Per un’educazione “anche” umanistica: dobbiamo crederci?

Per un’educazione “anche” umanistica: dobbiamo crederci?

 di Maurizio Tiriticco

Sul Domenicale del Sole24ore di oggi 3 febbraio due “oggetti” hanno attirato la mia attenzione: l’intervento di John Armstrong sul “valore intrinseco della cultura”, relativo alla recente lezione della Nussbaum [1], e le risposte di Bersani, Berlusconi, Giannino, Ingroia e Monti alla domanda n. 3 di un questionario che è stato loro proposto su quanto intenderebbero fare per la cultura e per la scuola qualora vincessero le elezioni.

Esiste un forte legame tra tutti gli interventi. Il primo è di grande levatura, raccoglie e fa proprio l’appello della Nussbaum sulla necessità della cultura e degli studi umanistici in un contesto socioeconomico in cui i governi di fatto “considerano l’educazione soprattutto come un mezzo per una crescita economica continua”, e dal canto loro gli studenti e le loro famiglie sembrano condividere tale assunto. Tutto ciò con grave danno per l’educazione, che invece dovrebbe porsi finalità alte, sostenute da una forte cultura “umanistica”, e autonome rispetto alla contingenza di qualsiasi condizionamento socioeconomico.

E’ una questione forse di lana caprina, per certi versi, se è vero che – senza riandare a Marx e alla tesi della “riproduzione” [2] – la cultura non è mai una variabile indipendente a fronte dei contesti socio-economici in cui si esercita. Quando, invece, dovrebbe garantire la tenuta civile di un dato contesto sociale. Non potremmo forse dire che i fenomeni di corruzione ormai diffusi in tutto il nostro Paese dipendano anche da un’assoluta assenza di una Cultura civile e “umanistica” con la C maiuscola condivisa e coesa? Parole grosse? Forse è vero! E allora, “credo che uno dei compiti delle discipline umanistiche – sostiene Armstrong – sia quello di individuare e salvaguardare tutto ciò che possiede un alto valore intrinseco e di promuovere nel pubblico la massima adesione possibile a quel valore. Questo però è un appello a riformare tali discipline… E’ fondamentale che le discipline umanistiche fioriscano. Ma questo richiede una riforma…” Quindi auspica una cultura umanistica che, nel caso italiano, a mio vedere, sia anche e in primo luogo una Cultura della Cittadinanza attiva, che vede nei Principi della nostra Costituzione l’unico autentico collante che possa garantire l’unità solidale di noi Cittadini tutti.

Ma come rispondono i nostri candidati al questionario citato? Mi limito al quesito n. 3, relativo alla scuola. Mi sembra che tutti oscillino tra dichiarazioni di principio e di intenti e gratuite fumisterie! Chi più chi meno… indifferentemente! Cito passim!

Bersani: “Va irrobustita la presenza dell’arte e della musica nei programmi scolastici, ma è altrettanto importante che queste discipline siano proposte da insegnanti capaci… Gli alti livelli di consumo culturale sono universalmente ritenuti sinonimo di capacità di innovazione, di disposizione al cambiamento … Più è alto il consumo di cultura, più cresce la capacità di autofinanziamento delle imprese culturali”.

Berlusconi: “Il linguaggio artistico e musicale è uno dei linguaggi fondamentali della nostra cultura e della formazione spirituale di un giovane. Bisogna adottare il modello anglosassone, come quello dell’educazione teatrale come una delle attività di una scuola a tempo pieno”.

Giannino: “La scelta della didattica mediante programmi ministeriali decisi a livello centrale impone alle scuole rigidi standard e poco margine di flessibilità. Le scelte dovrebbero essere lasciate alle singole scuole che potrebbero scegliere come impostare la didattica… Agli istituti va garantita la massima autonomia anche nella selezione del personale docente”.

Ingroia: “Il programma di Rivoluzione civile prevede l’abolizione delle riforme Gelmini, che hanno ridotto in macerie l’istruzione con una progressiva aziendalizzazione del sapere, per una nuova organizzazione dei programmi di studio che sappia valorizzare la cultura umanistica accanto a quella scientifica”.

Monti: “L’aumento delle ore sia di storia dell’arte che di pratica artistica e musicale è il presupposto per creare un Paese sensibile ai temi culturali. Sottovalutare l’importanza della cultura significa rischiare di perdere anche parte della nostra memoria”.

Chi conosce i reali problemi del nostro “Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione” non può che chiedere ai nostri candidati: al di là delle dichiarazioni di principio, tutte condivisibili, in effetti, in che cosa differisce una proposta da un’altra? In nulla, a leggerle attentamente! A meno che… non abbiate voluto giocare a carte coperte… per non copiarvi l’uno con l’altro! Insomma, per venire al concreto degli interventi che auspicate, quali parti del Pil intendete investire nella scuola? Come, dove e quando saranno rafforzate o inserite le nuove discipline “umanistiche”, quando le discipline di studio e gli orari sono già sovrabbondanti? Con quali risorse? Con quali insegnanti? Con quali laboratori? Con quali attrezzature? Con quali strumenti? Oltre al flauto e al pennarello… Con quali tempi? E ancora: non sapete che ormai non si parla più di Programmi ministeriali, da almeno dieci anni, ma di Indicazioni nazionali e di Linee guida? E che le scuole, anzi le Istituzioni scolastiche, pur autonome per norma, non possono però esercitarla perché i lacci e i laccioli dell’amministrazione ancora esistono e sono più vincolanti che mai? Soprattutto per ciò che riguarda lo stanziamento delle risorse? E se non si riescono ad avviare ancora i licei musicali e coreutici – parole grosse – come si avvierà un reale insegnamento artistico e musicale in tutte le nostre scuole che, pur necessitando della idonea strumentazione, non sono tuttora a norma quanto a stabilità edilizia? E poi… neanche una parola sui tempi di realizzazione dei vostri programmi! La lungimiranza non è il vostro forte! Eppure, la società complessa richiede competenze di progettazione! A lungo e a medio termine! Legata a concreti investimenti! E a un’amministrazione efficiente! Ma lo sapete che chi ci amministra non è più capace di stilare un dPR? Alludo allo schema di Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione che il Consiglio di Stato ha sonoramente stroncato! Ha ritrovato errori di contenuto e di forma!

E torno a ripetere ciò che dico da più di dieci anni! Vorrei che fosse nostro ministro un autorevole personaggio della cultura e della ingegneria istituzionale! Io lo auspico sempre! Ma poi, dal mazzo di carte dei nuovi aspiranti emergono gli homines novi, i neofiti della politica alta, pronti a salire sul primo gradino del cursus honorum: che è sempre quello dell’Istruzione la quale, per la nostra classe dirigente e tutti i nostri politici e i nostri neofiti, vale quel che vale! Ed ecco salire le Moratti, i Fioroni, le Gelmini, i Profumo! Ma quanto ne sanno di scuola? L’essenziale non è la scuola, è imboccare la strada! E correggetemi, se sbaglio!



[1] Si veda la mia recensione in: Non per profitto: in difesa dell’umanesimo.

[2] Com’è noto, il marxismo distingue, in un contesto sociale, ciò che è struttura (la materia, la produzione, i fattori economici) e ciò che è sovrastruttura (le ideologie, la politica, la cultura, le religioni stesse) E la seconda è condizionata dalla prima. Sotto questa luce, la scuola non è altro che un grande “apparato ideologico di Stato” (la tesi di Althusser) mediante il quale la classe sociale egemone e dominante tende soltanto a conservare e a riprodurre se stessa. E la pedagogia stessa non dispone di alcuna autonomia di ricerca. Di conseguenza, secondo Bourdieu e Passeron, la scuola è semplicemente uno strumento di riproduzione culturale e sociale. Allora, è forse per queste ragioni – manifeste o meno – che nessuna forza politica, almeno nel nostro Paese, non tiene nel conto dovuto la scuola? E non è un caso che il Miur non sia mai considerato una delle amministrazioni chiave per l’avvenire del Paese. Lo stesso sembra valere anche per l’amministrazione della cultura e dei nostri beni culturali e ambientali.

Il “modello” non inizia dall’adolescenza

Il “modello” non inizia dall’adolescenza

di Adriana Rumbolo

Spesso sono messe sotto accusa  le modelle per le loro taglie minimaliste come causa scatenante di disordini alimentari

Come si sa il bambino fin dai suoi primi vagiti percepisce tutto quanto lo circonda

Se nei primissimi mesi la figura predominante è quella della mamma,  poi vari modelli si avvicenderanno  nella sua vita relazionale

Il bambino sarà attratto da un modello, più che da un altro per tanti motivi, alcuni completamente sconosciuti e non intenzionali da parte del modello  preferito o respinto.

Quando Freud parlò della sessualità presente fin dalla nascita suscitò grandi reazioni scandalizzate, ma certamente fu una grande intuizione.

Mi è capitato pochi giorni  fa di osservare una bambina, di tredici mesi , che passando dalle braccia della mamma a quelle del papà ha cambiato, in poco tempo,  espressione mandandogli,  con molta grazia, messaggi di seduzione femminile come non era avvenuto con la madre.

La sessualità ha bisogno di un identità.

Il percorso dell’infanzia è molto importante come se  si  formassero le radici e il tronco di un albero.

Quando una bambina si affaccerà  all’adolescenza osserverà cambiamenti nel proprio corpo che non potrà ignorare

Se il  suo corpo gli sembrerà simile al  modello rifiutato nell’infanzia, come negativo  deciderà di non nutrirlo.

La mente poi eserciterà un inganno:ogni volta che il soggetto s’imbatterà in una superficie  riflettente si vedrà in sovrappeso.

Non sarebbe quindi una sottilissima modella da una copertina di moda a scatenare  in poco tempo un atteggiamento aggressivo della mente sul corpo fino  a distruggerlo.

Anche a scuola è possibile ed è importante percepire subito,  per la tempestività di intervenire,  questi gravi disagi perché si accompagnano spesso a una ossessiva attività  intellettuale e fisica  e una diminuzione di peso che solo all’inizio,  potrebbe passare inosservata

Molti sono i centri dove personale altamente specializzato. e motivato sarà al fianco del soggetto in gravi difficoltà alimentare.

Qualche volta è possibile che alcuni soggetti possano fare pace con il loro corpo.

Forse sarebbe opportuno parlare con i futuri mamma e papà di questi gravi disagi  alimentari: la prevenzione potrebbe dimostrarsi ancora una volta  efficace anche in queste gravi e ancora non  del tutto chiarite problematiche.

 

E. Canin, L’Imperatore dell’aria

Nello spirito dell’uomo

di Antonio Stanca

 

caninEthan Canin è nato nel 1960 ad Ann Arbor, nel Michigan, si è spostato con la famiglia in diversi stati d’America ed infine si è stabilito a San Francisco, in California. Qui ha studiato, si è laureato in Letteratura Inglese, ha poi conseguito nel 1991 un dottorato in Medicina, ha esercitato la professione di medico e intanto continuava la già intrapresa attività di scrittore. Nel 1998 non ha fatto più il medico per dedicarsi all’insegnamento senza abbandonare i suoi interessi per la narrativa e la sceneggiatura. Al 1988 risale L’Imperatore dell’aria, una raccolta di nove racconti che rappresenta l’esordio letterario del Canin e che in Italia è stata pubblicata la prima volta nel 1989 dalla Mondadori di Milano ed ora dalla casa editrice Ponte delle Grazie, pure di Milano, con la traduzione di Annarosa Miele (pp. 182, € 16,80).

Canin ha avuto numerosi riconoscimenti, tra l’altro nel 1996 la famosa Granta lo ha ritenuto degno della classifica dei migliori scrittori americani. Altre opere narrative ha prodotto dopo quella iniziale e della maggiore, l’immenso romanzo America America, iniziata nel 2001, ha compiuto dieci stesure. In America America la sua attenzione è rivolta alla storia, alla vita americana degli ultimi tempi, alle condizioni sociali, politiche, economiche, culturali della nazione, al confronto tra governi di destra e di sinistra, alle guerre che sono avvenute e avvengono contro gli stati asiatici, alle azioni terroristiche, alle ripercussioni che simili avvenimenti hanno avuto sulla popolazione, a cosa hanno comportato a livello individuale e sociale. Liberale, democratica è la posizione dello scrittore, contro i ricchi, i potenti d’America, contro i loro abusi e a favore degli umili, dei poveri è impegnata, al recupero di questi tende e alla riscoperta dei valori umani più autentici, quelli morali, spirituali, che presso gli umili si sono maggiormente conservati e che in tempi di crisi, come quelli attraversati dall’America delle dubbie successioni alla Casa Bianca, dei violenti confronti con i popoli asiatici, è più facile riscoprire. La riscoperta dello spirito è un tema ricorrente nella narrativa del Canin e la si può intravedere già agli inizi, quando a ventotto anni scrisse i racconti de L’Imperatore dell’aria. Rispetto ad America America più ridotta è in essi l’ambientazione, più vicina al quotidiano, al privato la realtà, più comuni sono le situazioni presentate ma chiara è l’intenzione dell’autore di mostrare come l’interiorità serva a far superare le circostanze negative.

Non soltanto un documento, una registrazione dei problemi che si possono verificare nelle famiglie dei villaggi, dei paesi, delle città della California è il libro ma anche una ricerca dei modi utili a combattere le difficoltà. Nell’uomo indica Canin questa possibilità di salvezza. Nell’uomo perso, confuso tra pensieri e azioni, tra sé e gli altri, c’è pure quello che può ritrovarsi, riconoscersi, nel corpo che soffre c’è pure l’anima che può liberare dalla sofferenza. E’ questo il messaggio che Canin perseguirà sempre nella sua scrittura e che intanto affida ai racconti d’esordio, a quella realtà quotidiana, a quelle persone semplici delle quali essi dicono. Protagonisti delle nove storie sono giovani e anziani che confessano quanto a loro succede, è successo o pensano che succederà. Una serie di monologhi è l’opera, una ricerca di spiegazioni, di significati da parte di persone che ne hanno bisogno e che giungeranno a ritrovarli in sé stesse, nelle proprie idee.

Diversi sono i casi, riguardano un  vecchio insegnante che non vuole rinunciare ad un antico albero del suo giardino nonostante sia stato infestato dagli insetti, un figlio adolescente e il suo difficile rapporto con il padre, un altro figlio che ancora ragazzo abbandona la famiglia e si mette alla ricerca di lavoro e di amore, una giovane coppia che non può mai dirsi contenta poiché la moglie è alla continua ricerca di una casa diversa da quella abitata, una coppia di anziani che si riscoprono uniti viaggiando nella notte, una madre di due figlie che dopo la morte del marito viene scoperta a rubare, due fratelli dei quali il più giovane è costretto a subire i voleri non sempre corretti dell’altro, un ragazzo che abbandona gli studi e di fronte allo scontento dei genitori si sente smarrito, un altro ragazzo che trascorre gran parte del suo tempo sul tetto della casa ad osservare il cielo, le stelle, le nuvole, a cercarvi dei significati e non pensa a dare un senso alla propria vita.

E’ un’umanità isolata dai suoi problemi, vittima di essi, un’umanità che troverà in sé il modo per risolverli, nell’idea compenserà quanto ha perso nella realtà. E’ l’umanità del primo Canin, quella che in seguito avrebbe acquistato una dimensione più estesa senza, tuttavia, smarrire la precedente. Anche il linguaggio del Canin più maturo avrebbe continuato quello di prima nella sua chiarezza e semplicità a riprova che con L’Imperatore dell’aria erano comparsi i segni del futuro grande scrittore.

I viaggi di istruzione parte integrante dei piani di studio

I viaggi di istruzione parte integrante dei piani di studio

di Gerardo Marchitelli

L’alunno è titolare di un interesse, da cui derivano situazioni giuridiche soggettive attive, tra queste, il diritto alla formazione. Lo status dell’alunno è giuridicamente tutelato e la lesione al suo status costituisce un danno. Nel caso specifico, è la Scuola, a “curare” l’interesse dell’ alunno, incarnando di fatto, “l’immedesimazione organica” tra la rappresentanza-scuola e il rappresentato-alunno, in cui quest’ultimo ne subisce gli atti. Dunque, la scuola guida la tensione dell’alunno verso il bene “istruzione-cultura” e con le sue articolazioni si organizza al fine di soddisfarne i bisogni.

Il Pof e la carta dei servizi rappresentano unitamente ai piani di studio disciplinari, il contratto formativo dell’azione didattica e disciplinare tra la scuola e la propria utenza, rappresentano il funzionamento del servizio pubblico ed esplicitano i servizi da erogare, annualmente, in base ai bisogni dell’utenza.

In merito, la Scuola chiede contributi volontari per il suo funzionamento, per arricchire i percorsi formativi secondo i bisogni degli alunni e per dotarsi di strumenti tecnologici funzionali ai processi di insegnamento-apprendimento e non altro, e le relative spese a riguardo, rendicontate ai genitori.

Tra le varie attività poste in essere dalla scuola, quelle che subiscono puntualmente, “soppressioni” sono le visite di istruzione, pur deliberate dal consiglio di classe, luogo esplicito del contratto formativo (ex.  T.U. 16.4.1994 n.  297 art. 5 e D.P.C.M. 7.6.1995 parte I, finale) e dell’azione educativa – didattica e disciplinare (ex. D.P.R.  28.06.1998 n. 249).

A tal proposito, è bene precisare che i viaggi di istruzione, attività formativa comparabile ad ogni altra, svolta all’interno della scuola, se deliberata, è parte integrante della programmazione didattica dei vari statuti disciplinari.

I consigli di classe che hanno previsto, per la maturazione degli alunni, attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche (possibilità progettuali inserite nel POF) all’interno della programmazione didattica della classe, che non determinano spese a carico della scuola, possono soprassedere all’iniziativa soltanto per motivi didattici, facendo attenzione alla validità delle motivazioni.

A riguardo la Scuola potrebbe incentivare i docenti per l’ impegno professionale che tali attività determinano con gli stessi contributi volontari delle famiglie. Non si può evidenziare il bisogno di favorire il rapporto tra il mondo della scuola e l’ambiente esterno che consente di acquisire una maturazione più ampia e che stimola a considerazioni più profonde dei valori della vita nei suoi aspetti.
Si rammenta che il consiglio di classe è presieduto dal dirigente scolastico, il quale è garantedell’esecuzione delle deliberazioni prese dal consiglio di classe  (art. 396 DLgs 297/94 e anche art. 25 DLgs 165/2001), in ottemperanza alle esplicitazioni progettuali riportate nel Pof della scuola e ai criteri dettati dal consiglio di istituto.
Prendendo in esame l’iter di approvazione delle visite di istruzione, come del resto, iter comune ad ogni attività formativa, queste,  vengono esplicitate nel POF (DPR 8 marzo 1999, n. 275), in sede di programmazione dell’azione educativa, in termini di “possibilità”, “modalità”, “forme”, “spazi” progettuali, in cui inserire le programmazioni curricolari dei vari statuti disciplinari. Si tratta di una operazione che oltre a rendere noto i vincoli dettati dalla norma, dà ampio spazio a un numero di variabili progettuali, attuabili, tali, da poter soddisfare al massimo l’ideazione dei piani studio finalizzati ai bisogni degli alunni.
Il POF, rappresenta quel momento istituzionale in cui si creano, si strutturano e si esplicitano cammini e orizzonti formativi (attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche), in cui “calare” i processi disciplinari di insegnamento-apprendimento.

Ai sensi dell’art. 10 del dlgs 16 aprile 1994, n. 297: “il consiglio di istituto fatte salve le competenze del collegio dei docenti e dei consigli di classe, ha potere deliberante, su proposta della giunta, per quanto concerne i criteri ( il periodo più opportuno di realizzazione, numero di  partecipanti e accompagnatori, destinazione e durata, ecc.) per la programmazione e l’attuazione dei viaggi d’istruzione”.

I percorsi formativi dei consigli di classe che rispondono ai bisogni degli alunni, alle “forme” progettuali previste nel Pof e ai criteri dettati dal consiglio di istituto e che non determinano spese per la Scuola, non possono essere “cassati”, se non dallo stesso consiglio che rivede la sua programmazione integrando o sostituendo processi di insegnamento e obiettivi di apprendimento.

Il dirigente che di fronte a “cancellazioni” di attività formative, regolarmente deliberate, omette di adoperarsi e di compiere ciò che è necessario per la regolare continuazione del servizio, produce reato.

Secondo recente giurisprudenza di legittimità «è sufficiente, ai fini del reato di interruzione di pubblico servizio, che l’entità del turbamento della regolarità dell’ufficio o l’interruzione del medesimo, pur senza aver cagionato in concreto l’effetto di una cessazione reale dell’attività o uno scompiglio durevole del funzionamento, siano stati idonei ad alterare il tempestivo, ordinato ed efficiente sviluppo del servizio, anche in termini di limitata durata temporale e di coinvolgimento di uno solo settore».

Il Consiglio di classe, individua le conoscenze disciplinari e interdisciplinari , i processi di insegnamento e i livelli di apprendimento da raggiungere mediante l’attività extrascolastica (ex. D.P.R.  8.03.1999 n. 275), nonché  la verifica dei risultati; a tal fine,  produce atti giuridici, vincolanti e non discrezionali, manifestazioni di scienza, riportate in forma scritta per mezzo di un verbale,  che danno luogo a responsabilità.

Al pubblico dipendente è attribuita la responsabilità civile per i fatti commessi nello svolgimento della propria attività professionale. Questa, si concreta, a seguito della lesione dell’ordinamento interno della propria amministrazione di appartenenza ed alla violazione dagli obblighi previsti nell’ambito del proprio rapporto di impiego con quest’ultima.

La dottrina prevalente ritiene che questa responsabilità gravi sia in capo al dipendente che in capo alla sua amministrazione di appartenenza, a cui dunque i danneggiati possono rivolgersi direttamente per avere ristoro, salva la possibilità di quest’ultima di rivalersi successivamente sul proprio dipendente autore del fatto illecito.

La lesione allo status dell’alunno, di interesse giuridicamente rilevante, non è giustificata nella realizzazione degli interessi propri, particolari, specifici, ascrivibili a singole amministrazioni o pluralità di individui.

Guida ragionata ai programmi elettorali sulla scuola

da Tecnica della Scuola

Guida ragionata ai programmi elettorali sulla scuola
di Pasquale Almirante
Una scuola che vuole essere di qualità ha come obiettivo quello di accompagnare i futuri cittadini nel percorso di crescita, ponendo gli alunni al centro della sua “mission”, nel pieno rispetto dell´art. 34 della Costituzione. Il problema è però che finora nella stragrande maggioranza dei dibattiti televisivi di scuola non si è parlato, come se il mondo dei ragazzi e dei giovani non esistesse e come se l’istruzione e la cultura, con la promessa di cittadinanza alle nuove generazioni, fosse di un mondo alieno. Anche per questo abbiamo cercato di dare una spulciata alle varie proposte che i partiti politici, che si candidano a governare la nazione, hanno in animo di attuare in merito all’istruzione.
Per “Fratelli d Italia” le proposte sono racchiuse nel cap. 13: “Costruire il futuro partendo da scuola e università”.
In sintesi si propone di razionalizzare gli investimenti e impiegarli per la formazione costante dei docenti e per la sicurezza degli istituti scolastici, immaginati come poli aggregativi per il territorio e aperti anche oltre l’orario. E poi :conseguimento dei titoli professionali, rafforzare il legame tra sistema formativo e impresa e rivalutare la cultura umanistica. Inoltre: meritocrazia, valutazione, trasparenza, qualità e innovazione; autonomia amministrativa e finanziaria delle istituzioni. Progressione della carriera del personale docente. Istituzione del Fondo per il prestito d’onore.
Programma lunghissimo, minuzioso e dettagliato quello di Sel (Sinistra Ecologia e Libertà) e quindi difficile da sintetizzare. Tutto racchiuso nei “Quaderni della scuola”, si parte con un excursus storico-sociologico sulla gestione del governo Berlusconi-Gelmini-Tremonti: dai tagli, con la maschera delle riforme epocali, ai precari, agli edifici fatiscenti, alle umiliazioni dei professori e via dicendo. Le proposte: equiparare il Pil nazionale a quello della media europea; e poi: tempo pieno, lotta alla dispersione scolastica (arrivata a oltre il 20%), obbligo fino a 18 anni, Organi collegiali democratici, edilizia scolastica, piano pluriennale di immissione in ruolo dei precari, regole certe di reclutamento, aggiornamento dei docenti, nuovi nidi pubblici per almeno il 30% dei bambini fino a tre anni, unificazione dei cicli liceali e tecnico-professionali (biennio comune), valutazione delle scuole affidata ad un ente autonomo; diritto allo studio, borse di studio, forme di reddito indiretto. In pratica Sel intenderebbe ripartire da dove si è fermato l’ex ministro Tullio De Mauro e riprendere in esame il “Quaderno bianco sulla scuola” del 2006 e che rimane l’unico studio serio sulla nostra Istruzione. Combacia quasi tutto col programma del Pd.
Monotematico invece il programma della Lega Nord: “La Lega Nord si batte da sempre per l’abolizione del valore legale del titolo di studio”. Il motivo è tutto racchiuso nel fatto che “Ai fini di un concorso pubblico, una laurea conseguita a Venezia piuttosto che a Ragusa è del tutto equivalente. Non sono invece equivalenti la qualità della preparazione, il rigore degli studi e la serietà degli esami. Ne consegue che le votazioni di laurea degli studenti iscritti agli atenei del Sud sono di gran lunga più elevate di quelle ottenute dai loro colleghi che studiano nelle università del Nord”. E siccome, dice la Lega, “nei concorsi pubblici si favorisce chi ha le votazioni più alte, i vincitori sono quasi sempre meridionali. Inoltre: “essendo uguale il “peso” che le lauree hanno non si sviluppa una vera concorrenza fra Atenei”, per cui occorre costringerle a migliorarsi se vogliono più iscritti.
Altrettanto brevi le proposte di “Fare per fermare il declino” di Oscar Giannino.
“Occorre trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca, ma spendere meglio e più efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti cambiamenti sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un rinnovato sistema educativo. Va abolito il valore legale del titolo di studio.”
Sintetico anche il programma di “Rivoluzione civile” di Ingroia.
“Affermiamo il valore universale della scuola pubblica. Vogliamo garantire a tutti l’accesso ai saperi, portare l’obbligo scolastico a 18 anni e si devono ritirate le riforme Gelmini e il blocco degli organici. Accantonare definitivamente qualsiasi progetto di privatizzazione del sistema di istruzione e stabilizzare il personale precario. Libero accesso a Internet, gratuito per le giovani generazioni e la banda larga diffusa in tutto il Paese;
Scelta civica per Monti” apre il paragrafo, affermando: “Bisogna prendere sul serio l’istruzione, la formazione professionale e la ricerca”, partendo da un grado di istruzione adeguato e competenze appropriate. Serve dunque rimotivare gli insegnanti e il loro contributo riconosciuto, investendo sulla qualità. Autonomia delle scuole, responsabilità, completare e rafforzare il nuovo sistema di valutazione centrato su Invalsi e Indire. Incentivazione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti (attraverso un premio economico), ridurre il tasso di abbandono e un servizio di orientamento scolastico e professionale. Promuovere l’edilizia scolastica.
Ai 13 punti del paragrafo ‘Scuola, università e ricerca’ ne vanno aggiunti altri tre, inseriti nel paragrafo Famiglia, relativamente alle proposte del PDL.
Si inizia col prestito d’onore – credito allo studio e poi si continua con: “Autonomia delle scuole nella scelta degli insegnanti, negli organici e nella gestione efficiente dell’offerta scolastica e formativa”. Questo è il punto centrale della proposta del partito di Berlusconi e che è stato pure l’oggetto principale degli scioperi dei ragazzi e dei docenti nell’autunno scorso. Poi si continua con la valutazione di scuole, docenti e università al fine di favorire la meritocrazia; rapporto scuola-impresa anche sostenendo i percorsi di formazione professionale; inizio del percorso educativo a 5 anni; valorizzazione dell’inglese; piano di sviluppo degli asili nido; buono (o credito di imposta) per scuola, università per favorire libertà di scelta educativa delle famiglie. In altre parole via libera alle scuole paritarie, anche perché si propone di “Rendere totalmente detraibili dall’imponibile fiscale le spese per l’educazione e l’istruzione dei figli”
Il Movimento 5 stelle’ va anch’esso al nocciolo del problema: abolizione della legge Gelmini; diffusione obbligatoria di Internet nelle scuole e quindi graduale abolizione dei libri stampati. Insegnamento obbligatorio della lingua inglese dall’asilo; abolizione del valore legale dei titoli di studio; risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica (in netta opposizione a quanto propone il Pdl); insegnamento gratuito della lingua italiana per gli stranieri.
Il PD nelle sue proposte parte da un principio: nei prossimi anni, “se vi è un settore per il quale è giusto che altri ambiti rinuncino a qualcosa, è quello della ricerca e della formazione. Si tratta di avviare un’opera di ricostruzione vera e propria”.
In 18 lunghe pagine sono elencate le proposte di Bersani, dal titolo “Se tocca a noi”: “La scuola non ha bisogno di grandi riforme, ha bisogno di certezze, stabilità e soprattutto di fiducia”. Per questo propone: “investimento almeno al livello medio dei Paesi Ocse (6% del Pil), scuole aperte tutto il giorno, promuovere una “costituente per la scuola”, autonomia scolastica, organico funzionale (dotazione di personale sia docente sia Ata) stabile per almeno un triennio ad ogni scuola, pensionare i docenti (Quota 96) per sistemare i precari, estendere la rete di asili nido e raggiungere l’obiettivo del 33% di copertura; tempo pieno e modulo a 30 ore con le compresenze (via dunque il maestro unico); attività di formazione in servizio per i docenti (oggi il 44% dei docenti neoassunti ritiene di non aver ricevuto sufficiente formazione per insegnare in classi multiculturali e il 46% non è stato addestrato a utilizzare le nuove tecnologie);insegnanti specializzati nella didattica per quella specifica classe di età; rilanciare l’Istruzione Tecnica e Professionale; valutazione con l‟istituzione di un unico Istituto Nazionale per la Valutazione e la Ricerca Educativa”.
In pratica, nel programma del Pd sulla scuola, è fatta un’analisi dettagliata di tutti i punti di debolezza dell’attuale sistema, proponendone per ciascuno la soluzione. Il solo problema è dove reperire i fondi. A meno che tutti gli altri, come è detto, rifiutino a qualcosa per la formazione e l’istruzione dei ragazzi

Tar del Lazio rigetta il ricorso sulla preselettiva del concorso a Ds, ma…

da Tecnica della Scuola

Tar del Lazio rigetta il ricorso sulla preselettiva del concorso a Ds, ma…
di Aldo Domenico Ficara
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) pronunciandosi definitivamente sul ricorso riguardante la regolarità della prova preselettiva nel concorso per Dirigenti scolastici, lo rigetta in ogni sua parte. Tuttavia…
Sembra una sentenza senza appello, ma leggendo bene tra le sue righe si possono individuare delle incognite ancora non risolte. Infatti, nella parte finale della sentenza si dice testualmente: “Quanto all’ulteriore censura di violazione dell’art. 97 Cost. ed in particolare del principio dell’anonimato in quanto le buste piccole nelle quali doveva essere riposto il cartoncino con il nome ed il cognome del candidato erano trasparenti come rilevato da una sentenza del Tar Lombardia, sezione IV, 18 luglio 2012, n. 2035, censura proposta col quarto atto di motivi aggiunti, non può allo stato essere accolta, sia perché al contrario che nel ricorso in quella sede proposto e delibato, i ricorrenti non producono le buste che consentirebbero, come effettuato da quel giudice di constatare de visu quanto dagli stessi sostenuto, sia perché allo stato la sentenza è ancora sub iudice avendo il Consiglio di Stato predisposto una verificazione al riguardo, come sopra accennato”.
Quindi il pallino torna in mano al Consiglio di Stato che il 22 marzo 2013 dovrà valutare l’esito della perizia affidata al Prof. Teodoro Valente, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente dell’Università degli studi di Roma “la Sapienza”.
Si ricorda che la consulenza tecnica di ufficio dovrà accertare, mediante un’indagine tecnica sulla composizione e sulle caratteristiche materiali delle buste, la loro natura e consistenza e verificare se e con quali modalità siano leggibili i nominativi dei canditati posti all’interno delle buste.

Cultura e sviluppo, le risposte dei candidati premier

Cultura e sviluppo, le risposte dei candidati premier alle 5 domande del Sole 24 Ore

da Il Sole 24 Ore

3 febbraio 2013

La Domenica ha rivolto cinque domande ai candidati premier e leader delle coalizioni in prima linea nella campagna elettorale che ci sta accompagnando al voto del 24 e 25 febbraio. Cinque domande che nascono dallo spirito del Manifesto della Cultura pubblicato su queste colonne il 19 febbraio 2012 (sopra sono riprodotti i cinque punti fondamentali) e da quello degli Stati Generali della Cultura che si sono tenuti a Roma lo scorso 15 novembre (www.statigeneralidellacultura.ilsole24ore.com)

LE 5 DOMANDE

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Gentile candidato premier, se vincerà le elezioni, intende aumentare le quote di Pil destinate alla cultura, alla ricerca, all’istruzione e alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale e paesaggistico portandole ai livelli degli altri Paesi europei e dei Paesi economicamente più sviluppati? Oppure non lo ritiene possibile o necessario?

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Se sì: in che modo pensa di spendere produttivamente quei soldi? Se no, in che modo, da chi e con quali strumenti intende trovare le risorse necessarie per rilanciare e riqualificare cultura, ricerca e istruzione, nonché per promuovere la fruttuosità economica del patrimonio storico-culturale e paesaggistico?

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La pratica artistica e musicale non sono insegnate nelle scuole, e questo fatto danneggia la nostra cultura e la nostra immagine nel mondo. Sforniamo analfabeti funzionali, inconsapevoli del loro patrimonio circostante. Se andasse al governo cambierebbe i programmi scolastici introducendo queste materie fin dai primi anni di scuola?

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In vista dell’arrivo di ingenti fondi europei, che iniziative intende intraprendere per incrementare l’impresa creativa italiana e per esportare il valore della nostra cultura e del nostro patrimonio storico-artistico, storico-scientifico e paesaggistico nel mondo?

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A fronte del fatto che secondo numerosi e accreditati studi non c’è sviluppo economico e sociale costante in un Paese che spende meno del 2% di Pil in ricerca e innovazione e che non valorizza, anche economicamente, il ruolo dei giovani ricercatori, che cosa intende fare per fermare il declino della ricerca italiana, l’emorragia di giovani ricercatori e il disinteresse dei ricercatori stranieri nei riguardi del sistema italiano della ricerca e dell’innovazione?

 

Mario Monti. Ricerca e merito per l’innovazione

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Sicuramente l’adeguamento dei fondi al ministero dei Beni Culturali e alla ricerca – compatibilmente con i vincoli delle finanze pubbliche – è tra le priorità che un futuro Governo deve porsi per tornare a un livello più prossimo a quello degli altri Paesi europei. Lo stato del patrimonio storico, monumentale, archeologico e paesaggistico è tale da rendere improbabile un rilancio significativo dello sviluppo turistico se prima non si interviene riprendendo quell’opera di manutenzione e conservazione che, a causa della carenza di risorse – ma anche a causa di inefficienze e disorganizzazione – è stata da anni trascurata.
Se le finanze pubbliche non permetteranno un immediato aumento degli stanziamenti, sarà comunque necessario riqualificare la spesa corrente e aumentare la spesa per investimenti, sia pubblici che privati e adottare in tempi brevi misure che possano portare risorse alla cultura, sia nella sua componente di attività culturali, sia nel mantenimento del patrimonio nazionale. In particolare, la fiscalità e l’inclusione del terzo settore possono avere significativi effetti positivi. Sarebbe utile agli stessi fini una riforma del ministero dei Beni culturali che ne favorisca l’efficienza organizzativa e l’autonomia di spesa.
Avviare un grande progetto di recupero del patrimonio culturale e paesaggistico significherebbe soprattutto dare un impulso alla crescita e una possibilità concreta di occupazione qualificata, in particolare per i giovani.

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Paragonandoci alla Francia, e ancora di più all’Inghilterra, è evidente che abbiamo molto terreno da recuperare per quanto riguarda la deducibilità e la detraibilità dei contributi a favore delle attività culturali e del mantenimento del patrimonio culturale. Una riflessione potrebbe anche essere condotta, in coerenza con le disposizioni europee, riguardo alle imposte che i soggetti – incluso il Ministero e il terzo settore – che operano per la conservazione del patrimonio monumentale, storico, archeologico e artistico devono pagare. La differenza sta anche nella “visione”: per i Paesi sopracitati il Patrimonio nazionale è un bene collettivo, di conseguenza è tra le priorità dell’azione pubblica tutelarlo. La cultura è un diritto e tale deve essere per tutti i cittadini: in Italia l’articolo 9 della Costituzione è stato sostanzialmente dimenticato. Noi vogliamo ricordarcene nel nostro programma, con una visione di medio e lungo termine, diversa da quanto fatto – o meglio non fatto – nell’ultimo decennio.

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L’aumento delle ore sia di storia dell’arte che di pratica artistica e musicale è il presupposto per creare un Paese sensibile ai temi culturali. Sottovalutare l’importanza della cultura significa rischiare di perdere anche parte della nostra memoria, l’orgoglio della nostra identità e la capacità di pensare criticamente. Il danno sarebbe molto grave e si rifletterebbe su intere generazioni. L’identità del nostro Paese, quello per cui siamo conosciuti nel mondo, è anche e forse soprattutto la cultura: non riconoscerlo significa negare quello che siamo.

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L’obiettivo della politica europea di investire il 3% del Pil in ricerca e sviluppo e il programma dei finanziamenti europei alla ricerca per il periodo 2014-2020 è una straordinaria opportunità per il Paese, che deve attivarsi per poterla cogliere. A differenza di quanto è avvenuto, per esempio, per i fondi europei destinati al mantenimento e alla valorizzazione del patrimonio culturale, che spesso non si è saputo spendere. Qualunque accesso ai fondi europei sarà comunque vincolato alla capacità di trovare cofinanziamenti e di proporci come partner credibili. Dobbiamo innestare una vera rivoluzione, che modifichi radicalmente l’impostazione su ricerca e cultura: competitività, innovazione, sostenibilità e solidarietà devono potersi coniugare fra di loro per dare forma e consistenza a un futuro nel quale la qualità della vita dei cittadini venga messa veramente al centro dell’azione della politica.

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Cultura e ricerca sono due concetti profondamente collegati e fondamentali per il futuro del Paese, ed entrambi contribuiscono all’innovazione. La ricerca italiana deve essere sostenuta anche partendo da bandi competitivi. Bisogna premiare il merito affinché i bravi ricercatori (che sono molti) siano incentivati a dare il meglio. Solo partendo da questa impostazione, che non è affatto scontata in Italia, si può dare ai più capaci la possibilità di accedere ai grant internazionali più prestigiosi, contribuendo quindi all’innovazione del nostro Paese e portando enormi benefici al sistema generale. È inoltre necessario e urgente semplificare la burocrazia che tuttora, anche nel campo della ricerca e dell’innovazione come in tanti altri, impedisce ai talenti di dare quello che potrebbero e rallenta un reale processo di sviluppo di tutto il Paese.

Pierluigi Bersani. Sapere e creatività per combattere la crisi

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Non ho dubbi e rispondo affermativamente. Occorre aumentare le quote di Pil nel comparto cultura, ricerca, istruzione e tutela del patrimonio paesaggistico. Sarà centrale la fedeltà alla legalità costituzionale con quanto ne consegue in termini di tutela dei diritti della cultura e del patrimonio artistico, architettonico, librario e archivistico che vive una situazione di grave crisi. Da troppo tempo ripetiamo che l’Italia è il fanalino di coda della Ue per le spese in ricerca (1,26% del Pil contro una media del 2,01%) e sappiamo che la composizione della spesa in 20 anni ha registrato – 5,4% in istruzione/ricerca e solo + 0,1% in attività ricreative e culturali, ma non facciamo nulla per invertire questa tendenza. Ad esempio, occorre subito integrare i finanziamenti ordinari alle università, che rischiano di non riuscire a pagare nemmeno gli stipendi nel 2013 e serve un programma nazionale della ricerca per finanziarla con meccanismi all’altezza del sistema europeo. Per quanto riguarda il reperimento delle risorse necessarie, i risparmi sull’interesse del debito e le riduzioni delle voci di spesa aumentate dal 1990 a oggi – possibili grazie alla riforme della previdenza e alla spending review – ci consentono di programmare nuovi investimenti. Inoltre, è necessario sfruttare meglio le risorse europee, fornire incentivi a partenariati pubblici/privati e attivare una defiscalizzazione più conveniente per le donazioni. Bisogna farlo perché non è vero, come sostenuto dalla propaganda della destra, che con «la cultura non si mangia». Anzi, esiste una relazione tra la cultura e la capacità innovativa di un Paese: non a caso in Europa ad avere i tassi di accesso culturale più bassi sono Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda, ossia i Paesi più colpiti dalla crisi.

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Il nostro straordinario patrimonio culturale, scientifico e paesaggistico deve tornare a essere al centro di un progetto di sviluppo sostenibile: si tratta di settori non delocalizzabili e ad altissimo valore aggiunto che permettono ancora all’Italia di essere conosciuta e riconosciuta universalmente nel mondo. Quella dei saperi diffusi, della cultura e dell’innovazione è una delle possibili exit strategy da questa crisi economica devastante: per percorrerla c’è bisogno di politiche serie, anche industriali, di sviluppo per la creatività e per la cultura e di una programmazione degli interventi. Le politiche dei finanziamenti a pioggia si sono dimostrate inutili e dannose. Il Mibac ha serissimi problemi di personale: i tecnici scarseggiano e in breve i pensionamenti rischiano di desertificarlo. Esso deve essere rimesso nelle condizioni di operare, restituendo dignità ai lavoratori e diritti e certezze alla vasta schiera di giovani precari iperqualificati. E vanno anche implementati i fondi per il funzionamento della struttura: manutenzione, tutela, valorizzazione dei beni culturali e finanziamento alle attività culturali e del cinema devono continuare a essere la mission di questo ministero. È necessario anche ridefinire i criteri di spesa, specie nelle attività culturali: bisogna porre particolare attenzione all’innovazione, alle produzioni dei giovani, alla sperimentazione e ai nuovi linguaggi con l’obiettivo di spendere meglio per chiedere di più.

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La questione dell’insegnamento della pratica artistica e musicale nelle scuole è una ferita aperta. Va irrobustita la presenza dell’arte e della musica nei programmi scolastici, ma è altrettanto importante che queste discipline siano proposte da insegnanti capaci di trasmettere in modo adeguato le loro conoscenze. Secondo le statistiche Eurostat 2011 l’Italia è al 24° posto su 30 Paesi per la spesa culturale delle famiglie; meno del 50% degli italiani ha letto un libro nell’ultimo anno contro l’85% dei cittadini svedesi; il 70% dei nostri connazionali non assiste a spettacoli dal vivo. Il basso livello di fruizione culturale è una delle cause della poca cura che il nostro Paese riserva alla cultura, considerata ancora come un settore di nicchia. D’altronde gli alti livelli di consumo culturale sono universalmente ritenuti sinonimo di capacità di innovazione, di disposizione al cambiamento, di consapevolezza di sé e dei propri diritti. Più alto è il consumo di cultura più cresce la capacità di autofinanziamento (e quindi l’indipendenza) delle imprese culturali. Per questa ragione l’alto tasso di analfabetismo funzionale deve preoccuparci anche per le sue conseguenze economiche e l’azione del nuovo governo dovrà affrontare questo problema. D’altra parte come disse il rettore di Harvard Derek Bok: «Se pensate che l’istruzione costi, provate con l’ignoranza».

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Storicamente l’Italia fatica a cogliere le opportunità di sviluppo create dai fondi europei che costituiscono un’occasione essenziale per migliorare l’offerta culturale. Per fortuna, grazie al buon lavoro del ministro Fabrizio Barca, la situazione nell’ultimo anno è migliorata. Nel Mezzogiorno, principale beneficiario, a fronte del 3,62% di risorse per il settore culturale, è stata spesa una cifra irrisoria (0,66 per cento). Una parte è stata riprogrammata, ma la cultura ha perso ben 33,3 milioni di euro. Innovare nella conservazione e nella promozione culturale significa accompagnare le Regioni nella programmazione, progettazione e spesa dei fondi strutturali. Sarebbe utile istituire una cabina di regia centrale (per esempio nella sede Stato-Regioni) che coordini l’azione regionale. Sarebbe anche utile allargare la definizione di cultura a quella di industria culturale e creativa per rilanciare un’intera filiera produttiva (oltre al patrimonio culturale anche l’audiovisivo, l’architettura, la moda, la pubblicità e il design). Per esportare il valore della nostra cultura, servirebbe un’agenzia per l’industria culturale e creativa con lo scopo di facilitare i contatti e aiutare Pmi e giovani a partecipare a fiere internazionali. Infine, dovremmo far tesoro dei laureati in management culturale che, quando va bene, trovano lavoro all’estero: l’Italia dovrebbe essere al vertice per sbocchi occupazionali nella cultura e bisognerà impegnarsi per recuperare questo divario.

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Per fermare il declino non bastano soltanto maggiori risorse. L’esperienza kafkiana dei ricercatori alle prese con le burocrazie ministeriali richiede interventi radicali per “il diritto alla semplicità”, con standard europei (tre esempi: portale unico per tutte le informazioni e gli strumenti; presentazione delle proposte online; anticipo di parte del finanziamento per permettere ai ricercatori di dedicarsi da subito ai progetti). Poi, bisognerebbe cambiare paradigma: dalla “fuga” alla “circolazione dei cervelli”. Non “devono” tornare soltanto gli italiani, ma dobbiamo essere noi a importare talenti stranieri. Perciò, saranno necessari interventi sia sull’attrattività scientifica e salariale, sia sulle leggi sull’immigrazione. Il Pd ha formulato proposte per valorizzare nei concorsi le esperienze all’estero, per agevolare l’equipollenza e il riconoscimento dei titoli, per offrire “cattedre parziali” a docenti di università straniere. La mobilità deve convenire di più: ora è più caro assumere un esterno che promuovere un interno da associato a ordinario. I vincoli del turn over hanno bloccato le carriere e gli spostamenti, provocando una fuga dei migliori giovani. Prenderemo spunto dai modelli dell’European Research Council per rendere i ricercatori liberi di muoversi e di scegliere la sede migliore per i loro progetti.

 

Silvio Berlusconi. Un patrimonio da globalizzare

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Certamente sì. Non è possibile detenere il più grande patrimonio culturale nel mondo e spendere per salvaguardare e valorizzare questo bene inestimabile meno degli altri Paesi.

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Bisogna innanzitutto valorizzare questo patrimonio in maniera imprenditoriale, chiamando i giovani laureati nelle specializzazioni di managerialità della cultura a dirigere musei e aree archeologiche, come abbiamo iniziato a fare con la nomina del dottor Mario Resca alla direzione generale della valorizzazione dei beni culturali. I privati inoltre possono e debbono essere associati in questo ruolo di tutela e promozione del nostro patrimonio, come ad esempio è stato fatto a Torino con la Fondazione del Museo Egizio e a Roma con l’investimento di un privato come Della Valle nel restauro del Colosseo.

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Il linguaggio artistico e musicale è uno dei linguaggi fondamentali della nostra cultura e della formazione spirituale di un giovane. Bisogna adottare il modello anglosassone, come quello dell’educazione teatrale come una delle attività di una scuola a tempo pieno.

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I nostri beni artistici possono diventare uno strumento di diffusione culturale e anche economica in tutto il mondo, come del resto è sempre avvenuto nel corso della nostra storia. Abbiamo fatto molto da questo punto di vista, attraverso accordi con la Cina, ad esempio, con l’apertura di un museo italiano a Pechino e uno cinese a Roma. Tutto ciò ha migliorato i nostri rapporti politici e di conseguenza anche economici.

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Innanzitutto non bisogna disperdere le risorse in mille rivoli e indirizzarle invece verso centri e progetti di eccellenza. L’Italia può riprendere un posto importante nella competizione economica internazionale se sfrutta adeguatamente le sue facoltà creative e scientifiche al servizio dell’economia e del progresso civile del Paese. A questo fine è necessario privilegiare il merito per evitare che le nostre migliori energie siano costrette a trovare all’estero le condizioni migliori per manifestare il proprio talento.

 

Antonio Ingroia. L’equità è figlia dell’istruzione

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Un Paese che non investe in cultura non solo non valorizza le potenzialità di crescita civile e morale dei suoi cittadini, ma non crea neppure prospettive di sviluppo sociale ed economico. L’Italia ospita un immenso patrimonio culturale, abbiamo centri di assoluta eccellenza scientifica e tecnologica, la nostra industria dello spettacolo è una delle più rinomate nel mondo, eppure la percentuale di Pil investita è scandalosamente irrisoria. La nostra Rivoluzione Civile è anzitutto una rivoluzione culturale: il programma che intendiamo realizzare prevede il preciso impegno di sostenere la scuola e l’Università pubbliche, valorizzare i nostri beni artistici, paesaggistici, storici e archeologici e promuovere l’immagine, la bellezza e la cultura italiane nel mondo.

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L’istruzione, la ricerca, la diffusione della conoscenza sono strumenti indispensabili per realizzare l’equità sociale e per rianimare il mondo produttivo stritolato dalle logiche di mercato. Valorizzare gli straordinari beni culturali del Paese e promuovere la tutela paesaggistica e ambientale significa attrarre enormi investimenti, sfruttando in pieno le nostre potenzialità turistiche. La scuola e l’università e la ricerca hanno pagato un prezzo altissimo alle politiche recessive prima di Berlusconi e poi di Monti. Governi che hanno usato questi settori per fare cassa, riducendo l’offerta formativa, lasciando nel limbo della precarietà senza speranza decine di migliaia di insegnanti e di giovani ricercatori, umiliando la professionalità dei docenti e dei lavoratori della conoscenza. Occorre una svolta profonda e radicale. Questi settori devono essere considerati delle risorse su cui puntare, per assicurare buone scuole, buone università e tanta ricerca al nostro Paese. Per questo occorre assicurare finanziamenti certi, il diritto allo studio a tutti i capaci e meritevoli privi di mezzi, garantire condizioni ottimali di lavoro ai docenti, rimettere in moto il reclutamento nell’università, garantendone la legalità e la piena trasparenza.
La valorizzazione del settore culturale in Italia, oltre a costruire le fondamenta del nostro futuro, consentirebbe di generare quasi 100 miliardi di Pil. È molto meglio e meno costoso mantenere e conservare il nostro patrimonio culturale, come il paesaggio del nostro Paese, piuttosto che rincorrere i crolli e il degrado. Per questo proponiamo un piano straordinario di manutenzione ordinaria del nostro patrimonio. È una assicurazione sul nostro futuro. E non ci si venga a dire che non ci sono le risorse. È questione di scelte. Basterebbe cominciare da una vera lotta alle mafie, alla corruzione e all’evasione fiscale, tagliare i costi della politica e la spesa improduttiva per adeguare il volume di investimenti alla media europea.

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Ritengo assolutamente fondamentale introdurre la pratica artistica e musicale nei programmi di insegnamento, l’Italia è un Paese con una straordinaria tradizione in questi settori culturali ed è una contraddizione evidente quella di escludere discipline che costituiscono anche un forte arricchimento individuale e collettivo. E oggi rischiamo di non riuscire ad avere una reale formazione precoce in questi campi così importanti. Il programma di Rivoluzione Civile prevede l’abolizione delle riforme Gelmini, che hanno ridotto in macerie l’istruzione con una progressiva aziendalizzazione del sapere, per una nuova organizzazione dei programmi di studio che sappia valorizzare la cultura umanistica accanto a quella scientifica.

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Innanzitutto occorre, come dicevo prima, un ingente investimento pluriennale sulla manutenzione e la tutela del patrimonio. I fondi europei sono essenziali, ma non si può affidare il nostro patrimonio a interventi e progetti di carattere straordinario. Occorre restituire alle sovrintendenze la piena possibilità di lavorare e di intervenire in modo ordinario. Già questo intervento pubblico potrebbe costituire un volano importante per le imprese del settore. Nello stesso tempo, occorre che l’Italia metta l’intervento sui beni culturali come priorità dell’agenda europea. Inoltre occorre regolare per legge incentivi e facilitazioni fiscali per i privati che intendano intervenire sui beni culturali, come sarebbe essenziale avere una politica di incentivazione delle erogazioni liberali a favore degli interventi sui beni e la produzione culturale.

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In realtà il declino non è certo dei ricercatori che, nonostante i tagli devastanti delle risorse, sono ancora una punta di eccellenza. Occorre innanzitutto togliere i ricercatori dalla precarietà. Chi verrebbe a studiare e fare ricerca in un Paese che non è in grado di assicurare una prospettiva ai suoi ricercatori? I nostri vanno all’estero, ma nessuno o quasi viene in Italia. Per questo occorre restituire all’università e alla ricerca le risorse tagliate negli ultimi anni, fino all’ultima legge di stabilità che, come ha ammesso lo stesso Profumo, ha ridotto molte Università sull’orlo del default. Inoltre dobbiamo togliere i vincoli alle assunzioni e fare i concorsi, sbloccare atenei e centri di ricerca, portare in cattedra i giovani, eliminare il lavoro gratuito nell’università. Se si riuscisse a far intendere che il Paese ha deciso finalmente di puntare sulla ricerca, di voler valorizzare le sue risorse, questo sarebbe essenziale per rilanciare l’innovazione in tutto il sistema.

Oscar Giannino. Beni culturali liberi dallo Stato

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In Italia la quota di Pil da cultura in senso ampio è del 5,4 per cento. Gli occupati del settore in Italia sono oltre 1 milione, con una crescita annua dello 0,8% fra il 2007 e il 2011, a dimostrazione della capacità della cultura di essere anticiclica rispetto al calo dello 0,4% complessivo. Dovrebbe essere vista, a cavallo tra turismo, stile e made in Italy, come un moltiplicatore di risorse. Prima che l’entità delle risorse, il problema riguarda però il modo in cui esse vengono spese. Occorre ripensare il ruolo del settore pubblico in tali ambiti e le modalità con cui la spesa pubblica viene gestita. Per quel che riguarda scuola e università, la dotazione di risorse va aumentata, ma con meccanismi che premino il merito (sia a livello di individuo che di istituto) e garantiscano piena autonomia e responsabilità. Nel caso della ricerca è poi essenziale favorire la possibilità di investimenti privati. Analogo è il ragionamento a proposito del patrimonio culturale del nostro Paese, dove lo Stato si è ritagliato un ruolo troppo ampio per le sue risorse. Rivedere e diminuire le funzioni del settore pubblico nella amministrazione del patrimonio è necessario per utilizzare meglio il denaro pubblico, aprendo spazi a nuovi soggetti per una gestione “altra” dei beni culturali italiani. Questo implica anche una sostanziale riduzione della burocrazia legata alla valorizzazione dei beni artistici e culturali.

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In primo luogo attraverso un maggior coinvolgimento dei privati – profit e non profit – per la valorizzazione del patrimonio artistico e monumentale tramite un ampliamento temporale della “concessione”, la valutazione di strumenti giuridici come il global service e la concessione di valorizzazione e delega dei servizi pubblici. Senza dimenticare l’affidamento di beni non accessibili o in disuso a comitati artistici privati. Serve una cabina di regia centrale di indirizzo, costituita in primis da giovani e donne di provata esperienza nel settore di riferimento e nell’uso delle nuove tecnologie, che premi trasparenza, economicità, innovazione e sostenibilità. Vanno incentivate fiscalmente imprese e privati che investono in cultura, ad esempio equiparando fiscalmente le sponsorizzazioni alle donazioni, liberalizzando i prezzi in ambito editoriale e riordinando il settore con l’uso delle nuove tecnologie, per facilitarne la promozione e la fruizione per i cittadini italiani e stranieri. Lo Stato deve ritagliarsi un ruolo di sorveglianza e di controllo, incentrato soprattutto sulle funzioni di tutela. Per dare dinamismo al settore, occorre anche rimuovere molte delle limitazioni sull’esercizio dei diritti di proprietà di beni privati (si pensi ad esempio agli effetti della cosiddetta “notifica” sul mercato dell’arte). Inoltre andrebbero inseriti maggiori elementi di mercato anche in altri ambiti culturali (cinema, spettacolo dal vivo, eccetera), in particolare attraverso la rimozione dei sussidi.

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Attraverso un sistema scolastico strutturato in maniera differente, la pratica artistica e musicale nelle scuole non costituirebbe un “problema”. Allo stato attuale, invece, la scelta della didattica mediante programmi ministeriali decisi a livello centrale impone alle scuole rigidi standard e poco margine di flessibilità. Le scelte dovrebbero essere lasciate alle singole scuole, che – all’interno di criteri generali stabiliti a livello centrale – potrebbero scegliere come impostare la didattica, tenendo conto delle specificità locali e privilegiando pertanto alcune materie rispetto ad altre o alcuni metodi d’insegnamento rispetto ad altri. Saranno poi le famiglie a valutare le proposte formative e a decidere in quale istituto far studiare i propri figli. Questo approccio è peraltro coerente con la nostra idea di riforma “meritocratica” della scuola: un istituto deve essere finanziato sulla base della sua capacità di garantire un’offerta didattica di qualità, e dunque di attrarre studenti anche creando percorsi di apprendimento innovativi e diversificati. In questo senso agli istituti va garantita la massima autonomia, anche nella selezione del personale docente.

– 4 –
I problemi dell’industria creativa sono per molti versi simili a quelli dell’intero tessuto produttivo italiano, e riguardano la difficoltà di “fare impresa”: fisco complesso e vessatorio, inefficienza della giustizia, rigidità del mercato del lavoro, difficoltà nell’accesso al credito. Pure in questo ambito è pertanto fondamentale rimuovere i numerosi vincoli derivanti dal quadro regolatorio italiano per ottenere nuove opportunità, in termini di crescita economica e occupazionale. I beni culturali non sono ancora digitalizzati, per esempio un visore asservito a gps con prospettiva tridimensionale e software che riproducesse i Fori Imperiali renderebbe i meri scavi attuali un vero e proprio parco tematico accrescendo visitatori ed entrate. Occorrono agevolazioni fiscali per poli retailer (librerie, sale cinematografiche, punti vendita musicali), la conferma definitiva potenziata del tax shleter e tax credit per le produzioni audiovisive.

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Riteniamo si debba intervenire secondo tre direttrici. In primo luogo, occorre introdurre meccanismi di valutazione della performance e meritocrazia nell’ambito dell’università e della ricerca. Chi produce di più – sia nella ricerca sia nella didattica – deve veder riconosciuto il suo impegno. Ciò deve valere sia a livello di individuo, sia a livello di dipartimento. Inoltre, è importante introdurre meccanismi di peer review che consentano di razionalizzare il finanziamento dei progetti di ricerca. L’università stessa deve assumere una dimensione internazionale, a partire da un più intenso utilizzo nella lingua inglese. Bisogna sforzarsi di aumentare le risorse a disposizione dell’università. Da ultimo, valgono per la ricerca una serie di interventi di portata più generale: per esempio, poiché l’investimento in ricerca è soprattutto investimento in persone, l’abolizione dell’Irap è un elemento di grande rilevanza, così come la detassazione degli investimenti privati in ricerca.