Benvenuta Ministro Giannini

Benvenuta Ministro Giannini
A caval donato non si guarda in bocca

di Giuseppe Adernò

gianniniIl nuovo Governo Renzi nasce con nomi e volti nuovi e si auspica che insieme la nuova squadra di Governo possa far uscire l’Italia dalla palude e recuperare la tanta attesa serenità e il benessere dei cittadini.

Nel nome del gruppo di appartenenza del nuovo Ministro “scelta civica” è insito il programma di attenzione alla società, alla ricerca del bene comune e per la scuola alla conquista di uno “star bene a scuola” che tante volte è stato annunciato, promesso e mai conseguito.

La glottologa Stefania Giannini sale adesso lo scalone d’onore del Palazzo della Minerva a Viale Trastevere, occupando il posto della collega, rettore di università, Maria Chiara Carrozza

Tutti i giornali presentano il suo profilo biografico: nata a Lucca 53 anni fa, segretario di Scelta Civica, entrata da poco nella politica e credo con buone intenzioni, annunciando impegno, merito e autonomia.

Il patrimonio di entusiasmo ed energia che Renzi sta portando in politica, secondo la senatrice annuncia una nuova stagione che dovrebbe avere le caratteristiche di «un risultato storico e rivoluzionario».

La matrice professionale: la glottologia, lo studio delle lingue, i rapporti con l’estero, i progetti formativi Erasmus, costituiscono segnali positivi di attenzione verso lo studio delle Lingue e ne saranno ben lieti i docenti di Inglese, di Spagnolo, di Francese e di Tedesco.

Il Ministro Giannini ha enunciato alcuni i principi ai quali s’ispirerà il suo lavoro: autonomia reale ai singoli istituti scolastici, valutazione, riqualificazione del personale docente (formazione e aggiornamento), sostegno alle famiglie (anticipazione del diritto allo studio). Per l’Università punterà su tre concetti chiave: «merito», «diritto allo studio» e «competizione e cooperazione».

Se tutte queste cose saranno realizzate, possiamo sentirci soddisfatti, ma si teme che gli ostacoli e la lentezza della burocrazia rallentino gli entusiasmi e le buone intenzioni.

La scuola ha bisogno di forze nuove, di entusiasmo e di energie per camminare e correre sul tapis roulant del progresso tecnologico e dovrebbe avere il coraggio di accogliere la richiesta di far scendere dalla carrozza quanti sono stanchi e vivono la scuola con sofferenza, trasmettendola di conseguenza agli alunni e appesantendo il carico del disagio per i traguardi non conseguiti.

Favorire il pensionamento di quanti sono stanchi di stare a scuola, sarebbe la prima scelta operativa che darebbe slancio alla scuola che cresce, attivando un ricambio, che porti a scuola  forze fresche e nuove competenze linguistiche e informatiche.

Il lavoro svolto presso l’Università per stranieri di Perugia  ha consentito alla senatrice Giannini di conoscere da vicino il processo d’intercultura che la scuola vive e,quindi,  nel ricambio generazionale della scuola, anche la presenza degli alunni extracomunitari, che aumentano sempre più, potrà essere un campo di azione e di attenzione del nuovo Ministro.

In questo primo semestre europeo, che sarà guidato dall’Italia, il contributo del Ministro Giannini sarà efficace, anche per la contrazione delle direzioni generali del Ministero e la scomparsa della Direzione Generale per gli Affari Internazionali.

Saranno tante le priorità del mondo della scuola, spesso trascurata ed elencata sempre per ultima nella carrellata dei Ministeri.

Mettere in sicurezza gli edifici scolastici, evitare gli abbandoni da parte dei giovanissimi, favorendo una scuola bella, agevole, dinamica e operativa, sostenere la formazione del personale docente ed incrementare i compensi per il personale della scuola sono auspici, consigli, suggerimenti ed oggi anche necessità, impellenze e garanzie di futuro.

Il cronoprogramma che il giovane presidente del Consiglio ha messo in cantiere fa ben sperare che si vedranno positivi frutti ed in molti si attendono segni concreti. Questo sarà, forse, l’ultimo treno da prendere.

Alcuni giornalisti hanno scritto: La Giannini si è sempre mostrata determinata, già dal momento in cui è stata nominata coordinatrice politica di Scelta Civica lo scorso novembre. Vedremo se riuscirà ad avere il peso politico sufficiente per cambiare le cose nel campo della Scuola, forse il settore tra i più martoriati della nostra Italia.

E’ proprio in questo settore “martoriato” che occorre intervenire e puntare, se si vuole che anche gli altri settori: industria, commercio, turismo, si sviluppino e diano positivi segni di crescita.

Al nuovo Ministro si chiede ancora, in coerenza con il nome della lista che rappresenta, di restituire alla scuola la sana educazione civica, perché gli studenti, futuri cittadini domani, si preparino con responsabilità e impegno alle tante “scelte” che dovranno affrontare e saranno tutte scelte civiche per una società migliore.

Quell’idea di scuola sottostante

Quell’idea di scuola sottostante

 di Cosimo De Nitto

 

Fondazione Agnelli si muove. I tempi sono giusti, il “rapporto” arriva subito dopo la nomina del nuovo presidente INVALSI Annamaria Ajello; sarà una coincidenza, ma suona quasi come un invito o un monito a ribaltare l’indirizzo politico che si evince dalle sue prime parole “L’Invalsi deve fornire misurazioni, non valutazione. E deve fermarsi sempre sulla soglia delle scuole”.

Tra i principali enunciati del rapporto, come prontamente hanno rilevato i commentatori come Flavia Amabile (La Stampa), Simonetta Fiori (Repubblica), Gianni Bocchieri  (sussidiario.net) e altri, ci sono questi:

1)perché le scuole funzionino «della valutazione si può fare a meno». Alcuni dei sistemi di maggior successo nel mondo ne sono del tutto privi.  La valutazione non è fondamentale. La vera priorità della scuola italiana è il reclutamento dei docenti. (di pari se non maggiore importanza è la formazione continua in servizio, perché insegnanti non si è per sempre. Ma questo magari potrà essere oggetto di indagine del prossimo “rapporto”. ndr)

2)abbiamo bisogno di sapere cosa funziona e cosa non funziona nelle singole scuole (basta saperlo chiedere ndr.)

3)in nessun paese europeo vengono valutati i singoli insegnanti. E là dove si è provato a farlo — gli Stati Uniti — l’esito è stato fallimentare (a quanti fischieranno le orecchie? ndr.).

4)«Una valutazione CONTRO o SENZA i docenti non potrà mai decollare» (lo abbiamo sempre detto noi ndr.)

5)Sbagliato premiare con somme di danaro le scuole d’eccellenza (per non parlare poi dei docenti! ndr).

Allora via la valutazione dei singoli insegnanti e via il sistema di pagelle, voti, premi e punizioni per essi e per le singole scuole. Fin qui siamo d’accordo. Un passettino lo hanno fatto.

Una riflessione, però, a tal proposito va fatta: non si dovranno vergognare un po’ quelli che per anni hanno accusato gli insegnanti di non volersi far valutare e di rifiutare pregiudizialmente qualsiasi forma di valutazione? Gli insegnanti avevano visto bene mentre, ministri, docimologi improvvisati, corifei a vario titolo e mestiere, i vari Bocchieri, Ichino,  dirigenti, ispettori e organizzatori di cordate pro-Invalsi, ma anche i vari Gavosto e i ri-Fondazione Agnelli,  NO.

C’è più verità e più saggezza nelle posizioni ragionate di chi ha criticato e critica l’invalsimania di quanto ce ne sia in tutti i pasdaran che sbandierano la “cultura della valutazione” della quale non hanno mai precisato confini, ambiti, situazioni, metodi, istanze, principi ecc., ma solo uno slogan, uno spot come è (mal)costume italico, o italiota, oggi.

Se sui punti in elenco siamo d’accordo, erano già nostre da sempre, sul resto dobbiamo registrare distanze molto profonde nelle posizioni.

La formazione iniziale e il reclutamento degli insegnanti statali sono e restano prerogative di gestione nazionale tramite concorsi pubblici. L’assunzione diretta da parte dei dirigenti scolastici delle singole scuole disintegrerebbe l’unitarietà del sistema scolastico e lo trasformerebbe in sistema privatistico, localistico. La formazione iniziale degli insegnanti, poi, dovrà essere seguita da una formazione in servizio lungo tutto l’arco della carriera professionale, in varie forme come aggiornamento, ricerca, sperimentazione, periodi sabbatici, scambi e collaborazioni con docenti di altri paesi ecc.

Non siamo assolutamente d’accordo sul ruolo, funzione, finalità dell’INVALSI.

Se questo istituto non ha e non deve avere compiti che riguardano la valutazione dei docenti e delle scuole, che significa deve essere autonomo, la cosiddetta terzietà? All’Invalsi resterebbe solo il compito di valutare gli apprendimenti, cosa fra l’altro che fa già OCSE-PISA indipendente e sovranazionale.

L’INVALSI avrebbe compiti di ricerca, come quella che fanno tanti altri istituti che sono sempre per definizione dotati di autonomia, definita e regolamentata in relazione ai fini perseguiti.

Viene detto: Fondazione Agnelli “propone anche l’autonomia dell’Invalsi, l’istituto di valutazione, dal Miur: proprio per essere libero di valutare anche l’azione del governo.”

Su questo non si può essere d’accordo. Non ci può essere nessun istituto autonomo, pubblico o privato che sia, al quale possa essere affidato il compito di “valutare l’azione di governo”. L’azione di governo la valuta il Parlamento, il complesso delle istituzioni e poteri autonomi dello Stato, le scuole, gli insegnanti, i cittadini, il complesso delle organizzazioni che si occupano di scuola, ricerca e formazione. La valutazione dell’azione di governo è un processo democratico non tecnocratico, affidato ad un ente che sfugge al controllo dello Stato e non risponde a nessuno. Invalsi ha ragion d’essere solo come istituto di ricerca sulla  qualità degli apprendimenti scolastici che restituisce i risultati ai soggetti deputati al funzionamento delle istituzioni scolastiche: MIUR, scuole. Saranno questi i soggetti che valuteranno i risultati della ricerca e si attrezzeranno per operare gli interventi ritenuti opportuni. Oltre a fornire strumenti di conoscenza l’Invalsi inoltre dovrebbe svolgere lavoro di supporto e consulenza alle singole scuole circa la costruzione di strumenti specifici di rilevazione e valutazione degli apprendimenti e di implementazione di questi nella normalità dell’azione didattica, fermo restando la titolarità dei docenti nel decidere il cosa, il come, il quando.

Modellato l’ente in tal modo,  non ha più senso il metodo censuario delle rilevazioni, basta quello campionario, come fa OCSE-PISA. Inoltre le prove dovrebbero uscire dal sistema di valutazione dei singoli alunni, soprattutto negli esami. Il diritto/dovere di valutare resta prerogativa della funzione docente, come la scelta degli strumenti di rilevazione “oggettivi” o soggettivi che siano perché parte integrante della valutazione formativa.

Mantenere obbligatorietà, censuarietà, valore valutativo anche negli esami produce quel cancro della didattica che viene indicato con l’espressione “teaching to test”. Questa malattia perniciosa produce l’immiserimento culturale e formativo del rapporto insegnamento/apprendimento, ridotto a puro addestramento sulle tecniche di risposta ai test.

Una volta escluso dai compiti INVALSI la valutazione dei singoli alunni e la valutazione dei docenti, resta il problema della valutazione delle singole scuole.

Finora su questo versante sono state pensate e proposte cose molto diverse. Ci sono state le “sperimentazioni” VSQ e “Valorizza” promosse dal ministro Gelmini che sono state solennemente bocciate e respinte dalle scuole. Il massimo del ridicolo si è raggiunto col metodo “reputazionale”. A queste si è aggiunta la sperimentazione VALeS, promossa dal ministro Profumo, che più o meno applica il sistema della qualità totale (TQM = Total Quality Management ) alla scuola.

L’aziendalismo pare l’unica ricetta disponibile, visto che di crearne una nuova che nasca specificamente dalla scuola e possa essere praticata dalla scuola i nostri grandi consulenti non vogliono proprio saperne. I punti critici alla base di queste sperimentazioni, pur nella diversità che le contraddistingue restano:

1) l’attendibilità (discutibile) dei test INVALSI nella rilevazione della qualità degli apprendimenti;

2) il calcolo del “valore aggiunto” ( contesto socio-economico-culturale), che fra l’altro non è utilizzato in nessun sistema di valutazione all’estero ed è ritenuto molto discutibile;

3) il nucleo esterno, sua composizione, competenze, status giuridico. A proposito di questo c’è chi reclama un corpo ispettivo che non c’è, non è preparato, non è formato. Così come non ci sono in giro tanti esperti certificati (da chi?) di valutazione scolastica. Un conto, infatti, è una piccola

Sperimentazione per poche decine di scuole, altro conto è un Sistema Nazionale che funzioni a regime su 72.554 istituti quanto sono le scuole in Italia.

Quanti ispettori ci vorrebbero? Quanti “esperti”? Così come in Italia non esiste un equivalente dell’Ofsted britannico, a meno che non si candidino ad assumere quel ruolo enti privati come

Fondazione S. Paolo, Fondazione Treelle, Fondazione Agnelli collegati al sistema economico (Confindustria) e alle banche.

In verità ciò che prima bisognava capire attraverso un ragionamento politico è ormai detto esplicitamente dagli stessi, e cioè che i loro studi, i loro rapporti, le loro ricerche non sono disgiungibili da “un’idea sottostante di scuola” e di società. E che i risultati delle loro ricerche, dei loro “rapporti” non sono altro che un programma politico col quale si vuole governare la scuola italiana, col quale già in qualche modo si governa la scuola italiana, nonostante qualche impaccio, qualche laccio e lacciolo costituiti da quelle quisquilie e pinzillacchere che si chiamano democrazia e Costituzione.

Quell’idea sottostante di scuola e di società portata avanti da questi signori è incompatibile con l’altra idea di scuola e società, quella che pensa la scuola come di tutti e di ciascuno, come luogo in cui i cittadini di si formano consapevoli, autonomi, liberi, colti, solidali, democratici, non solo professionalmente preparati, o per meglio dire, addestrati a compiti e progetti che altri hanno fatto al posto loro, i cosiddetti “poteri forti” che li vogliono solo utenti, clienti, consumatori, esecutori passivi delle regole del dio mercato-azienda-finanza.

PAS – diffida al Miur

PAS – Anief diffida il Miur e invita i docenti a fare lo stesso: non si possono continuare a negare le 150 ore, sono un diritto di tutti i partecipanti

 

Il sindacato ha deciso di intervenire, tutti i docenti che hanno iniziato o si accingono a frequentare i PAS, Percorsi Abilitanti Speciali, devono avere la possibilità di poter fruire dei permessi per il diritto allo studio: ciò permetterebbe di prevenire quelle dimissioni che diversi precari stanno presentando ai propri dirigenti perché impossibilitati a svolgere i corsi PAS e contemporaneamente continuare a insegnare. Scrivi a dirittostudio.pas@anief.net per chiedere il modello di diffida.

 

Non si tratta di una concessione, ma di un diritto. Che non può essere negato. Lo sa bene il Ministero dell’Istruzione, che un mese fa, attraverso il Direttore Generale, Luciano Chiappetta, ha annunciato che il diritto delle 150 oreverrà esteso a tutti i partecipanti, svincolandoli dal rispetto del previsto 3%, in quanto è interesse dell’ Amministrazione professionalizzare i partecipanti”.

 

Ad oggi purtroppo non è stata ancora emanata la circolare con la quale il ministero autorizza le cosiddette “150 ore” di permesso per i corsisti PAS. Il MIUR si è limitato a dare indicazioni agli Uffici Scolastici Regionali e agli Ambiti Territoriali, chiedendo di mettere nelle condizioni tutti i candidati di poter svolgere i corsi e di continuare a fare le supplenze. In particolare, lo scorso 25 novembre, lo stesso Ministero dell’Istruzione ha chiesto ai responsabili di USR e ATP, “in concomitanza con l’inizio dei corsi” di “adottare ogni iniziativa utile a favorirne la frequenza da parte dei docenti in servizio con contratti a tempo determinato”.

 

Anief, pertanto, chiede al Ministero dell’Istruzione di garantire il diritto allo studio a tutti i docenti iscritti ai corsi PAS. E invita tutti gli ammessi ai corsi, privati illegittimamente dei permessi allo studio – indispensabili per frequentare le lezioni, i laboratori e svolgere le verifiche intermedie e finali –, di denunciare al sindacato le situazioni di illegittima negazione dei permessi per agevolare il diritto allo studio.

Per questi motivi, Anief diffida il Miur per la negazione del diritto allo studio di un’alta percentuale di partecipanti ai PAS.

 

Chi è interessato a ricorrere contro la mancata concessione delle 150 ore di permesso studio può scrivere a dirittostudio.pas@anief.net, indicando nella mail cognome e nome, recapiti telefonici e mail, regione in cui si frequentano i PAS.

Nullo il rimprovero scritto mosso a un collaboratore scolastico

                 Nullo il rimprovero scritto mosso a un collaboratore scolastico per palese                                violazione degli artt. 93 comma 2 del CCNL 29/11/2007, 55 bis del D.L.vo n.                            165/2001, introdotto dall’art. 69 del D.L.vo n. 150/2009.

 

La normativa, in materia di procedimenti disciplinari a carico del personale ATA (non docente), prevede che l’Amministrazione, salvo il caso del rimprovero verbale, non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del dipendente senza previa contestazione scritta dell’addebito – da effettuarsi entro 20 giorni da quando il soggetto competente per la contestazione, di cui al successivo art. 94, è venuto a conoscenza del fatto- e senza averlo sentito a sua difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato (art. 93, comma 2 CCNL del 29/11/2007).

Tale disposto, è ribadito dagli artt. 55 bis e 69 richiamati in oggetto, quest’ultimo, al comma 2 così recita:

“La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio di difesa”.

Il dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo di Tortora, non avendo seguito le procedure contrattuali e legislative di cui sopra, ha dovuto estinguere procedimento disciplinare nei confronti di un collaboratore scolastico che è stato assistito e seguito dal responsabile territoriale del SAB di Praia a Mare prof. Umberto Sola.

Nel merito, il dirigente scolastico emetteva provvedimento di rimprovero scritto ancor prima di contestare l’addebito e senza sentire l’interessato in sua difesa che avrebbe avuto tante argomentazioni a suo favore.

Il lavoratore, con il patrocinio del SAB, contestava immediatamente al dirigente scolastico la procedura adottata, il tutto in violazione della normativa vigente richiamata in oggetto: il dirigente scolastico non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del dipendente senza averlo sentito a sua difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

Alla luce dei fatti sopra esposti, il dirigente scolastico ha emesso decreto di estinzione del procedimento e l’annullamento di tutti gli atti correlati.

Il SAB, tramite il segretario generale prof. Francesco Sola, esprime viva soddisfazione per il risultato ottenuto a tutela e difesa dei lavoratori, quali i collaboratori scolastici, che rappresentano il personale più debole e indifeso del comparto scuola essendo quello più esposto ad attacchi di ogni genere anche per il ruolo di vigilanza che è chiamato a ricoprire.

 

F.to Prof. Francesco Sola

Segretario Generale SAB

Le scuole cadono a pezzi e i prof sono tra i peggio pagati in Europa Con Renzi, che sulle scuole ha predicato bene, cambierà qualcosa?

da ItaliaOggi

Gli insegnanti sono pagati di meno e i dirigenti scolastici di più rispetto all’Inghilterra

Le scuole cadono a pezzi e i prof sono tra i peggio pagati in Europa Con Renzi, che sulle scuole ha predicato bene, cambierà qualcosa?

 di Tino Oldani  

Avremo scuole più belle, con le aule imbiancate di fresco, soffitti che non crollano, e insegnati pagati meglio? Matteo Renzi ha speso diverse pagine dei suoi libri per ricordare quanto lui creda nella scuola come strumento di crescita di un Paese. Come sindaco di Firenze, si vanta di avere dedicato ogni martedì per visitare a rotazione le scuole della città. E la cosa che più gli è dispiaciuta è di avere toccato ogni volta con mano quanto gli edifici scolastici siano malridotti e fatiscenti, bisognosi più che mai di manutenzione, ma condannati a deperimento ulteriore per mancanza di fondi pubblici. Quanto agli insegnanti, non ha mai dovuto muovere un passo per sapere che sono pagati poco e male: sua moglie Agnese è una insegnante precaria di lettere, e guadagna 1.200 euro al mese. Anche per questo, è molto probabile che nella stesura del programma di governo Renzi si guarderà bene dal fare un copia-incolla dell’alluvione di ricette economiche che gli vengono suggerite da più parti (un esempio per tutti, l’editoriale di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corsera di ieri), e farà di testa sua, mettendo la scuola tra i primissimi interventi. Vale a dire: subito qualche miliardo di euro da investire nella manutenzione degli edifici scolastici, con una ricaduta positiva sia sulla ripresa che sul pil, e a seguire un cambio di rotta graduale anche sul fronte delle retribuzioni.

A fargli da bussola su questo secondo punto, oltre allo stipendio della moglie Agnese, è arrivato l’ultimo studio dell’economista Roberto Perotti, bocconiano, che da mesi coordina un gruppo di studio sulla spesa pubblica su incarico di Renzi. Dopo essersi dedicato agli stipendi d’oro degli ambasciatori, dei super-burocrati e dei manager delle aziende pubbliche, Perotti ha messo sotto la lente due categorie del pubblico impiego, gli insegnanti ed i vigili del fuoco, e confrontato le loro retribuzioni con quelle dei loro colleghi inglesi. Il risultato della ricerca, pubblicato appena due giorni fa sul sito lavoce.info, ha scatenato un autentico putiferio di commenti, soprattutto da parte degli insegnanti. Ma andiamo con ordine.

Per Perotti, i privilegi scandalosi di cui godono i vertici della pubblica amministrazione non valgono per i livelli più bassi. Anzi, i due casi da lui studiati, insegnanti e vigili del fuoco, dimostrano il contrario. E poiché gli insegnanti sono circa un milione, l’economista ne deduce che lo Stato italiano dà «tanto a pochi, e poco a tanti». Qualche esempio. Un insegnante delle scuole primarie ha uno stipendio tabellare di 21.447 euro lordi l’anno, che salgono a 24.849 sommando le indennità e le spese accessorie. Si tratta di una retribuzione annua inferiore al pil pro capite, precisa la ricerca: lo 0,97%. Un insegnante di pari grado inglese guadagna di più: 37.400 euro l’anno, pari all’1,27% del pil pro capite britannico. Anche per un insegnante delle scuole superiori la musica cambia di poco: stipendio base di 23.471 euro, che sale a 28.547 con le indennità accessorie, pari all’1,12% del pil pro capite. Il pari grado inglese sta certamente meglio: guadagna 41.930 euro l’anno, pari all’1,42% del pil pro capite.

Gli unici ad avere una retribuzione decente sono i dirigenti scolastici, che sommando stipendio tabellare e indennità accessorie arrivano a 66.963 euro l’anno, pari al 2,62% del pil pro capite. In questo caso è il dirigente scolastico inglese a guadagnare qualcosa di meno nelle primarie (60.282 euro), e qualcosa di più nelle secondarie (70.735 euro), pari rispettivamente al 2,05 e al 2,40% del pil pro capite. «Una parte del differenziale potrebbe essere spiegata con il fatto che gli insegnanti britannici, al contrario di quelli italiani, sono sottoposti a valutazione e hanno un orario contrattuale maggiore» spiega Perotti. Ma ciò non toglie – è la conclusione – che nel pubblico impiego italiano persista una disparità eccessiva tra i pochi che al vertice prendono tanto, mentre i tanti che stanno alla base guadagnano poco.

Benché la ricerca di Perotti dia ragione alle lamentele sollevate dagli insegnanti negli ultimi anni, il sito lavoce.info ha ricevuto, in poche ore, una quantità di commenti critici come non si era mai visto. Due esempi per tutti. C’è chi considera sbagliato il confronto con gli insegnanti inglesi, poiché in Inghilterra è molto diffusa la scuola privata. Se il paragone fosse stato compiuto con i colleghi francesi e tedeschi, allora sì che si sarebbe toccato con mano che l’Italia ha gli insegnanti pagati peggio in Europa. «In Francia un collega che abbia la mia stessa qualifica di docente liceale e la stessa anzianità di servizio, con tre ore in meno alla settimana di orario e molte pause di due settimane durante l’anno scolastico, guadagna 1.600 euro più di me» scrive Giuseppe Farinetti, 57 anni, 30 anni di servizio e 1.740 euro netti al mese. In Baviera, aggiunge, un insegnante di liceo prende ancora di più del collega francese. Senza contare, poi, che in Italia gli stipendi pubblici sono bloccati dal 2008.

All’opposto, c’è chi continua a considerare gli insegnanti dei privilegiati: «La disistime degli italiani verso gli insegnanti è originata in gran parte dal loro atteggiamento vittimistico» scrive Massimo Gandini. «La domanda per entrare nella scuola supera in modo incommensurabile l’offerta, se fosse questo mondo infernale non sarebbe così. Io ho lavorato per 20 anni con un ingegnere che era anche insegnante di scuola secondaria, come insegnante era talmente impegnato che poteva svolgere anche (male) un altro lavoro. Tutti gli ingegneri che lavorano nella scuola hanno anche uno studio dove lavorano al pomeriggio, posso assicurare che il lavoro di insegnanti non li ha mai uccisi dalla fatica». Al di là dei pro e dei contro, resta il fatto che la scuola, a scapito del suo ruolo strategico, è un nervo scoperto da troppo tempo. Che Renzi abbia deciso di iniziare da qui il cambiamento, sembra una buona idea, anche se resta da vedere come lo farà in concreto.

“Una laurea ad hoc per diventare prof” così il Pd di Renzi vuole cambiare la scuola

da la Repubblica

“Una laurea ad hoc per diventare prof” così il Pd di Renzi vuole cambiare la scuola

Il piano: docenti selezionati dai presidi e deroghe alla legge Fornero sulle pensioni

STABILIZZAZIONE del precariato in pochissimi anni, nuove assunzioni con concorsi gestiti dalle scuole, revisione della legge Fornero per i docenti e una laurea ad hoc per insegnare. Il Pd di Renzi inizia dagli insegnanti. Ed è una mezza rivoluzione che punta sul merito per fare uscire dalle secche di una crisi economica senza fine il Paese. Il documento su cui sta lavorando il responsabile Scuola e Welfare della segreteria del Pd, Davide Faraone, che Repubblica è in grado di anticipare, è pieno di importanti novità che, stando alle intenzioni del premier incaricato, dovrebbero trovare attuazione in tempi brevi. Merito e non solo anzianità, ecco le parole d’ordine per gli insegnanti del terzo millennio. Per colmare la casella lasciata vuota dalla Gelmini — che riuscì a varare la riforma della cosiddetta Formazione iniziale degli insegnanti — il Partito democratico ha già messo a punto un piano che verrà sottoposto al nuovo esecutivo e al nuovo inquilino di Palazzo della Minerva. In primis, il Pd intende dare soluzione all’annoso problema del precariato della scuola. Secondo i calcoli effettuati dai tecnici di viale Trastevere, a partire dal 2017 i pensionamenti viaggeranno al ritmo di 40mila unità all’anno. Per sbloccare il turn-over, il nuovo governo intende modificare i paletti della legge Fornero, che non tengono conto della specificità del lavoro degli insegnanti, rendendo più facile l’uscita di maestri e prof dalla scuola. Ad agevolare il tutto, l’età dei docenti italiani, che con una media di 50 anni sono tra i più vecchi d’Europa. Nell’arco di una sola legislatura, i 185mila precari inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento dovrebbero trovare una cattedra fissa. Ci sono poi i 90mila che si abiliteranno con i Percorsi abilitanti speciali e gli 11mila che hanno ottenuto il lasciapassare per l’insegnamento attraverso i Tirocini formativi attivi, previsti dalla riforma Gelmini. Una fetta di questi precari, “di serie B” perché non potranno avere accesso alle graduatorie provinciali ad esaurimento, potranno invece ottenere un contratto a tempo determinato di durata triennale. Una novità assoluta che ha l’obiettivo di garantire una maggiore continuità didattica all’interno delle scuole dopo il disastro della riforma degli ordinamenti messa a segno dalla coppia Tremonti/ Gelmini. Ma servirà anche a gestire le supplenze annuali e quelle di lunga durata e per rendere finalmente attuativo il cosiddetto organico dell’autonomia previsto dall’ex ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo. In questo modo,le scuole avranno a disposizione le risorse di personale per le supplenze e per rendere realmente flessibile il curriculum scolastico e adattarlo al Piano dell’offerta formativa. Per smaltire prima possibile il precariato storico, con l’accordo dei sindacati, nei primi anni la quota di assunzioni dalle liste dei precari sarà maggiore — si vorrebbe partire dal 75 per cento — per ridursi man mano che il popolo dei supplenti si assottiglierà. Di contro, le assunzioni secondo la nuova procedura concorsuale in cantiere dovrebbe prevedere una quota iniziale del 25 per cento che aumenterà fino ad arrivare al cento per cento nel 2018. Ai nuovi concorsi potranno partecipare soltanto gli abilitati che usciranno da facoltà create ad hoc per l’insegnamento e inseriti in albi territoriali a numero chiuso. «Va introdotta — si legge nel documento — la possibilità per le scuole di valutare i docenti che lavoreranno con loro e selezionarli in base alla propria offerta formativa». Attualmente, la riforma Gelmini varata nel 2011, prevede un percorso universitario abilitante quinquennale per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, che diventa di sei anni — cinque di formazione e uno di tirocinio — per i futuri docenti di scuola media e superiore. Ma il reclutamento viene ancora effettuato secondo le vecchie regole: concorsi per esami e titoli. In via Sant’Andrea delle Fratte si medita di rivisitare il tirocinio formativo attivo, sia nelle modalità di accesso sia in quelle di svolgimento, che verrà retribuito dando ai giovani insegnanti la prima possibilità di guadagno. Gradualmente le graduatorie d’istituto verranno abolite e fra qualche anno nessun docente non abilitato potrà più insegnare.

La glottologa Stefania Giannini, un’altra rettrice è il nuovo ministro dell’Istruzione

da Corriere della Sera

IL PERSONAGGIO

La glottologa Stefania Giannini, un’altra rettrice è il nuovo ministro dell’Istruzione

53 anni, segretario di Scelta civica: voglio merito e autonomia

Il suo profilo professionale è molto simile a quello di Maria Chiara Carrozza. Rettrice come lei, di pochi anni più grande, toscana. Ma proveniente da un partito diverso: Scelta civica. E mentre l’ex ministro si è laureata in fisica, Stefania Giannini è glottologa.  Nata a Lucca 53 anni fa e catapultata solo l’anno scorso nel mondo della politica, sembra avere la calma e la fermezza giuste per affrontare un dicastero delicato come quello dell’Istruzione. E anche i propositi proporzionati: secondo Giannini, il «patrimonio di entusiasmo ed energia» che Renzi sta portando in politica «deve essere condiviso dalle forze politiche», perché questa è una stagione  in cui «non ci si può attendere un risultato di misura, bensì un risultato storico, rivoluzionario».

L’UNIVERSITA’- Il suo campo è la glottologia, la disciplina che si occupa dello studio storico delle lingue e delle loro famiglie e gruppi di appartenenza, delle origini etimologiche delle parole, considerando i loro rapporti e sviluppi. La sua carriera accademica  è iniziata proprio così: nel ‘91 è professore  presso l’Università per Stranieri di Perugia, dal 1992 al 1994 conquista la cattedra di Fonetica e Fonologia e dal 1994 al 1998 quella di Sociolinguistica. Nel 1999, il salto: diventa professore ordinario di Glottologia e Linguistica ed acquisisce nello stesso anno la titolarità della cattedra di Linguistica generale presso l’Università di Perugia. Dopo cinque anni, la vera svolta: il 1º ottobre 2004 diventa rettore dell’Università per stranieri di Perugia, carica ricoperta fino all’aprile del 2013. Il suo punto di forza è senza dubbio il profilo accademico internazionale, tant’è che ,nel 2008 riceve la Laurea Honoris Causa, rilasciata dall’Istituto Universitario Reges-Rede Gonzaga De Ensino Superior; Cesd-Centro de Ensino Superior de Dracena (Brasile), per l’impegno profuso nello sviluppo di programmi di cooperazione internazionale. E’ stata membro del direttivo della Crui.

LA CARRIERA POLITICA – Nel 2013 è infatti la  candidata in Toscana nella lista Con Monti per l’Italia alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio per il Senato della Repubblica. Ed è così che diventa senatrice.  Il 16 novembre dello stesso anno, a due giorni dal suo compleanno, dopo lo strappo con Monti, l’Assemblea di Scelta Civica la nomina nuova segretario e coordinatrice politica del partito. Sempre compita, capelli biondo platino, vestiti poco appariscenti, elegante senza mai essere invadente, Giannini fino ad ora ha mantenuto un profilo piuttosto basso.

LE SUE IDEE – Di scuola non ha parlato moltissimo da quando è in politica, ma recentemente, rispondendo alle domande dell’Huffington Post, ha spiegato i principi ai quali si ispirerà il suo lavoro: autonomia reale ai singoli istituti scolastici, valutazione, riqualificazione del personale docente (formazione e aggiornamento), sostegno alle famiglie (anticipazione del diritto allo studio). Per l’Università punta su tre concetti chiave: « merito», «diritto allo studio» e «competizione e cooperazione».

Valentina Santarpia

Giannini: “I concorsi sono efficaci se e solo se si svolgono regolarmente”

da Tecnica della Scuola

Giannini: “I concorsi sono efficaci se e solo se si svolgono regolarmente”
di P.A.
Riprendiamo quanto la neo ministra all’istruzione, Stefania Giannini, ha detto a huffingtonpost.it lo scorso 11 febbraio per capire la sua visione del mondo della scuola, su cui poco si è intrattenuta, e dell’università, che è risultato il pezzo forte
Una crescita basata su conoscenza e innovazione e sulla creazione di nuovi e migliori posti di lavoro (obiettivi di Europa 2020) potrà essere prodotta solo da una società più istruita, più competente e costantemente aggiornata nelle proprie competenze. Tre strumenti chiari e semplici, cui corrispondono importanti programmi europei (Youth on the Move, Life-long learning) e finanziamenti altrettanto significativi. Non condividere questa visione significa porsi al di fuori della storia. Cosa fare in Italia, perché il numero dei nostri laureati si avvicini all’obiettivo indicato dal Consiglio Europeo perché questi stessi laureati siano pronti a fare la loro parte nell’occupare i 16 milioni di nuovi posti di lavoro altamente qualificato che saranno creati entro lo stesso anno 2020, in Europa? Vedo tre livelli di intervento. Primo: il potenziamento del Diritto allo studio, Cenerentola nelle politiche universitarie dell’ultimo decennio, per garantire un reale incentivo al merito e una terapia efficace per la dispersione ancora altissima (in termini di studenti fuori corso e numero di abbandoni). Gli strumenti esistono, non vanno inventati: l’istituzione di un fondo nazionale per borse di studio (erogate anche nella forma del prestito d’onore), che permettano e incentivino sia la mobilità nazionale degli studenti che la mobilità internazionale è uno dei più sperimentati e con successo in molti paesi avanzati. Secondo: la restituzione di un valore reale al titolo di studio, in cui le famiglie e gli studenti hanno perso progressivamente fiducia. Ciò significa il ripristino di una cultura del merito, che passa concretamente dal completamento del processo di valutazione della didattica e della ricerca, recentemente introdotto in Italia (ANVUR), ma non ancora messo a regime per tutto il sistema e dall’attuazione di un piano nazionale di orientamento che permetta agli studenti di scegliere in base al loro talento reale e anche considerando le potenzialità di occupazione. Terzo: la didattica universitaria è stata radicalmente trasformata nel passaggio dalle lauree quadriennali al sistema a due livelli (3+2). Non tutto ha funzionato subito, né senza sofferenze, ma oggi la riforma è digerita. Si deve agire piuttosto sulla maggiore integrazione fra la comunità degli studenti e la comunità dei docenti: il primo commento dei ragazzi che tornano dal semestre Erasmus riguarda questo aspetto. E anche qui il cambiamento è prima culturale e poi strutturale (più elasticità nell’uso delle strutture di servizio, p.es. Perché le biblioteche di Lovanio sono aperte dalla mattina a notte fonda e le nostre chiudono inderogabilmente all’ora di cena?) I finanziamenti pubblici dovranno essere senz’altro adeguati agli standard internazionali, ma un rifinanziamento a pioggia non produrrebbe l’aumento della qualità media e l’emergere delle eccellenze a livello internazionale. Più premialità collegata alla valutazione, anche per gli atenei. I finanziamenti privati sono stati finora timidi e occasionali. Il credito d’imposta strutturale è uno strumento ben collaudato in molti Paesi del mondo (UK, Francia, Singapore) e servirebbe ad attrarre anche investimenti stranieri in ricerca e innovazione. Tagliare veramente la spesa pubblica è un obiettivo fondamentale dell’Agenda Monti: spendere meno e spendere meglio significa collocare la spesa per l’istruzione negli investimenti in capitale umano quindi nel futuro del Paese. Anche nel campo dell’istruzione dobbiamo introdurre e valorizzare due parole chiave: competizione e cooperazione. La competizione stimola condizioni di concorrenza fra atenei nel libero mercato internazionale, le migliori università per i migliori studenti, ma soprattutto per ricchi (Harvard è il paradigma noto). La cultura della cooperazione mira all’inclusione sociale: università di massa con libero accesso per tutti, ma spesso svalutate. I paesi che hanno privilegiato l’uno o l’altro stanno consumando il loro futuro, perché lasciare l’istruzione superiore a chi se la può permettere indipendentemente dal merito è contro la storia e l’idea stessa di progresso. Così come dare l’università a tutti, ma dargliela svalutata è come inflazionare la moneta per far tutti milionari. Cioè una truffa. Per lo sviluppo di una società globale e mobile, con tassi elevati di immigrazione (+15% nel Sud d’Europa dal 2005) e tassi drammaticamente elevati di disoccupazione giovanile (oltre il 20% in tutta l’Eurozona), educazione e cultura devono rispondere ad entrambe le missioni (inclusiva e competitiva) con equilibrio di strumenti, metodi e risorse. Partendo dalla scuola. I princìpi enunciati sopra valgono a maggior ragione per la scuola, che è istruzione dell’obbligo e che deve quindi garantire a tutti (veramente a tutti) il più alto grado possibile di cultura e di preparazione di base per il prosieguo degli studi. Lo squilibrio che i dati OCSE-PISA 2009 hanno evidenziato riflettono uno squilibrio reale, di cui il Paese soffre a scuola e altrove. Le quattro leve che porteranno ad un maggiore equilibrio sono, nell’ordine: autonomia reale ai singoli istituti scolastici, valutazione, riqualificazione del personale docente (formazione e aggiornamento), sostegno alle famiglie (anticipazione del diritto allo studio). Sono strumenti pensati e già sperimentati con successo in altri paesi non solo per far migliorare e premiare chi ha già ottenuto risultati apprezzabili, ma anche per migliorare la performance delle regioni svantaggiate. La stima delle risorse necessarie è possibile utilizzando la previsione del FMI sulla crescita del PIL e dell’inflazione e considerando un riutilizzo pari allo 0,2% per la scuola. Uno dei punti più delicati sul quale la nuova ministra, a domanda, si è però poco soffermata riguarda i concorsi e le graduatorie dei precari. I concorsi sono efficaci se e solo se si svolgono regolarmente. Il concorso per gli insegnanti delle scuole è stato sospeso per 13 anni. La conseguenza non poteva che essere la patologia del precariato. Quindi concorsi regolari, che valutino competenze disciplinari e didattiche.

Alcuni chiarimenti sui finanziamenti dei progetti contro la dispersione scolastica

da Tecnica della Scuola

Alcuni chiarimenti sui finanziamenti dei progetti contro la dispersione scolastica
di L.L.
Il Miur precisa che è ammesso il pagamento di docenti e partner esterni (massimo tre) e fornisce indicazioni sulle preclusioni all’accesso ai finanziamenti e la presentazione dei progetti per le reti di scuole
Facendo seguito alla nota prot. n. 1014 del 18 febbraio 2014, il Miur risponde con nota prot. n. 1077 del 21 febbraio 2014 ad alcuni quesiti riguardanti l’avvio della procedura per la selezione e il finanziamento di progetti in materia di apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica in attuazione dell’art. 7 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 10.
A parziale rettifica della nota precedente, il Miur chiarisce che il vincolo perentorio di svolgimento pomeridiano delle attività riguarda esclusivamente quelle rivolte all’intera platea degli alunni come fissato all’art.3, comma 3 dello stesso DM 7 febbraio 2014.
Un altroa precisazione riguarda la possibilità di pagare docenti e partner esterni: a tale proposito, il Ministero dà l’ok e ribadisce che i partner esterni possono essere al massimo tre.
In relazione alle reti di scuole, viene precisato che ogni scuola proponente può chiedere il finanziamento di un modulo. Di conseguenza, quale che sia la rete, se la scuola proponente è del primo ciclo può accedere alla richiesta del modulo a), se, invece, è del secondo ciclo può accedere al modulo b). Se però la rete dovesse includere sia scuole del primo ciclo che scuole del secondo ciclo, il modulo che si può richiedere è quello relativo all’ordine scolastico della scuola proponente, ma le attività potrebbero coinvolgere anche alunni del secondo ciclo, se il progetto lo prevede. In ogni caso, se il progetto è presentato da una rete di scuole, è compito della scuola capofila riportare nella scheda i dati di tutte le scuole coinvolte nelle attività progettuali.
Le iniziative proposte possono anche prevedere l’apertura pomeridiana della scuola per lo svolgimento di attività laboratoriali per gruppi di alunni o per l’intera platea scolastica, purchè in orario aggiuntivo per i docenti coinvolti.
In merito alle caratteristiche delle scuole per l’accesso ai fondi, come già riportato nel DM, non sono finanziabili le scuole che abbiano ricevuto almeno 10.000 euro, sia in quanto capofila sia in quanto scuola in rete. Di conseguenza, non potranno partecipare alla selezione le scuole delle regioni dell’Obiettivo convergenza, che stia realizzando progetti della Misura F3 con importi superiori alla suddetta cifra. A tal fine, gli U.s.r. competenti dovranno acquisire al riguardo una dichiarazione del Dirigente scolastico, che attesti che la scuola/le scuole coinvolte non hanno in atto progetti finanziati per obiettivi affini, cioè sulla stessa area tematica.
Infine, il Miur chiarisce che la scheda finanziaria in excel, allegata alla precedente nota del 18 febbraio, rappresenta una possibile e concreta esemplificazione del piano finanziario, ma non è in alcun modo vincolante e obbligatoria.

Approvato il documento di indirizzo sui percorsi IeFP

da Tecnica della Scuola

Approvato il documento di indirizzo sui percorsi IeFP
di L.L.
Siglato l’accordo tra le Regioni sugli elementi minimi comuni sulle procedure relative agli esami finali a conclusione dei percorsi di Istruzione e formazione professionale
In data 20 febbraio è stato siglato l’accordo fra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in tema di esami a conclusione dei percorsi di istruzione e formazione professionale.
Ne dà notizia la Flc Cgil che pubblica il documento contenente i riferimenti ed elementi minimi comuni, che costituiscono condizioni di omogeneità di pratiche e procedure in materia di accertamento, valutazione e certificazione finale degli standard formativi nazionali e regionali dei percorsi di IeFP e del conseguente rilascio dei titoli di Qualifica e Diploma professionale.
L’obiettivo è garantire, nell’esercizio delle competenze legislative esclusive delle singole regioni, armonizzazione e qualità a livello nazionale del sistema di IeFP.
Le disposizioni rappresentano un riferimento univoco sia per le Istituzioni formative, sia per gli Istituti Professionaliche erogano l’offerta sussidiaria di IeFP.

Ecco i chiarimenti sull’obbligo scolastico degli alunni adottati

da Tecnica della Scuola

Ecco i chiarimenti sull’obbligo scolastico degli alunni adottati
di L.L.
Il Miur torna sull’argomento e demanda ai Dirigenti scolastici la valutazione dei singoli casi, purchè eccezionali e debitamente documentati e sempre in accordo con le famiglie e il team di docenti
Il 4 febbraio scorso il Miur era uscito con la nota prot. n. 338 del 4 febbraio 2014 con la quale aveva fornito istruzioni in merito all’obbligo scolastico degli alunni adottati.
Qualche giorno dopo, il 10 febbraio, la nota prot. n. 403 aveva sospeso la precedente circolare, a seguito della emersa necessità di ulteriori approfondimenti.
Dopo il confronto con le Associazioni più attive sul territorio e maggiormente rappresentative delle famiglie adottive e, in particolare, di quelle che adottano minori stranieri, sono state diffuse nuove indicazioni con la nota prot. n. 547 del 21 febbraio 2014, che tengono conto delle segnalazioni pervenute, in particolare, dall’U.s.r. per il Veneto, che chiedeva la possibilità di deroga all’obbligo scolastico per un minore adottato giunto in Italia da 12 mesi e di circa 6 anni di età. Si trattava di un bambino per il quale i Servizi Territoriali e l’Ente autorizzato che aveva curato l’adozione avevano certificato un inadeguato sviluppo cognitivo e socio-affettivo, rispetto all’età anagrafica, del minore in questione. Situazione, questa, non così infrequente in realtà sociali sempre più cosmopolite.
In quell’occasione, sia la D.G. per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica sia la D.G. per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione avevano fornito parere favorevole al quesito posto dall’U.s.r. per il Veneto.
A tal proposito, sottolineando la straordinarietà e specificità degli interventi in questione, il Miur invita comunque a valutare caso per caso le singole situazioni, invitando i Dirigenti scolastici a usare la massima “sensibilità e accuratezza, confrontandosi – laddove necessario – anche con specifiche professionalità di settore e con il supporto dei Servizi Territoriali, predisponendo percorsi individualizzati e personalizzati”.
Quindi, solo in casi eccezionali e debitamente documentati, i Dirigenti scolastici, sempre in accordo con la famiglia e sentito il Team dei docenti, potranno decidere di far permanere l’alunno nella scuola dell’infanzia per il tempo strettamente necessario all’acquisizione dei prerequisiti per la scuola primaria, e comunque non superiore ad un anno scolastico, anche attraverso un’attenta e personalizzata progettazione educativa.

Chi è Stefania Giannini

da Tecnica della Scuola

Chi è Stefania Giannini
di Andrea Carlino
Un breve curriculum del nuovo ministro dell’istruzione: senatrice ed attualmente segretaria politica di Scelta Civica. Nata a Lucca il 18 novembre 1960, è professoressa ordinaria di Glottologia e Linguistica dal 1999 ed è stata rettore dell’università per stranieri di Perugia dal 2004 al 2013.
Il nuovo ministro dell’Istruzione è Stefania Giannini, senatrice ed attualmente segretaria politica di Scelta Civica. Questa la sua biografia: nata a Lucca il 18 novembre 1960, è professoressa ordinaria di Glottologia e Linguistica dal 1999 ed è stata rettore dell’università per stranieri di Perugia dal 2004 al 2013. Alle scorse elezioni politiche del 24 e 25 febbraio è stata candidata in Toscana nella lista Con Monti per l’Italia per il Senato della Repubblica, venendo eletta senatrice della XVII Legislatura.
Il 16 novembre dello stesso anno, l’Assemblea di Scelta Civica la nomina nuova segretario e coordinatrice politica del partito. Attualmente è anche presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea parlamentare dell’Iniziativa Centro Europea. Nel corso della sua vita accademica, ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali a livello nazionale e internazionale: nel 2004 diviene membro del Comitato scientifico dell’Università italo-francese, nel 2005 entra a far parte del Tavolo Interministeriale per la cooperazione allo sviluppo presso la Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, nel 2006 diviene membro del Comitato di Presidenza della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e responsabile delle Relazioni Internazionali fino al 2011; nel 2008 è membro del coordinamento per le attività di Internazionalizzazione delle Università Italiane presso il Ministero degli Affari Esteri. Nel 2010 diviene presidente nazionale della Società Italiana di Glottologia, assume il ruolo di presidente della Commissione di Studio del CNR per l’Etica della Ricerca e la Biotetica, diviene membro della Commissione nazionale per la Promozione della Cultura Italiana all’Estero del Ministero degli Affari Esteri e viene chiamata a far parte del Comitato Scientifico del progetto della RAI e del Ministero dell’Interno “Cantieri d’Italia – l’italiano di base per costruire la cittadinanza”. Nel 2011 diventa Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.

A rischio attività didattiche, igiene e sicurezza nelle scuole

da Tecnica della Scuola

A rischio attività didattiche, igiene e sicurezza nelle scuole
di A.G.
A lanciare l’allarme è la Commissione istruzione dell`Anci, che ha approvato un ordine del giorno con cui i sindaci esprimono preoccupazione per la riduzione delle risorse destinate alla pulizia: al futuro premier chiediamo un intervento immediato. E per questo chiedono di posticipare al 1° aprile l`entrata i vigore delle nuove convenzioni.
I sindaci italiani esprimono preoccupazione per la riduzione delle risorse destinate alla pulizia delle scuole: lo fanno, attraverso la commissione istruzione dell`Anci, che il 21 febbraio ha approvato un ordine del giorno attraverso cui chiede un intervento urgente del futuro premier e del nuovo Governo. La richiesta prevede “l`attivazione immediata del tavolo di confronto politico sul problema della pulizia delle scuole previsto dalla Legge di stabilità, che individui adeguate soluzioni normative ai problemi occupazionali connessi all`utilizzazione delle convenzioni Consip Spa, nonche` garanzie certe in ordine alle condizioni di igiene e sicurezza nelle scuole”. Sulla vicenda, che coinvolge 24 mila lavoratori ex L.s.u. e cooperative, impiegati nei servizi di pulizia e ausiliari di circa 4 mila scuole statali, l’Anci auspica che nell`immediato il Senato accolga l`emendamento che posticipa al 1° aprile 2014 l’entrata i vigore delle nuove convenzioni: l’obiettivo è dare modo al tavolo politico di individuare soluzioni più efficaci nel lungo periodo. Resta infatti aperto il problema dell`operativita` degli appalti Consip Spa, “che hanno previsto come base di gara l`importo corrispondente alle risorse non impiegate in ragione dell`accantonamento di personale A.t.a., sostituito con il lavoro prestato dalle cooperative o, soprattutto nel Sud, dai lavoratori L.s.u. Tale computo – spiega l`Odg – oltre a determinare una riduzione drastica delle risorse, non è  in grado di garantire standard minimi di igiene e sicurezza nelle scuole, e causa consistenti esuberi di personale”.