Una riforma in perfetta continuità con la scuola del centro-destra

Una riforma in perfetta continuità con la scuola del centro-destra *

di Maurizio Tiriticco

“Una società distinta in classi deve prestare attenzione speciali soltanto all’educazione dei suoi elementi dirigenti. Una società mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti dovunque essi si verifichino, deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilità. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione. Ne conseguirebbe una confusione nella quale un piccolo numero di persone si impadronirebbe dei risultati delle attività altrui cieche e dirette dall’esterno”.

John Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1949, p. 111 – Democracy and Education vide la luce a New York nel 1916 per i tipi della The Macmillan Company

 

 

Le considerazioni di De Mauro

In un recente articolo apparso sulla rivista “Internazionale” Tullio De Mauro denuncia i “tre silenzi del governo che fanno male alla scuola”. Ovviamente, il riferimento è alla legge recentemente approvata dalla Camera dei Deputati, con la quale si riorganizza l’intero impianto del nostro “Sistema educativo di istruzione e formazione” [1].

I tre silenzi, in rapida sintesi, sono i seguenti: 1) il mancato riconoscimento per ciò che la nostra scuola pubblica ha fatto dalla Liberazione e per tutta la seconda metà del secolo scorso; 2) i vincoli che la Costituzione ha posto alla scuola pubblica, che non è un pezzo qualunque dello Stato, ma un organo costituzionale a cui sono affidati precisi doveri, compiti e obiettivi; 3) la progressiva dealfabetizzazione della nostra popolazione adulta, denunciata da tutte le ricerche internazionali e non, di cui la scuola, e soprattutto quella media superiore, ha una precisa responsabilità.

Ovviamente, gli autori della Buona scuola e della legge che ne è seguita potrebbero obiettare che, anche se tali fenomeni non sono stati contemplati e opportunamente analizzati – in primo luogo nella Buona scuola, in quanto documento introduttivo all’atto legislativo – ciò dipende dal fatto che uno strumento normativo non può farsi carico di argomentazioni introduttive particolarmente mirate, e che il retroterra storico-culturale che è a monte del testo si evince dal suo impianto e dalla sua stessa lettura. E il punto è proprio questo: che emerge, invece, un retroterra che poco o nulla ha a che fare con la storia del nostro sistema scolastico e dello stesso nostro Paese. La legge della Buona scuola intende innovare a tal punto da rompere addirittura con una tradizione che non possiamo assolutamente disconoscere né addirittura stravolgere. In effetti, la legge prefigura una scuola – o, se si vuole, un sistema di istruzione – che è altra cosa rispetto a una consolidata tradizione. Innovare è necessario. Stravolgere è pericoloso.

Ovviamente è lungi da me il pensare che la nostra scuola non necessiti di un profondo riordino: e un riordino che, del resto, viene da lontano. Per essere più precisi, occorre partire da quanto è accaduto alla fine del secolo scorso. Voglio ricordare che la legge 30/2000, varata dall’allora governo di centro-sinistra con il ministro Berlinguer, e in seguito – com’è noto – abrogata dalla legge del governo di centro-destra 53/2003, meglio nota come “riforma Moratti”, si proponeva un complessivo riordino dei cicli scolastici. Quali le ragioni? Erano essenzialmente tre: 1) permettere ai nostri giovani di uscire dall’intero sistema di istruzione a 18 anni di età, come avviene già da anni in altri Paesi dell’Unione europea e non solo, ed evitare di trattenerli “sui banchi di scuola” anche se maggiorenni; 2) adoperarsi perché i diplomi loro rilasciati non fossero più generici documenti attestanti livelli di maturità, sempre difficili da accertare, ma veri e propri certificati che dichiarassero le concrete competenze conseguite; il che avrebbe consentito di rendere leggibili i diplomi anche in contesti internazionali e soprattutto nell’ambito dell’Unione europea; 3) innalzare l’obbligo di istruzione ottonnale di almeno due anni per rispondere a una fondamentale esigenza: garantire a tutti i cittadini il conseguimento di quelle competenze di cittadinanza e culturali di base utili e necessarie per le ulteriori scelte di vita e di lavoro.

 

La necessità di un riordino dei cicli

A tal fine si poneva come necessario un complessivo riordino dei cicli: occorreva superare la frammentazione verticale e orizzontale dei gradi e degli ordini scolastici, ereditata da un lontano passato, e dar luogo a un vero e proprio sistema articolato al suo interno. Per la prima volta non si parlava più di scuole in quanto unità scolastiche, di “edifici”, ma in quanto, invece, di “istituzioni scolastiche autonome” (si vedano sia la legge 59/97 che il dpr attuativo 275/99), operanti all’interno di un progetto statuale di ampio respiro (si veda tutta la storia dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e della sua costituzionalizzazione – se si può dir così – nel novellato articolo Cost. 117 [2]). Con la legge 30/2000 per la prima volta nella nostra storia si giungeva a una visione complessiva e unitaria dell’intero Sistema educativo di istruzione e formazione.

Ma per quale ragione una legge che affrontasse in toto e ad ampio spettro l’organizzazione dell’intera scuola nazionale? E’ opportuno riflettere sul fatto che la storia della nostra scuola – fin dalla prima legge Casati – è costituita di continui e progressivi aggiustamenti, indotti dalle esigenze culturali, strumentali, socioeconomiche e lavorative che via via si andavano sviluppando nel Paese. In effetti, mancava sempre un’idea di scuola in quanto tale, con le sue finalità e la sua autonomia, in grado di rispondere ad esigenze culturali di alto livello. Le iniziative di riforma costituivano risposte sempre parziali, legate alle emergenze che via via si sviluppavano in un Paese che da fondamentalmente agricolo, frazionato da sempre nei suoi innumeri staterelli, si avviava, invece, a sviluppare settori industriali e manifatturieri nonché un settore terziario che potesse costituire l’ossatura amministrativa e finanziaria di un Paese unitario di recente istituzione: com’è noto, la proclamazione del Regno d’Italia è del 1861. Possiamo anche ricordare che solo la riforma Gentile, avviata dal 1923, si propose per la prima volta finalità e obiettivi educativi e culturali che potremmo definire totalizzanti, ma, com’è noto, solo al fine di costruire una scuola a senso unico, in grado di “produrre” uomini “ad una dimensione”, fascisti certi e fedeli, in grado di credere, obbedire e combattere.

Fu solo nell’immediato dopoguerra, dopo la parentesi della scuola fascista, che ci si rese conto che occorreva ripensare totalmente alla nostra scuola. E i Padri e le Madri Costituenti ne hanno tracciato finalità e contenuti di base, una scuola per tutti e per ciascuno e che garantisse ai capaci e ai meritevoli di raggiungere i gradi più alti degli studi (art. Cost. 34). Per l’intera seconda metà del secolo scorso ci siamo sempre adoperati, pur con governi di diversa ispirazione politica, a costruire, via via, pezzi di scuola – se mi è consentita questa espressione – che, pur cercando di rispondere alle esigenze sempre crescenti di un Paese che anno dopo anno sempre più si industrializzava e si terziarizzava, però tenesse sempre fermi i principi costituzionali che ne configurano finalità e contenuti essenziali. I “pezzi forti” di questo lungo e faticoso ma premiante percorso sono noti: l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, nel ’62; i nuovi programmi della scuola media nel ’79; quelli della scuola elementare nell’85 e nel ’90; gli Orientamenti per la scuola dell’infanzia nel ’91. Per non dire dell’impennata dell’istruzione tecnica e di quella professionale che hanno dato un notevole contributo a quel boom che nel secolo scorso ha fatto del nostro Paese uno dei primi tra quelli ad alto sviluppo. Il tutto, infine, coronato da una scelta strategica e organizzativa di primaria importanza: l’autonomia delle istituzioni scolastiche da realizzarsi nel più vasto processo autonomistico che nell’ultimo decennio del secolo scorso ha interessato l’intera organizzazione statuale del nostro Paese. Si è trattato di un processo descritto e sancito dalla stessa Costituzione repubblicana del ’47, ma di difficile realizzazione negli anni dell’immediato dopoguerra: in effetti, non era facile trasformare in breve tempo un forte regno centralizzato, costituito di sudditi “regnicoli” obbedienti, in una forte repubblica decentrata affidata all’iniziativa di cittadini responsabili.

 

I provvedimenti regressivi del centro-destra

Tutte le innovazioni che hanno interessato la nostra scuola negli ultimi decenni del secolo scorso sono state realizzate sempre nel solco dei precetti costituzionali. Il riordino complessivo avviato con le leggi del Governo di centro-sinistra alla fine degli anni ‘90, in una certa misura, tendeva a chiudere l’intera esperienza del mezzo secolo trascorso e a costruire una complessa ma articolata organizzazione scolastica.

Ma poi? Che cosa è accaduto con l’avvento del governo di centrodestra? Con la riforma Moratti si ebbe il primo avvio della costruzione di una scuola “diversa”. La definizione di “Sistema educativo di istruzione e formazione” venne mantenuta; la stessa cosa avvenne per l’autonomia. Ma ciò che cambiava profondamente erano le finalità del “nuovo” sistema, in effetti sottese e mai esplicitamente dichiarate. Tutti ricordiamo come una certa lettura della normativa sull’autonomia poteva direttamente portare alla scuola/azienda, allo studente/cliente, al preside/manager: dizioni e concetti assolutamente estranei alla visione di una scuola autenticamente ispirata ai principi costituzionali. Ebbene proprio questa visione era – ed è tuttora – sottesa all’idea che della scuola hanno le posizioni del centro-destra.

Tutti noi ricordiamo i “Piani di studio personalizzati” della legge Moratti, di fatto l’introduzione del concetto di personalizzazione con cui si moltiplicarono gli obiettivi terminali di un percorso formativo in funzione del fatto che occorreva “dare a ciascuno il suo”, ma in senso regressivo. La Moratti più volte ha ripetuto che non è l’alunno a servizio della scuola, come sarebbe sempre avvenuto nella scuola “governata dalla sinistra”, ma viceversa: la scuola al servizio dell’alunno: in altri termini, l’alunno chiede e la scuola offre. Il concetto di personalizzazione in effetti scardinava la funzione costituzionale della nostra scuola che si era da sempre ispirata, invece, al concetto di individualizzazione.

La differenza non è affatto di poco conto, perché vede e dà vita a due modelli antitetici di scuola. Nella “scuola della Costituzione”, quella che si ispira ai concetti così mirabilmente espressi negli articoli 2, 3, 9, 33, 34 e 117, è fondante il principio della individualizzazione dei processi di insegnamento/apprendimento, per cui si tengono ferme le finalità e gli obiettivi terminali, modulando invece le attività didattiche con tutte le opportune attività di recupero precoce, di sostegno, di rinforzo e quant’altro. E la teoria del curricolo e della programmazione educativa e didattica costituivano e costituiscono il fondamento di tale scelta. Con la personalizzazione, invece, si curvano obiettivi e finalità alle esigenze dell’alunno. Si rompe così l’unitarietà (non parlo di unità che è altra cosa) dei processi di insegnamento/apprendimento in funzione delle esigenze “personali” dell’alunno. E non è un caso che con le indicazioni della legge 53 si passò dalle unità didattiche, centrate sull’oggetto da apprendere, alle unità di apprendimento, curvate, invece, sul soggetto che apprende: il che comporta anche una sorta di “devoluzione” degli obiettivi, a seconda delle particolari esigenze dell’alunno. In altri termini, con tale scelta si va verso quella scuola centrata sul cliente che rinvia ai concetti della scuola azienda e del “preside manager”. Il disegno del governo di centro-destra era chiaro.

E ancora più chiaro fu il disegno del successivo governo di centro-destra, dopo la parentesi del governo Prodi. Perché con i ministri Gelmini e Tremonti i tagli alla scuola si fanno più pesanti che mai? Perché è inutile investire nella scuola, in quanto “con la cultura non si mangia”. Questi sono i concetti di fondo, anche se non esplicitamente dichiarati: l’alunno che va avanti, procede per suo merito: chi resta indietro, si arrangi. Perché si ritorna al voto nella scuola dell’obbligo? Perché il voto separa nettamente il “bene” dal “male”: il giudizio, invece, è un insieme di parole che “non dicono nulla”! E non serve a una scuola che intende tornare alla selezione di sempre, o meglio a quella scuola che include i cosiddetti migliori ed esclude i cosiddetti peggiori.

 

Una Buona scuola che non affronta le carenze emergenti

L’excursus che ho condotto sin qui costituisce una chiave di lettura della Buona scuola e della legge che ne è seguita. La Buona scuola non è nata per caso. In tempi non lontani, se si trattava di pensare in grande, rivedere programmi di studio, definire contenuti disciplinari, addirittura proporre testi di riforma, Il Ministero istituiva commissioni di studio e di lavoro a cui partecipavano esperti di ogni estrazione politica e culturale. E nessun ministro in carica, anche il più fervente DC, avrebbe mai pensato di avanzare una proposta così impegnativa, come una legge di riordino è, scavalcando le istanze che istituzionalmente si occupano di scuola e di insegnamento. Renzi nel discorso di investitura aveva tenuto un discorso ricco di accenni e di indicazioni concrete sul problema della scuola: un discorso che mai altri presidenti del consiglio avevano tenuto! Ricco di spunti e indicatore di una Buona volontà di mettere le mani a un riordino. E di un riordino abbiamo assolutamente bisogno! Ma di quale riordino? Quello dei cicli, in prima battuta, cosa che aveva già tentato Berlinguer, spinto da una oggettiva necessità. E quello della didattica che implica l’avvio di un rapporto totalmente nuovo tra disciplina e conoscenza, tra docente e alunno al fine di superare la triade di sempre: lezione cattedratica, compiti a casa, interrogazione. Le iniziative innovative in tal senso non mancano [3] e non necessitano quindi la Buona scuola e la legge che ne è seguita perché un rinnovamento radicale e reale si possa produrre nel nostro Sistema di istruzione.

E a questo punto, ritorno a quanto ci dice Tullio De Mauro. Ci troviamo a dover applicare una legge piovuta non si sa né da dove né da che cosa né da chi, e che non si innesta sul solco di quelle innovazioni che nella seconda metà del secolo scorso hanno consentito di costruire una scuola conforme al dettato costituzionale. Ci troviamo di fronte a una legge che difficilmente potrà portare a qualcosa di Buono! Si tratta di una legge che non mette in discussione cicli ormai asfittici e chiusi in se stessi e che non accenna affatto alla necessità di un loro riordino.

Abbiamo un percorso obbligatorio di dieci anni che si sviluppa lungo tre segmenti, primaria, media e primo biennio secondario. Ma si tratta di un percorso fantasma, spezzettato in tre gradi, ciascuno a suo modo referenziale e centrato solo su se stesso. Purtroppo esiste ancora la scuola “elementare” delle “maestre”, la scuola media delle “professoresse” – nonostante gli istituti comprensivi verticali – e un primo biennio dei “professori”. I primi due gradi si concludono con una supposta certificazione delle competenze che, riguardando bambini di 11 e adolescenti di 14 anni, costituiscono solo faticose e inutili operazioni degli insegnanti che nessuno tiene nel debito conto, perché in effetti il loro valore educativo e legale è nullo. E poi, quando al termine del biennio decennale si dovrebbero certificare competenze vere, di sedicenni, che poi coincidono anche con quelle di cui al secondo livello del Quadro europeo delle qualifiche [4], non accade assolutamente nulla, se non una semplice trascrizione dal voto a un sintetico giudizio verbale… che nessuno legge e che a nessuno serve! Comunque, la forma, il vuoto adempimento normativo – di cui ai dm 139/2007 e 9/2010 – sono soddisfatti!

Ma non finisce qui. Quest’anno 2015 è andato a regime il riordino degli istituti secondari superiori avviato dal ministro Gelmini nel 2010. Ebbene sia nelle Indicazioni nazionali dei licei che nelle Linee guida degli istituti tecnici e professionali soni individuate e descritte – nelle Indicazioni, comunque, in modo più sfumato – le competenze finali da certificare. La legge di riforma dell’esame di maturità, fin dal suo varo – siamo nel 1997 – prevede che al termine dei percorsi vengano certificate le competenze acquisite dai candidati. E’ successo qualcosa? Assolutamente no! Semplicemente il Miur non è in grado, in 18 anni, di adempiere alle leggi e ai provvedimenti che in molti casi esso stesso si è dato. E il che non consente ai nostri studenti di disporre di un diploma che attesti con chiarezza in Italia e in qualsiasi Paese dell’Unione europea che cosa veramente “sa fare”. Eppure il modello di certificazione che certifica il nulla è scritto in cinque lingue! Il moloch della forma è salvo!

 

La Buona scuola non è nata per caso

Si tratta di semplici accenni a problemi macroscopici che da anni ci portiamo dietro e che non riusciamo a risolvere. Eravamo in molti a pensare che, con i provvedimenti annunciati da Renzi, si mettesse mano a queste problematiche annose. Invece, no! Dal cappello dell’illusionista è uscita la Buona la scuola! Chi l’ha scritta? Mistero! Nessuno specialista del settore! E da un secondo cappello è uscita la legge. Chi l’ha scritta? Mistero! Chi l’ha difesa? Il ministro Giannini, solo con qualche cenno di assenso ogni tanto – mai un discorso organico e articolato sulla legge – e due o tre onorevoli che poco o nulla sanno realmente e concretamente di scuola. Viene il sospetto che a scrivere questo testo siano stati specialisti di organizzazioni “altre” rispetto a quelle che caratterizzano la nostra scuola e i nostri istituti universitari.

In effetti, nulla nasce a caso. C’era un disegno da riprendere, da portare avanti e da concludere, quello dell’autonomia, ma in chiave centro-destra, cioè dell’autonomia che consente l’aprirsi a ventaglio delle offerte più disparate e, soprattutto, più differenziate. Il motto della “Scuola buona”, quella della Costituzione indica da sempre: una scuola per tutti e per ciascuno e, soprattutto una scuola che permetta a ciascuno di raggiungere quel “successo formativo” che concettualmente è scritto nella Costituzione e formalmente nell’articolo 1 del dpr 275/99. Il motto della “Buona scuola” è un altro… detto in soldoni: armatevi e partite! Datevi da fare e vinca il migliore! Sono previsti un sacco di soldi, questo è vero, anche se pensiamo alle ristrettezze a cui le dissennate politiche del risparmio sempre e comunque ha condotto le scuole a rendere obbligatori i contributi volontari delle famiglie.

Così, la grande kermesse ha inizio! La gara è aperta! I presidi – pardon, i dirigenti scolastici – cosiddetti migliori, i più intraprendenti, i più scaltri faranno incetta nei mercatini provinciali degli insegnanti. Saranno dei veri manager, non paventati, come si temeva, ma anzi sollecitati da qualche dollaro in più, i quali troveranno appoggi, sostegni e denaro per costruire progetti triennali che più belli non si può! Il mercato è l’anima nuova che illumina e guida tutte le attività, quindi anche quelle delle scuole. E gli insegnanti migliori non saranno più i più alti in graduatoria per titoli di studio ed esperienza professionale, ma quelli che “servono” a quel progetto triennale. E ogni scuola sarà diversa dall’altra, come vogliono le normali leggi del mercato. Avremo senz’altro Scuole migliori, ma… non avremo una Scuola migliore. Ne conseguirà oggettivamente – per la mera legge di mercato – che avremo scuole migliori e scuole peggiori. Di conseguenza, avremo dirigenti, insegnanti e scuole migliori, da premiare e gratificare! E dirigenti, insegnanti e scuole peggiori da lasciare indietro.

 

Un attacco alla scuola della Costituzione che occorre respingere

Ha inizio a mio vedere un attacco alla scuola pubblica, alla scuola della Costituzione. Si fanno largo istanze diverse, avanzate in parte da Confindustria, in parte da Treellle, in parte dalla Fondazione Agnelli: istituti di ricerca di tutto rispetto, ma orientati più alle concrete esigenze del mercato che non a quelle del singolo cittadino. A monte c’è una considerazione di questo tipo: l’istruzione della Costituzione, garantita a tutti, è estremamente impegnativa. In un mondo sempre più globalizzato, in cui in cui le leggi esplicite del mercato – e del danaro, purtroppo – si fanno sempre più forti rispetto alle leggi implicite di una convivenza democratica di cittadini che debbono godere di pari opportunità e di pari diritti, l’esplicito materiale si impone sull’implicito civile. Domandiamoci anche il perché di queste insistenza, da anni sempre più ossessiva, sulla valutazione delle scuole, dei dirigenti, degli insegnanti. Perché questa esigenza nasce oggi e non è nata quando abbiamo fatto le grandi riforme dal dopoguerra fino agli anni Novanta? Non dovevamo distribuire premi e punizioni, ma sollecitare tutti a fare al meglio il proprio dovere. Non si erogavano premi, ma anno dopo anno si innalzava la cultura degli italiani, e anche il loro benessere: il boom degli anni Cinquanta. Per non dire di quelle “150 ore” con cui abbiamo permesso a un alto numero di adulti di acquisire quelle competenze di leggere, scrivere e far di conto che una società ingiusta aveva loro negato.

Ovviamente, i tempi sono cambiati e le competenze civili e culturali di base si sono notevolmente innalzate. Però – di qui la denuncia di Tullio De Mauro – i nostri adulti non brillano affatto in quanto a competenze di base di literacy. E non solo: i numeri dei nostri diplomati e dei nostri laureati sono tra i più bassi di Europa. Il che significa che negli ultimi anni siamo venuti man mano perdendo i vantaggi che tanto faticosamente avevamo conquistato con l’avvio della Scuola della Costituzione.

Tutto ciò comporta l’assoluta necessità di rimetter mano alla scuola, se si vuole veramente garantire a ciascuno di raggiungere quel “successo formativo”, che abbiamo già ricordato, di cui all’articolo primo del dpr che regola l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Ma la legge 107 non si propone finalità di questo tipo, di raggiungere, cioè tutti e ciascuno e garantire un vero salto qualitativo per quanto riguarda la cultura e le competenze di base di tutti i cittadini, non uno di meno. Perseguire e premiare l’eccellenza significa prevedere e tollerare la mediocrità. Di fatto, per altro, questa tolleranza è in atto da almeno un quindicennio, da quando, con le dissennate riforme avviate e consolidate dal centro-destra e con una visione distorta dell’autonomia di ciascuna istituzione scolastica, il livello di efficienza e di efficacia di molte scuole è venuto sempre più peggiorando.

La legge 107 legittima questa situazione, invece di sanarla, anzi la esaspera. Per tutte queste ragioni gli operatori scolastici tutti, dal prossimo settembre dovranno impegnarsi perché gli effetti dannosi che la legge di fatto provocherà siano contenuti al minimo. E in parallelo, dobbiamo riprendere tutti le redini perché la Scuola della Repubblica sia anvora e sempre quello strumento di crescita e di sviluppo per tutti e per ciascuno come dettato dalla Costituzione.

 

Per eventuali approfondimenti sui temi trattati si vedano, dello stesso autore, reperibili sul web in “tiriticcheide”, i seguenti articoli:

  • Settembre 2015: parte la scuola “altra”
  • Per una scuola a dimensione europea
  • La goccia che fa traboccare… l’urna
  • Ritornare alla scuola della Costituzione, di tutti e di ciascuno
  • Morin, Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l’educazione
  • L’esame di Stato… e la scadenza del 2015!
  • Ho fatto un sogno!
  • La scuola come quarto potere costituzionale
  • La Buona scuola: l’ottimismo della ragione non è di casa
  • La Scuola che non c’è e non ci sarà
  • Verso un esame di Stato… incompetente!
  • Caro Luigi! Mai più margaritas ante porcos!

 

* Pubblicato sul numero di agosto 2015 della rivista “Valori”


 

[1] E’ la definizione che si ritrova sia nella legge 30/2000 (Berlinguer) che nella legge 53/2003 (Moratti). Nell’attuale legge di riforma 13 luglio 2025, n. 107 si ritrova l’espressione ”Sistema nazionale di istruzione e formazione”. In ogni caso, il sostantivo istruzione indica le attività di competenza della scuola statale e paritaria; il sostantivo formazione indica le attività dell’istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni.

[2] Si veda la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 concernente “Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione”.

[3] Chi legge, può facilmente trovare sul web quali tipologie di didattica innovativa già è in atto in alcuni istituti italiani, quali: Il “Pacioli” di Crema, il “Fermi” di Mantova, il “Volta” di Perugia, il “Savoia Benincasa” di Ancona, il “Majorana” di Brindisi, il “Marco Polo di Bari. Si tratta di innovazioni in atto da anni in regime di autonomia e, come si suol dire, a normativa vigente.

[4] Si veda la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio europeo del 23 aprile 2008, concernente l’European Qualifications Frameworh, Quadro europeo delle Qualifiche. Si veda anche la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio europeo del 18 dicembre 2006, concernente le competenze chiave di cittadinanza per l’apprendimento permanente. Con la prima si indicano competenze culturali e professionali, distribuite in 8 livelli, dal primo, relativo agli apprendimenti di base, all’ultimo, relativo alle alte specializzazioni. Si tratta di livelli a cui sono tenuti a uniformarsi tutti i sistemi scolastici dei 28 Paesi dell’Unione europea. Con la seconda si indicano quelle competenze di cittadinanza a cui ogni sistema scolastico dell’Unione deve tendere e uniformarsi. Sono provvedimenti che tendono a indicare ai sistemi scolastici di istruzione generalista e di formazione professionale obiettivi e finalità comuni e condivisibili da parte di ciascun Paese membro.

Formazione: possibili nuovi licenziamenti

Formazione, UGL:
“Con Avviso 1/2015 possibili nuovi licenziamenti”
(dall’Agenzia ITALPRESS)
“Pur apprezzando lo sforzo di metter in carreggiata uno strumento di garanzia del servizio di natura pubblica erogato e di continuità lavorativa, non ci convince il contenuto dell’Avviso 1 del 2015, pubblicato dall’assessorato alla formazione professionale alla vigilia di ferragosto. Non ci convince la ‘ratio’ dell’Avviso che concepito per garantire i lavoratori dell’Albo regionale della Formazione professionale finisce invece per alimentare possibili nuovi licenziamenti”.
A sostenerlo il Segretario Generale dell’ Ugl Scuola, Giuseppe Mascolo, commentando il contenuto del Decreto dirigenziale ‘Interventi in favore della crescita e dell’occupazione’ che prevede la presentazione di operazioni formative per il rafforzamento dell’occupabilità della popolazione siciliana in età lavorativa a valere su risorse PO-FSE 2014-2020.
“Il criterio di ripartizione delle risorse per numero di dipendenti in organico, in stile dichiarazione dei redditi è singolare visto che non è riscontrabile in altre parti della Penisola – continua Mascolo – costituisce un metodo che appare materialistico, freddo e senza anima che rischia di generare un supplemento di espulsioni che appesantirebbero oltre ogni limite la già conclamata emergenza sociale”.
Per l’Ugl Scuola i dubbi sul contenuto del citato Avviso 1/2015 trovano conferma sul fatto che non vi è “nessun riferimento alla tutela e salvaguardia del personale inserito nell’albo dei formatori, recentemente istituito dallo stesso assessorato. Si parla di lavoratori genericamente lasciando pensare alla pericolosa sfumatura che chiunque possa candidarsi, ottenere un finanziamento e utilizzare il proprio personale, penalizzando gli operatori della Formazione professionale in esubero ed in attesa di essere ricollocati con le nuove attività formative. Così come nessuna indicazione riscontriamo – prosegue il Segretario Generale dell’Ugl Scuola – circa l’eleggibilità della spesa, cioè la data a partire dalla quale è possibile imputare i costi del personale, compresa la gestione dei corsi che conferma la confusione insita nel bando”.
L’Ugl Scuola esprime un giudizio “negativo” sulla previsione contenuta nel richiamato Avviso n.1/2015 che in caso di riduzione degli allievi prevede pesanti diminuzioni di finanziamento senza il vincolo del sottosoglia con la quale si applicava il taglio al di sotto di 10 allievi. Con questo bando – rilancia il sindacalista – vengono applicate decurtazioni pure per il ritiro di un solo allievo con effetti che ricadranno solo sui lavoratori”.
“Altro che oltre 5 mila lavoratori impegnati attraverso il Bando – conclude Mascolo – il quadro che emerge porta a ritenere, invece, che ci si possa ritrovare con centinaia di nuovi licenziati”.

Consiglio di Stato sulla giurisdizione

Il Consiglio di Stato dà ragione all’ANIEF e bacchetta il TAR Lazio sulla giurisdizione.

 

Annullata la sentenza TAR Lazio n. 2873/2014 con cui il Tribunale Amministrativo, declinando la giurisdizione in favore del Giudice Ordinario, intendeva spogliarsi della responsabilità della decisione di merito sui ricorsi ANIEF avverso il mancato scorrimento delle graduatorie concorsuali e il mancato riconoscimento del titolo abilitante ai candidati risultati idonei. Gli Avvocati Sergio Galleano e Giovanni Rinaldi ottengono piena ragione per i nostri iscritti e la conferma che il Giudice Amministrativo deve decidere sulle controversie in cui i provvedimenti amministrativi, emanati dalle Amministrazioni nell’esercizio di un potere autoritativo, rappresentano la fonte diretta della lesione dei diritti dei ricorrenti.

 

Il TAR del Lazio ha sbagliato platealmente nel ritenere di potersi spogliare della giurisdizione sui ricorsi ANIEF: la recente sentenza ottenuta in Consiglio di Stato grazie all’intervento dei nostri legali, infatti, dà piena ragione al sindacato sulla giurisdizione del giudice amministrativo ogni qual volta sono interessati dal ricorso atti amministrativi che risultano direttamente lesivi del diritto dei ricorrenti. La sentenza evidenzia senza ombra di dubbio come i ricorrenti contestassero “proprio la decisione, assunta dall’Amministrazione nell’esercizio di un potere autoritativo, di escludere l’utilizzabilità delle graduatorie in questione per l’assunzione degli idonei” rilevando che tali atti “non vengono, quindi, in rilievo in via meramente incidentale o indiretta nell’ambito di una controversia avente ad oggetto in via principale un diritto soggettivo; al contrario, i provvedimenti amministrativi rappresentano proprio la fonte diretta della lesione lamentata dai ricorrenti”.

 

Il Consigli di Stato, dunque, accogliendo le tesi prospettate in ricorso dai legali ANIEF, rinvia al TAR la decisione di merito ribadendo che “la situazione giuridica soggettiva fatta valere dai ricorrenti è di interesse legittimo” e che “la sentenza appellata ha, dunque, erroneamente declinato la giurisdizione”. Aveva ragione l’ANIEF, quindi, e identiche prospettazioni sono attese, ora, riguardo altre decisioni emanate dal Tribunale Amministrativo per il Lazio che con fin troppa “leggerezza” ha emanato negli ultimi tempi sentenze dichiarative del difetto di giurisdizione prontamente contestate e impugnate dal nostro sindacato.

Integrazione Scuola, esodo o invasione da sud a nord? Proviamo a ragionarne seriamente

Dai dati sul numero di colleghi precari che hanno fatto domanda di assunzione emerge il fatto, peraltro abbastanza scontato, che una parte consistentissima degli aspiranti risiede al sud e che ci sarà, visto che i posti liberi sono in larga misura nel settentrione, un massiccio spostamento di colleghi da sud a nord.
La causa immediata di questa situazione è la scelta del governo di imporre ai colleghi e alle colleghe la scelta su TUTTE le province pena il depennamento dalle graduatorie. È una scelta assolutamente sbagliata e foriera di situazioni personali e professionali difficili da affrontarsi per migliaia di colleghi al punto che è legittimo il sospetto che il governo volesse in realtà spingere alla rinuncia un discreto numero colleghi.
A questo punto si scatenano polemiche, anch’esse scontate e rivendicazioni tanto legittime quanto prive di effettiva efficacia.
Sarebbe forse utile, quantomeno per evitare banalità, ricordare come si è determinata la situazione attuale e chi ne è responsabile.
Nel luglio 2001 col decreto legge n. 255/3.7.200, era ministro Letizia Moratti e governava la destra, si riconobbe al servizio prestato in qualità di insegnanti nelle scuole paritarie pari dignità rispetto a quello prestato nelle scuole pubbliche, in concreto, visto che di “dignità” non si vive, per l’ottenimento di supplenze e per le immissioni in ruolo il punteggio derivante dai due tipi di servizio fu unificato.
Si trattava con ogni evidenza di una concessione di straordinario rilievo, sia simbolico che economico, alla scuola privata che in Italia è, nelle stragrande maggioranza dei casi, gestita dalla chiesa cattolica.
Da una scelta, a nostro avviso sbagliata, sono però derivate conseguenze negative ulteriori di natura ai limiti, ed oltre i limiti, della legalità.
Infatti una serie di scuole paritarie, è bene ricordare che le scuole paritarie sono a tutti gli effetti scuole private sottoposte a limitatissimi controlli pubblici, si è specializzata nella vendita di  punteggio assumendo personale a condizioni indecenti, a stipendio ridotto e, in alcuni casi, senza stipendio in cambio dell’ottenimento di un punteggio spendibile in prospettiva per l’immissione in ruolo.
A questo punto è avvenuto, ma era perfettamente prevedibile che avvenisse e comunque la cosa era di dominio pubblico, che molti precari del sud, di fronte alla scelta di trasferirsi a nord con scarse  possibilità di lavoro, spese rilevanti per abitazione, viaggi ecc., si sono piegati al ricatto fornendo un personale a costo ridottissimo alle scuole paritarie delle loro località.
Si potrà obiettare che il loro comportamento è criticabile ma è ancor più criticabile il porre sullo stesso piano le responsabilità di soggetti posti in condizioni di debolezza di fronte a quelle dei proprietari delle scuole paritarie e soprattutto dei governi che hanno determinato prima e tollerato poi questa situazione.
Per completezza di informazione va detto che il ddl introdotto dal ministro Moratti era la logica conseguenza della Legge n. 62 del 10 marzo 2000, ’ Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione’, voluta fortemente dal ministro Luigi Berlinguer, membro di un governo di sinistra, e, soprattutto, che negli anni seguenti non si è posto in alcun modo mano a rimediare allo sconcio che avveniva sotto gli occhi di tutti.
Va ricordato, d’altro canto, il sostanziale silenzio dei sindacati istituzionali che su questa situazione, se si fa eccezioni di alcuni esponenti locali, non si è certo impegnato, mentre le denunce continue ed aperte del sindacalismo di base in generale e della CUB in particolare non hanno trovato molta attenzione, per usare un eufemismo.
Non è necessario molto acume per comprendere che non ci si è voluto scontrare con la potente lobby delle scuole private che in questi anni ha ottenuto sostegno diretto ed indiretto da governi nazionali e locali di diverso orientamento ma di comune opportunismo.

Se quanto sinora affermato è esatto, e ci pare difficile confutare che tale sia, va evitata l’ennesima batracomiomachia, magari fomentata da politici interessati a trovare attenzione e consenso a poco costo e vanno cercate soluzioni serie e strutturali alla situazione attuale a partire dalla riaffermazione dell’importanza della scuola pubblica anche e principalmente nella selezione del proprio personale.

Cosimo Scarinzi
Coordinatore Nazionale CUB Scuola Università Ricerca

Diari, astucci e zaini: una stangata da 1100 euro a famiglia

da La Stampa

Diari, astucci e zaini: una stangata da 1100 euro a famiglia

I costi in aumento del +1,7% rispetto allo scorso anno per il corredo scolastico

Superato Ferragosto, si inizia già a pensare al ritorno tra i banchi di scuola che, anche quest’anno, rappresenterà per le famiglie una vera e propria stangata, fino a 1.100 euro, per acquistare libri, zaini, quaderni e corredo scolastico vario per gli studenti. Negozi e supermercati di tutta Italia, spiega il Codacons, hanno già rifornito gli scaffali di tutto l’occorrente per la scuola: si va da diari e quaderni ’low cost’ a zaini e astucci griffatissimi con le marche del momento, sempre più richieste dai giovanissimi. In base alle prime stime del Codacons, il corredo scolastico comporterà quest’anno un maggior esborso del +1,7% rispetto al 2014. Una famiglia media dovrà mettere in conto una spesa annua che sfiorerà i 500 euro a studente (498,5 euro), cui va aggiunto il costo per libri di testo, altra voce che inciderà pesantemente sui portafogli delle famiglie italiane, variabile a seconda del grado di istruzione e della scuola.

Tra corredo e libri di testo, denuncia il Codacons, la spesa complessiva può raggiungere e superare i 1.100 euro a studente, una vera e propria stangata per le tasche degli italiani. Tuttavia anche sulla spesa scolastica è possibile risparmiare sensibilmente e abbattere i costi del 40% seguendo alcuni consigli utili diffusi dal Codacons. Innanzitutto, non inseguire le mode. In questi giorni tutte le televisioni stanno bombardando i vostri figli con pubblicità mirate agli acquisti necessari per la scuola. Allontanateli dalla Tv e non fatevi condizionare dal mercato pubblicitario. Non inseguendo le mode, per il corredo potreste spendere il 40% in meno, acquistando prodotti di identica qualità. Basta non comprare gli articoli legati ai personaggi dei cartoni animati o bambole famose. Nei supermercati si può arrivare a risparmiare fino al 30% rispetto alla cartolibreria. Andate con la lista dettagliata della spesa e obbligatevi a rispettarla.

In questo periodo, suggerisce il Codacons alcune catene di supermercati vendono i prodotti scolastici addirittura a prezzi stracciati: sono i cosiddetti prodotti “civetta”. Vengono venduti beni addirittura sottocosto, contando sul fatto che comunque finirete per acquistare anche tutto il resto. Approfittatene, acquistando solo i prodotti civetta. Buona idea anche rinviare gli acquisti: le scorte di quaderni e penne si possono anche comprare in un momento successivo e spesso, aspettando, si risparmia. Per le cose più tecniche, dal compasso ai dizionari, poi, è bene attendere le disposizioni dei professori, onde evitare acquisti superflui o carenti. Ben vengano, ovviamente, offerte promozionali e kit a prezzo fisso perché possono essere convenienti. Se non sono frutto di un accordo con le associazioni di consumatori, che fanno da garante, meglio confrontare comunque i prezzi e controllare la qualità del prodotto, specie per lo zaino.

Tribunale di Ferrara impone al Miur di prorogare la scadenza del 14 agosto

da La Tecnica della Scuola

Tribunale di Ferrara impone al Miur di prorogare la scadenza del 14 agosto

Parte in salita il percorso delle assunzioni per le fasi b) e c): a Ferrara il giudice del lavoro ha accolto il ricorso di una docente imponendo all’Ufficio regionale di prorogare il termine del 14 agosto per la presentazione della domanda di assunzione o, in alternativa, di accettare la domanda cartacea.
La questione sulla quale il Tribunale ha dovuto pronunciarsi riguarda una insegnante di scuola primaria che aveva conseguito il titolo prima del 2001 e che – secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato – avrebbe avuto diritto ad essere inserita nella GAE.
L’insegnante – ha osservato il giudice – non risultava inserita in graduatoria alla data del 16 luglio semplicemente perchè il Ministero, illegittimamente, non glielo aveva consentito.
E, sempre illegittimamente, il Miur non le aveva consentito di partecipare al piano di assunzioni previsto dalla legge 107.
Per evitare un “danno irreparabile” il Giudice ha quindi ordinato all’Amministrazione di accettare comunque la domanda dell’insegnante anche se prodotta dopo il 14 agosto e in modalità non telematica.
Va detto che questa è solo una decisione preliminare e bisognerà attendere la conclusione dell’esame del caso da parte del Tribunale per capire se davvero i docenti abilitati per la primaria prima del 2001 possano partecipare al piano di assunzioni.

Potrebbero mancare 7-8 mila posti al potenziamento

da tuttoscuola.com

Potrebbero mancare 7-8 mila posti al potenziamento

I posti per il potenziamento dell’organico definiti per ciascuna regione dalla Tabella 1 sono complessivamente 48.812 e dovrebbero essere coperti dai docenti GAE che hanno presentato domanda entro il 14 agosto.

Poiché di domande ne sono state presentate 71.643, teoricamente dovrebbe esserci spazio per coprire tutti quei 48.812 posti per il potenziamento, ma le cose potrebbero andare diversamente.

Le domande valide potrebbero essere poco più di 61-63 mila (non valgono per il potenziamento le domande presentate dai docenti per l’infanzia) e con quelle sono da coprire posti comuni ancora vacanti e disponibili e soprattutto posti di sostegno.

Alla fine potrebbero rimanere 40-41 mila domande utili da destinare al potenziamento, lasciando scoperti 7-8 mila posti che però per quest’anno non sono disponibili per supplenze annue o fino al termine delle attività.

Il comma 96 della legge 107 prevede, infatti, che Per il solo anno scolastico 2015/2016, detti posti non possono essere destinati alle supplenze di cui all’articolo 40, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (annuali o fino al termine delle attività), e non sono disponibili per le operazioni di mobilità, utilizzazione o assegnazione provvisoria.

Per quest’anno l’organico dell’autonomia potrebbe non funzionare a pieno regime.

Saranno, invece, coperti con supplenze annue o fino al termine delle attività i posti comuni e di sostegno rimasti vacanti, tra cui le 3.142 cattedre con classi di concorso esaurite (661 per matematica nella scuola media).

Senza considerare eventuali rinunce al posto di docenti assegnati in sedi troppo lontane, si può stimare che alla fine di tutte le procedure di nomine, dei 102.734 mila posti destinati all’assunzione ne verrebbero coperti con immissioni in ruolo al massimo 90 mila circa.

L. Gruber, Eredità

Eredità: Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo di Lilli Gruber
Rizzoli, 2012

di Mario Coviello

gruber“´Dovete sapere da dove venite, per potere andare lontano’” è quello che i genitori di Lilli Gruber hanno sempre ripetuto ai loro figli. Il romanzo ha richiesto oltre due anni di lavoro di documentazione da parte della giornalista de La7. Gli eventi storici raccontati, protagonista il Sȕdtirol, sono realmente accaduti e i personaggi sono esistiti. “Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo” è il sottotitolo del volume arricchito da una galleria di ritratti di famiglia che sintetizza il senso di questo racconto storico e romanzo autobiografico nel quale s’intreccia pubblico e privato. Partendo dalle pagine del diario della bisnonna Rosa Tiefenthaler Rizzolli (il diario si apre nel 1902 e si interrompe nel Natale del 1939) ritrovato nella grande casa avita di Pinzol “minuscolo villaggio del Sudtirolo” situato sulle alture che dominano l’Adige, l’autrice compie un viaggio nel passato per gettare una nuova luce su avvenimenti nodali e importanti. La Gruber non ha mai conosciuto la nonna “dal viso aperto e generoso, illuminato dagli occhi azzurri”, ricca possidente terriera, donna colta, una figura leggendaria all’interno del clan famigliare. Dietlinde, soprannominata Lilli, dalla sua ava ha certamente ereditato la passione per la scrittura, la tenacia e una grande curiosità intellettuale, qualità fondamentale per chi fa il giornalista. Nelle prime pagine del libro Rosa seduta allo scrittoio apre il diario rivestito di pelle marrone al quale confida i suoi pensieri più intimi. La donna prende una penna la intinge nell’inchiostro nero e con la sua bella calligrafia scrive nel suo antico corsivo tedesco contemplando gli alberi che ricoprono di un verde intenso i fianchi della montagna dove ha ancorato la sua vita. “Novembre 1918”. Il mondo di Rosa è crollato e niente sarà mai più come prima. “Si è concordato l’armistizio con l’esercito italiano” e dal 3 novembre del 1918 gli abitanti del Sȕdtirol, sudditi fedeli dell’ex Impero Austro-Ungarico, sono diventati sudditi del Regno d’Italia. Uomini e donne come Rosa, la cui terra è l’Heimat, vivono tutto ciò come un’occupazione straniera e la divisione del Tirolo è vista come un’amputazione e il distacco dall’Austria come un’ingiusta separazione dall’amata madrepatria. La popolazione non solo parla il tedesco ma è legata da sempre all’impero asburgico da secoli di storia e di cultura condivisa precisa la Gruber. Il simbolo di questa lacerazione è la garitta, una barriera di legno che viene eretta, nei giorni che seguono l’arrivo degli italiani al Brennero, attraverso la strada principale, tra l’Italia e l’Austria.Basandosi rigorosamente sulle informazioni famigliari, sulle lettere, su alcune testimonianze scritte, su libri di storia locale e documenti narrativi l’autrice ha ricostruito “alcune circostanze in modo narrativo”, sullo sfondo le rivendicazioni di una regione di cultura e tradizione tedesca, la quale dopo il crollo dell’Impero asburgico si trovò molto restia all’annessione all’Italia. La famiglia di Lilli Gruber viene quindi usata come lente attraverso cui guardare le cruciali vicende europee che vanno dall’inizio del Novecento fino alle soglie della II Guerra Mondiale. “Sono arrivati i giorni più turbolenti della guerra”.

La brutalità con cui  poche righe di un Trattato decisero il destino e cambiarono radicalmente la vita di migliaia di persone, l’assimilazione coatta, violenta, imposta alla popolazione tedesca del Sud Tirolo esercitata dal Regno d’Italia e dal Fascio attraverso divieti, persecuzioni, emarginazioni, discriminazioni ed aberranti tentativi di deprivare un’intera popolazione della propria lingua (il tedesco), tradizioni, radici, della propria Heimat mi ha lasciato esterrefatto anche per l’imbecillità e la miopia di un metodo che non poteva che accentuare le resistenze e — cosa ancora peggiore — spingere molti sudtirolesi a diventare filonazisti Indimenticabili le pagine in cui di fronte al divieto assoluto di utilizzare sia in pubblico che in privato ed anche durante le funzioni religiose la lingua tedesca viene descritta l’organizzazione di un sistema alternativo di istruzione della lingua e cultura tedesca, una vera e propria rete di “classi clandestine” (le Katakombenschulen, scuole delle catacombe) in cui maestre e maestri prestano la propria opera di insegnamento per far sì che i bambini non perdano il legame con la loro lingua madre.

“Questo non è un libro di storia. E’ un libro di memoria e di recupero di ‘ memoria familiare e culturale che mi appartiene” scrive la Gruber.Una verità semplice: il passato resiste, ma la memoria è sempre troppo corta” . E lei, Lilli Gruber, come si pone oggi di fronte a quella che comunque è una doppia appartenenza?´Ma tu ti senti più italiana o più tedesca?» è tutta la vita che me lo chiedono e non sarò mai abbastanza grata ai padri fondatori dell’Unione Europea perchè oggi posso affermare: ´Sono e mi sento cittadina d’Europa’, una soluzione che trovo perfetta. C’è però anche un’altra risposta, altrettanto vera: sono sudtirolese. E in quanto tale ho vissuto confrontandomi ogni momento, su qualunque questione, con un problema: c’era sempre un punto di vista tedesco e uno italiano su tutto. E ovviamente ognuna delle due comunità perpetuava i più vieti stereotipi sull’altra.

Lilli Gruber,nata a Bolzano, è giornalista e scrittrice. È stata prima donna a presentare un telegiornale in prima serata e dal 1988 ha seguito come inviata per la RAI tutti i principali avvenimenti internazionali. Dal 2004 al 2008 è stata parlamentare europea.  Gli ultimi suoi bestseller pubblicati con Rizzoli sono Chador (2005), America anno zero (2006), Figlie dell’Islam (2007), Streghe (2008), tutti disponibili anche in Bur, e Ritorno a Berlino (2009). Dal 2008 conduce su La7 il programma di approfondimento Otto e mezzo e, oltre ad essere stata il primo volto femminile del telegiornale Rai delle ore 20, ha seguito da inviata Rai i principali eventi internazionali, dalla caduta del Muro di Berlino, ai conflitti in Iraq. Ha viaggiato praticamente in tutto il mondo ma non hai mai dimenticato le sue radici, ben salde in Alto Adige, regione splendida e travagliata che essendo terra di confine è stata teatro di tensioni e contraddizioni.

La lotta, le assunzioni e quell’occasione mancata…

La lotta, le assunzioni e quell’occasione mancata…

di Raffaele De Leo

 

“On the labour side, all power is collective power”. Torna sempre utile ricordare l’affermazione del grande giuslavorista tedesco Otto Kahn-Freund tutte le volte che si discute sulle modalità più efficaci per difendere i diritti dei lavoratori di fronte ai sempre più frequenti attacchi che essi subiscono in questo momento storico. Parafrasando l’enunciato in modo grossolano, si può dire che il potere dei lavoratori può farsi valere solo mediante un’azione collettiva, la cui forza si basa anzitutto sul numero.

Si capisce bene come sia estremamente difficile, oggi, applicare questa asserzione ai docenti, intesi come lavoratori della scuola, oggetto di un’inedita offensiva riguardo ai loro diritti, sia che si tratti di titolari di cattedre, sia che si tratti di precari. La categoria, infatti, è da tempo caratterizzata da una crescente frammentazione e dalla progressiva perdita di spirito di coesione. Purtuttavia, gli ultimi provvedimenti di legge sembravano aver suscitato un non trascurabile sussulto di dignità, manifestatosi anche attraverso massicce adesioni alle varie iniziative di protesta. È vero che ciò non è bastato a fermare l’approvazione del DDL Buona Scuola, ma in ogni caso l’imponenza della mobilitazione ha costretto il Governo a ricorrere al voto di fiducia in Senato, rendendo molto più evidenti le responsabilità politiche dei partiti di governo e delle loro varie componenti interne, che prima o poi pagheranno il conto negli appuntamenti elettorali.

Persa la partita dell’approvazione del DDL, però, non tutto era perduto. Condivisa, da più parti, la necessità di proseguire la lotta, dal punto di vista dei docenti (“On the labour side”, appunto) la fase nazionale del piano di assunzioni, proprio per la sua natura improponibile ed irricevibile, poteva rappresentare un fronte debole su cui ‘attaccare’ l’avversario e riaprire la partita. Far fallire l’operazione mediante un massiccio boicottaggio (fatti salvi i casi di coloro per i quali si trattava oggettivamente dell’ultima occasione per entrare in ruolo) poteva voler dire giocarsi forse l’ultima occasione per mettere in discussione tutto l’impianto della Buona scuola. Rifiutando in massa (ma veramente in massa, perché “all power is collective power”) questo modello assunzionale, si sarebbe salvaguardata la futura sopravvivenza delle GaE come canale di immissione nei ruoli provinciali (o almeno regionali) e non si sarebbe creato un pericoloso precedente nel metodo di assunzione (a questo punto, chi impedisce ai signori del Ministero di ripetere l’esperimento della fase nazionale anche nelle tornate successive?).

Non potevano, però, essere i singoli docenti precari a giocarsi questa partita: messi di fronte, individualmente, ad una drammatica scelta di vita, prima che professionale, in uno spettrale contesto di mancanza di informazioni e riferimenti, intimidazioni, indicazioni contraddittorie e incertezze su tutti i fronti, essi sono stati costretti a ragionare sul futuro proprio e delle proprie famiglie, digerendo in nome di questa preoccupazione l’ennesimo affronto alla loro dignità di professionisti. Gli unici soggetti che avevano, in qualche modo, titolo e strumenti per organizzare il fronte dei precari con un buon grado di coesione erano i sindacati, che in questi torridi mesi estivi sono stati presi d’assalto (come forse non accadeva da tempo) dai docenti precari per avere indicazioni di ogni sorta. Dovendo scegliere tra l’atteggiamento prudente, ma rassegnato, del padre di famiglia (“Figliolo, ascolta chi ne ha viste più di te, fai domanda! Non si sa mai in futuro cosa accadrà!”) e quello combattivo di chi non rinuncia ad esercitare il proprio ruolo di rappresentanza dei diritti collettivi (“Collega, se siamo veramente in tanti a non fare domanda, questo incubo non si ripeterà più!”), la maggior parte dei sindacati ha optato per il primo, facendo prevalere la condiscendenza alla rappresentanza. Il risultato è che un numero crescente di precari, a prescindere dalle scelte effettuate, ha percepito questo atteggiamento come ambiguo e tremebondo, se non talvolta astutamente fiancheggiatore, al netto di tutte le oggettive difficoltà connesse alla carenza di informazioni precise su alcuni aspetti nevralgici delle operazioni di assunzione.

I numeri delle domande presentate per la fase nazionale andranno pure rivisti in modo corretto, rapportando il totale delle domande alla consistenza effettiva degli aventi diritto (non esiste ancora, al momento, una valutazione precisa e attendibile di questo dato), tuttavia per ora permettono al Governo di cantare vittoria, ma soprattutto preoccupano perché si ha la diffusa sensazione che si sia giunti a un punto di non ritorno: in nome del “meglio che niente” si potrà accettare di tutto, in un processo di continuo abbassamento della soglia di tolleranza alla sottrazione di diritti; una spirale mortifera che travolgerà tutti, precari e non.

Nessuno può sapere se si è ancora in tempo per invertire questa tendenza, ma l’auspicio per l’immediato futuro è che i lavoratori della scuola, ma soprattutto quei soggetti che in nome di essi pretendono di continuare a svolgere un ruolo di rappresentanza, riprendano in mano la lezione di Kahn-Freund e, con essa, la capacità di incidere sul proprio destino.

Samuel suona a chi non canta

SAMUEL SUONA A CHI NON CANTA di Umberto Tenuta

CANTO 514 L’EDUCAZIONE MUSICALE NELLE SCUOLE

Quale educazione musicale nelle scuole?

 

Sinceramente, io non so se quale educazione musicale oggi si fa nelle scuole.

Però, ricordo la mia EDUCAZIONE MUSICALE.

Senza libro.

Ma con un Quadernone di pentagrammi da leggere.

DO RE MI FA SOL LA SI DO.

Note SULLE RIGHE e note TRA GLI SPAZI.

Note SOPRA e note SOTTO il pentagramma.

E certamente non poteva mancare la CHIAVE.

Lettura in Chiave di Violino

(la Chiave, SOLTANTO NEL RIGO MUSICALE)

E poi le LETTURE, non solo sull’ANTOLOGIA, ma anche sul LIBRO DI MUSICA.

1-Lettura in

Chiave di Violino 2-Lettura in Chiave di Basso 3-Lettura in Chiave di Baritono 4-Lettura in Chiave di Tenore 5-Lettura in Chiave di Contralto 6-Lettura in Chiave di Mezzo oprano 7-Lettura in Chiave di Soprano 8-Lettura per il PIANOFORTE…

Nomi…

Parole… parole… parole…

I SIMBOLI, i SIGNIFICANTI…

Ed i significati?

Bah!

Che domande stupide fai tu, ragazzino dell’ultima fila di banchi.

Impara prima e poi capirai.

Impara a leggere.

Poi leggera racconti, favole, fiabe…

Impara a scrivere le parole e le frasi, e poi imparerai i loro significati…

Complemento oggetto, Complemento di specificazione, complemento di termine…

La Musica, in fondo, è un linguaggio.

Il linguaggio dei suoni.

Professore, io vorrei imparare a suonare il flauto dolce.

Bravo, ragazzo!

Vieni di pomeriggio, accompagnato dalla mamma, la quale, generosa come tutte le mamme, ti pagherà il corso di STRUMENTO MUSICALE.

Il FLAUTO DOLCE, anzi dolcissimo, una vera crema al cioccolato, lo imparano solo i figli delle mamme che si onorano di ritornare alla scuola di pomeriggio per versare l’onorario al Professore delle attività educative integrative a pagamento.

Agli altri, e sono la maggioranza, basta il SETTICLAVIO.

Samuel, tu che suoni, e suoni così bene, la chitarra, che cosa vuoi dai tuoi amici, vuoi che cantino sulle tue delicate note?

Ma dai, sii generoso!

Non ricordi tu che la chitarra l’hai imparata dal pomeridiano Professore di musica che la mammina cara ha pagato coi suoi soldini?

Le mamme dei tuoi amici si sono dimenticate di andare a scuola di pomeriggio ed i loro figlioletti solo il PENTAGRAMMA ricordano.

Cantare non sanno.

Non sanno, perchè a scuola non hanno imparato a cantare.

Nessuno li ha innamorati.

Nessuno li ha insegnati.

Eppure, come vedi, ti ascoltano incantati.

Incantati, perchè tu sai suonare la chitarra.

E loro NO.

Loro negaro i fati il CANTO.

Loro, chi?

Tranne i pochi fortunati, tutti i giovani che frequentano le nostre scuole.

Pardon!

Tutti giovani che un tempo lontano, lontano lontano, frequentarono le nostre scuole.

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

Altri saggi sono pubblicati in

www.rivistadidattica.com

E chi volesse approfondire questa o altra tematica

basta che ricerchi su Internet:

“Umberto Tenuta” − voce da cercare

Legge 18 agosto 2015, n. 141

Legge 18 agosto 2015, n. 141

Disposizioni in materia di agricoltura sociale. (15G00155) 

(GU n.208 del 8-9-2015)

 
 
  La  Camera  dei  deputati  ed  il  Senato  della  Repubblica  hanno
approvato; 
 
                   IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 
 
 
                              Promulga 
 
la seguente legge: 
                               Art. 1 
 
 
                              Finalita' 
 
  1.  La  presente  legge,  nel  rispetto   dei   principi   previsti
dall'articolo 117, secondo comma, lettera m),  della  Costituzione  e
delle competenze regionali,  promuove  l'agricoltura  sociale,  quale
aspetto della multifunzionalita' delle imprese  agricole  finalizzato
allo sviluppo di interventi e  di  servizi  sociali,  socio-sanitari,
educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare
l'accesso  adeguato  e  uniforme  alle  prestazioni   essenziali   da
garantire alle persone, alle famiglie  e  alle  comunita'  locali  in
tutto il territorio nazionale e in particolare nelle  zone  rurali  o
svantaggiate. 
                               Art. 2 
 
 
                             Definizioni 
 
  1. Ai  fini  della  presente  legge,  per  agricoltura  sociale  si
intendono le attivita' esercitate dagli imprenditori agricoli di  cui
all'articolo 2135 del codice civile, in forma singola o associata,  e
dalle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381,
nei limiti fissati dal comma  4  del  presente  articolo,  dirette  a
realizzare: 
    a) inserimento socio-lavorativo di lavoratori con  disabilita'  e
di lavoratori svantaggiati, definiti ai sensi dell'articolo 2, numeri
3) e 4), del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione,  del  17
giugno 2014, di persone svantaggiate  di  cui  all'articolo  4  della
legge 8 novembre 1991, n.  381,  e  successive  modificazioni,  e  di
minori in eta' lavorativa inseriti in progetti  di  riabilitazione  e
sostegno sociale; 
    b) prestazioni e attivita' sociali e di servizio per le comunita'
locali mediante l'utilizzazione delle risorse materiali e immateriali
dell'agricoltura per promuovere,  accompagnare  e  realizzare  azioni
volte allo sviluppo di abilita' e di capacita', di inclusione sociale
e  lavorativa,  di  ricreazione  e  di  servizi  utili  per  la  vita
quotidiana; 
    c) prestazioni e servizi che affiancano e supportano  le  terapie
mediche, psicologiche e riabilitative  finalizzate  a  migliorare  le
condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e  cognitive  dei
soggetti interessati anche attraverso l'ausilio di animali allevati e
la coltivazione delle piante; 
    d) progetti finalizzati all'educazione ambientale  e  alimentare,
alla salvaguardia della biodiversita' nonche' alla  diffusione  della
conoscenza del territorio  attraverso  l'organizzazione  di  fattorie
sociali  e  didattiche  riconosciute  a  livello   regionale,   quali
iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in eta' prescolare e
di persone in difficolta' sociale, fisica e psichica. 
  2. Con decreto del Ministro delle politiche agricole  alimentari  e
forestali, da adottare entro il termine di sessanta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge, previa intesa in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere  delle
competenti Commissioni parlamentari, sono definiti i requisiti minimi
e le modalita' relativi alle attivita' di cui al comma 1. 
  3. Le attivita' di cui alle lettere  b),  c)  e  d)  del  comma  1,
esercitate  dall'imprenditore   agricolo,   costituiscono   attivita'
connesse ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile. 
  4. Le attivita' di cui al comma 1 sono  esercitate  altresi'  dalle
cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, il cui
fatturato derivante dall'esercizio delle  attivita'  agricole  svolte
sia prevalente; nel caso in cui il suddetto fatturato  sia  superiore
al 30 per  cento  di  quello  complessivo,  le  medesime  cooperative
sociali sono considerate operatori dell'agricoltura sociale, ai  fini
della presente legge, in misura corrispondente al fatturato agricolo. 
  5. Le attivita'  di  cui  al  comma  1  possono  essere  svolte  in
associazione con le cooperative sociali di cui alla legge 8  novembre
1991, n. 381, con le imprese sociali di cui al decreto legislativo 24
marzo 2006,  n.  155,  con  le  associazioni  di  promozione  sociale
iscritte nel registro nazionale previsto dalla legge 7 dicembre 2000,
n. 383, nonche' con i soggetti di cui all'articolo 1, comma 5,  della
legge 8 novembre 2000, n. 328, ferme  restando  la  disciplina  e  le
agevolazioni applicabili a ciascuno dei soggetti richiamati  in  base
alla normativa vigente. 
  6. Le attivita' di cui al comma 1  sono  realizzate,  ove  previsto
dalla  normativa  di  settore,  in  collaborazione  con   i   servizi
socio-sanitari e con gli enti pubblici competenti per territorio. Gli
enti  pubblici  competenti   per   territorio,   nel   quadro   della
programmazione  delle  proprie  funzioni  inerenti   alle   attivita'
agricole e sociali, promuovono, senza nuovi o maggiori oneri  per  la
finanza  pubblica,  politiche  integrate  tra   imprese,   produttori
agricoli e istituzioni locali al  fine  di  sviluppare  l'agricoltura
sociale. 
                               Art. 3 
 
 
                   Riconoscimento degli operatori 
 
  1.  Al  fine  di  favorire  l'integrazione   delle   attivita'   di
agricoltura sociale nella  programmazione  della  rete  locale  delle
prestazioni e dei servizi di cui all'articolo 2, comma 1, le  regioni
e le province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  nell'ambito  delle
proprie attribuzioni, entro sei mesi dalla data di entrata in  vigore
della  presente  legge,  adeguano,  qualora  necessario,  le  proprie
disposizioni in materia al fine di consentire il riconoscimento degli
operatori dell'agricoltura sociale da parte degli enti preposti  alla
gestione dei servizi e delle prestazioni di cui al medesimo  articolo
2, comma 1, e  di  rendere  pubblici  i  nominativi  degli  operatori
riconosciuti. Le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano stabiliscono altresi'  le  modalita'  per  il  riconoscimento
provvisorio degli operatori che alla data di entrata in vigore  della
presente legge gia' svolgono  attivita'  di  agricoltura  sociale  da
almeno due anni, fissando un termine non  inferiore  a  un  anno  per
l'adeguamento  ai  prescritti  requisiti.  Il   monitoraggio   e   la
valutazione dei servizi e  delle  prestazioni  avvengono  secondo  le
disposizioni previste dal soggetto competente per il  riconoscimento,
in coerenza con le linee guida definite ai sensi dell'articolo 7. Dal
riconoscimento degli operatori di cui al primo e al  secondo  periodo
del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per  la
finanza pubblica. 
                               Art. 4 
 
 
       Disposizioni in materia di organizzazioni di produttori 
 
  1.  Gli  operatori  dell'agricoltura  sociale  possono   costituire
organizzazioni di produttori di cui al decreto legislativo 27  maggio
2005, n. 102, per prodotti dell'agricoltura sociale, in coerenza  con
il regolamento  (UE)  n.  1308/2013  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del  17  dicembre  2013,  e  con  le  norme  nazionali  di
applicazione. 
                               Art. 5 
 
 
    Locali per l'esercizio delle attivita' di agricoltura sociale 
 
  1. I fabbricati o le porzioni di fabbricati rurali  gia'  esistenti
nel fondo, destinati dagli imprenditori agricoli all'esercizio  delle
attivita' di cui all'articolo 2, mantengono il  riconoscimento  della
ruralita' a tutti gli effetti, nel rispetto  delle  previsioni  degli
strumenti urbanistici. 
  2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono
promuovere il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso degli
imprenditori  agricoli  ai  fini  dell'esercizio  di   attivita'   di
agricoltura sociale, nel rispetto  delle  specifiche  caratteristiche
tipologiche  e   architettoniche,   nonche'   delle   caratteristiche
paesaggistico-ambientali dei luoghi. 
                               Art. 6 
 
 
                       Interventi di sostegno 
 
  1. Le istituzioni pubbliche  che  gestiscono  mense  scolastiche  e
ospedaliere possono prevedere, nel rispetto delle disposizioni di cui
all'articolo 1, comma 1, quarto periodo, del decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7  agosto
2012, n. 135, e successive modificazioni, nelle  gare  concernenti  i
relativi servizi di fornitura, criteri di priorita' per l'inserimento
di prodotti agroalimentari provenienti da operatori  dell'agricoltura
sociale. 
  2.  I  comuni  definiscono  modalita'  idonee  di  presenza  e   di
valorizzazione  dei  prodotti  provenienti  dall'agricoltura  sociale
nelle  aree  pubbliche  ai  sensi  dell'articolo   28   del   decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive modificazioni. 
  3. Nell'ambito delle operazioni  di  alienazione  e  locazione  dei
terreni  demaniali  agricoli  e  di  quelli  appartenenti  agli  enti
pubblici territoriali e non territoriali, di cui all'articolo 66  del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e  successive  modificazioni,  sono
previsti criteri  di  priorita'  per  favorire  l'insediamento  e  lo
sviluppo delle attivita' di agricoltura sociale, anche utilizzando  i
beni e i terreni confiscati ai sensi del codice delle leggi antimafia
e delle misure di  prevenzione,  di  cui  al  decreto  legislativo  6
settembre 2011, n. 159. 
  4. All'articolo 48, comma 3, lettera c),  del  codice  delle  leggi
antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,  di  cui   al   decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo le parole: «della legge  8
luglio 1986, n. 349, e successive  modificazioni»  sono  inserite  le
seguenti: «, e agli operatori dell'agricoltura  sociale  riconosciuti
ai sensi delle disposizioni vigenti». 
  5. Con apposito decreto, il Ministro dell'economia e delle finanze,
di concerto con il Ministro delle  politiche  agricole  alimentari  e
forestali e con il Ministro del lavoro  e  delle  politiche  sociali,
previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
definisce requisiti e criteri per l'accesso ad ulteriori agevolazioni
e interventi di sostegno per le  attivita'  di  cui  all'articolo  2,
nell'ambito delle  risorse  previste  dalla  legislazione  vigente  e
comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 
  6. Nella predisposizione dei piani regionali di sviluppo rurale, le
regioni possono promuovere la realizzazione di programmi  finalizzati
allo sviluppo  della  multifunzionalita'  delle  imprese  agricole  e
basati su pratiche  di  progettazione  integrata  territoriale  e  di
sviluppo dell'agricoltura sociale. A tale fine le regioni  promuovono
tavoli regionali  e  distrettuali  di  partenariato  tra  i  soggetti
interessati alla realizzazione di programmi di agricoltura sociale. 
                               Art. 7 
 
 
       Istituzione dell'Osservatorio sull'agricoltura sociale 
 
  1. Presso  il  Ministero  delle  politiche  agricole  alimentari  e
forestali e' istituito l'Osservatorio  sull'agricoltura  sociale,  di
seguito  denominato  «Osservatorio»,  al  quale  sono  attribuiti   i
seguenti compiti: 
    a) definizione di linee guida per l'attivita'  delle  istituzioni
pubbliche  in  materia  di  agricoltura  sociale,   con   particolare
riferimento a criteri omogenei per il riconoscimento delle imprese  e
per il monitoraggio e la valutazione delle attivita'  di  agricoltura
sociale, alla semplificazione delle  procedure  amministrative,  alla
predisposizione di strumenti di assistenza tecnica, di  formazione  e
di sostegno per le imprese, alla definizione  di  percorsi  formativi
riconosciuti, all'inquadramento di modelli  efficaci,  alla  messa  a
punto di contratti tipo tra imprese e pubblica amministrazione; 
    b) monitoraggio ed elaborazione delle informazioni sulla presenza
e  sullo  sviluppo  delle  attivita'  di  agricoltura   sociale   nel
territorio nazionale, anche al fine di facilitare la diffusione delle
buone pratiche; 
    c) raccolta e valutazione coordinata delle  ricerche  concernenti
l'efficacia delle pratiche di agricoltura sociale e loro  inserimento
nella rete dei servizi territoriali; 
    d) proposta di iniziative finalizzate  al  coordinamento  e  alla
migliore integrazione dell'agricoltura  sociale  nelle  politiche  di
coesione e di sviluppo rurale; 
    e)  proposta  di  azioni  di  comunicazione   e   di   animazione
territoriale finalizzate al supporto delle iniziative delle regioni e
degli enti locali. 
  2. L'Osservatorio cura il coordinamento  della  sua  attivita'  con
quella degli analoghi organismi istituiti  presso  le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano in  materia  di  agricoltura
sociale. 
  3. L'Osservatorio  e'  nominato  con  decreto  del  Ministro  delle
politiche agricole alimentari e forestali ed e' composto da: 
    a)  cinque  rappresentanti  delle  amministrazioni  dello  Stato,
designati  rispettivamente  dal  Ministro  delle  politiche  agricole
alimentari e forestali, dal Ministro del  lavoro  e  delle  politiche
sociali,  dal  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della
ricerca, dal Ministro della salute e dal Ministro della giustizia; 
    b) cinque rappresentanti delle regioni e delle province  autonome
di Trento e di Bolzano, designati dalla Conferenza permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano; 
    c) due rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole
maggiormente rappresentative a  livello  nazionale,  designati  dalle
organizzazioni medesime; 
    d)  due  rappresentanti  delle  reti  nazionali  di   agricoltura
sociale, designati dalle reti medesime; 
    e) due rappresentanti  delle  organizzazioni  del  terzo  settore
maggiormente rappresentative a  livello  nazionale,  designati  dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano  e  individuati  nell'ambito
degli   operatori   gia'   attivi   nel   territorio   nel    settore
dell'agricoltura sociale; 
    f) due rappresentanti delle associazioni  di  promozione  sociale
con riferimenti statutari all'ambito agricolo iscritte  nel  registro
nazionale previsto dalla legge 7 dicembre  2000,  n.  383,  designati
dall'Osservatorio nazionale dell'associazionismo di cui  all'articolo
11 della medesima legge n. 383 del 2000; 
    g) due rappresentanti delle organizzazioni della 
    cooperazione,   designati   dalle   associazioni   nazionali   di
rappresentanza,  assistenza  e  tutela  del   movimento   cooperativo
maggiormente rappresentative. 
  4. Il Ministro delle  politiche  agricole  alimentari  e  forestali
provvede, con  proprio  decreto  da  adottare  entro  il  termine  di
centoventi giorni dalla data di  entrata  in  vigore  della  presente
legge, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, alla definizione delle  modalita'  di  organizzazione  e  di
funzionamento dell'Osservatorio. Al  funzionamento  dell'Osservatorio
si  provvede  con  le  risorse  umane,  strumentali   e   finanziarie
disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o  maggiori
oneri  a   carico   della   finanza   pubblica.   La   partecipazione
all'Osservatorio non  da'  luogo  alla  corresponsione  di  compensi,
gettoni,  emolumenti,  indennita'  o  rimborsi  di   spese   comunque
denominati. 
  La presente legge, munita del sigillo dello Stato,  sara'  inserita
nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato. 
    Data a Palermo, addi' 18 agosto 2015 
 
                             MATTARELLA 
 
 
                                Renzi, Presidente del  Consiglio  dei
                                ministri 
Visto, il Guardasigilli: Orlando 

Circolare INPS 18 agosto 2015, n. 152

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
Direzione Centrale Prestazioni a Sostegno del Reddito
Direzione Centrale Entrate
Direzione Centrale Posizione Assicurativa
Direzione Centrale Sistemi Informativi e Tecnologici

Ai Dirigenti centrali e periferici
Ai Responsabili delle Agenzie
Ai Coordinatori generali, centrali e periferici dei Rami professionali
Al Coordinatore generale Medico legale e Dirigenti Medici

e, per conoscenza,

Al Presidente
Al Presidente e ai Componenti del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza
Al Presidente e ai Componenti del Collegio dei Sindaci
Al Magistrato della Corte dei Conti delegato all’esercizio del controllo
Ai Presidenti dei Comitati amministratori di fondi, gestioni e casse
Al Presidente della Commissione centrale per l’accertamento e la riscossione dei contributi agricoli unificati
Ai Presidenti dei Comitati regionali
Ai Presidenti dei Comitati provinciali

OGGETTO: Decreto legislativo n. 80 del 15 giugno 2015 in attuazione dell’art. 1, commi 8 e 9 della legge delega n. 183 del 2014 (Jobs Act). Fruizione del congedo parentale in modalità oraria.
SOMMARIO:

1.   Modifica all’art. 32 del T.U. maternità/paternità in materia di congedo parentale.
2.  
Criteri di fruizione, computo ed indennizzo del congedo parentale su base oraria.
3.   Contribuzione figurativa.
4.  
Modalità operative.
5.   Istruzioni procedurali.

 

1.   Modifica all’art. 32 del decreto legislativo n. 151/2001 (T.U. maternità/paternità) in materia di congedo parentale

L’art. 1, comma 339 della legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) ha modificato l’art. 32 del T.U. maternità/paternità (decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, di seguito denominato T.U.) introducendo la possibilità per i genitori lavoratori dipendenti di fruire del congedo parentale in modalità oraria previa definizione, in sede di contrattazione collettiva, delle modalità di fruizione del congedo parentale ad ore, dei criteri di calcolo della base oraria e dell’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa. La stessa legge di stabilità ha previsto inoltre l’obbligo per il genitore richiedente di comunicare al datore di lavoro l’inizio e la fine del periodo di congedo parentale richiesto, nonché la possibilità per lavoratore e datore di lavoro di concordare, durante il periodo di fruizione di congedo, adeguate misure di ripresa dell’attività lavorativa, tenendo conto di quanto eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva (comma 4 bis del citato art. 32).

Con il decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 80, attuativo della delega contenuta nel Jobs Act, il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 32 citato introducendo un criterio generale di fruizione del congedo in modalità oraria che trova attuazione in assenza di contrattazione collettiva anche di livello aziendale (comma 1 ter dell’art. 32 cit.). In particolare, secondo questo criterio generale, in assenza di una contrattazione collettiva che disciplini compiutamente il congedo parentale su base oraria, i genitori lavoratori dipendenti possono fruire del congedo parentale ad ore in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. La riforma prevede inoltre, in questa ipotesi, l’incumulabilità del congedo parentale ad ore con altri permessi o riposi disciplinati dal T.U. La riforma in esame ha natura sperimentale ed è quindi attualmente in vigore per i periodi di congedo parentale fruiti dal 25 giugno 2015 al 31 dicembre 2015, salva l’adozione di ulteriori decreti legislativi.

 

2.  Criteri di fruizione, computo ed indennizzo del congedo parentale su base oraria

2.1 Criteri di fruizione

La modalità di fruizione oraria del congedo parentale, prevista dal novellato art. 32 del T.U maternità/paternità, si aggiunge alla modalità di fruizione su base giornaliera e mensile relativamente alle quali sono state già fornite nel tempo istruzioni (si vedano in particolare le circolari n. 17 del 26 gennaio 1982 – AGO n. 138382; n. 109 del 6 giugno 2000; n. 8 del 17 gennaio 2003).

Rispetto alle modalità già in uso (giornaliera o mensile), l’introduzione della modalità oraria non modifica la durata del congedo parentale e pertanto rimangono invariati i limiti complessivi ed individuali entro i quali i genitori lavoratori dipendenti possono assentarsi dal lavoro a tale titolo.

Si rammenta che, con il decreto legislativo n. 80 del 2015, è stato previsto l’ampliamento sia del periodo entro il quale è possibile fruire del congedo parentale (da 8 a 12 anni del bambino) sia del periodo entro il quale il congedo è indennizzabile a prescindere dalle condizioni di reddito (da 3 a 6 anni del bambino). Su tale disposizione è stata emanata la circolare n. 139 del 17 luglio 2015. Le istruzioni contenute in questa circolare trovano quindi applicazione anche nel caso di fruizione del congedo parentale in modalità oraria.

I genitori lavoratori dipendenti possono fruire del congedo parentale nelle diverse modalità loro consentite (giornaliera o mensile o oraria). Pertanto giornate o mesi di congedo parentale possono alternarsi con giornate lavorative in cui il congedo parentale è fruito in modalità oraria, nei limiti eventualmente stabiliti dalla contrattazione collettiva.

In ordine alla fruizione frazionata del congedo parentale si richiamano le istruzioni a suo tempo fornite nei messaggi n. 28379 del 25 ottobre 2006 e n. 19772 del 18 ottobre 2011. Al riguardo, si rappresenta che se la fruizione di un periodo di congedo parentale avviene su base oraria – con copresenza quindi nella stessa giornata di assenza oraria a titolo di congedo e di svolgimento di attività lavorativa – le domeniche (ed eventualmente i sabati, in caso di settimana corta), non sono considerate né ai fini del computo né ai fini dell’indennizzo. Infatti, in caso di congedo parentale fruito in modalità oraria è sempre rinvenibile lo svolgimento di attività lavorativa.

Esempio 1:

genitore dipendente che prende congedo parentale ad ore in ogni giornata lavorativa compresa tra il 1° luglio ed il 22 luglio 2015 – le domeniche ed i sabati, in caso di settimana corta, ricadenti nell’arco temporale indicato non si computano né si indennizzano a titolo di congedo parentale.

Esempio 2:

lavoratrice che prende congedo parentale dal 3 luglio al 13 luglio 2015 con la seguente  articolazione: parentale ad ore nella giornata di venerdì’ 3 luglio – congedo parentale a giornata per la settimana successiva, cioè dal lunedì 6 a venerdì 10 – parentale ad ore nella giornata di venerdì’ 13 luglio – le domeniche ed i sabati compresi nel periodo considerato, ossia i giorni del 4 e 5 e dell’11 e 12 luglio 2015 non si computano né si indennizzano a titolo di congedo parentale.

Per espressa previsione di legge, qualora trovi applicazione il criterio generale  di fruizione del congedo parentale ad ore è esclusa la cumulabilità del congedo stesso con permessi o riposi disciplinati dal T.U. maternità/paternità. Il congedo ad ore quindi non può essere fruito nei medesimi giorni in cui il genitore fruisce di riposi giornalieri per allattamento ex artt. 39 e 40 del T.U. maternità/paternità oppure nei giorni in cui il genitore fruisce dei riposi orari ex art. 33 del T.U. cit. per assistenza ai figli disabili. Risulta invece compatibile la fruizione del congedo parentale su base oraria con permessi o riposi disciplinati da disposizioni normative diverse dal T.U., quali ad esempio i permessi di cui all’art.33, commi 2 e 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104. Rimane fermo che la contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, nel definire le modalità di fruizione del congedo parentale può prevedere diversi criteri di compatibilità.

 

2.2 Criteri di computo ed indennizzo del congedo parentale fruito su base oraria.

La complessità della disciplina del congedo parentale – determinata dalle differenti modalità di fruizione, dalla diversità di fonti, normativa o contrattuale (anche aziendale) che oggi possono disciplinare questo istituto, nonché dalla necessità di continuare a monitorare i limiti individuali e complessivi di fruizione ed indennizzo del congedo stabiliti dal T.U. – comporta la necessità di attuare le novità normative in argomento mediante più fasi operative.

In una prima fase iniziale il computo e l’indennizzo del congedo parentale avvengono su base giornaliera anche se la fruizione è effettuata in modalità oraria.

Ai fini del congedo parentale su base oraria, la contrattazione deve prevedere anche l’equiparazione di un monte ore alla singola giornata lavorativa. In assenza di contrattazione, la giornata di congedo parentale si determina prendendo a riferimento l’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale (ossia lo stesso periodo preso a riferimento dal citato art. 23 per il calcolo dell’indennità). In assenza di ulteriori specificazioni di legge, per orario medio giornaliero si intende l’orario medio giornaliero contrattualmente previsto.

In tale caso, il congedo orario è fruibile in misura pari alla metà di tale orario medio giornaliero.

L’introduzione del congedo parentale su base oraria non ha modificato le regole di indennizzo del congedo stesso; pertanto il congedo parentale è indennizzato su base giornaliera anche nel caso in cui la fruizione avvenga in modalità oraria. Al riguardo, l’art. 34 comma 1 del T.U. richiama l’articolo 23 dello stesso T.U., in forza del quale, per l’indennizzo del congedo parentale viene presa a riferimento la retribuzione media giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale  o  mensile  scaduto  ed immediatamente  precedente  a  quello  nel  corso  del quale ha avuto inizio il congedo parentale; nella base retributiva di riferimento non si computano il rateo giornaliero relativo alla  gratifica  natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati al genitore richiedente.

 

3.   Contribuzione figurativa. 

Le ore di congedo parentale – diano o non diano diritto all’indennità di cui all’art. 34 del D.lgls.151/2001 – sono coperte da contribuzione figurativa.

Anche nel caso di fruizione oraria del congedo parentale, si applica quanto già disposto al punto 3 della circolare numero 139/2015 e cioè che la fruizione del congedo parentale tra il 25 giugno 2015 e il 31 dicembre 2015 è coperta da contribuzione figurativa fino al 12° anno di vita del bambino ovvero fino al 12° anno di ingresso del minore in caso di adozione o affidamento. Per la valorizzazione del periodo di congedo parentale fruito dopo il 6° anno di vita del bambino o dopo il 6° anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato si applica il comma 2 dell’art. 35 del T.U. (retribuzione convenzionale, integrabilità con riscatto o versamenti volontari). Tale disposizione si applica anche per i periodi di congedo fruiti dai genitori oltre il periodo complessivo di 6 mesi (anche se fruiti entro il predetto 6° anno).

La valorizzazione della contribuzione figurativa sulla base della retribuzione avviene in forza dell’art. 40 della legge 183 del 2010, cioè in base alle voci retributive ricorrenti e continuative perse per le ore di congedo.

La valorizzazione della contribuzione figurativa sulla base della retribuzione convenzionale avviene in forza di quanto disposto dal comma 2 dell’art.35, D.lgls.151/2001.

Il beneficio della fruizione oraria del congedo parentale è finalizzato a conciliare i tempi “di lavoro” con la cura della prole. D’altro canto, la base oraria del congedo, o è stabilita dalla contrattazione collettiva (art. 32, comma 1- bis ) o  fissata dalla legge con riferimento al periodo di paga immediatamente precedente (art.32, comma 1-ter del D.lgls.151/2001 ). Tutto ciò implica che la modalità oraria di fruizione del congedo sia concepibile esclusivamente nel corso del rapporto di lavoro e che dunque sia esclusa l’applicazione “su base oraria” del riscatto dei periodi corrispondenti fuori dal rapporto di lavoro di cui al comma 5 dell’art.35, D.lgs.151/2001.

 

4.   Modalità operative

Presentazione della domanda di congedo parentale ad ore

Il genitore lavoratore dipendente avente diritto al congedo parentale, secondo i presupposti di legge già noti, richiede il congedo al datore di lavoro ed all’Istituto, ai fini del trattamento economico e previdenziale.

Nella fase transitoria, la richiesta all’Istituto è presentata mediante un’apposita domanda on line, che è diversa dalla domanda telematica in uso per la richiesta del congedo parentale giornaliero o mensile. Per tale motivo, se in un determinato arco di tempo, il genitore intende fruire il congedo parentale in modalità giornaliera e/o mensile ed in modalità oraria, dovrà utilizzare le due diverse procedure di invio on line.

Nella domanda di congedo parentale ad ore il genitore dichiara:

—  se il congedo è richiesto in base alla contrattazione di riferimento oppure in base al criterio generale previsto dall’art. 32 del T.U. (si rammenta che in questo caso la fruizione nella singola giornata di lavoro è necessariamente pari alla metà dell’orario medio giornaliero);

—  il numero di giornate di congedo parentale da fruire in modalità oraria. La procedura infatti prevede che il totale delle ore di congedo richieste sia calcolato in giornate lavorative intere;

—  il periodo all’interno del quale queste giornate intere di congedo parentale saranno fruite.

Nella prima fase di attuazione delle nuove disposizioni, le domande di congedo parentale ad ore sono presentate secondo le seguenti istruzioni:

—  la domanda è presentata in relazione a singolo mese solare. Quindi, ad esempio, se si intende fruire di congedo parentale ad ore, sia nel mese di luglio sia nel mese di agosto, dovranno essere presentate due distinte domande, una per ciascun mese, seguendo la procedura semplificata “Nuovo periodo” descritta nel successivo paragrafo;

—  la domanda di congedo può riguardare anche giornate di congedo parentale fruite in modalità oraria in data antecedente alla presentazione della domanda stessa.

A regime, analogamente a quanto avviene attualmente per la fruizione del congedo parentale a giorni, la domanda di congedo parentale dovrà essere presentata all’Istituto prima dell’inizio del congedo, al limite anche lo stesso giorno di inizio di fruizione; su tale regola non incidono i nuovi termini di preavviso previsti dall’art. 32, comma 3, del T.U. maternità/paternità per la richiesta del congedo parentale al datore di lavoro. Si rammenta che, salvi i casi di oggettiva impossibilità, il genitore è tenuto a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e criteri definiti dai contratti collettivi e comunque, con un termine di preavviso non inferiore a 5 giorni, in caso di richiesta di congedo parentale mensile o giornaliero, e non inferiore a 2 giorni in caso di congedo orario (art. 32, comma 3, T.U.).

Esempio 1

In base alla contrattazione collettiva, una giornata di congedo parentale è equivalente a 6 ore – il genitore che intende fruire di congedo parentale per 2 giornate (pari a 12 ore di assenza dal lavoro) dal 14.09.2015 al 22.09.2015 dovrà indicare 2 giornate nel predetto arco temporale. La fruizione del congedo avverrà secondo le modalità indicate dalla contrattazione.

Esempio 2

Assenza di contrattazione collettiva – la giornata media lavorativa è pari ad 8 ore – il genitore intende fruire di 5 giorni di congedo parentale in modalità oraria, 2 nel mese di gennaio e 3 nel mese di febbraio – il genitore presenta la domanda per il mese di gennaio specificando n. 2 giornate e il periodo all’interno del mese solare in cui intende fruire del congedo a ore. Per il mese di febbraio, il genitore, a partire dalla domanda già presentata, attiva la funzione “Nuovo periodo” indicando per questo mese n. 3 giornate e il periodo all’interno del mese solare in cui intende fruire del congedo a ore.

 

5.  Istruzioni procedurali

Per la previsione di cui all’articolo 26, commi 2 e 3, del decreto legislativo 80 del 2015 e quindi per il carattere attualmente sperimentale della misura per l’anno 2015, tenuto conto della complessità della materia, della pluralità di tipologie di rapporto di lavoro alla quale si applica nonché dell’estrema variabilità della durata delle giornate lavorative anche nell’ambito della stessa tipologia di lavoratore e della diversa articolazione con la quale si può esplicitare l’attività lavorativa (esempio part time orizzontale o verticale) è necessario procedere con un’approfondita analisi di tutte le possibili casistiche.

Nelle more di tali ulteriori e necessari approfondimenti amministrativi, e delle conseguenti implementazioni informatiche che ne deriveranno, l’Istituto rende disponibile sul proprio sito l’applicazione per consentire ai lavoratori di presentare la domanda di congedo parentale su base oraria e fornisce le prime indicazioni ai datori di lavoro sulle modalità di conguaglio della prestazione.

Per consentire un immediato controllo sui limiti individuali e complessivi, sia di fruizione sia di indennizzo, previsti dalla legge, in una prima fase sono state individuate le modalità operative sotto descritte per la presentazione della domanda, l’invio dei flussi Uniemens e dei relativi conguagli.

In una seconda fase, qualora confermata come definitiva la disciplina della misura sperimentale, le modalità operative saranno integrate per consentire una gestione delle domande e dei flussi Uniemens anche con il dettaglio orario.

 

5.1 Modalità di presentazione della domanda telematica

L’applicazione per la presentazione all’Istituto delle domande di congedo parentale su base oraria è stata inserita all’interno del gruppo di servizi denominati “Domande di maternità on line”.

L’acquisizione delle domande in oggetto è possibile tramite i seguenti tre canali:

  • WEB:il servizio è disponibile tra i servizi OnLine dedicati al Cittadino presenti sul sito dell’INPS (www.inps.it); in particolare, una volta effettuato l’accesso tramite PIN, il cittadino dovrà selezionare le voci “Invio Domande di prestazioni a Sostegno del reddito”, “Maternità”, “Acquisizione domanda”;
  • CONTACT CENTER INTEGRATO:contattando il numero verde 803164, gratuito da rete fissa, o il numero 06164164 da telefono cellulare. In questo caso, il servizio è a pagamento in base al piano tariffario applicato dai diversi gestori telefonici;
  • PATRONATI: attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

I documenti utili per l’istruttoria della domanda di congedo parentale vanno allegati telematicamente seguendo le istruzioni indicate nella procedura. Tali documenti, differenti a seconda dell’evento trattato, sono quelli previsti per le domande di congedo parentale a mesi e/o giornate, indicati anche nell’ambito della procedura on line (a titolo esemplificativo, in caso di domanda di congedo parentale presentata per figlio adottato, al fine di accelerare i tempi dell’istruttoria, il genitore ha la possibilità di allegare la sentenza di adozione).

Si precisa che anche per tali tipologie di domande, sarà necessario che il cittadino sia dotato di PIN di tipo dispositivo. In caso di PIN non dispositivo, sarà comunque possibile accedere al servizio e acquisire la domanda, ma la stessa verrà istruita solo a seguito dell’avvenuto “rafforzamento” del PIN.

Anche l’acquisizione della domanda di congedo parentale su base oraria prevede la possibilità che il richiedente possa acquisire la specifica domanda in modo parziale, in tempi diversi, e di ufficializzarne la trasmissione in modo esplicito solo alla fine del processo, momento in cui viene assegnato un numero di protocollo e una ricevuta di presentazione per la domanda.

Per agevolare la presentazione di domande di congedo parentale a ore successive alla prima, l’applicazione consente inoltre le seguenti possibilità:

  • acquisizione di una nuova domanda avente le stesse caratteristiche di una domanda di congedo parentale su base oraria già presentata (funzione di “Replica”); La funzione consente quindi di ripercorrere l’intera domanda replicata per modificarne le parti di interesse.
  • acquisizione, a partire da una domanda già presentata, di una nuova domanda, indicando solamente il numero di giornate intere da fruire su base oraria all’interno di un nuovo periodo (funzione “Nuovo periodo”). La funzione consente quindi di inserire direttamente un nuovo periodo all’interno della domanda replicata senza necessità di ripercorrere le pagine relative ad altri dati.

 

5.2 Flusso delle denunce Uniemens e conguagli

Nella prima fase di applicazione, ai fini dell’esposizione nel flusso delle denunce Uniemens dei periodi di congedo parentale fruiti su base oraria, è stato istituito un nuovo <CodiceEvento>: “MA0” (MA zero) avente il significato di “periodi di congedo parentale disciplinati dall’art. 32 del D. Lgs. N. 151/2001, usufruiti su base oraria”. Le informazioni tecniche per la valorizzazione del nuovo elemento saranno comunicate dall’Istituto secondo le consuete modalità.

A regime, qualora confermata come definitiva la disciplina della misura sperimentale, e comunque non oltre il primo semestre del 2016, il sistema Uniemens consentirà una completa gestione del flusso informativo relativo al congedo fruito dal lavoratore con il dettaglio di numero di ore di congedo fruite nel giorno.

Per il conguaglio della indennità di congedo parentale su base oraria anticipate al lavoratore, dovrà essere valorizzato nell’elemento <MatACredAltre>, <CausaleRecMat>, il nuovo codice causale “L062” avente il significato di “indennità di congedo parentale facoltativo fruito su base oraria”; nell’elemento <ImportoRecMat> il relativo importo.

Il flusso Uniemens sarà integrato con ulteriori elementi informativi che consentiranno al datore di lavoro di tramettere all’Istituto una più compiuta descrizione del congedo fruito dal lavoratore: in particolare, saranno esposte, nell’elemento <NumOreEvento> le ore di congedo fruite nel giorno espresso in centesimi.

Si rammenta che il congedo parentale è fruibile in costanza di rapporto di lavoro con diritto alla retribuzione. Il congedo non è pertanto fruibile ed indennizzabile oltre la cessazione del rapporto di lavoro ed in generale nelle giornate in cui non sussista l’obbligo di prestare attività lavorativa.

 

Il Dirigente Generale Vicario

Crudo

Legge 18 agosto 2015, n. 134

Legge 18 agosto 2015, n. 134

Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie. (15G00139)

(GU n.199 del 28-8-2015 )

 
 
  La  Camera  dei  deputati  ed  il  Senato  della  Repubblica  hanno
approvato; 
 
                   IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 
 
 
                              Promulga 
 
la seguente legge: 
 
                               Art. 1 
 
 
                              Finalita' 
 
  1. La presente  legge,  in  conformita'  a  quanto  previsto  dalla
risoluzione  dell'Assemblea   generale   delle   Nazioni   Unite   n.
A/RES/67/82 del 12  dicembre  2012  sui  bisogni  delle  persone  con
autismo, prevede interventi finalizzati a garantire la  tutela  della
salute, il miglioramento delle condizioni  di  vita  e  l'inserimento
nella  vita  sociale  delle  persone  con  disturbi   dello   spettro
autistico. 
                               Art. 2 
 
 
                             Linee guida 
 
  1. L'Istituto superiore di sanita'  aggiorna  le  Linee  guida  sul
trattamento dei disturbi dello spettro autistico  in  tutte  le  eta'
della   vita   sulla   base    dell'evoluzione    delle    conoscenze
fisiopatologiche   e   terapeutiche   derivanti   dalla   letteratura
scientifica e dalle buone pratiche nazionali ed internazionali. 
                               Art. 3 
 
 
 Politiche regionali in materia di disturbi dello spettro autistico 
 
  1. Nel rispetto degli equilibri programmati di finanza  pubblica  e
tenuto conto  del  nuovo  Patto  per  la  salute  2014-2016,  con  la
procedura di cui  all'articolo  5,  comma  1,  del  decreto-legge  13
settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge  8
novembre 2012, n. 189,  si  provvede  all'aggiornamento  dei  livelli
essenziali di assistenza, con l'inserimento, per  quanto  attiene  ai
disturbi dello spettro autistico, delle  prestazioni  della  diagnosi
precoce, della cura  e  del  trattamento  individualizzato,  mediante
l'impiego di metodi e strumenti basati sulle piu'  avanzate  evidenze
scientifiche disponibili. 
  2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni e le province autonome  di
Trento e di Bolzano garantiscono  il  funzionamento  dei  servizi  di
assistenza  sanitaria  alle  persone  con  disturbi   dello   spettro
autistico, possono individuare centri di riferimento con  compiti  di
coordinamento dei servizi stessi  nell'ambito  della  rete  sanitaria
regionale  e   delle   province   autonome,   stabiliscono   percorsi
diagnostici, terapeutici e assistenziali per la presa  in  carico  di
minori, adolescenti e adulti con disturbi  dello  spettro  autistico,
verificandone l'evoluzione, e adottano misure idonee al conseguimento
dei seguenti obiettivi: 
    a) la  qualificazione  dei  servizi  di  cui  al  presente  comma
costituiti da unita'  funzionali  multidisciplinari  per  la  cura  e
l'abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico; 
    b) la formazione degli  operatori  sanitari  di  neuropsichiatria
infantile,  di  abilitazione  funzionale  e  di   psichiatria   sugli
strumenti di valutazione e sui percorsi  diagnostici,  terapeutici  e
assistenziali   basati   sulle   migliori    evidenze    scientifiche
disponibili; 
    c) la definizione di equipe  territoriali  dedicate,  nell'ambito
dei servizi di neuropsichiatria dell'eta' evolutiva e dei servizi per
l'eta'  adulta,  che  partecipino  alla  definizione  del  piano   di
assistenza,  ne  valutino  l'andamento  e   svolgano   attivita'   di
consulenza anche in sinergia  con  le  altre  attivita'  dei  servizi
stessi; 
    d)  la  promozione  dell'informazione  e  l'introduzione  di   un
coordinatore degli interventi multidisciplinari; 
    e) la promozione del coordinamento degli interventi e dei servizi
di cui al presente comma per assicurare la continuita'  dei  percorsi
diagnostici, terapeutici e assistenziali nel corso della  vita  della
persona; 
    f) l'incentivazione di progetti dedicati  alla  formazione  e  al
sostegno delle famiglie che hanno  in  carico  persone  con  disturbi
dello spettro autistico; 
    g) la disponibilita' sul territorio di strutture semiresidenziali
e residenziali  accreditate,  pubbliche  e  private,  con  competenze
specifiche  sui  disturbi  dello  spettro  autistico  in   grado   di
effettuare la presa in  carico  di  soggetti  minori,  adolescenti  e
adulti; 
    h)  la  promozione  di   progetti   finalizzati   all'inserimento
lavorativo di soggetti adulti con disturbi dello  spettro  autistico,
che ne valorizzino le capacita'. 
                               Art. 4 
 
 
  Aggiornamento delle linee di indirizzo del Ministero della salute 
 
  1.  Entro  centoventi   giorni   dall'aggiornamento   dei   livelli
essenziali di  assistenza  previsto  dall'articolo  3,  comma  1,  il
Ministero della salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata
di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
e successive modificazioni, provvede,  in  applicazione  dei  livelli
essenziali di assistenza medesimi, all'aggiornamento delle  linee  di
indirizzo per la promozione ed  il  miglioramento  della  qualita'  e
dell'appropriatezza  degli  interventi  assistenziali  nei   disturbi
pervasivi  dello  sviluppo  (DPS),  con  particolare  riferimento  ai
disturbi dello spettro autistico, di cui all'accordo sancito in  sede
di Conferenza unificata il 22 novembre 2012. Le  linee  di  indirizzo
sono aggiornate con cadenza almeno triennale. 
  2. L'attuazione delle linee di indirizzo aggiornate  ai  sensi  del
comma 1 costituisce adempimento ai fini della verifica  del  Comitato
permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali  di
assistenza. 
                               Art. 5 
 
 
                        Attivita' di ricerca 
 
  1. Il Ministero della salute promuove lo sviluppo  di  progetti  di
ricerca  riguardanti  la  conoscenza  del  disturbo   dello   spettro
autistico e le buone pratiche terapeutiche ed educative. 
                               Art. 6 
 
 
                 Clausola di invarianza finanziaria 
 
  1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o
maggiori  oneri  per  la   finanza   pubblica.   Le   amministrazioni
interessate alla relativa attuazione vi  provvedono  con  le  risorse
umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. 
  La presente legge, munita del sigillo dello Stato,  sara'  inserita
nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato. 
    Data a Palermo, addi' 18 agosto 2015 
 
                             MATTARELLA 
 
 
                                Renzi, Presidente del  Consiglio  dei
                                ministri 
 
 
Visto, il Guardasigilli: Orlando