La risposta di un archeologo

La risposta di un archeologo
al manifesto La storia cambi passo di Carlo Ruta

di Clemente Marconi*

In una fase della vita sociale e culturale del nostro paese nella quale la storia viene messa esplicitamente in discussione come materia di studio e implicitamente in dubbio come disciplina e insegnamento, il manifesto di Carlo Ruta non può che essere bene accetto, come una ulteriore voce a favore a un anno di distanza dall’iniziativa promossa da Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri. Se per i tre promotori di quell’iniziativa era al centro l’idea della storia come un bene comune, e della sua conoscenza come un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini, questo nuovo manifesto invita invece la disciplina a ripensarsi e innovarsi, traendo nuova linfa da più stretti rapporti con la scienza e la tecnologia e prendendo esempio al riguardo dall’archeologia.

Indubbiamente, l’archeologia ha un ruolo importante del manifesto di Carlo Ruta, e la lettura del documento non può che interessare chi, come me, pratica tale disciplina.

Nel suo manifesto, Carlo Ruta introduce l’archeologia in Scenari che mutano, e la presenta come una disciplina di frontiera, contigua alla storia, ma a differenza di quest’ultima rivoluzionata negli ultimi anni dai progressi della scienza e della tecnologia.

L’interesse di Carlo Ruta, al riguardo, si focalizza sulla New Archaeology, altrimenti nota come archeologia «processuale», sviluppatasi negli anni ‘60 del secolo scorso a partire dagli Stati Uniti. Oggi, al livello di riflessione teorica all’interno della disciplina, ci troviamo ben oltre l’archeologia «processuale» e la successiva archeologia «post-processuale», due termini considerati ormai desueti da diversi archeologi. Ma a voler tornare al pensiero di Lewis Binford, il principale proponente della New Archaeology, c’era di più di una semplice contiguità dell’archeologia con la scienza e la tecnologia. Binford infatti vedeva nel modo di procedere della scienza, della fisica in particolare, un modello operativo da imitare per la ricerca archeologica, e auspicava per quest’ultima un approccio rigorosamente positivistico che eliminando considerazioni soggettive potesse porre le basi per una interpretazione oggettiva e scientifica dei dati archeologici. Solo così, secondo Binford, gli archeologi sarebbero stati in grado di produrre generalizzazioni oggettive paragonabili a quelle delle altre scienze sociali (come riguardo ai processi di adattamento alle variazioni dell’ecosistema delle diverse culture umane succedutesi nel tempo): prive di pregiudizi etici, e superiori alla stessa comprensione storica, che Binford intendeva come preoccupazione non-scientifica per la ricostruzione nel dettaglio di eventi del passato. Sono questi, certamente, alcuni dei punti più dolenti della New Archaeology, come la dicotomia tra scienza e storia e l’enfasi su un approccio positivistico capace di produrre risultati oggettivi. Una linea di pensiero, quest’ultima, presto rigettata dall’archeologia «post-processuale» che ha avuto ampio modo, in tempi di accresciuto relativismo, di evidenziare come nell’interpretazione archeologica abbiano sempre giocato ulteriori fattori (tra i quali ragioni politiche e sociali) oltre che semplici considerazioni scientifiche oggettive.

Messa da parte questa precisazione sulla New Archaeology, resta comunque il fatto, ben delineato nel manifesto di Carlo Ruta, che l’archeologia ha uno stretto rapporto con la scienza e la tecnologia, i cui progressi hanno contribuito e continuano a contribuire in maniera determinante ad accrescere le conoscenze relative ai nostri rinvenimenti e agli oggetti della nostra ricerca. Si potrebbe aggiungere che l’archeologia ha preso il posto dell’approccio antiquario nella prima metà dell’Ottocento grazie alla sua aspirazione ad uno studio dei resti del passato di carattere sistematico e scientifico, che ha trovato nuovo alimento e sviluppo con la generazione dei grandi pionieri della fine dell’Ottocento. È però specialmente nel corso del Novecento che grazie a una serie di grandi figure e grandi progetti, l’archeologia ha preso la forma di una ampia e complessa impresa multidisciplinare, la cui ricerca e i cui dati attingono all’esperienza di un numero sempre più ampio di campi, incluse la scienza e la tecnologia. Carlo Ruta sofferma la sua attenzione su quest’ultima, ma può essere utile ricordare il contributo sempre più fondamentale di discipline come la zoologia, la botanica, la chimica e, più di recente, la genetica. In effetti, il livello di intreccio tra archeologia, scienza e tecnologia si può cogliere nella definizione sub-disciplinare, ora invalsa in ambito anglofono, di science-based archaeology. O, al rovescio, nel ruolo crescente giocato dall’archeologia nel dibattito scientifico contemporaneo, compresi problemi complessi come il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. Quel che più conta qui, comunque, è che la scienza e la tecnologia ci offrono oggi, con i loro ultimi progressi, una quantità di informazioni relative a un numero cospicuo di classi di materiali, inclusi reperti organici e artefatti, semplicemente impensabili una-due generazioni fa: tanto che a livello di riflessione generale, gli sviluppi nella scienza e nella tecnologia sono considerati oggi i fattori che più influenzano la ricerca archeologica, venendo spesso anteposti agli stessi fattori umani, inclusi quelli sociali, economici, e formativi, compreso il grande problema della differenza tra un curriculum umanistico e uno scientifico per chi intende praticare la disciplina.

Questo ci riporta indietro alle prime considerazioni di Carlo Ruta sull’archeologia come disciplina di frontiera. Indubbiamente l’archeologia ha uno spiccato carattere multi- (e auspicabilmente) interdisciplinare, e in un momento nel quale tale approccio viene considerato come una prospettiva essenziale per la sopravvivenza stessa delle discipline umanistiche, ha un ruolo importante di esempio. Ma per esperienza, è bene non far finta di ignorare le difficoltà che si celano dietro l’interdisciplinarietà, derivanti dalle diversità di formazione, linguaggio e approccio insite in campi diversi. Di fronte a tali difficoltà, e al rischio che le varie discipline coinvolte in uno stesso progetto agiscano fini a se stesse, deve prevalere il senso ultimo dell’archeologia come antropologia culturale e come storia basata sulla cultura materiale, alla cui interpretazione ultima ricondurre i diversi approcci coinvolti.

L’archeologia ritorna nel manifesto di Carlo Ruta in Superando il confine dove, invitando la storia a cimentarsi con l’incerto, le chiede di «sporcarsi le mani» imparando da noi archeologi a cavare la terra dal suolo, ad andare oltre il conosciuto fino al punto di scoprire quello che non si conosce ancora e che è tuttavia ipotizzabile e immaginabile alla luce del noto.

Per celia potrei osservare, come archeologo, che la maggior soddisfazione per chi ama sporcarsi le mani nella mia professione è riscoprire qualcosa che davvero non si conosce ancora e che non è nemmeno ipotizzabile alla luce del noto: come una fase di vita di un insediamento mai documentata prima. E potrei anche osservare come proprio il contributo della scienza e della tecnologia stiano portando gli archeologi a cavare sempre meno terra dal suolo, con trincee sempre più mirate e ridotte per estensione, alla luce di un necessario riequilibrio tra scavo e analisi scientifica dei materiali, dato che la seconda, ormai, può produrre assai più informazione del primo.

Ma per tornare allo scavo come scoperta di quello che non si conosce, e che è tuttavia ipotizzabile e immaginabile alla luce del noto, non posso non notare, dalla prospettiva degli autori più seri dell’archeologia «post-processuale» come Ian Hodder, quanto sia pieno di insidie questo cimentarsi con l’incerto. Il riferimento va qui al circolo ermeneutico, che fonda ogni atto interpretativo, compresa l’archeologia. In effetti logiche circolari sono assai presenti nell’interpretazione in ambito archeologico: dove il rinvenimento non è sempre una parte che contribuisce a comporre il tutto, ma ne è predeterminato. Questo si applica anche a dati scientifici oggettivi, che non sono affatto garanzia dell’oggettività del processo interpretativo nel suo insieme e delle sue conclusioni, tentazioni nelle quali diversi colleghi archeologi, anche a causa della loro prolungata frequentazione della scienza, sono proni a cadere. A livello operativo e di metodo, nel suo rapporto con la scienza e la tecnologia, l’origine dell’archeologia come disciplina umanistica non deve andare perduta.

* Clemente Marconi è archeologo e storico dell’arte. Dopo aver studiato archeologia greca e romana presso l’Università di Roma La Sapienza e storia delle fenomenologie artistiche presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ha perseguito un distinto approccio ermeneutico, sostenendo una stretta interazione tra lo studio dell’arte antica e discipline come la semiotica, l’antropologia e la stessa ermeneutica. È docente ordinario alla New York University e all’Università degli Studi di Milano. È membro corrispondente del Deutsches Archaeologisches Institut e del comitato direttivo della American School of Classical Studies di Atene. Ha svolto incarichi di ricerca per la Boston University, la Columbia University, la Stanford University, la University of North Carolina a Chapel Hill, la University of California-Irvine, la University of California-Los Angeles, la University of South Florida e la Yale University. Collabora con l’American Journal of Archaeologyed. Ha firmato centinaia di saggi scientifici con la Oxford University Press, l’Austrian Science Fund, il National Humanities Center, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, l’Università di Roma La Sapienza, il Social Sciences and Humanities Research Council of Canada e l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Non accettarmi come sono

Non accettarmi come sono

di Maria Grazia Carnazzola

“Non accettarmi come sono” è il titolo del libro con il quale lo psicologo Reuven Feuerstein vuole sottolineare l’importanza di avere una visione ottimistica delle persone e della possibilità che ciascuno ha di modificarsi sotto il profilo cognitivo, emotivo e comportamentale. Se l’intelligenza, come sostiene, non è un dato immodificabile- pur considerando le situazioni personali oggettive- e se l’uomo ha una struttura modificabile, l’accettazione acritica delle “fragilità” diventa un’ingiustizia verso la persona e la qualità della sua vita futura. Chi è in situazione di fragilità ha il diritto di cambiare come chiunque altro: la paternalistica accettazione e la tolleranza di routine- che si fondano su una visione pessimistica dell’uomo- rappresentano un’ingiustizia che diventa l’alibi per l’emarginazione di fatto. Feuerstein era perfettamente cosciente dell’effetto che il titolo del suo libro poteva avere sui possibili lettori, ma era fermamente convinto del suo approccio perché, condivido, la disabilità non può oscurare l’individuo. Se non parliamo più di Matteo ma dell’alunno con ritardo cognitivo, o non parliamo di Giovanni ma dello studente autistico, creiamo stereotipi che vanno in senso contrario a quello dell’inclusione. Riprendendo il titolo, la sintesi potrebbe essere: non accettarmi come sono, ma rispettami per quello che sono.

2. Linclusione va progettata, pianificata, realizzata, valutata, implementata: le Linee Guida.

Recentemente sono stati resi pubblici, unitamente alle Linee Guida, i modelli per la redazione del PEI da utilizzare nella scuola dell’Infanzia, nella scuola Primaria, nella Secondaria di primo e di secondo grado, a partire dal giugno prossimo. Non intendo qui analizzare i modelli o le Linee Guida o altre fonti normative, anche se qualche accenno sarà inevitabile. Procederò ad una disamina, meno descrittiva e più problematizzante, del documento al cui interno ciascuna scuola può trovare elementi di positività e di criticità in relazione alle pratiche agite, alla cultura psico-pedagogica e alle pratiche già condivise. Il decreto interministeriale da una parte delinea i percorsi possibili per l’integrazione, dall’altra le azioni da compiere per individuare le risorse necessarie- e da richiedere- perché il processo di inclusione si possa realizzare appieno con la collaborazione di tutti.

• Nel testo sono evidenti:

-i riferimenti alla normativa, nazionale ed internazionale;
– il rimando ai raccordi necessari perchè il progetto di scuola, quelli degli altri Enti/Istituzioni, famiglie in primis, nella formalizzazione del PEI- che può essere lo strumento di integrazione tra istituzioni-, negli aspetti burocratici e di realizzazione, con chiara assunzione di responsabilità nell’interesse primario della persona con disabilità;
-il riferimento al modello bio-psico-sociale di funzionamento dell’ICF;
– lo strategico legame che deve esserci tra scuola e contesto territoriale, per la messa a sistema degli interventi, delle pratiche e dei monitoraggi, verifiche, valutazioni necessari per le eventuali riprogettazioni;
– per la prima volta, la presa in carico dell’orientamento e dell’accompagnamento al mondo del lavoro per gli studenti delle superiori.

• Rimangono in ombra le definizioni:

– degli standard per le azioni per l’inclusione e per il raccordo orientamento/inclusione;
– delle modalità per la formazione per tutti i docenti in ingresso e in itinere;
– di un chiaro quadro teorico di riferimento per la formazione degli insegnanti di sostegno;
– di un quadro di riferimento complessivo che coordini e valorizzi le diversità di cultura e di mission dei servizi coinvolti nella progettazione/realizzazione dei percorsi di inclusione, necessario per non continuare a muoversi nell’ottica dell’emergenza dello specifico problema da affrontare.

• Rimangono da approfondire alcuni aspetti (per evitare di fermarsi al mero adempimento):

– che la certificazione e la diagnosi funzionale (ora profilo di funzionamento) sono fattori di inclusione e non di discriminazione. Devono servire in primis al diretto interessato;
– che per una vera inclusione serve una scuola strutturalmente inclusiva, che sappia costruire senso di appartenenza, autonomie e fiducia che è il bene immateriale di cui c’è estrema necessità.
– che i nuovi modelli di PEI, e le nuove procedure indicate nel Decreto 182 del dicembre scorso, sono aspetti “tecnici” di cui occorre individuare- per praticarle- le logiche e le ragioni etico-sociali. Il pericolo è, ancora una volta, che ci si limiti agli adempimenti, cambiando le parole anziché le pratiche. Sappiamo che le “tecniche” e gli strumenti sono necessari, ma che non bastano.

3. Riflettere sulle parole e sulle pratiche.

Le parole non sono le pratiche. E ce ne stiamo rendendo sempre più conto, anche se dobbiamo riconoscere a J.L. Austin che con le parole si “fanno cose” a diversi livelli. E di parole nelle Linee Guida ce ne sono molte, tanto da farle assomigliare più a delle istruzioni per l’uso. Ma in questo momento forse va bene così, per riportare al centro il tema dell’inclusione.

La scuola, per vocazione, non può che essere inclusiva perché la sua mission è quella di contenere/ridurre i dislivelli culturali e sociali, promuovendo le diverse potenzialità degli individui, nell’ottica di quel Benessere Equo e Sostenibile (BES) a cui fa riferimento il testo del marzo 2013 del CNEL-ISTAT, considerato uno degli indicatori dello stato di salute di un Paese, oltre al Pil. L’inclusione presuppone la pluralità, quindi la differenza, che va accolta e non negata. Accogliere e vivere la differenza implica di riflettere sul passaggio dal rifiuto all’accettazione che è cosa molto diversa dall’indifferenza. Se, parafrasando Watzlawich, il rifiuto postula il riconoscimento mentre l’indifferenza lo nega, di quale inclusione e di quale appartenenza parleremmo? Partecipare non è sinonimo di sentirsi parte. Le conoscenze e la pluralità delle relazioni sono gli strumenti primari nel percorso di inclusione: ne teniamo conto quando pensiamo che il bambino, l’alunno, lo studente con disabilità “siano” dell’insegnante di sostegno? Gli studenti, tutti, fanno parte di una classe, affidata a un Consiglio che risponde del lavoro e degli esiti di tutti gli allievi. Il nodo fondamentale è quello della didattica strutturalmente inclusiva, centrata sui bisogni e sulle risorse personali, lavorando oltre che sul clima della classe, sulla relazione tra insegnare/apprendere: non si apprendono le discipline ma attraverso le discipline e si può insegnare bene senza che gli allievi apprendano. Il lavoro di ogni Consiglio di classe deve fondarsi su aspettative realistiche, integrato, pianificato/programmato cercando di immaginare ognuno nel mondo reale, nelle concrete situazioni esistenziali e come cittadino del futuro. L’obiettivo è anche quello di evitare/ridurre il rischio di patologie relazionali e di sottoutilizzazione sociale, di aumentare l’autoconsapevolezza e il senso di autoefficacia- che porta con sé la resilienza: di essere di supporto al progetto di vita.

4. Il PEI, strumento fondamentale di raccordo.

Il Piano Educativo individualizzato, così come viene presentato, dovrà permettere di convergere e di lavorare insieme- famiglia, scuola, servizi…- su obiettivi condivisi e per “risultati attesi” concretamente perseguibili e reciprocamente verificabili, nel rispetto dello specifico mandato istituzionale e della deontologia professionale. Riflettendo insieme sulla funzionalità/disfunzionalità delle relazioni, sulla composizione/scomposizione dei compiti, sull’analisi delle modalità decisionali e sull’assunzione delle responsabilità, partendo dal Profilo di funzionamento o, in sua assenza, dalla diagnosi funzionale.

Diagnosi e progetto di intervento sono due facce della stessa medaglia; fare una diagnosi (o delineare un profilo) non significa stigmatizzare, ma guardare in profondità, oltre l’apparenza, per poter comprendere la persona e il senso che ciascuno dà a se stesso, alla propria vita e a quello che vuole essere. Non a caso si parla di diagnosi funzionale, non ci si limita alla diagnosi categoriale che rimanda al DSM-V e agli aspetti medico- organici. La diagnosi funzionale tiene conto dell’insieme delle relazioni dentro il contesto; le relazioni nascono dalla rappresentazione: se mi rappresento come “incapace” tenderò a leggere le situazioni con questa lente e sarà difficile dare un significato prospettico e costruttivo al progetto di vita e alle situazioni quotidiane. Non basta rimanere alla superficie, bisogna andare in profondità, guardare di nuovo con rispetto, parola che, come sappiamo, viene dal latino respicere che significa anche guardare ancora. È stata prevista una formazione riferita alle linee guida per tutto il personale della scuola. Mi piacerebbe che, prima degli aspetti tecnici riguardanti i nuovi modelli di PEI, si riflettesse su alcuni aspetti che costituiscono la base per qualsiasi azione di cambiamento, perché l’educazione esiste dentro una cultura, diceva Bruner, e in questa cultura bisogna operare, riflettendo insieme, nello specifico, su alcuni aspetti:

-le fragilità (disabilità, BES,DSA…) stanno dentro la complessità della società, della scuola, della famiglia;
-le fragilità non sono problemi in sé, ma pongono problemi; sono condizioni particolari in cui si trovano le persone per periodi più o meno lunghi;
-richiedono riconoscimento, “accoglienza”, rispetto, preparazione, responsabilità a cui la scuola dovrebbe rispondere alzando il livello di competenza didattica e non abbassando il livello delle richieste;
-il tema della dispersione e dell’orientamento sono strettamente collegati agli aspetti sopra indicati e rimandano alla necessità della formazione dei docenti e di tutto il personale della scuola, formazione che non può limitarsi alla necessaria conoscenza dei nuovi strumenti e delle nuove procedure, ma che deve partire, in ogni scuola, dalle pratiche agite per trovare un ponte tra quello che già si fa e quello che è richiesto di fare, lavorando tra manutenzione e innovazione, distinguendo il teorema dai corollari.

5. Per concludere.

Di qualsiasi argomento parliamo, c’è un tema generale, in questo caso l’inclusione di bambini, alunni, studenti, e ci sono altri temi che sono correlati come il numero dei posti di sostegno, la numerosità delle classi… aspetti egualmente importanti, ma che sono altro. Non si possono in continuazione sovrapporre le dimensioni, come qualche volta fanno gli specialisti della polemica: la polemica allarma e disorienta la società. Chi conosce la scuola sa perfettamente che il problema delle risorse, umane e strumentali, per accogliere e prendersi cura al meglio di tutte le diversità è centrale. Ma sa anche che il surplus di risorse crea problemi esattamente come la loro carenza. L’inclusione non può prescindere da una visione sistemica delle persone dentro i contesti dove la logica “dell’aggiungere”, da sola, non può funzionare. La direzione deve essere quella del miglioramento continuo per l’inclusività, sulla base di riflessioni condivise che rimandano al processo di autovalutazione e alla riprogettazione funzionale alle esigenze reali, anche in considerazione delle risorse professionali e di esperienze, tutte, presenti nella scuola, in famiglia, nel contesto sociale, negli altri Enti/Istituzioni.

BIBLIOGRAFIA

Feuerstein R., Non accettarmi come sono, RCS Libri e Grandi Opere S.p.A, Milano;
Watzlawitch P., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1971; Agenda Globale Onu per lo sviluppo sostenibile 2030;
Decreto Ministero Istruzione,29/12/2020 n. 182 e Linee Guida;
Austin J. L., Come fare cose con le parole, Marietti Editore, Bologna 2020
Bruner J., La cultura dell’educazione: nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano1997.

Bianchi alla prova varianti Il Cts: scuole a rischio stop

da Il Messaggero

L’ultimo caso che preoccupa è al liceo classico di Forlì: 31 positivi, verifiche in corso perché probabilmente c’entra la variante inglese. Più in generale, l’Istituto superiore di sanità, su richiesta del Ministero della Salute, sta svolgendo una indagine per capire in quale percentuale, nei numerosi focolai scolastici sparsi in tutta Italia, la positività sia collegabile alla variante inglese. I primi riscontri, incrociati con i dati della Cabina di regia sull’abbassamento marcato dell’età media dei positivi, dicono che la variante inglese contagia più facilmente anche i ragazzini delle medie e delle elementari. Non sono rassicuranti. Anche il Comitato tecnico scientifico, a partire dal coordinatore, Agostino Miozzo, che pure è sempre stato un sostenitore della necessità di riaprire a tutti i costi le scuole, ora frena.

CRISI

Lo spiega Fabio Ciciliano, anche lui componente del Cts: «C’è preoccupazione, soprattutto per la fascia di età scolastica 0-9 anni, in cui già si è visto un incremento della trasmissibilità. Le scuole devono essere la priorità, le ultime a chiudere, ma se l’incremento numerico dei contagi sarà tale da mettere in crisi l’intero Paese per quanto riguarda la sostenibilità del sistema sanitario, una valutazione andrà fatta. Sempre nell’attesa che la campagna vaccinale arrivi a un punto tale da metterci in sicurezza». Anche nelle ultime ore si è allungata la lista dei focolai nelle scuole: ad esempio, nella Capitale casi sono stati segnalati al Prenestino, in un’elementare di San Lorenzo e in un asilo dei Parioli. Non va meglio alle superiori, come dimostra la vicenda del Liceo di Forlì, con 31 positivi e otto classi in quarantena (altri sei contagiati nelle scuole elementari della vicina Forlimpopoli). Conferma la dottoressa Raffaella Angelini, direttrice Sanità pubblica dell’Ausl Romagna: «Stiamo constatando che sta diminuendo in modo marcato l’età media dei contagiati». Si parte da questo scenario, per parlare di scuola. E ieri il neoministro alla Pubblica istruzione, Patrizio Bianchi, ai giornalisti che chiedevano se si punti a un ritorno di tutte le lezioni in presenza ha spiegato: «Lavoriamo per riaprire tutte le scuole». Ma tra i progetti e la realtà, ci sono di mezzo le varianti che hanno colpito duramente le province di Perugia, Chieti e Pescara e che stanno viaggiando velocemente anche in Lombardia. Qual è il piano di Bianchi e di Draghi? Servono vaccini e tamponi. La necessità di somministrare il vaccino anti Covid al personale scolastico nasce dall’esigenza di mettere in sicurezza una categoria a rischio, spesso in una fascia d’età delicata visto che i docenti e l’intero personale scolastico hanno in media 51 anni, tra i più anziani d’Europa. Bisognerà capire come procedere. Intanto arrivano le prime prenotazioni. In Toscana sta partendo la vaccinazione dei docenti sotto i 55 anni e in Emilia-Romagna sono state raccolte le prime adesioni tra i docenti ad alta priorità, quindi con patologie a rischio. Domani si parte in Piemonte mentre dalla Regione Friuli-Venezia Giulia sono già state inviate le lettere per il personale delle scuole e delle università. Sul fronte dei tamponi il premier vuole velocizzare le procedure. L’idea è quella di portare dei corner dedicati all’interno degli istituti. Si tratta di un intervento chiesto da tempo dal mondo della scuola, i sindacati e le associazioni dei dirigenti scolastici avevano individuato questo aspetto come indispensabile per la ripartenza. Effettuare lo screenig a tappeto sugli studenti eviterebbe, in caso di un positivo a scuola, di dover mettere in quarantene lunghissime intere classi e lasciarle in attesa di un tampone e del suo esito a causa dei ritardi delle Asl. Perdendo così inutilmente troppi giorni di scuola.

RECUPERO

La questione del recupero è più che mai aperta tanto che si fa strada l’idea di prolungare il calendario scolastico e potrebbero essere le singole regioni, in base alle necessità, a decidere come muoversi. La Rete degli studenti medi fa appello a Draghi e, su questioni così delicate, chiede di essere ascoltata: «Serve un cambio di rotta». Non sarà comunque semplice allungare il calendario, sia per l’opposizione subito avanzata dai sindacati sia perché nella seconda metà di giugno e fino a luglio ci sono gli esami di maturità. Altra questione aperta: ci sarà un maxi orale, come lo scorso anno, ma per poter svolgere almeno una prova scritta è necessario mettere a punto le norme di sicurezza fin da ora. Anche perché, se lo scritto si farà, gli studenti dell’ultimo anno delle superiori e i loro docenti devono saperlo per tempo, per avviare esercitazioni in classe o anche solo simulazioni online.
Mauro Evangelisti
Lorena Loiacono


Una scuola che guarda al futuro. Pubblicato il documento del Comitato di esperti coordinato dall’attuale Ministro

da La Tecnica della Scuola

Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro è il titolo del Rapporto conclusivo consegnato fin dal luglio scorso dal Comitato dei 18 esperti istituito dalla ex ministra Azzolina e coordinato dall’attuale ministro Patrizio Bianchi.

Il documento, che è stato pubblicato oggi 13 febbraio, è particolarmente ampio (150 pagine) e contiene analisi, riflessioni e proposte operative sulle più svariate tematiche.
Nella premessa vengono sintetizzate le 7 proposte più significative

  1. Una scuola aperta a tutti ha come priorità l’attenzione al tema della fragilità e ai bisogni delle persone, a partire dagli alunni disabili, la cui presenza deve costituire un’opportunità di arricchimento per tutti, studenti e docenti.

2. Il contesto macroeconomico, in cui si colloca la vicenda SARS-Covid-19 si caratterizza per una profonda trasformazione economica e sociale, fortemente segnata dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione degli scambi e delle comunicazioni.

3. Lo sviluppo delle nuove competenze richiede, in primo luogo, di porre attenzione alla promozione della cultura matematica e scientifica (STEM), in stretta collaborazione con la cultura umanistica.

4. ll Rapporto pone al suo centro il tema di una “autonomia responsabile”, intesa come leva per poter aprire la scuola al territorio, estendendo a tutto il Paese le tante esperienze già presenti nelle diverse realtà territoriali. I “Patti educativi di comunità”, già sperimentati con successo in molte realtà territoriali, possono diventare uno degli strumenti chiave in tale direzione.

5. Gli ambienti di apprendimento della nuova scuola richiedono un profondo ripensamento degli spazi educativi in cui i bambini, i ragazzi e gli adolescenti debbono crescere. Bisogna superare l’immagine di una aula come spazio chiuso ed obbligato, per approdare verso architetture più flessibili e tali da rispondere a bisogni educativi che possono mutare nel tempo.

6. Una scuola capace di integrare il diritto alla salute e quello all’educazione il Covid ha imposto una nuova attenzione alla salute pubblica, sollecitando più spazio alla educazione alla salute e al benessere. Ciò prevede l’introduzione nella scuola, in termini permanenti e sistematici, di contenuti e di figure professionali specializzate come ad ed esempio quella di un medico referente per ciascun istituto.

7. Per corrispondere a queste complesse esigenze, è necessario un forte investimento nella formazione e nel reclutamento del personale della scuola, in particolare dei docenti, la cui funzione deve diventare socialmente più “attrattiva”. Si devono assicurare, innanzitutto, le basi culturali e disciplinari, pedagogico-didattiche, psicologiche e gestionali necessarie al superamento proprio dei paradigmi didattici e degli schemi organizzativi ereditati dal passato.

Bianchi nuovo ministro, un nome che dice molto

da La Tecnica della Scuola

Patrizio Bianchi oltre alla cattedra di economia applicata all’università di Ferrara è infatti titolare di un altro insegnamento, la Cattedra Unesco, così chiamata, in Educazione, crescita ed eguaglianza, sempre a Ferrara.Non solo. Ma al suo attivo troviamo anche una esperienza concreta, lunga dieci anni, di assessore regionale alla formazione della regione Emilia Romagna, fino ad un anno fa. Per non dimenticare, infine, il ruolo di coordinatore del Comitato per il rilancio della scuola istituito in seno al Miur lo scorso anno.

Un ministro, come si può notare, competente, di alto profilo, chiamato a ricoprire, assieme agli altri tecnici chiamati da Draghi, una delle caselle più importanti di questo nuovo governo. Il neo ministro ha condensato tutta la sua esperienza, di studioso e di animatore culturale, in un libretto, uscito nell’ottobre scorso per i tipi della Laterza col titolo “Nello specchio della scuola“, confermando che “sul sistema educativo si riflette l’immagine del Paese”, convinto che “è nella formazione che si gioca il nostro sviluppo futuro”.

Invito tutti a leggere questo libretto, perché vi troviamo condensate le questioni più dibattute sul nostro sistema formativo, sapendo che, al dunque, la grave crisi causata dalla pandemia deve dare a tutti lo slancio per quella rivisitazione del nostro modello scolastico che è imprescindibile per il futuro delle nuove generazioni e del nostro sistema Paese.
In sette agili capitoletti ritroviamo, dunque, una disamina del nostro mondo della scuola, con i suoi valori e con i suoi limiti. Non cerco di riassumere a sommi capi i passaggi e le annotazioni, per lasciare ad ognuno il gusto dell’analisi proposta, con sguardi comparativi con altri Paesi e sapendo le potenzialità ed energie positive che sono comunque presenti nelle nostre scuole e a livello sociale.

Valori e limiti, dunque, consapevoli dei nuovi contesti che si sono già aperti come delle “nuove povertà educative”, delle nuove disuguaglianze, delle nuove fragilità. Ribadito, a più non posso, che sono le persone, cioè i nostri bambini ed i nostri ragazzi, il cuore della scuola, e non le strutture, per cui tutti, a partire dai presidi, dai docenti e dal personale, sono al loro “servizio”, si tratta ora di rivedere proprio il significato, in rapporto ai tempi, di questo “servizio pubblico”. In un nesso palpabile, verificabile, concreto con le comunità locali, e non più autoreferenziali.

Perché le scuole sono scuole delle comunità locali, inteso lo Stato in senso diffusivo e non come mera struttura gerarchica. Qui Patrizio Bianchi poteva spingersi oltre, sapendo le criticità del modello centralistico ministeriale, compresi gli organi collegiali fermi ancora agli anni settanta. Ma le sue analisi sono una premessa per quell’oltre oggi indispensabile. Egli si sofferma sul valore positivo, innovativo, dell’autonomia scolastica, come è stata pensata negli anni novanta, e poi, lentamente, negata nei fatti, ridotte le istituzioni scolastiche a mere strutture periferiche della burocrazia ministeriale, contro la stessa legge.

Questa riduzione la ritroviamo, ad esempio, nei profili dei dirigenti scolastici previsti dai bandi di concorso, con risultati che hanno privilegiato più le variabili burocratiche che quelle del coordinatore culturale e dell’animatore pedagogico. Questo la dice lunga su quanta strada vi sia ancora da compiere tutti assieme per rendere il mondo della formazione un servizio flessibile, efficace, verificabile a livello sociale, aspetti essenziali nelle nostre comunità locali. Uno dei meriti di Bianchi, in questo libretto, è la forte rivendicazione della originalità degli ITS, cioè degli istituti tecnici superiori, grande opportunità formativa post diploma non universitaria, per offrire alle multi intelligenze dei nostri giovani una realtà opportunità formativa non-astratta, non teorica, non lontana da tante passioni, sensibilità, attitudini, combattendo così nel concreto la dispersione e quel disincanto che porta tanti ragazzi a non tentare più la strada della qualificazione (Neet).

Se noi ci fermiamo un attimo, ad esempio, a considerare che ancora oggi il 45% dei giovani, alla fine dello loro percorso di studio, alla precisa domanda se rifarebbero la scelta di scuola superiore, rispondono in modo negativo, abbiamo la precisa conferma, ad esempio, del fallimento dell’orientamento scolastico, perchè sono troppi gli studenti liceali, mentre i percorsi tecnici e professionali non devono più essere considerati di seconda serie. Compresa, al dunque, come in altri Paesi a noi vicini, la constatazione che l’affidamento esclusivo alla famiglia della scelta di scuola superiore è opzione oggi da rivedere. Del resto, non è più accettabile che solo alcune materie siano considerate “culturali” a scapito di altre, perché, se fatte bene, tutte le discipline, tutti gli indirizzi sono culturalmente significativi.

Centralità dello studente, secondo le diverse forme di intelligenza, ed aperti a tutte le opzioni della vita, in primis a quelle che offrono il mondo del lavoro. Quante forme di disallineamento tra formazione e lavoro continuiamo a riscontrare, quanti destini di vita bruciati sugli errori dell’orientamento!”Il Covid 19, precisa Bianchi, rischia di riportarci indietro”.Questo, dunque, il compito che spetta al neo ministro, perché, sono sempre le sue parole, “la riapertura delle scuole deve andare oltre i temi della salute pubblica”. Insomma, dobbiamo “evitare che l’emergenza diventi l’unico collante del Paese”, per chiederci invece “quale Paese vogliamo per noi e per i nostri figli”.

Azzolina se ne va: ho dato tutta me stessa, per la scuola investimenti mai fatti prima, auguri a Bianchi

da La Tecnica della Scuola

In questi 13 mesi ho dato tutta me stessa, mettendo al centro di ogni pensiero sempre e solo gli studenti. È questo il senso del commiato della ministra uscente dell’Istruzione Lucia Azzolina.

Non mi sono risparmiata

“Ho giurato – dice Azzolina su fb – come Ministra dell’Istruzione il 10 gennaio 2020. Poche settimane dopo la pandemia ci ha travolto e l’ordinaria amministrazione si è trasformata in gestione di un’emergenza senza precedenti. Ho dato tutta me stessa, senza mai risparmiarmi. Insieme al mio staff, all’amministrazione, centrale e periferica del MI, a tutti coloro che in questi mesi hanno dato un contributo. Ho messo, come ogni Ministro dovrebbe fare, studentesse e studenti al centro di ogni pensiero”.

La scuola ferita

“Sono stata accompagnata da una comunità scolastica ferita, ma che ha saputo reagire con grande dignità ad una stagione durissima – aggiunge – Voglio ringraziare tutti. Davvero tutte e tutti. Auguro buon lavoro al nuovo Ministro. La crisi di Governo ha dilatato i tempi e costretto a rinviare alcune scadenze, diventate a questo punto urgenti. Fra tutte, la questione degli Esami di Stato. Lascio sul tavolo una proposta che prevede continuità con la formula dello scorso anno, maturata dopo un fitto dialogo e un proficuo ascolto portati avanti in queste settimane con studenti, famiglie, docenti”.

La pandemia ha reso tutto difficile

Il suo mandato a viale Trastevere è stato contrassegnato dal Covid. “L’emergenza, che stiamo ancora fronteggiando, ha spazzato via le certezze e messo a nudo tutte le debolezze di un sistema che per anni è stato bistrattato, ma ha anche finalmente proiettato la scuola al centro delle priorità, con investimenti mai fatti prima. E del dibattito, che mi auguro possa essere più costruttivo e possibilmente lontano dall’arena politica”.

“Da oggi si volta pagina – conclude Azzolina – Avrò tempo e modo per raccontare a fondo l’esperienza di questi mesi. Torno in Parlamento a fare la mia parte con onore e disciplina, a testa alta e con la scuola nel cuore”.

Patrizio Bianchi sulla dispersione scolastica: non uno di meno. Poi sicurezza e assunzioni

da La Tecnica della Scuola

Non uno di meno, l’espressione che fa da titolo al film Leone d’oro al Festival di Venezia, annata 1999, potrebbe diventare uno dei pilastri della ripartenza della scuola per il neoeletto Ministro all’Istruzione Patrizio Bianchi, che da subito richiama l’attenzione sul problema della dispersione scolastica.

Lotta alla dispersione scolastica

“La scuola deve tornare nel cuore di tutti, soprattutto di chi non va a scuola,” è tra le prime dichiarazioni di Bianchi, che evidentemente ha chiaro il fenomeno della dispersione scolastica, degli abbandoni e delle nuove disuguaglianze conseguenti all’uso, necessario ma critico, della didattica a distanza, soprattutto nella prima fase della pandemia, quando le carenze sul fronte tecnologia e connessioni erano evidenti nel Paese, tali da lasciare indietro le fasce deboli, indigenti, socialmente arretrate della popolazione scolastica italiana. Un dramma cui bisognerà rimediare sin dai primi atti ufficiali del nuovo Ministero.

Sicurezza

E ricorda anche la propria esperienza nella ricostruzione delle scuole post terremoto, il nuovo Ministro dell’Istruzione Bianchi, che nelle due Presidenze Errani e Bonaccini dell’Emilia Romagna, da assessore all’Istruzione, aveva dovuto fare i conti con la sicurezza degli edifici, altra criticità del sistema, sulla quale il neoincaricato dovrà intervenire.

Non a caso, come scrive Repubblica, il Ministro avrebbe detto: “La scuola in sicurezza a partire dalla pandemia e, a continuare, dagli edifici. L’ho imparato la notte del terremoto in Emilia. Quell’esperienza sarà il mio riferimento.”

Assunzioni

Quindi l’organico. Già nel documento presentato alla ex Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina l’estate scorsa, quando Bianchi era membro della task force sulla ripartenza della scuola, Bianchi aveva espresso la volontà di agire con urgenza sull’assunzione di 120 mila insegnanti. Tutto da capire se l’urgenza significhi procedere con un concorso per titoli, così come i sindacati avevano fortemente richiesto alla Azzolina, che preferì, lo sappiamo, il concorso per prove e merito, tuttora fermo (il concorso ordinario, per lo meno).

Un documento, quello della task force, che pare sia confluito parzialmente nel volume Nello specchio della scuola.

Nel programma di Patrizio Bianchi: autonomia solidale e più valutazione di sistema

da La Tecnica della Scuola

Nello specchio della scuola è il titolo del recente volume di Patrizio Bianchi, da oggi Ministro dell’Istruzione del Governo Draghi.
Bianchi è docente ordinario di Economia applicata e titolare della cattedra Unesco in educazione, crescita ed uguaglianza presso l’Università di Ferrara.

Il sistema educativo – sostiene Bianchi – è lo specchio del Paese e in esso si riflettono l’immagine e quindi anche i problemi e le contraddizioni della nostra società.
Il testo offre molti spunti per comprendere il pensiero del Ministro sulla scuola e per formulare qualche previsione sulle sue possibili prossime azioni.

Un capitolo è dedicato interamente all’ autonomia scolastica, tema sul quale Patrizio Bianchi mostra di avere le idee piuttosto chiare.
L’autonomia, sostiene il Ministro, va riportata alle sue origini quando venne pensata come “strumento per la progettazione e la realizzazione di un’offerta didattica che potesse rispondere ai bisogni degli studenti, tenendo insieme sia una dimensione nazionale, che doveva nello spirito della legge avere una dimensione unitaria, di garanzia e di valutazione, sia una territoriale, in cui la scuola si inseriva nella propria comunità locale, divenendone motore e riferimento per i ragazzi, le famiglie, le istituzioni, la società tutta”

E – aggiunge Bianchi – è di quella autonomia responsabile e solidale che oggi abbiamo bisogno per andare oltre l’emergenza COVID-19. Un’emergenza che, per essere affrontata, richiede responsabilità, flessibilità e semplificazione amministrativa, che dell’autonomia costituiscono i principi di base”
“Ma l’autonomia – conclude il Ministro – richiede anche e necessaria un efficace processo di valutazione che deve essere percepito dalle stesse istituzioni scolastiche come atto di responsabilità per raggiungere l’obiettivo di una autonomia solidale

Come potrebbero tradursi questi principi in azioni politiche e amministrative?

Innanzitutto dovremmo aspettarci un progressivo alleggerimento della produzione di circolari ministeriali applicative di questa o quella norma e un sempre maggior trasferimento alle istituzioni scolastiche delle decisioni relative alla gestione di organici, orari e organizzazione didattica.
L’accenno ai processi di valutazione fa pensare anche al fatto che – se il suo mandato durerà a sufficienza – il Ministro sosterrà il ruolo e i compiti dell’Invalsi accentuandone la funzione di valutazione del sistema e riducendo la rilevanza ai fini della valutazione degli apprendimenti degli alunni.

D’altra parte il Ministro ricorda che il Comitato degli esperti designato dal Ministero, e da lui stesso presieduto, già nel suo rapporto intermedio del 27 maggio 2020 aveva formulato la proposta di predisporre un piano organico per il rilancio della autonomia delle istituzioni scolastiche.