda il rispetto degli adempimenti richiesti al fine di favorire le attività di nomina che, com’è noto, si collocano in un periodo temporalmente ristretto a ridosso dell’avvio del nuovo anno scolastico.
f.to IL DIRETTORE GENERALE
Luciano Chiappetta
CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE INTEGRATIVO CONCERNENTE LA MOBILITÀ DEL PERSONALE DOCENTE DICHIARATO PERMANENTEMENTE INIDONEO, PER MOTIVI DI SALUTE, ALL’ESPLETAMENTO DELLA FUNZIONE DOCENTE, MA IDONEO AD ALTRI COMPITI AL FINE DELLA ATTRIBUZIONE DELLA SEDE DI TITOLARITA’ NEI PROFILI PROFESSIONALI DI ASSISTENTE AMMINISTRATIVO E DI ASSISTENTE TECNICO DEL PERSONALE AMMINISTRATIVO, TECNICO ED AUSILIARIO (A.T.A.) DEL COMPARTO SCUOLA PER L’A.S. 2012/2013, SOTTOSCRITTO IN ROMA, PRESSO IL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA IN SEDE DI NEGOZIAZIONE INTEGRATIVA A LIVELLO MINISTERIALE
TRA
la delegazione di parte pubblica costituita con decreto ministeriale 18 dicembre 2007, n. 112
E
i rappresentanti delle Organizzazioni Sindacali F.L.C.-C.G.I.L., C.I.S.L.-SCUOLA, U.I.L.-SCUOLA, S.N.A.L.S.- C.O.N.F.S.A.L. e GILDA-UNAMS firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto Scuola sottoscritto il 29 novembre 2007
PREMESSO:
– che con il contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto il 29 novembre 2007 sono stati fissati i principi generali sulla mobilità territoriale e professionale (art. 10);
– che con il contratto collettivo nazionale integrativo sottoscritto in data 29 febbraio 2012 è stata disciplinata la mobilità per il personale docente, educativo ed A.T.A. per l’anno scolastico 2012/2013;
– che all’articolo 1, punto 4, è stata contemplata la riapertura del confronto negoziale per definire la mobilità del personale docente inidoneo che fa richiesta di transitare nei ruoli del personale A.T.A., in attuazione dell’articolo 19, comma 12, della legge 15 luglio 2011, n. 111;
– che in data 12 aprile 2012 è stata sottoscritta la ipotesi del presente contratto, che ha ottenuto la certificazione di legge come comunicato dal Dipartimento della Funzione Pubblica – P.C.M. con protocollo DFP 28453 del 12 luglio 2012;
LE PARTI CONCORDANO
la seguente integrazione all’articolo 5 del c.c.n.i. concernente la mobilità del personale docente, educativo ed Ata della scuola per l’anno scolastico 2012-2013 sottoscritto il 29 febbraio 2012:
articolo 5
(…omissis…)
5. L’assegnazione di sede definitiva secondo i criteri e le modalità indicate ai commi 1 e 2 è disposta anche a favore del personale già docente inidoneo con sede provvisoria, inquadrato nei profili professionali di assistente amministrativo e di assistente tecnico, ai sensi dell’articolo 19, comma 12, della legge 15 luglio 20Il, n. 111.
6. Il personale di cui al comma 5 può, altresì, partecipare, a domanda, alla mobilità qualora non soddisfatto relativamente alle preferenze espresse. Nell’ambito dei trasferimenti il personale predetto è considerato senza sede definitiva e partecipa, pertanto, sempre in seconda fase anche se il trasferimento è per scuole dello stesso comune della scuola di titolarità, come proveniente da fuori sede rispetto a qualunque sede richiesta.
7. Al fine dell’attribuzione del punteggio si applicano le tabelle di valutazione dei titoli e dei servizi di cui all’allegato “E” del ccni sottoscritto il29 febbraio 2012, e note connesse, di cui in preambolo.
8. Il Direttore generale della Direzione generale del personale scolastico del MIUR definisce termini e modalità per la presentazione delle domande nonché per l’attuazione di quanto prescritto ai commi 5 e 6, in raccordo con quanto stabilito all’articolo 3, comma 3, dell’ordinanza ministeriale 5 marzo 2012, n. 20, per il restante personale collocato fuori ruolo.
Roma, 31 luglio 2012
Per l’Amministrazione:
Chiappetta
Per le Organizzazioni Sindacali
F.L.C-C.G.I.L
C.I.S.L.Scuola
U.I.L.Scuola
S.N.A.L.S.-C.O.N.F.S.A.L.
GILDA–UNAMS
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione generale del personale scolastico
Ufficio III
Ai Direttori Generali degli U.S.R.
Ai Dirigenti delle sedi provinciali degli U.S.R.
LORO SEDI
Oggetto: Concorsi per soli titoli per l’accesso ai profili professionali dell’area A e B del personale ATA della scuola di cui all’art. 554 del d.lvo n. 297/94. Istruzioni ed indicazioni operative – Precisazioni.
Come è noto, con lettera circolare prot. n. 1293 del 22/2/2012 sono state fornite istruzioni ed indicazioni operative concernenti le procedure concorsuali indicate in oggetto.
In particolare, ai punti 4 e 5 della stessa, sono stati forniti chiarimenti in merito ai periodi di servizio computabili per i candidati inseriti negli elenchi prioritari, a carattere provinciale, predisposti ai sensi dei DD.MM. n. 82 del 29/9/2009, n. 100 del 17/12/2009, n. 68 del 30/7/2010, n. 80 del 15/9/2010, n. 92 del 12/10/2011, rinviando, altresì, a quanto riportato nelle note n. 19212 del 17/12/2009, n. 4549 del 29/4/2010, n. 8491 del 20/9/2010.
Al riguardo quest’ Ufficio ritiene che la formulazione dei punti 4 e 5 della citata nota n. 1293, in particolare la dizione “ a carattere provinciale”, non sembra presentare particolare difficoltà interpretative per il fatto che il personale ATA , inserito a pieno titolo nelle graduatorie provinciali permanenti di cui all’art. 554 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 nonché nelle graduatorie provinciali ad esaurimento di cui ai DD.MM. 19 aprile 2001, n. 75 e n. 35 del 24 marzo 2004 è destinatario delle disposizioni dei citati DD.MM. n. 82, n. 100, n. 68, n. 80 e n. 92.
Da ciò ne discende che i periodi riconosciuti in virtù delle norme suddette ai candidati beneficiari delle disposizioni di cui all’art. 2, comma 3, del D.M. 10/11/2011, n. 104, competono unicamente a coloro che producono domanda di inserimento o aggiornamento nelle graduatorie permanenti della stessa provincia di inserimento negli elenchi prioritari.
IL DIRETTORE GENERALE
f.to Luciano Chiappetta
Il parere di un genitore
Riforma degli Organi collegiali
di Cinzia Olivieri
Il testo di riforma contiene aperture alla partecipazione dei genitori, ma restano molte incertezze nella governance effettiva.
Ai più poveri chi ci pensa?
di Francesco Lena
Mai come ora il nostro paese è stato segnato delle disuguaglianze di reddito, di opportunità e di servizi. In questo momento molto difficile ai poveri chi ci pensa?. I poveri stanno aumentando paurosamente, tante persone corrono il pericolo di povertà assoluta, di disperazione, di non farcela veramente più. Le cause che ci hanno portato a questa seria situazione, possono essere tante, ma le principali secondo me sono, la cultura dell’individualismo, della competizione senza regole, del profitto ad ogni costo, quella di fare soldi e ancora soldi, questo come indice della qualità della vita.
La crisi economica e sociale che stiamo attraversando ha portato allo scoperto il fallimento di questo sistema, lo strapotere finanziario che assieme all’individualismo sfrenato e carenza di valori sani e forti di uguaglianza e di solidarietà, stanno mettendo in discussione, diritti, democrazia, lavoro . dobbiamo impegnarsi, darsi veramente da fare tutti uniti per ricuperare quei valori, in modo che le scelte politiche e di governo, non vadano nella direzione di solo tagli ai servizi pubblici, sanità, scuola, istruzione, previdenza, assistenza,bisogna invertire velocemente la rotta, altrimenti si corre il rischio di indebolire o distruggere lo stato sociale, e ad intaccare la democrazia.
Bisogna ricuperare a pieno i valori di giustizia sociale, di uguaglianza, di solidarietà, di distribuzione equa delle risorse. In questo momento difficile per tante persone, bisogna creare un fondo di solidarietà per i più poveri, per chi non c’è la fa veramente più, bisogna mettere in atto una politica di crescita economica e sociale, incrementare l’occupazione, creare nuovi posti di lavoro.
Cari cittadini è arrivato il momento di dare più potere ad una politica buona, onesta, bella, trasparente, dipende anche da noi farla prevalere, non sono tutti uguali i politici, c’è ne sono veramente tanti che si impegnano tutti i giorni con sacrificio, passione, onestà e responsabilità, dobbiamo far prevalere quella politica capace di fare piccoli e grandi progetti, per l’occupazione, per migliorare i servizi sociali e che hanno a cuore il bene comune. Quella politica con la P maiuscola, quella alta, quella vicina alle persone, ai loro bisogni, quella che sa combattere e trasformare la paura presente, in speranza per oggi e per il futuro. Quella politica che parla il linguaggio della comunità, avendo sempre in mente, il bene di tutti e non il privilegio di pochi. Un invito particolare ai giovani a partecipare, la libertà è partecipazione attiva da protagonisti, serve anche per arricchire la democrazia, a fare della bella politica, quella che sappia risanare il paese economicamente e legalmente, tagli agli sprechi, che combatta ogni forma speculazione, corruzione e di illegalità, c’è bisogno di una politica che sappia premiare chi da lavoro in regola, chi è onesto, il merito, dobbiamo portare avanti quella politica che sa investire nella formazione, nella ricerca, che fa di tutto per garantire a tutti i cittadini, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, il diritto a una pensione dignitosa per tutti i pensionati, il diritto ad avere un assistenza decente per tutti gli anziani e atri, non autosufficienti. Quella politica che non grida, ma che con responsabilità fa per il bene di tutti, quella che fa di tutto per riempire la nostra società, di diritti e di valori veri, che mette sempre al primo posto la dignità della persona e che si impegna per costruire una società più giusta, migliore, con una particolare attenzione ai più poveri, ai più bisognosi, una società in cui si possa vivere tutti un’pò meglio.
Dopo il concorso/corrida, ci sarà un futuro per dirigenti scolastici?
di Ivana Summa
Non vi pare che sia giunto il momento di fare qualche seria di riflessione sul Concorso per dirigenti scolastici che si sta concludendo, in quasi tutte le regioni, proprio in questi giorni di canicola leonina? Taciamo volutamente sui numerosi ricorsi amministrativi non ancora conclusi, sul dimezzamento dei posti messi a concorso con il D.D.G. 13 luglio 2011, sulla preselezione realizzata con più di 5.000 astruse domande, sulla nomina dei membri delle commissioni e della correlata incompetenza esperta e via di questo passo. Se scorriamo velocemente tutto l’iter concorsuale, ci si accorge che esso è basato – con una ferrea coerenza che attraversa tutte le fasi compreso il colloquio orale – sull’idea che per diventare dirigente scolastico occorra una “testa piena”, piuttosto che una “testa ben fatta”. Una testa piena di minutaglie psico-pedagogiche e di tecnicismi pseudomanageriali, per tacere della mera conoscenza mnemonica di leggi e leggine che nulla hanno a che vedere con la padronanza dei concetti fondamentali del diritto costituzionale, pubblico, amministrativo, ecc..
Ed ecco che decine di migliaia di insegnanti, privi di qualsiasi forma di carriera, hanno deciso di partecipare ad un concorso che, rispetto al precedente del 2004, si presenta irto di ostacoli. Alcuni insegnanti, carichi di titoli (doppie e triple lauree, master, attività di aggiornamento, incarichi istituzionali) lo hanno affrontato pieni di speranze meritocratiche, tanto evocate in questi ultimi anni; altri, dopo una frettolosa preparazione mirata esclusivamente al superamento delle prove, hanno affrontato il concorso confidando nella fortuna, peraltro da tutti ritenuta componente essenziale per concludere l’iter con successo.
E’ inutile sottolineare che gli uni e gli altri possono essere iscritti nella categoria “dilettanti allo sbaraglio”, considerato che il concorso assomiglia molto allo storico gioco radiofonico e televisivo che chiamava alla sfida chi aveva il coraggio di esibirsi, a prescindere dal possesso di competenze di base e trasversali per entrare in scena.
Rinunciando ad analogie divertenti ma amare, entriamo decisamente nel discorso che più ci preme e che riguarda il reclutamento dei dirigenti scolastici dopo l’attribuzione dell’autonomia alle scuole e della dirigenza ai capi d’istituto. La legge, come è noto, prevede un profilo – specificato chiaramente nell’art. 25 del D.Lgvo n. 165/2001 – che in quest’ultimo decennio si è profondamente evoluto a seguito del disegno riformistico contenuto nella cosiddetta riforma Brunetta del 2009. D’altra parte, la concreta interpretazione, in più di un decennio, di una funzione così articolata e complessa ha visto all’azione dirigenti scolastici che, nella stragrande maggioranza dei casi, dopo aver messo velocemente da parte la connotazione educativa della dirigenza scolastica, si sono trasformati in burocrati attenti a non commettere errori, intenti ad applicare le leggi – comprese quelle riguardanti gli assetti ordinamentali, curriculari e valutativi- rinunciando ad implementare processi di innovazione e miglioramento della qualità della didattica, di cui il nostro sistema scolastico ha un irrinunciabile bisogno e che possono essere realizzati soltanto facendo costante ricerca educativa, didattica, valutativa.
Da queste considerazioni emerge con chiarezza come non ci sia ancora una un modello professionale di dirigenza scolastica in grado di connotare in modo specifico le competenze educative, giuridiche ed organizzative più adeguate, in base alle quali preparare e poi selezionare i docenti che aspirano a guidare una scuola non per una scelta di comodo o ispirata ad un generico cambiamento o, peggio, ad un desiderio di fuga dall’insegnamento, ma perché motivati a dare un personale contributo “di servizio” per migliorare la qualità del nostro sistema scolastico.
Questa idea/proposta può sembrare presuntuosa e velleitaria, ma così non è se si pensa che tutte le ricerche che correlano la qualità della leadership scolastica con la qualità delle scuole ci dicono che l’ apporto del capo d’istituto – comunque venga denominato – sia particolarmente significativo, anzi rappresenti il valore aggiunto di una scuola. Il sociologo francese Alaine Touraine, nella sua relazione tenuta al Convegno Nazionale del C.I.D.I. del marzo 2007 a Roma, riferendo gli esiti di una sua ricerca comparativa tra due collége della banlieu parigina, ha messo in evidenza come le capacità di guida del dirigente di una delle due scuole abbiano saputo creare forte motivazione fra gli insegnanti sostenendoli nella difficile sfida educativa cui erano chiamati, operando in un contesto sociale molto difficile. Come dire, non di soli ordinamenti e curricoli vive e cresce la qualità educativa delle scuole, perché sono altrettanto importanti le persone che vi lavorano e soprattutto la capacità di un capo di istituto di mettere in moto le risorse professionali esistenti.
In Italia non sono mai state realizzate ricerche focalizzate in questo ambito[1], eppure tutti noi possiamo agevolmente constatare come l’interpretazione di ruolo da parte del singolo dirigente scolastico – a prescindere dalle provenienze concorsuali – sia determinante per le nostre scuole, considerata la cornice normativa ed istituzionale entro cui si muovono, che provoca spinte sia verso la burocratizzazione, che verso l’“anarchia organizzativa”[2].
Oggi, osservando il nostro sistema scolastico, abbiamo la percezione nitida che non esista una visione condivisa della funzione del dirigente scolastico, radicata dentro una più vasta funzione istituzionale riconosciuta irrinunciabile per la qualità delle scuole. Soltanto in questa prospettiva assume rilevanza la scelta – contenuta nell’art. 25 del D. Lgvo n. 165/2001 – di selezionare questa particolare tipologia di dirigenti esclusivamente tra il personale docente al quale, peraltro, non possono essere richieste, naturaliter, competenze amministrative ed organizzative.
Come mai allora, in più di un decennio, si è rinunciato a creare specifici percorsi di sviluppo professionale di un certo numero di docenti ai quali far acquisire quel quid specifico della dirigenza scolastica, che altrimenti viene lasciato al caso o alle aspirazioni personali?
Una prima causa è da individuare nella progressiva involuzione e/o implosione subita dall’autonomia scolastica durante il suo primo decennio, sballottata da innumerevoli e imprevedibili ondate di cambiamento, da un anno scolastico all’altro, in direzioni spesso contrastanti. I cambiamenti voluti dalle riforme di questi ultimi dieci anni, infatti, hanno chiamato i dirigenti scolastici a far “applicare” ai docenti le nuove indicazioni didattiche ed ordinamentali quasi fossero dei “semplici” caporali di giornata, dimenticando che le leve di gestione privilegiate (e privilegiabili) dentro una scuola davvero autonoma sono altre: la collegialità tecnico-professionale, la partecipazione, la ricerca e la sperimentazione, perché le scuole sono innanzitutto “comunità di pratiche” con le loro routines e conoscenze, con i loro valori e le loro “storie di vita”.
Una seconda causa va ricercata nella sottovalutazione della funzione dirigenziale nelle pubbliche amministrazioni, ancorata, nonostante vent’anni di riforme, a vecchie interpretazioni di ruolo, più attenti agli aspetti formali e procedurali che agli aspetti connessi con l’attivazione di processi e con il raggiungimento di risultati. Abbiamo motivo di ritenere che il vecchio modello dirigenziale si possa addirittura rafforzare con le ultime riforme del 2009 che, pur introducendo sistemi di premialità e di performances affidati alla dirigenza, di fatti comporteranno cambiamenti di facciata, sovrapproduzione di documentazione, salvo lasciare intatti ed irrisolti tutti i problemi connessi con la gestione delle risorse umane nel pubblico impiego.
Ma quale dirigenza scolastica vogliamo?
Nella prospettiva appena tratteggiata, anche il dirigente scolastico meglio attrezzato sul piano delle conoscenze corre il rischio di utilizzarle a prescindere dal fatto che dirige innanzitutto una scuola e non ufficio amministrativo qualsiasi.
Come afferma L. Benadusi[3], la scuola è un’organizzazione sui generis, perché le dimensioni strutturali e formali sono meno importanti di ciò che vive al loro interno: i valori, le tradizioni, le culture, i linguaggi, i significati e le modalità delle interazioni soggettive. Questi aspetti, che il noto sociologo dell’educazione definisce “fluidi ed immateriali”, debbono essere pienamente compresi prima di essere fatti oggetto di politiche gestionali.
Ne deriva che l’interpretazione di un ruolo istituzionale come quello del dirigente scolastico non può essere soltanto il risultato della cornice normativa specifica e generale entro cui è tenuto ad esprimersi, perché è agito in un’arena[4] sociale che, non essendo determinabile, impone capacità ermeneutiche (comprendere il senso di ciò che avviene) ed euristiche (agire come un ricercatore competente).
Assume poi un particolare rilievo il contesto sociale, interno ed esterno alla scuola, e tutte le aspettative espresse nei confronti di una funzione che viene troppo spesso vista e vissuta in termini di semplice gestione del funzionamento quotidiano ma anche come simbolo di un potere estraneo ed intrusivo.
Se si scorre la letteratura organizzativa sulla dirigenza scolastica – cresciuta in Italia dall’inizio degli anni ’80 parallelamente alla richiesta di autonomia per i singoli istituti scolastici – si può rilevare come si sia molto riflettuto sulle competenze da richiedere a tale figura fino all’avvento dell’autonomia e della dirigenza. Sia pure con accenti diversi, si è andato delineando, in quegli anni di fermento politico, culturale e professionale, la figura di un dirigente scolastico che agisce, nel rispetto della professionalità docente, in un’organizzazione scolastica dotata di autonomia funzionale, ispirandosi ad un profilo che riesce a coniugare aspetti attribuibili al management con aspetti riferibili alla leadership. L’una e l’altra connotazione non sono da ritenere antitetiche ma complementari, in quanto entrambe fanno riferimento a competenze di coordinamento, di controllo, di programmazione, di guida, chiamando in causa modalità di gestione ispirate alle teorie organizzative piuttosto che a modelli burocratici che non possono garantire, per la loro stessa natura, né efficienza né efficacia. Ma quali sono le differenze sostanziali, considerato che sia il manager che il leader lavorano con le persone convogliando gli sforzi dei singoli e dei gruppi verso gli obiettivi organizzativi? La differenza può essere colta in un tratto distintivo: il management si confronta con la complessità e la sua efficacia si misura con il grado di ordine e coerenza che riesce a realizzare a livello organizzativo; al contrario, la leadership si misura con il cambiamento e, dunque, agisce indicandone la direzione e la visione. E, tuttavia, non esiste un buon manager che non sia anche un buon leader.
Dunque, questo è il modello professionale che riteniamo debba essere ripreso anche sul piano culturale per essere poi assunto – sul piano normativo e concorsuale- come riferimento per il dirigente scolastico “di nuova generazione”, collocato dentro una concezione di scuola come comunità di persone che agiscono come attori politici (perché fanno delle scelte responsabili) e professionali, in quanto possiedono competenze di alto livello e di alta responsabilità .
Facciamo in modo – fin da subito – che la prossima volta si scelgano modalità di formazione e di selezione dei docenti che rispondano a questa idea di dirigenza scolastica.
[1] Il movimento internazionale dello School Effectiveness Research (SER), pur utilizzando differenti filoni di ricerca, ha individuato e testato empiricamente l’effetto di variabili di efficacia per comprendere se le modalità di management e di leadership con le quali viene organizzata e gestita una scuola incidono – e in quale misura – sugli apprendimenti degli studenti.
[2] Si veda, per questo costrutto, il contributo di March J.G., Decisioni e organizzazioni, Il Mulino, Bologna, 1993. In estrema sintesi, possiamo descrivere l’anarchia organizzativa una modalità di funzionamento di organizzazioni che privilegia l’esperienza (ciò che si è fatto in passato) l’intuizione (così dovrebbe funzionare) e l’approccio pragmatico (risolvere i problemi mano a mano che si presentano.
[3] Benadusi l., Politica ed organizzazione della scuola, in Morgagni E., Russo A., L’educazione in sociologia. Testi scelti, Bologna, Clueb, 1997.
[4] Morgan G., Images. Le metafore dell’organizzazione,Milano, Franco Angeli, 1994. La metafora dell’arena politica prende l’avvio dalla concezione aristotelica della politica, originata dalla diversità degli interessi delle persone che vivono insieme. Tale diversità mette in moto processi di mediazione, negoziazione, formazione di coalizioni, di lotta, di influenza reciproca che contribuiscono in modo rilevante alla “vita organizzativa” di un determinato contesto.
Sapere di (non) sapere. I docenti neoassunti giudicano la propria formazione iniziale
Un’analisi a partire dai giudizi espressi da 32.000 insegnanti entrati in ruolo nel triennio 2008-2010
a cura della Fondazione Giovanni Agnelli
Quando il “giallo” è dell’anima
di Antonio Stanca
Recentemente la casa editrice Einaudi di Torino, nella serie “Numeri Primi”, ha ristampato un romanzo della scrittrice francese Fred Vargas, Prima di morire addio (pp. 196, € 13,00). La traduzione è di Margherita Botte. La Vargas, nata a Parigi nel 1957, lo scrisse quando aveva trentasette anni, nel 1994, e fu una delle sue prime opere narrative. Ora ha cinquantacinque anni, è ricercatrice di archeozoologia presso il Centro nazionale francese per le ricerche scientifiche (CNRS), è una studiosa del Medioevo, ha scritto opere scientifiche, racconti, sceneggiature per la televisione e soprattutto romanzi gialli. Ha raccolto alcuni di questi e alcuni racconti in opere uniche, le sue narrazioni sono tradotte in molte lingue ed in Italia è la Einaudi ad interessarsi della loro pubblicazione.
Sono stati i romanzi polizieschi a procurare notorietà alla Vargas poiché diversa dalla tradizionale è la loro maniera. Non c’è violenza in essi né sesso, non mostrano come eccezionali i casi dei quali narrano ma come propri della vita, della sua realtà. Di essa fanno parte le vicende rappresentate, ad essa appartengono insieme al crimine del quale si cercano i motivi ed i responsabili. Abile si mostra la Vargas nel creare una simile situazione, nel mantenerla fino alla fine. Non c’è dramma, non c’è tragedia in lei, solo vita che avviene, si svolge, che contiene anche il delitto. Nei suoi romanzi certi personaggi ritornano, ricompaiono, diventano figure ricorrenti, continuano, ripetono i loro modi di essere, pensare, fare. E’ la volontà di aderire alla vita, di fare di quelli delle opere i suoi casi, di trovarne la spiegazione nell’anima dei protagonisti a distinguere la Vargas nel contesto della tradizione letteraria di genere giallo.
Sono tutti elementi, aspetti che erano comparsi già all’inizio della sua attività di scrittrice e ne è prova il romanzo giallo Prima di morire addio. Qui la Vargas avvia un processo tanto esteso, tanto prolungato da sembrare di non volerlo mai ridurre né concludere. Fino alla fine si sa, si scopre, fino alla fine si capisce, si spiega, fino alla fine la vita si mostra.
Intorno ad una donna bellissima, Laura, alla sua “sovrana distrazione”, alla sua vita passata e presente, si muovono tante persone, vecchie e giovani, amate e odiate, colpevoli e innocenti, inquisitrici e inquisite. Tutto avviene a Roma, durante una calda estate romana, tutto si svolge regolarmente e tanto che i due delitti, all’inizio e alla fine dell’opera, non sembrano sconvolgere quella regolarità. Sono due eventi nuovi dei quali si ha bisogno di spiegazioni e le si otterrà dopo una serie interminabile di tentativi. Quando saranno complete, totali sembreranno essere giunte da sole, quando si scoprirà chi ha ucciso non ci si meraviglierà poiché lo si era capito. Quel processo esteso, prolungato, avviato nel romanzo, lo aveva fatto tanto aderire alla vita, gli aveva fatto comprendere tanti aspetti di essa da non poter più riuscire a sorprendere. Aveva, il romanzo, accolto ogni pensiero, azione, situazione dei personaggi presentati, si era mosso senza sosta tra essi, era passato dai tre ragazzi francesi che studiano a Roma al ricco padre, Henri, di uno di questi che vive e lavora a Parigi, alla sua morte per omicidio avvenuta a Roma, dal giurista inviato dalle autorità francesi per insabbiare il caso ai suoi difficili rapporti con la polizia italiana, dalla bellissima Laura, dalla figlia Gabriella, che ha avuto prima del matrimonio, al loro rapporto con un vescovo che sta per diventare cardinale e che è il padre della ragazza, dai tanti viaggi compiuti a Roma da Laura, che risiede a Parigi ed è la moglie di Henri, alla scoperta da parte di questi che a Roma lei viene per incontrare la figlia, della quale non ha mai saputo, e il vescovo-padre, dalle riunioni notturne, in casa di Gabriella, dei ragazzi francesi alla protezione e al sostentamento che ai quattro provengono da parte di Laura e del vescovo, dai furti nella Biblioteca Vaticana all’uccisione di Maria che in essa lavora e che li favorisce. Tanto, molto aveva accolto la narrazione ed era bastato che si cominciasse a sospettare che qualcosa era avvenuto e avveniva di nascosto perché si giungesse ad uccidere. Non sorprenderà l’azione criminale dal momento che prima di svelare chi la sta facendo Vargas farà conoscere tante altre persone, tante altre vite, prima di svelare che è il vescovo ad uccidere farà sapere di tutta la sua vita e di quella di Laura e Gabriella, amante e figlia, dei traffici clandestini ai quali si era ridotto ed aveva ridotto Laura affinché potessero sostenere economicamente la figlia ed i suoi amici. Per loro, per quei traffici Laura veniva tante volte a Roma che il marito si era insospettito, l’aveva fatta seguire e per paura che egli giungesse a sapere di tutto, lo divulgasse, si separasse da Laura il vescovo lo uccide e poi uccide Maria perché non si sappia della sua complicità circa i furti in Vaticano.
Tra tanto movimento, in una costruzione tanto articolata i due misfatti non fanno scalpore, rientrano in essa, sono da essa assorbiti, diventano un’altra delle sue realtà e il linguaggio della Vargas è così vario e ricco, così sicuro e preciso da procurare anche ad essi quella condizione naturale, autentica che è di tutta la narrazione. Vi riesce la scrittrice perché la sua attenzione non è rivolta all’esterno, a ciò che avviene nelle strade, nelle piazze delle sue città ma solo a quello che sanno, pensano, sentono, ricordano, dicono, temono i suoi personaggi, solo alla vita della loro anima, a quanto di questa vivono da soli e a quanto scambiano con gli altri. In una storia dello spirito si trasforma ogni romanzo della Vargas e come tale non può non essere vera, non può non accogliere tutto, compreso il delitto.
Esami di Stato II ciclo a conclusione: qualche osservazione e proposta
di Beatrice Mezzina
Nell’interessante dibattito ospitato da Edscuola sugli Esami di Stato, si sono susseguiti interventi di utile approfondimento sulla necessità di ripensare a una modifica degli Esami stessi, ormai a un quindicennio dall’attuale formula, pur con le modifiche intercorse.
Interessantissime le osservazioni condotte da M.Tiriticco, E. Maranzana, A.Valentino sulla questione nodale della certificazione delle Competenze.
Aggiungo qualche riflessione e proposta oltre i temi citati e discussi che condivido in pieno.
1. La questione del Monitoraggio
Dopo alcune interessantissime pubblicazioni dell’allora CEDE attraverso l’ ONES- Osservatorio Nazionale Esami Stato (cfr. CEDE- ONES, 2000 Elementi di stile – Riflettendo sugli orali con introduzione di B.Vertecchi), il monitoraggio sugli Esami di Stato si è progressivamente perduto; nel CIDI, nelle Associazioni Professionali, abbiamo svolto negli anni monitoraggi vari, senza mezzi e con campioni limitati, sulle novità intercorse come le morattiane Commissioni interne, le gelminiane strette sui crediti e sulle tabelle annesse.
Manca tuttavia un’analisi documentata del MIUR su cui impostare riflessioni e ipotesi di mutamento. Un dovere largamente disatteso.
Ragioniamo, nonostante tutto, su alcuni elementi di riflessione.
2. L’Ammissione
Dal 2010 (O.M.44) gli studenti sono ammessi solo se conseguono almeno sei decimi in tutte le discipline compreso il comportamento.
Ne deriva: i voti di fine anno non sono affidabili. Tranne i casi di diffuse insufficienze in cui i Consigli di Classe deliberano la non ammissione dello studente, nella maggior parte dei casi, in presenza di una o due insufficienze, si decide di ammettere, assegnando un voto sufficiente nella disciplina/e deficitaria, se mai tenendosi stretti nei voti delle altre discipline per non creare disparità con altri candidati che abbiano raggiunto la sufficienza per effettivo merito.
Le Commissioni d’esame, per aver chiara la situazione reale, guardano i voti del primo quadrimestre, a volte anche i compiti e i registri.
Il sistema articolato di valutazione, già difficoltoso in sé per la complessità di trasformazione del sistema decimale in punteggi in centesimi, con il mutamento e la stretta dei crediti, si complica per la questione dell’ammissione falsata.
Ne consegue un appiattimento delle fasce più basse nelle votazioni di ammissione e finali, una scarsa affidabilità della valutazione.
E’ questione di grande momento riflettere sulla valutazione, non solo negli esami di Stato.
Si potrebbe pensare, come in altri sistemi scolastici europei, a un peso forte di alcune discipline caratterizzanti il corso di studi, come la matematica per lo Scientifico ad esempio?
Quali conseguenze produce il voto di comportamento che fa media?
Necessario quindi un monitoraggio attento dei processi messi in moto dai mutamenti della normativa.
3. Il Colloquio
E’ la parte più complessa dell’esame dal punto di vista valutativo: il caldo, la prossemica, l’attenzione o disattenzione dei commissari, l’effettiva difficoltà per lo studente di essere pronto a sostenere l’esame in tutte le discipline, non ne fanno un momento tra i più attendibili della valutazione.
In genere la commissione, che ha già fatto i conti tra credito scolastico e prove scritte, assegna un punteggio già meditato, cercando, soprattutto nei casi più gravi, di “salvare” lo studente e di assegnare un punteggio che faccia raggiungere il sessanta, soprattutto quando le prove scritte non siano state positive; oppure se uno studente bravo abbia conseguito un risultato inferiore alle aspettative nelle prove scritte, il colloquio tende a riequilibrare la situazione. Insomma spesso un punteggio di compensazione.
E’ la parte dell’esame che avrebbe più bisogno di attente modifiche.
4. La tesina, il percorso, la mappa, l’approfondimento
Dall’O.M.41/2012:
“Il colloquio ha inizio con un argomento o con la presentazione di esperienze di ricerca e di progetto, anche in forma multimediale, scelti dal candidato. Rientra tra le esperienze di ricerca e di progetto la presentazione da parte dei candidati di lavori preparati, durante l’anno scolastico, anche con l’ausilio degli insegnanti della classe….Il Presidente, il giorno della prima prova scritta, invita i candidati….. a comunicare la tipologia dei lavori prescelti per dare inizio al colloquio”.
Molti studenti, contravvenendo ormai per prassi consolidata alle indicazioni, preparano, in genere, non un’esperienza di ricerca e di progetto personale o meglio svolta in classe con l’aiuto degli insegnanti ma, nella maggior parte dei casi, una mappa rabberciata in cui sono messe insieme alcune tematiche con cui si presume di collegare nei modi più inverosimili gli argomenti delle disciplne d’esame; spiccano i collegamenti posticci nel tentativo di far rientrare nel “percorso” tutte le discipline.
Oppure gli studenti producono una tesina su un tema di personale interesse – spiccano per frequenza il ruolo della donna, l’amore, la crisi del Novecento e così via. Mancano o sono in netta inferiorità gli argomenti di taglio scientifico, anche nelle scuole che hanno una connotazione tale da corrispondervi.
Taccio con una voluta preterizione la stanca ovvietà degli argomenti proposti e la riflessione annuale di tutti gli insegnanti che è arduo cavare qualcosa dalla maggior parte degli studenti al di là del percorso presentato.
Proposta:
Arginare questa deriva è possibile, anche senza mutamenti legislativi, con qualche semplice precisazione nell’O.M. annuale.
Resta il nodo che nel colloquio, secondo me, non si possono discutere con serietà tutte le discipline, sia per i tempi tecnici, sia per la difficoltà di sostenere in breve una rassegna che tocca tutti i punti dei programmi presentati.
Di fatto, nonostante l’invito a operare collegamenti, alla collegialità, alla pluri o interdisciplinarietà delle domande, dobbiamo convenire che il colloquio risulta spesso monadicamente condotto in ogni disciplina; sostenere garbatamente un colloquio su tutte le discipline è impresa difficile per gli studenti e anche i commissari riescono solo con alcuni candidati di qualità a saggiarne i livelli di approfondimento.
Per gli altri si apre il baratro se si va fuori “percorso”.
Non vorrei ritornare alla vecchia formula della scelta delle materie per gli orali; se tutto rimane così e la struttura dell’esame non muta, si potrebbe pensare almeno alla possibilità di scelta di due o tre argomenti per disciplina da parte degli studenti.
Di fatto già avviene così, nella saggezza procedurale degli insegnanti: spesso chiediamo ai candidati un argomento “a piacere” e solo per i più bravi si scandaglia più a fondo.
5. La prima prova e i Rapporti INVALSI
Ricordiamo che nella prima prova dell’esame di Stato II ciclo (la “Prova di Italiano”) sono state introdotte ormai da tempo, (D.M. 389/98, art.1) tipologie diverse di elaborati da produrre, le ormai note tipologie A,B,C,D.
La varietà dei tipi di prova risponde alla necessità di offrire ai candidati modalità diverse per dimostrare la propria padronanza della lingua italiana come cita il testo legislativo vigente in materia (L. 11.01.2007, n. 1, art. 3, comma 2): «… La prima prova scritta è intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato»
Quanto la tipologia delle prove ha inciso sul curriculum di scrittura? La molteplicità delle tipologie consentono migliori esiti di scrittura?
Sulla I prova abbiamo due interessantissime ricerche di cui fare tesoro
1 – INVALSI – ACCADEMIA DELLA CRUSCA (2009)
La valutazione della prima prova dell’esame di Stato.
2 – INVALSI – marzo 2012
ESAME DI STATO CONCLUSIVO DEI PERCORSI DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE. Valutazione dei livelli di apprendimento – Prove scritte di Italiano a.s. 20092010 – Rilevazione degli errori più diffusi nella padronanza della lingua italiana nella prima prova di italiano.
Sono due rapporti di grande importanza per gli insegnanti, non solo di Italiano, nella speranza che i docenti di tutte le discipline concorrano non solo alla definizione di buone griglie di valutazione, cui è dedicato il primo rapporto, ma soprattutto a costruire un curriculum di scrittura, confrontandosi con i presupposti teorici della padronanza della lingua italiana, con le analisi e gli esiti delle rilevazioni.
“ …la lingua primaria, come strumento fondamentale per l’elaborazione e l’espressione del pensiero e per l’ampliamento dell’intero patrimonio personale di esperienze e di cultura, si offre come terreno diretto per tutti gli insegnanti”
(Piani di Studio della Secondaria Superiore e Programmi dei primi due anni. Le proposte della Commissione Brocca. Annali della Pubblica Istruzione, Studi e Documenti, n.56, 1991, p.101).
Vale la pena scorrere alcune osservazioni dei Rapporti.
5.1 Il rapporto 2009
Riprendo alcuni passi, rimandando alla lettura integrale dello stesso (www.invalsi.it Esami Stato II ciclo)
1. Gli studenti svolgono meglio la traccia di analisi del testo; meno felicemente il “saggio” o l’articolo che scontano anche la difficoltà di analisi dei documenti proposti, troppo numerosi e spesso tra sé poco coerenti; gli svolgimenti sono spesso “temi” mascherati da articoli o saggi.
Forse è segno che l’analisi del testo proposto nella prova finale ha retroagito nella pratica didattica; non così la tipologia “Saggio” o articolo.
2. Vi sono difformità tra i punteggi assegnati dalle commissioni e quelli assegnati dai correttori in ricerca soprattutto nei punteggi alti: segno che l’effetto alone nelle commissioni (c’è sempre un interno che revisiona i compiti con un esterno) implica la assegnazione di un punteggio più alto agli studenti con buon curriculum.
3. Tra i difetti rilevati più comuni negli scritti, spiccano le difficoltà argomentative, l’organizzazione degli argomenti intorno a un’idea di fondo; segno che nella scuola se sono stati utilizzate esercitazioni di analisi del testo, meno frequenti sono i modelli e le esercitazioni di scrittura argomentativa, che dovrebbero essere proposti non solo dagli insegnanti di Italiano.
4. Nella competenza testuale mancano le capacità di Scansione del testo in capoversi e paragrafi, con eventuali intitolazioni e di Ordine nell’impaginazione e nell’aspetto grafico e partizioni del testo in capoversi ed eventuali paragrafi . E’ questa una mancanza notevole nell’insegnamento della scrittura a scuola quando invece la strutturazione di un testo in blocchi grafici in relazione con l’articolazione del suo contenuto, può aiutare a costruire un discorso chiaro e ordinato, articolandone la complessità.
5. Si sente la necessità di mutare le tipologie delle prove d’esame in favore di prove plurime (un riassunto, un commento ecc. come nel BAC Francese).
Qualche nota sulle prove:
Sarebbe utile ripensare a una nuova formulazione delle prove? Non è forse troppo ampia la scelta? Non sono forse troppi i documenti proposti? Nel Saggio, per esempio, la quantità delle fonti di cui tener conto è eccessiva e induce lo studente ad affastellare la loro utilizzazione; la scelta dei passi proposti è spesso dispersiva ed eterogenea e, come afferma L.Serianni nel contributo n.2 pag.58 nel Rapporto stesso, “parrebbe riflettere lo sfoggio di competenze degli esperti ministeriali che hanno stilato le prove piuttosto che adeguarsi all’orizzonte culturale dei destinatari”.
5.2 Il Rapporto 2012
Già all’apparire, marzo 2012, il Rapporto ha fatto notizia sui giornali che ne hanno ricavato articoli che riportano vari bestiari di errori, strafalcioni, tipo Io speriamo che me la cavo del maestro Marcello D’Orta, capostipite di varie pubblicazioni del genere.
Una non nuova geremiade sulle scarsissime capacità di scrittura degli studenti, medi e universitari, degli avvocati alle prove di concorso, degli stessi insegnanti nei concorsi a cattedre o a Dirigenti.
Chi ha colto, secondo me, il senso profondo della questione è stato Marco Lodoli, su Repubblica del 15.03.2012, che, rilevando negli scritti di italiano dei suoi studenti il periodare sgretolato, le concatenazioni slabbrate e il lessico poverissimo, ne individua la causa maggiore nelle modalità di pensiero dei giovani diciottenni, caratterizzato dalla perdita dei nessi logici, dell’ordine, dell’argomentazione. Sono felicemente privi di argomentazioni ipotetico deduttive, hanno una struttura mentale intuitiva, puntiforme nel caos delle sensazioni e delle esperienze.
Questioni su cui avevamo cominciato a riflettere da tempo, fin dagli indimenticabili saggi di Raffaele Simone. ( Simone, R. 2002. La Terza fase, Forme di sapere che stiamo perdendo, Laterza, Roma-Bari; Simone, R. 2003. La mente al punto, Laterza, Roma-Bari). Utile la lettura dello stesso autore di Presi nella rete – La mente ai tempi del web, Garzanti 2012.
Una rassegna degli errori più diffusi rilevati
Riporto qualche nota dal Rapporto, che individua gli errori più diffusi nella padronanza della lingua italiana, come risulta dall’analisi degli elaborati 2010, rimandando alla lettura integrale del Rapporto per gli approfondimenti:
1. le macroaree testuale e ideativa risultano essere quelle con maggiore percentuale di errore: vi è uno stretto legame tra testualità (impostazione e articolazione complessiva del testo) e capacità ideativa (capacità di elaborazione e ordinamento delle idee)…. il testo scritto frana sotto l’assenza di una strategia di problem-solving: lo studente, non segue operazioni ordinate strategicamente verso una meta, non costruendo il proprio testo finisce per elaborare una somma di frasi irrelate in vista di un epilogo che non risolve un testo che è in absentia.
2. la mancanza di un’idea di fondo indica un deficit strutturale del testo. Insomma manca « uno schema compositivo generale da usarsi come sfondo alla progressione delle conoscenze mosse dallo scritto» che è uno dei requisiti fondamentali dell’argomentazione. La tecnica compositiva della grande maggioranza degli studenti del campione, invece, si basa sulla giustapposizione di periodi più o meno efficaci, ma quasi mai in grado di costruire un reale sviluppo macrotestuale. La situazione è meno grave quando lo studente deve partire da un testo più vincolato, come la tipologia A. Insomma, un testo che si costruisce come collage dei dati forniti, si risolve formalmente in un accumulo di frasi: i segni interpuntivi divengono segni grafici con funzione separativa; la coerenza interna non c’è; lo sviluppo tematico è del tutto assente, così come l’argomentazione.
3. La scarsa attitudine alla programmazione testuale è segnalata dalla scarsa presenza di una corretta paragrafatura.
4. Emerge l’ eccesiva ristrettezza del bagaglio linguistico, il debole armamentario lessicale di cui gli studenti sono in grado di disporre. Ci si muove comunque in un orizzonte lessicale molto limitato, fattore che non può non inficiare la stessa competenza ideativa e la capacità effettiva di articolare il discorso in modo complesso.
5. La punteggiatura, come segnale del testo, come strumento di strutturazione di un discorso, è scarsamente utilizzata.
5.3 Che fare nella scuola? Quali compiti gli insegnanti per un curriculum di scrittura?
Per esperienza diretta negli esami di Stato ho rilevato nelle commissioni che ho presieduto:
Perché gli studenti scrivano bene è necessario insegnare a scrivere. Non è così.
6. La terza prova
Da tempo si parla di una prova nazionale che sostituisca quella preparata dalle Commissioni.
In effetti, le tipologie diverse utilizzate ( i quotidiani continuano a denominare la prova quizzone anche quando si tratti di trattazione sintetica di argomenti), il collegamento con le simulazioni delle scuole, le diatribe sulle discipline da inserire, i sospetti di alcuni commissari esterni sulla effettiva segretezza degli argomenti, il tempo assegnato per lo svolgimento da calibrare molto attentamente sulla caratteristica tipologica della prova assegnata, ne fanno una prova che ha esiti diversi: a volte la prova, semplicisticamente impostata, non ha la possibilità di saggiare l’effettiva preparazione degli studenti, non ha elementi validi di discriminazione; a volte risulta complessa e ha come esiti voti bassi, contraddicendo lo spirito della prova che voleva dare l’opportunità alle scuole di impostare una esercitazione e una valutazione quanto più possibile vicine al curriculum reale della scuola.
Sarei favorevole a una prova nazionale con qualche distinguo:
7. Ipotesi di ristrutturazione dell’esame?
Forse sarebbe utile rinnovare totalmente la formula esami.
Tra le tante, un’ipotesi.
Le prove potrebbero tenersi a fine maggio per dare la possibilità ai gruppi di valutatori di operare con attenzione e tempi distesi.
Proposta tra le tante da discutere in un percorso di monitoraggio e riflessione costante che l’Amministrazione dovrebbe considerare una priorità per innovare consapevolmente.
A proposito di etica pubblica e del copiare a scuola
ovvero
Ancora una volta la reticenza delle Indicazioni.
di Cinzia Mion
Ho letto con molto interesse l’intervista a Roberto Ricci su “il sussidiario.net” dal titolo “Le due Italie? Una studia, l’altra copia”
Ancora una volta appare confermata la mancanza di etica pubblica che comincia dalla scuola o peggio che viene rinforzata dalla scuola. Ricci afferma infatti “Quello che non si riesce a correggere è la devastazione educativa rappresentata dal “cheating” (io metterei truffare, la parola inglese rende meno pregnante l’azione), perché nel momento in cui un insegnante consente agli studenti di copiare o, ancora peggio, suggerisce loro le risposte, fa passare un messaggio estremamente negativo. Sta dicendo ai suoi studenti, con un esempio cattivo e “autorevole”, che quel che conta è imbrogliare. E’ un atto profondamente egoistico che contribuisce a nascondere le carenze degli studenti, quando un intero sistema sta facendo tutto il possibile per individuare le distanze e per colmarle.”
Fin qui Ricci.
Potrei dilungarmi su come insegnare ai ragazzi più competenti che la vera solidarietà, nei confronti dei compagni meno attrezzati, non è quella di lasciar copiare o di “passare” i compiti, ma di dedicare loro del proprio tempo libero pomeridiano per aiutarli a comprendere e costruire, o ri-costruire, competenze assenti o sfocate. Oppure suggerirei ai docenti di applicare l’insegnamento reciproco o l’apprendimento cooperativo, ma questo mi porterebbe lontano.
Durante invece le prove in classe, che siano Invalsi oppure no, copiare o lasciar copiare significa “barare” e questa è un’azione eticamente riprovevole.
Questo si chiama insegnare “l’etica pubblica” che è altro dall’etica privata, anche se si intreccia con essa. Risulta essere altro anche dall’etica della responsabilità, importantissima perché focalizza le conseguenze delle proprie azioni non solo le intenzioni, ma va oltre.
L’etica pubblica oltrepassa l’orizzonte dell’individuo per farsi carico della collettività.
Ha a che fare con la correttezza dei comportamenti ma si preoccupa di costruire il “bene comune”.
Non intendo comunque rifare un testo sull’etica pubblica cui altre volte mi sono dedicata.
Intendo fare una domanda diretta agli estensori delle recenti “Indicazioni nazionali per il curricolo”cui altre volte mi sono rivolta : -Era così difficile all’interno dei vari paragrafi che si interessano di “cittadinanza” (sia essa la premessa o una delle finalità della scuola del’infanzia oppure lo specifico “Cittadinanza e Costituzione”) inserire la raccomandazione di “insegnare l’etica pubblica” ?
Cosa vi trattiene dall’esplicitare questa viva preoccupazione per il nostro Paese?
Il livello della corruzione ma soprattutto la mancanza di vergogna che l’accompagna non vi interpella profondamente?
Chi se non l’Istituzione scuola con i suoi docenti, a fronte del “familismo amorale” dilagante, potrebbe arginare questa deriva ? Docenti naturalmente chiamati a riflettere, ad interrogarsi e a formarsi sulla tematica suddetta dal testo fondamentale delle Indicazioni, tenuti quindi a rispettarlo anche con l’esempio, evitando accuratamente lo sfacelo della doppia etica che da tempo immemorabile da noi crea la differenza tra le prediche e le pratiche.
Veramente mi risulta inspiegabile tale reticenza.
Se non ora, quando?
Il Consiglio dei Ministri, nel corso della riunione del 27 luglio, ha preso atto dell’Intesa tra MIUR e CEI sulle nuove indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo di istruzione.
Il 28 giugno 2012 è stata firmata l’intesa tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e la Conferenza episcopale italiana sulle nuove indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica (Irc) nel secondo ciclo di istruzione. L’intesa, in conformità con la riforma della scuola secondaria superiore entrata in vigore dall’anno scolastico 2010-2011, prevede che la proposta didattica per l’Irc si differenzi per i licei, gli istituti tecnici, gli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Nello specifico, anche per l’Irc, sul modello delle altre discipline di insegnamento, la strategia didattica mira a individuare le competenze che lo studente dovrebbe raggiungere al termine di ciascun periodo didattico.
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per la Programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali
Direzione Generale per gli Affari Internazionali
Ufficio VI – Cooperazione con organismi internazionali e accordi bilaterali con Stati non membri dell’U.E
Nota 27 luglio 2012, Prot. AOODGAI / 11557
Ai Rettori degli Atenei italiani con insegnamenti di cultura e lingua russa
Loro sedi
OGGETTO: Borse di studio per studenti universitari iscritti a corsi di laurea di lingua russa.
Nell’ambito dell’Accordo Bilaterale sulla diffusione della lingua italiana in Russia e della lingua Russa in Italia firmato a Roma il 5 novembre 2003 e ratificato con legge n. 65/ 2008 la scrivente Direzione Generale per gli Affari Internazionali intende mettere a disposizione di studenti universitari italiani circa 50 borse di studio.
Le citate borse sono finalizzate alla frequenza di corsi curricolari presso Atenei della Federazione Russa e ad un’attività di assistentato all’insegnamento dell’italiano rivolto a studenti delle scuole russe con particolare riguardo alle scuole del programma PRIA (cfr il sito web http://pria-it.ru/?lang=it ) attivato dall’Ambasciata d’Italia a Mosca.
Ogni borsa, di circa 1.400 euro forfetari e omnicomprensivi, dovrà coprire tutte le spese di viaggio e di soggiorno in Russia per un periodo di circa tre mesi, durante i quali andrà svolta un’attività effettiva di assistentato per 10 settimane continuative.
Gli aspetti logistici ed organizzativi della permanenza degli studenti italiani nella Federazione Russa saranno curati dagli Atenei di provenienza.
Tutte le attività dovranno concludersi per esigenze contabili entro il 23.12.2012 .
Le borse saranno corrisposte direttamente dalla DGAI ai vincitori dietro presentazione Programma di studio asseverato dall’istituto ospitante russo e dall’Ateneo italiano.
Il Bando di assegnazione delle borse e le procedure di selezione dei candidati, da completarsi entro il 20 settembre 2012 saranno a cura di ciascun Ateneo.
I candidati dovranno essere in possesso dei seguenti requisiti:
Copia del bando dovrà essere inviata da ciascun Ateneo al seguente indirizzo: dgainternazionali@postacert.istruzione.it per consentirne la pubblicazione sul sito del Ministero dell’ Istruzione, Università e Ricerca.
Al termine della procedura di selezione ogni Ateneo comunicherà alla scrivente Direzione i nominativi dei primi cinque candidati meglio posizionati, unitamente .ed ogni altro dato utile per l’erogazione della borsa di studio.
Questa Direzione Generale per gli Affari Internazionali individuerà gli assegnatari della borsa fra tali candidati sulla base dei seguenti criteri:
1. Ateneo di provenienza, al fine di assicurare un’equa distribuzione territoriale ;
2. Numero delle cattedre di russo attive nell’Ateneo di provenienza;
3. livello di conoscenza della lingua con riferimento ai livelli del QCER ( almeno B1 )
4. non avere usufruito in precedenza di altre borse di studio di mobilità.
Si specifica che, in considerazione dell’esiguità dei tempi a disposizione, le manifestazioni d’interesse da parte di codesti Atenei dovranno pervenire alla scrivente Direzione Generale esclusivamente al seguente indirizzo: dgainternazionali@postacert.istruzione.it entro e non oltre il 27 Agosto 2012 , per concordare tempestivamente ogni utile dettaglio operativo e sottoscrivere una lettera di intenti con ciascuno degli Atenei interessati.
Si prega di gradire distinti saluti.
IL DIRETTORE GENERALE
F.to Marcello Limina
NUOVI ORIZZONTI DELLA NUTRIZIONE
di Paolo Manzelli
Nella attuale crisi di trasformazione sociale ed economica tra la vecchia societa industriale e la nuova societa della conoscenza, la attuale pericolosa condizione di ristrettezza finanziaria del Paese, produce come diretta conseguenza il fatto che la politica sanitaria italiana non potra piu’ permettersi un elevato livello di spesa medico sanitaria .
Putroppo senza una strategia di innovazione scientifica e culturale ogni tentativo di sostenibilita dell’ attuale modello di welfare -sanitario e’ pertanto destinato al fallimento a causa della crescita delle disuguaglianze nelle condizioni di salute dei cittadini, sia geografiche e di eta’ che economico-sociali.
E necessario pertanto prevedere una “transizione del sistema sanitario dalla cura alla prevenzione“; quindi e’ divenuta una esigenza sociale ed economica il saper agire nel quadro di una complessa trasformazione della industria farmaceutica in un sistema di sviluppo della funzionalita dell’ alimentazione per garantire benessere ed invecchiamento attivo della popolazione .Questo e quanto viene indicato dalla strategia di Europea di HORIZON 2020.
http://www.euranet.eu/ita/Dossiers/Anno-Europeo-dell-Invecchiamento-Atti…
Cio comporta una maggior attenzione alla qalita del cibo , a dare sviluppo a strategie culturali capaci di limitare il ricorso all’ ingestione di cibi e bevande genericamente definite come “spazzatura” che assieme alla scarza attivita’ fisica producono obesita’ per malnutrizione e di conseguenza malattie cardiovascolari e croniche di vario tipo che comportano l’ emergenza di insostenibli problematiche sanitarie .
La soluzione a questi problemi non verrà dalla produzione di nuovi medicinali e vaccini che comportano ricerca e sperimentazione troppo costosa e dalla costruzione di nuovi ospedali per contenere l’ aumenare delle aspettative di guarigione , ma da un nuovo concettio di sanita che risponda al criterio essnziale che dice : “E’ MEGLIO PREVENIRE CHE CURARE “.
Infatti per aumentare salute e benessere nei cittadini e’ importante oggi avviare un profondo cambiamento culturale ed organizzativo di condivisione di conoscenze tra impresa e ricerca , finalizzato ad attuale uno stabile successo futuro del rapporto tra alimentazione e salute.
Si tratta infatti di riorientare il sistema sanitario vigente, ( fuori controllo proprio in quanto persegue ancora l’ idea di attenere che la popolazione si ammali per poi guarila), per dare un innovativo sviluppo ad un sistema adeguato di misure di preenzione della salute , ormai strettamente necessario per effettuare una efficace e stabile riduzione del deficit sanitario e del debito accumulato dalle Regioni, proponendo una piu stringente attenzione alla reale valutazione sanitaria correlata ai reali fabbisogni del mantenimento del benessere psico-fisico dei cittadini .
La spesa sanitaria pertanto non potra piu perseguire dinamiche di cresita della industria farmaceutica, ma dovra correlarsi all’ effettivo bisogno di mantenimento della salute individuando strategie economico-sociali che permettano l’ avanzamento di qualità superiore della salute dei cittadini, strettamente coordinata dalla ricerca nutrizionale piu avanzata tale da permettere con una maggiore copertura salutare della popolazione assistita dal sistema sanitario.
In quest’ottica è fondamentale lo sviluppo di CENTRI DI COMPETENZA sui NUOVI ORIZZONTI DELLA NUTRIZIONE , capaci di indirizzare e gestire la trasformazione del sistema sanitario-farmacentico in un’organizzazione di ricerca nutrizionale basata sulle piu recenti prospettive di indagine Nutrigenomica e Nutraceutica orientati a funzionalizzare il cibi e personalizzare le diete in relazione al mantenimento della salute nell’ arco intero della vita.
EGOCREANET , lavorando attualmente nell’ ambito del BUSINESS INCUBATOR della UNIVERSITA di Firenze , ha iniziato a dare sviluppo a tale prospettiva nel quadro del coordinamento del Progetto Europeo FP7.KBBE.2013.2.2-02 sul tema dei fattori alimentari che influenzano le relazioni tra intestino e cervello ( Gut Brain Axis resarch).
Inoltre EGOCREANET ha iniziato ad co-organizzare di un parteneriato Europeo di Centri di Competenza su FOOD/HEALTH , (vedi ad es il CEN-NUTRIMENT in :
http://sial2010.b2bmatchmaking.com/index.php?page=cat_tech&action=detail¶ms[id]=1031)
con i quali realizzeremo nel 2013 la fase di “start up” di un consorzio Internazionale Pubblico-Privato , sulla tematica sviluppata nel progetto Europeo sul tema FUTURE HORIZON of NUTRITION finalizzata al miglioramento della qualita della vita.
Per procedere in questa direzione della innovazione del sistema socio sanitario Regionale abbiamo intrapreso un rapporto stabile con la Regione Toscana, Assessorato alla Agricoltura e Coodinamento Regionale della Ricerca , ed inoltre abbiamo coordinato tavolo di relazioni tra le 4 Universita Toscane denominato NUTRA-Scienza .
Infine presenteremo questa Nuova Prospettiva di sviluppo, (basata sulla costrituzione di un Centro di Competenze Internazionale su Nutrizione e Salute), al ” Consensus Metting del Progetto Europeo FUHONU” nell’ ambito del Congresso Internazionale di MEDICINA INTEGRATIVA ECIM-2012 che si ìterra a Firenze tra il 20 ed il 22 sett. 2012 .vedi :http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sito-RT/Contenuti/sezion…
Il nostro obiettivo e’ quello di poter attuare e gestire la formazione del “Centro Internazionale di Competenze su Nutrizione e Salute”, finalizato a promuovere strategie di riduzione del rischio di malattia per aumentare il benessere e l’ invecchiamento attivo dei cittadini, coodinandoci con imprese capaci di investire in ricerca nel settore degli alimenti funzionali e nutraceutici , in modo da presentare i primi coerenti risultati di sviluppo in termini di ECO-ECONOMIA SOCIALE nel quadro dell’ EXPO 2015 a Milano.
Vedi infine le attivita di Disseminazione di Nutra Scienza su Facebook http://www.facebook.com/groups/195771803846822/
Coloro che fossero interessati a dare sviluppo a questa prospettiva nel quadro di EUROPA 2020 potranno contattarmi per condividere lo sviluppo della iniziativa CENTRO DI COMPETENZE su FUTURE HORIZON OF NUTRITION. Paolo Manzelli 26/LUGLIO/2012
—
PAOLO MANZELLI
Director of EGO-CreaNet//IUF – University of Florence
EGOCREANET- VALIDATED EUROPEAN -PIC = 959882416
DIPARTIMENTO DI CHIMICA ,
POLO SCIENTIFICO 50019 -SESTO F.no- 50019 Firenze- Via madonna del Piano,06
-room: D.1.32: Phone: +39/055-4574662 Fax: +39/055-4574639
c/o BUSINESS INCUBATOR-University/Industry
Mobile: +39/335-6760004
E-mail: EGOCREANET2012@gmail.com
pmanzelli.lre@gmail.com
http://www.egocreanet.it/Postnuke/html/
http://www.edscuola.it/lre.html
http://www.egocrea.net/
http://www.descrittiva.it/calip/dna/
http://cseonns.splinder.com/
http://www.steppa.net/html/scienza_arte/scienza_arte.htm#articoli
https://sites.google.com/site/quantumartgroupitaly/
http://www.facebook.com/groups/195771803846822/
Annullata dal TAR Lazio una bocciatura per insufficienti ore di sostegno
di Salvatore Nocera
La Sentenza tar Lazio n. 6087/2012 depositata il 5/7/2012 è di estremo interesse, poiché risolve un problema sino ad oggi non affrontato in materia di inclusione scolastica, che prevalentemente riguarda la richiesta di un maggior numero di ore di sostegno. Questa sentenza invece fa discendere dall’insufficiente numero di ore di sostegno l’annullamento della bocciatura di un alunno con grave disabilità.
Ecco i fatti: un alunno con grave disabilità, frequentante una classe intermedia di un istituto di istruzione superiore aveva avuto assegnate solo 4 ore di sostegno settimanali con una progressiva riduzione dalle 16 ore di scuola media e12 ed 8 dei due anni precedenti di scuola superiore.
Al termine dell’anno scolastico il Consiglio di classe lo aveva bocciato per non aver egli raggiunto gli obiettivi minimi del PEI predisposto ai sensi dell’art 15 dell’O M n. 90/01.
La famiglia impugna al TAR la bocciatura, denunciando oltre alla immotivata riduzione di ore di sostegno rispetto all’anno precedente, anche gravi errori procedurali, quali la mancata partecipazione allo scrutinio del docente per il sostegno, la mancata concessione delle prove equipollenti di cui all’art 16 comma 3 l.n. 104/92 ( sostituzione della prova scritta di Inglese con quella orale) ed il mancato rispetto dell’art 16 comma 1 stessa legge che impone l’indicazione nel PEI delle discipline per le quali il Consiglio di classe prevede la riduzione di alcuni contenuti , criteri particolari di programmazione e attività di sostegno.
Il TAR accoglie l’istanza sospensiva e il Consiglio di classe si riunisce a Dicembre per riesaminare lo scrutinio di Maggio. In quella sede viene evidenziato che il PEI aveva previsto la richiesta di molte ore di sostegno specie nelle discipline di indirizzo della scuola; ma, ciò non ostante, si ribadisce il giudizio di non ammissione alla classe successiva. La famiglia propone motivi aggiunti al ricorso, rimarcando quest’ultima circostanza.
Di fronte a questa situazione il TAR accoglie il ricorso fondamentalmente fondando la decisione sull’insufficienza delle ore di sostegno, come risulta, tra l’altro, dal seguente passaggio della sentenza:
“Tale rilevabile inadeguatezza del mezzo fornito all’alunno portatore di handicap, che come noto si rende sicuramente sindacabile in sede di giurisdizione amministrativa allorquando la stessa inadeguatezza risulti “ictu oculi” manifesta, consente l’accoglimento del ricorso e consente di ritenere anche i risultati delle prove svolte dallo stesso di cui il Consiglio di classe ha genericamente rilevato insufficienze nella generalità delle materie, parimenti collegabili alla stessa carenza della attività di sostegno.”
OSSERVAZIONI
E’ importante l’affermazione che quando una risorsa ritenuta tecnicamente importante per l’inclusione , come il sostegno, sia ritenuta quantitativamente insufficiente dagli stessi tecnici della scuola, cioè i docenti curricolari, essa deve ritenersi “ictu oculi”( a prima vista) insufficiente anche dai Giudici che, in materia di “ discrezionalità tecnica non avrebbero facoltà di giudizio, ma i quali, sulla base del giudizio dei tecnici possono sindacare l’illegittimità dell’Amministrazione nel non fornire sufficienti risorse per una buona inclusione.
Quindi punto determinante della decisione è stato quanto previsto nel PEI e riaffermato nello scrutinio suppletivo circa l’insufficienza delle ore di sostegno.
Però su questo punto occorre fare un approfondimento.
Intanto risulta dagli atti che il PEI è stato predisposto a Febbraio , cioè ben 5 mesi dopo l’inizio dell’anno scolastico, mentre l’art 5 del dpr del 24/2/94 prevede al massimo un periodo di 3 mesi dall’inizio dell’anno scolastico. Probabilmente tale ritardo potrebbe essere dovuto al fatto che , troppo spesso, i docenti curricolari, specie di scuola superiore, delegano la formulazione del PEI al solo docente per il sostegno e questi talora viene assegnato con ritardo anche di uno o due mesi; ciò potrebbe spiegare come mai il PEI sia stato formulato solo in Febbraio. Però è da tener presente che i docenti conoscevano già l’alunno da alcuni anni; quindi non si comprende perché abbiano atteso tanto tempo per stilare un PEI che doveva sostanzialmente essere , per gli aspetti metodologici e didattici, la prosecuzione di quelli degli anni precedenti ed avrebbe quindi potuto essere già predisposto fin dal primo giorno di scuola.
In secondo luogo, la c m . prot n. 4798/2005 stabilisce che all’inizio dell’anno scolastico ed ancor prima dell’inizio delle lezioni, i Consigli di classe debbono abbozzare “un” PEI( se l’alunno non è ancora conosciuto ) ed” il” PEI ( se l’alunno è già conosciuto) in sede di programmazione dell’attività didattica. Questa violazione non è stata dedotta in giudizio, ma occorre farne cenno in questo commento di carattere “ giuridico-pedagogico”.
In terzo luogo, già nel dpcm n. 185/06 sulle nuove modalità di certificazione della disabilità a fini scolastici e nella successiva Intesa Stato-Regioni del 20 Marzo 2008 sull’accoglienza degli alunni con disabilità, è chiaramente detto e ribadito che almeno un abbozzo di PEI deve essere effettuato già prima dell’inizio dell’anno scolastico, in modo da consentire la richiesta , almeno in organico di fatto, delle ore di sostegno non concesse in organico di diritto. Purtroppo anche la violazione di queste norme non è stata
Dedotta in giudizio, probabilmente perché ritenuta superflua ( e forse a ragione); ma sotto il profilo della programmazione didattica esse risultano invece di fondamentale importanza.
Infine l’obbligo di indicare nel PEI la richiesta delle ore di sostegno anche in deroga ( trattandosi di un alunno con grave disabilità) , da predisporsi prima dell’inizio dell’anno scolastico è contenuta nell’art 10 comma 5 l.n. 122/2010, che doveva essere conosciuta dai docenti del Consiglio di classe poiché intervenuta in tempo utile per l’inizio dell’a.s. 2010/11.
Da tutto ciò risulta chiaro come sia il Consiglio di classe che la Magistratura ritengano unica risorsa fondamentale per l’inclusione scolastica le ore di sostegno, in numero crescente col crescere della gravità della disabilità, sino al punto che alcune sentenze hanno ritenuto taluni alunni titolari del diritto ad avere il sostegno per tutte le ore di insegnamento. E ciò lascia perplessi, dal momento che, quanti abbiamo vissuto il processo di inclusione fin dai suoi inizi alla fine degli Anni Sessanta abbiamo potuto constatare come le risorse fondamentali per una buona inclusione siano stati l’impegno dei docenti curricolari e la collaborazione dei compagni di classe. Ciò non significa che il sostegno non sia importante; tanto è vero che già nei primi anni ’70 il Ministero, pur in mancanza di una normativa precisa sugli organici di sostegno, aveva provveduto ad assegnare docenti per il sostegno in forza di utilizzazioni di docenti disponibili , prendendoli anche dai sovrannumerari degli istituti speciali (art 9 dpr n. 970/1975). Però la forza dell’inclusione stava e sta nella presa in carico del progetto didattico di inclusione da parte dei docenti curricolari, collaborati ( e non sostituiti) dai docenti per il sostegno.
Ora da questa sentenza, come da altre precedenti, anche delle supreme Magistrature, si trae l’impressione che la normativa preveda il sostegno come risorsa fondamentale e cio non è pedagogicamente e giuridicamente corretto e si deve avere il coraggio di dirlo, pena lo snaturamento dell’inclusione scolastica come l’abbiamo vissuta in Italia.
L’altra risorsa importantissima sono i compagni di classe coi quali deve realizzarsi l’integrazione; ma questo secondo aspetto sembra molto sottovalutato dall’Amministrazione a partire dall’inizio del Duemila, al punto che , malgrado la norma dell’art 5 comma 2 del dpr n. 81/09 che fissa a 20, massimo 22 il numero degli alunni nelle classi con alunni con disabilità, si constatano purtroppo molte classi con numeri ben maggiori e ciò impedisce una interazione fra i compagni secondo i principii della “pedagogia cooperativa”.
Per questi motivi di recente l’Osservatorio scolastico del Ministero ha predisposto una bozza di disegno di legge sulla qualità dell’inclusione scolastica, che il Ministro Profumo , per bocca del suo Sottosegretario Rossi Doria, ha dichiarato di fare proprio, che prevede come principii fondamentali l’esplicitazione della presa in carico del progetto di inclusione scolastica da parte di tutti i docenti curricolari, che debbono essere formati obbligatoriamente inizialmente ed in servizio a tale scopo, collaborati dai docenti per il sostegno e il coinvolgimento dei compagni di classe , che debbono formare una classe non numerosa.
In conclusione, si ringrazia il TAR Lazio per questa innovativa sentenza; ma si spera che si vada oltre nello spirito di una più autentica qualità dell’inclusione scolastica, sostenuto pure dalla Convenzione ONU sui diritti delle Persone con disabilità, ratificata con L.n. 18/09, che , agli art 2 e 24 proprio in tema di inclusione scolastica, ha introdotto nella nostra legislazione il principio “ dell’accomodamento ragionevole”, secondo cui, si deve fare il tutto per tutto, pur di realizzare la logica intrinseca dell’inclusione.
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