Diritti dell’uomo. Cittadinanza e Costituzione da ieri ad oggi

a cura di Maurizio Tiriticco

Pensioni, prescrizione contributi pubbliche amministrazioni: sospensione sino al 31 dicembre 2021

da Orizzontescuola

di redazione

Pensioni: termini di prescrizione dei contributi dovuti dalle amministrazioni pubbliche.

Normativa di riferimento

Il cosiddetto decreto quota 100 (decreto legge n. 4/2019 convertito in legge 26/2019) ha dettato delle misure relativamente ai contributi dovuti dalle amministrazioni pubbliche.

Il citato decreto ha modificato la legge 8 agosto 1995, n. 335, prevedendo la sospensione dei termini di prescrizione della contribuzione obbligatoria, per i periodi di competenza fino al 31 dicembre 2014, con riferimento alle contribuzioni dovute dalle amministrazioni pubbliche per le gestioni previdenziali esclusive amministrate dall’INPS.

Il termine di sospensione dell’applicazione dei termini di prescrizione è fissato al 31 dicembre 2021.

Ambito di applicazione

La sospensione dei termini di prescrizione si applica alle amministrazioni pubbliche, di cui al D.lgs. 165/01:

  1. le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative. Sono da comprendere nell’ambito degli istituti e scuole di ogni ordine e grado le Accademie e i Conservatori statali;
  2. le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;
  3. le Regioni, le Province, i Comuni, le Unioni dei Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni;
  4. le istituzioni universitarie;
  5. gli Istituti autonomi case popolari;
  6. le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni;
  7. gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali; in essi rientrano tutti gli enti indicati nella legge 20 marzo 1975, n. 70, gli ordini e i collegi professionali e le relative federazioni, i consigli e collegi nazionali, gli enti di ricerca e sperimentazione anche se non compresi nella legge n. 70/1975;
  8. le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale;
  9. l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN);
  10. le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

Sospensione termini prescrizione

La sospensione dei termini si applica alla sola contribuzione dovuta alle gestioni previdenziali esclusive amministrate dall’INPS e, quindi, esclusivamente alla contribuzione riguardante:

  • la Cassa per le pensioni dei dipendenti degli enti locali (CPDEL);
  • la Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI);
  • la Cassa per le pensioni dei sanitari (CPS);
  • la Cassa per gli ufficiali giudiziari (CPUG);
  • la Cassa per i trattamenti pensionistici dei dipendenti civili e militari dello Stato (CTPS).

Sono escluse invece escluse le contribuzioni pertinenti a:

  • fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD)
  • fondi esonerativi e sostitutivi della Assicurazione generale obbligatoria;
  • fondi per l’erogazione dei trattamenti di previdenza (TFR/TFS) ai dipendenti pubblici (fondo ex INADEL ed ex ENPAS).

La sospensione non opera sugli effetti dei provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato.

Periodi retributivi che decorrono dal 1° gennaio 2015

La contribuzione riguardante i periodi retributivi, che decorrono dal 1° gennaio 2015, è esclusa dall’ambito di applicazione della suddetta sospensione ed è soggetta agli ordinari termini prescrizionali indicati dalla legge n. 335/1995.

In particolare, i versamenti afferenti ai periodi retributivi del 2015 devono essere effettuati nel rispetto dei relativi termini prescrizionali entro l’anno 2020, fatta eccezione per quelli afferenti a dicembre 2015, che potranno essere effettuati secondo gli ordinari termini di prescrizione, entro il 18 gennaio 2021. Questo perché il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) e il termine di decorrenza coincide con il giorno in cui l’Istituto può esigere la contribuzione, ossia con la data di scadenza del termine per effettuare il versamento (il 16 del mese successivo a quello al quale la contribuzione si riferisce).

Circolare 169/2017

La circolare n. 117/08 ha differito al 1° gennaio 2020 il termine dal quale, secondo le indicazioni fornite con la circolare n. 169/2017, si pone a carico dei datori di lavoro iscritti alle casse pensionistiche della Gestione pubblica l’onere del trattamento di quiescenza spettante per i periodi di servizio utili ai fini della prestazione non assistiti dal corrispondente versamento di contribuzione.

Per i dipendenti iscritti alla CPI, secondo le indicazioni della citata circolare n. 169/2017, l’utilità dei periodi prescritti e non coperti da contribuzione è subordinata al pagamento dell’onere della rendita vitalizia.

Le pubbliche amministrazioni, per le quali si applica la sospensione suddetta, potranno regolarizzare la contribuzione dovuta alle casse pensionistiche della Gestione pubblica, compresa la CPI, entro il termine del 31 dicembre 2021, per i periodi retributivi fino al 31 dicembre 2014 e, entro i termini di prescrizione quinquennale, per i periodi retributivi che decorrono dal 1° gennaio 2015.

Conclusioni

  • Contribuzione obbligatoria per i periodi di competenza fino al 31 dicembre 2014, con riferimento alle contribuzioni dovute dalle amministrazioni pubbliche per le gestioni previdenziali esclusive amministrate dall’INPS:  i termini di prescrizione sono sospesi sino al 31/12/2021
  • Versamenti afferenti ai periodi retributivi del 2015 devono essere effettuati entro l’anno 2020 (prescrizione quinquennale)
  • Versamenti afferenti a dicembre 2015 potranno essere effettuati secondo gli ordinari termini di prescrizione, entro il 18 gennaio 2021

Circolare Inps


Stipendio dirigenti scolastici, errori nel calcolo degli arretrati. ANP chiede incontro al Miur

da Orizzontescuola

di redazione

Stipendio dirigenti scolastici: errori nel calcolo degli arretrati e dell’assegno ad personam.

Aumenti stipendio e arretrati

Nel mese di luglio, fonti ministeriali ci avevano riferito che gli aumenti di stipendio per i dirigenti scolastici e i relativi arretrati, secondo quanto previsto dal CCNL 2016/18, firmato in data 8 luglio, sarebbero stati percepiti nel mese di agosto.

Chiesto incontro al Miur

L’ANP, al fine di superare le criticità riscontrate nel cedolino del mese di agosto, ha chiesto un incontro urgente al Miur.

Il testo della richiesta:

Gentile Dott.ssa Palumbo, dal controllo di numerosi cedolini dei dirigenti delle scuole relativi alla mensilità agosto 2019, abbiamo riscontrato molteplici errori nel calcolo degli arretrati e nel valore dell’assegno ad personam, laddove spettante, rispetto alla previsione dell’art. 39 del CCNL dell’area istruzione e ricerca 2016-2018. Le chiedo, pertanto, un incontro urgente per risolvere le criticità riscontrate.


Personale ATA, diritto alla pausa dopo sei ore di lavoro. Nota ARAN

da Orizzontescuola

di Avv. Marco Barone

L’ARAN risponde ad un quesito che riguarda l’esercizio della pausa per il personale ATA riconoscendo che per il detto personale si applica la normativa generale sull’orario di lavoro.

Questo il quesito:

Il personale ATA con orario di lavoro giornaliero di 7 ore e 12 minuti, dalle ore 7:48 alle 15:00, nel caso di un corso obbligatorio di aggiornamento sulla sicurezza della durata di 3 ore, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, è obbligato ad effettuare la pausa di almeno 30 minuti?

“In proposito si richiama l’art. 51, comma 3, del CCNL 29.11.2007, il quale espressamente prevede che “l’orario di lavoro massimo giornaliero è di nove ore. Se la prestazione di lavoro giornaliera eccede le sei ore continuative il personale usufruisce a richiesta di una pausa di almeno 30 minuti al fine del recupero delle energie psicofisiche e dell’eventuale consumazione del pasto. Tale pausa deve essere comunque prevista se l’orario continuativo di lavoro giornaliero è superiore alle 7 ore e 12 minuti.”
Sul punto, va osservato che la clausola contrattuale deve essere letta unitamente alle norme imperative di legge in materia di orario di lavoro.

In particolare, con riguardo alla pausa l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003 non lascia margini interpretativi laddove stabilisce che quando l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore “il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo”.

Tale disposizione rende il diritto alla pausa del tutto indisponibile al lavoratore che, conseguentemente, non potrà rinunciarvi. Infatti le norme finalizzate al recupero delle energie psico-fisiche sono poste dal legislatore a tutela e nell’interesse del lavoratore.

In relazione a quanto sopra specificato si ritiene che la fruizione della pausa abbia carattere obbligatorio e, in quanto tale, non possa dipendere né dalla volontà datoriale né da quella del lavoratore.”

La direttiva sull’orario di lavoro si può applicare al personale della scuola

L’orientamento dato dall’ARAN è importante. Si deve ricordare che è il DECRETO LEGISLATIVO 8 aprile 2003, n. 66 che è quello che concerne l’attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE la norma madre sull’orario di lavoro.

Però l’articolo 2 comma 3 del medesimo DLGS così si pronuncia: . Le disposizioni del presente decreto non si applicano al personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.

Dunque si era giustamente nella convinzione che tale quadro normativo non trovasse applicazione per il personale della scuola.

In un precedente parere scritto su Orizzonte Scuola facevo proprio presente però che con una Comunicazione interpretativa sulla direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (2017/C 165/01) si evidenziava in modo chiaro che: “La direttiva sull’orario di lavoro è pertanto applicabile alle attività delle forze armate, della polizia o dei servizi di protezione civile, nonché ad altre attività specifiche del pubblico impiego, quando vengono svolte in condizioni abituali. “

Dunque anche il personale della scuola potrebbe rientrarvi.

La Corte di Giustizia Europea ha affermato con la Sentenza del 25.11.2010, causa C429/09 al punto 43 che “ Si deve ricordare che la direttiva 2003/88 intende fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle normative nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro. Tale armonizzazione a livello dell’Unione europea in materia di organizzazione dell’orario di lavoro  è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo – in particolare giornaliero e settimanale – e periodi di pausa adeguati e prevedendo un limite massimo per la durata settimanale del lavoro  (v., in particolare, sentenze citate Pfeiffer e a., punto 76, nonché Fuß, punto 32)”.

Fioramonti vuole un nuovo modo d’insegnare e guarda alla Finlandia: docenti in compresenza, tecnologia e linguaggi semplici

da La Tecnica della Scuola

Lorenzo Fioramonti torna a parlare del modello della scuola finlandese, che non a caso è tra i migliori al mondo: stavolta, però, lo fa nella veste di ministro dell’Istruzione, conquistando una visibilità e un seguito decisamente superiore al passato.

L’idea degli insegnamenti trasversali

“I problemi dell’apprendimento sono anche dovuti – ha detto il 6 settembre a 24 Mattino in onda su Radio24, con Maria Latella e Simone Spetia – a problemi infrastrutturali e a mancanza di continuità: vorrei provare a lavorare per cercare di capire cosa fare dal punto di vista dell’innovazione nel modo di insegnare”.

L’obiettivo del neo ministro, dunque, è puntare su una scuola di qualità: “in Finlandia per esempio – ha spiegato – si è ridotto l’orario scolastico, facendo insegnamenti trasversali, inserendo nuove tecnologie in modo divertente e accattivante e rendendo così la matematica più accessibile a tutti”.

Anche le materie difficili diventano semplici

“Ho studiato il modello Finlandia per innovare il modo di insegnare”, ha aggiunto il ministro, rivelando di avere già “aperto dei tavoli sul tema dell’innovazione nel modo di insegnare”.

Ma quali sono le caratteristiche del modello d’insegnamento finlandese? “Hanno ridotto l’orario scolastico e usano le nuove tecnologie per fare insegnamenti trasversali, con l’uso di linguaggi più semplici e accessibili, un modo divertente e accattivante per avvicinare gli studenti alle materie più ostiche“, ha sottolineato il titolare del Miur.

E i soldi?

Il problema, per introdurre una scuola del genere anche in Italia, è che servono investimenti cospicui: parliamo di molti miliardi di euro.

Fioramonti non batte ciglio: “Ho vissuto in giro per il mondo: ho bisogno di qualche miliardo in più per la scuola e la ricerca. Per evitare che la coperta sia troppo corta ho proposto un sistema fiscale intelligente, indirizzando anche i consumi: abbiamo sempre i più problemi di obesità, investiamo quindi in istruzione mettendo piccoli interventi fiscali sui consumi come merendine, bevande zuccherate, voli aerei ecc”.

Manca anche la consapevolezza

“Serve certo una governance trasparente. In Italia c’è bisogno di una maturazione anche dal punto di vista civico, è anche un discorso di risorse”, ha proseguito il ministro, per il quale va attuata l’economia del benessere: “dobbiamo essere più consapevoli e tassare i consumi che fanno male, magari abbassando le tasse sulle imprese”.

Certe politiche innovative, potrebbero dare fastidio. “Non ho paura di pressioni, assolutamente no. Avrò più pressioni ma sono pronto e ad ascoltare”.

“Già da viceministro – ha proseguito Fioramonti – ho incontrato le associazioni di categoria, ora da ministro avrò più pressioni ma sono pronto e disposto ad ascoltare”.

Premio Storie di alternanza, al via l’edizione dell’a.s. 2019/2020

da La Tecnica della Scuola

Torna anche quest’anno il Premio Storie di alternanza”, l’iniziativa promossa da Unioncamere e dalle Camere di commercio italiane con l’obiettivo di valorizzare e dare visibilità ai video racconti dei progetti d’alternanza ideati, elaborati e realizzati dagli studenti e dai tutor degli Istituti scolastici italiani di secondo grado.

Le categorie previste sono due: Licei e Istituti tecnici e professionali.

Il Premio prevede due livelli di partecipazione: il primo locale, promosso e gestito dalle Camere di commercio aderenti e direttamente da Unioncamere per i territori delle Camere di commercio non aderenti, il secondo nazionale, gestito da Unioncamere. Al livello nazionale si accede solo se si supera la selezione locale.

Presentazione delle domande

Le domande di partecipazione possono essere presentate per la Sessione II semestre 2019 (dal 9 settembre al 21 ottobre 2019) e per la Sessione I semestre 2020 (dal 3 febbraio al 20 aprile 2020).

Come aderire

La documentazione per la partecipazione al premio può essere scaricata dal sito www.storiedialternanza.it all’interno della sezione “Modulistica“.

Per inviare la candidatura è necessario collegarsi al sito www.storiedialternanza.it e cliccare sul pulsante “Invia la candidatura” presente in home page.

Saranno prese in considerazione esclusivamente le candidature presentate tramite la piattaforma online www.storiedialternanza.it

Premi

Sono previsti premi per il livello nazionale il cui ammontare complessivo, per ciascuna sessione temporale è pari a € 10.000,00. A livello locale ciascuna Camera di commercio aderente  all’iniziativa indicherà natura e tipologia dei premi. Sono previste, inoltre, menzioni speciali, con la possibilità di una menzione dedicata a un racconto di alternanza incentrato sul settore della meccatronica da premiare attraverso uno stage extracurriculare remunerato.

Le premiazioni nazionali dei vincitori si terranno a Verona, nel mese di novembre durante la manifestazione Job&Orienta 2019, per la sessione II semestre 2019 e a Roma, nel mese di maggio, per la sessione I semestre 2020. Sono previste anche premiazioni locali gestite direttamente dalle Camere di commercio aderenti all’iniziativa.

Nuovo Governo: per rispondere alle priorità sulla scuola servono 10 miliardi

da La Tecnica della Scuola

Il capitolo sulla scuola del programma del nuovo esecutivo contiene le priorità alle quali il ministro Fioramonti ha intenzione di ispirare la sua azione: stop alle classi pollaio, valorizzazione, anche economica, dei docenti, edilizia scolastica, scuola gratis per i redditi medio-bassi, lotta a bullismo e dispersione scolastica.
Ma quanto potrebbe costare un programma del genere?
Proviamo a fare due conti alla buona.

Facciamo due conti

Per lo stop alle classi pollaio basta andarsi a leggere la relazione tecnica allegata alla proposta di legge dell’onorevole Azzolina per capire che l’operazione è costosa, anzi costosissima. Solo per avviarla ci vorrebbero diverse centinaia di milioni, per raggiungere qualche obiettivo minimo si parla di un miliardo di euro (a regime costerebbe molto di più).
Valorizzazione, anche economica, dei docenti: per garantire ai docenti un aumento anche solo uguale a quello dell’ultimo contratto, peraltro considerato da tutti poco più che un elemosina, servirebbero un paio di miliardi (senza considerare che, facilmente, il conto raddoppierebbe perchè i sindacati chiederebbero immediatamente un aumento analogo anche per tutti gli altri dipendenti pubblici).
Se poi la dignità dei docenti comprende anche la soluzione del problema del precariato, bisognerà aggiungere ancora parecchie centinaia di milioni di euro.
Sull’edilizia scolastica c’è poco da dire: forse il nuovo Governo pensa anche ai fondi già stanziati e ancora non spesi e quindi è probabile che con un paio di miliardi aggiuntivi si possa fare qualcosa in più (una palestra scolastica di piccole dimensioni costa ormai non meno di mezzo milione di euro), ma per risolvere il problema delle tante scuole ospitate, soprattutto al sud, in edifici privati servirebbero diversi miliardi.
Per la scuola gratis ai redditi medio-bassi è difficile fare un conto ma certamente non siamo al di sotto dei due miliardi di euro che è una cifra largamente inferiore a quella che oggi le famiglie versano alle scuole come “contributo volontario”.
Per il bullismo potrebbero bastare qualche centinaia di milioni per assegnare uno psicologo ad ogni scuola, mentre per la lotta alle dispersione servirebbe stanziamenti cospicui e mirati diretti soprattutto alle aree più disagiate (ipotizziamo un miliardo di euro).
Tutto questo senza dimentica che ci sono ancora alcune misure importanti fortemente volute dal M5S che devono essere confermate e finanziate (per esempio la prosecuzione della diffusione del tempo pieno).
Manca poi all’appello un programma per la fascia di età 3-6 anni con un aumento dell’offerta statale di scuola dell’infanzia che avrebbe costi enormi, soprattutto in alcune regioni dove oggi il servizio viene garantito soprattutto dalle scuole paritarie.
Insomma, basta fare la somma delle cifre indicate (tutte calcolate per difetto) per scoprire che, per affrontare le priorità elencate dal nuovo Governo, vi vorrebbe una decina di miliardi.
Vedremo cosa verrà stanziato con la legge di bilancio 2020: la sensazione è che trovare anche solo un paio di miliardi, come chiesto dal Ministro, sarà difficile, anzi difficilissimo.

Vaccini, tutte le info utili in vista del ritorno a scuola

da La Tecnica della Scuola

Conto alla rovescia per la prima campanella che riporterà in classe 600mila, tra bambini e ragazzi, ma solo se la copertura vaccinale è assicurata.

A decorrere dall’anno scolastico che sta per iniziare sono in vigore in tutta Italia le “misure di semplificazione per gli adempimenti vaccinali ai fini dell’iscrizione alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione, ai servizi educativi per l’infanzia, ai centri di formazione professionale regionale ed alle scuole private non paritarie”.

Pertanto ai genitori, tutori, affidatari quest’anno non è stato più richiesto di presentare, all’atto dell’iscrizione dell’alunno, la documentazione relativa alle vaccinazioni eseguite o altra documentazione di esonero o differimento delle stesse.

L’accertamento della situazione vaccinale degli iscritti avviene da parte delle agenzie di tutela della salute avvalendosi delle anagrafi vaccinali regionali informatizzate, sulla base degli elenchi degli iscritti all’anno scolastico trasmesso dalle scuole.

Tre le condizioni per cui il minore può non essere in regola:

1) risultare non vaccinato, in riferimento a quanto previsto dall’allegato 2 circolare 16 agosto 2017 del Ministero della Salute;

2) non ricadere nelle condizioni di esonero, omissione o differimento

3) non aver presentato formale richiesta di vaccinazione e conseguente appuntamento rilasciato dal centro vaccinale delle agenzie competenti territorialmente.

Al momento i controlli si sono concentrati principalmente sulle iscrizioni ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, incluse quelle private non paritarie, perché per i minori non in regola con le vaccinazioni è prevista l’esclusione dalla frequenza della scuola fino ad avvenuta regolarizzazione o inizio del percorso di recupero vaccinale.

Invece per quanto riguarda le scuole primarie e secondarie e per i centri di formazione professionale regionale l’attività di controllo proseguirà costantemente nel corso dell’anno, in quanto l’inadempienza all’obbligo vaccinale non comporta l’esclusione scolastica, né impedirà la partecipazione agli esami, ma solo la sanzione pecuniaria (fino a 500 euro).

Le vaccinazioni obbligatorie

Le vaccinazioni obbligatorie per bambini e ragazzi fino a 16 anni (per precisione, 16 anni e 364 giorni) sono 10. Poiché molte di queste non sono disponibili singolarmente, ma solo come formulazioni combinate, ecco quali sono i vaccini solitamente somministrati nei centri vaccinali:

  • vaccino esavalente: viene somministrato ai bambini che hanno compiuto il secondo mese di vita, con tre dosi distribuite nell’arco del primo anno d’età, come da calendario ministeriale. Le vaccinazioni comprese sono sei: anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse e anti Haemophilus influenzae di tipo B. Per i richiami di difterite, tetano, pertosse e poliomielite eseguiti in età scolare sono utilizzate altre formulazioni combinate;
  • vaccino trivalente MPR: questo vaccino, somministrato tra il 13° e il 15° mese di vita, con rivaccinazione nel sesto anno, protegge contro morbillo, parotite e rosolia;
  • vaccino contro la varicella: questa vaccinazione potrà essere somministrata con un vaccino monovalente (quindi da sola) o all’interno di una formulazione quadrivalente che associa l’anti-varicella al trivalente MPR.

L’obbligatorietà è prevista per tutte le dosi necessarie per queste vaccinazioni e per tutti i richiami.

Il Ministero rivaluterà periodicamente l’obbligatorietà ogni tre anni, sulla base dei dati epidemiologici e delle coperture vaccinali. Ma non per tutti i vaccini: quelli contro morbillo, parotite, rosolia e varicella saranno infatti obbligatori per i prossimi tre anni, al termine dei quali si potrà disporre la cessazione o la conferma dell’obbligatorietà per una o più di questi. Per gli altri sei, invece, l’obbligo è permanente.

Rav, ecco gli errori da evitare per la compilazione. Tutte le info

da La Tecnica della Scuola

RAV (Rapporto di Autovalutazione di Istituto), PDM (Piano di Miglioramento), PTOF e, adesso, l’RS (il documento di Rendicontazione sociale).

In questo “caldo” autunno 2019 viene a convergere la predisposizione dei quattro documenti progettuali e valutativi fondamentali per le scuole, documenti che trovano finalmente l’allineamento temporale definitivo, in vista del prossimo triennio. Tutti con scadenza ultima il 31 dicembre 2019.

La logica temporale e valutativo-progettuale dei quattro documenti potrebbe essere sintetizzata nell’indicazione della loro naturale sequenza: la Rendicontazione sociale chiude un ciclo, quello dei RAV partiti dall’a.s. 2014-2015, e quindi si pone come documento base, di partenza, per la predisposizione del RAV 2019-2022. Il RAV definirà priorità, traguardi e obiettivi per il 2019-2022, la pianificazione dei quali sarà oggetto del Piano di Miglioramento ad esso collegato.

Sulla base di questi elementi, sarà possibile definire in modo coerente l’offerta formativa per il triennio in questione, attraverso il POF triennale.

Il punto è che quest’anno la predisposizione del RAV non si è chiusa a giugno-luglio, come è avvenuto gli anni scorsi, in quanto, proprio per consentire questo allineamento temporale fra i vari documenti e la chiusura definitiva del ciclo precedente, l’oggetto dell’analisi delle scuole comprenderà non solo gli esiti scolastici degli studenti nell’anno scolastico precedente (come è stato fin dall’inizio), in questo caso, l’a.s. 2017-18, ma anche gli esiti scolastici dell’anno appena concluso, che saranno restituiti alle scuole, come indicato dal Miur, in tempi strettissimi: entro settembre.

Le scuole che hanno pertanto già pubblicato il RAV confrontandosi con i canonici risultati dell’anno precedente, dovranno riaprirlo per rivedere le loro conclusioni alla luce dei nuovi dati che saranno a breve disponibili. Dati che potrebbero confermare o in parte smentire alcune indicazioni formulate a luglio.

Ad esempio, una scuola che aveva pensato di inserire una certa priorità, poniamo, relativa alle prove standardizzate nazionali (Invalsi), dati i nuovi risultati potrebbe decidere di cambiarla, nel caso in cui gli esiti degli studenti in Italiano e Matematica si fossero rivelati migliori rispetto a quanto valutato in riferimento ai dati relativi all’anno precedente. Non avrebbe senso, infatti, inserire fra le priorità (e questo figura fra i più frequenti errori delle scuole) quelle relative a valutazioni relativamente alte, a discapito di altre aree con valutazione invece più basse.


Insomma, il lavoro del RAV sta per ricominciare e le scuole dovranno stare attente ai nuovi dati in quanto è da questi che bisognerà ripartire in termini sia autovalutativi che progettuali.

Occorre poi evitare gli ormai “classici” errori di impostazione del RAV, che l’Invalsi continua a segnalare, ad esempio, in riferimento alla formulazione linguistica e alla coerenza fra priorità e traguardi o fra traguardi ed obiettivi di processo, spesso indicati dalle scuole sulla base di un reale travisamento del loro effettivo significato.

Esempio classico:

Priorità: “Migliorare il clima relazionale ed emotivo nelle classi”. (Non è una priorità, in quanto non riguarda direttamente le quattro aree degli esiti degli studenti: risultati scolastici, prove standardizzate, competenze chiave, risultati a distanza).

Traguardo di miglioramento: “Favorire la motivazione allo studio degli studenti, con l’introduzione di una didattica attiva”. (Non è un traguardo corretto, perché non si collega perfettamente con la priorità, peraltro errata, che parlava di clima relazionale, e soprattutto per la sua formulazione, che non prevede elementi quantitativi od osservabili, senza i quali è impossibile stabilire se e quando un traguardo sarà stato raggiunto dalla scuola).

Obiettivo di processo: “Migliorare il rendimento degli studenti, soprattutto dei più svantaggiati sul piano culturale, anche attraverso pratiche valutative più formative e meno penalizzanti”. (Migliorare il rendimento… non è un obiettivo di processo, ma semmai è più vicino al senso di una priorità e, poi, non si specifica che cosa esattamente si andrà a fare; meglio allora scrivere: “Realizzazione di corsi di formazione per i docenti sulla valutazione formativa”. Oppure: “Messa in atto, documentazione e diffusione di percorsi e di buone pratiche, fra i docenti, sulla valutazione formativa.”

Si rimanda i lettori alla lettura del documento “Il Rapporto di Autovalutazione. Nota metodologica e guida operativa”, al seguente link (clicca qui)

Scarsi rendimenti scolastici: abbattere i divari tra nord e sud

da La Tecnica della Scuola

Una delle sfide più importanti per il nostro sistema educativo è migliorare i rendimenti scolastici degli studenti, azzerando le differenze coi  bambini e i ragazzi che nascono nelle famiglie più svantaggiate.

Una distorsione che fa ristagnare  la mobilità sociale ma che può essere ridotta e superata solo da un sistema educativo equo e di qualità per tutti, a prescindere dal contesto sociale di provenienza.

A certificare un sensibile peggioramento dei rendimenti scolastici degli studenti a livello europeo sono i rilevamenti Ocse-Pisa, secondo cui in media un quindicenne su 5 non raggiunge competenze sufficienti in lettura, matematica e scienze.

A dirlo una elaborazione “Openpolis” confrontati  coi dati Ocse-Pisa

Rispetto al 2012, aumentano di 1,9 punti gli studenti con bassi rendimenti in lettura e di 4 punti nelle scienze. Mentre la quota di alunni con scarse competenze matematiche resta stabilmente la più alta (22,2%).

Un obiettivo che è pienamente raggiunto da 4 stati su 28 in lettura, da solo 3 in matematica e appena 2 in scienze. Anche aggiungendo i paesi che si trovano sulla soglia del 15% o poco sopra, il conto sale a 6 stati per la lettura e a 4 in matematica e scienze.

L’Italia a metà classifica

L’Italia, rispetto all’obiettivo europeo di ridurre al di sotto del 15% il numero di ragazzi  con dati insufficienti, si colloca a metà classifica in tutte e tre le materie, con una quota di ragazzi con apprendimenti insufficienti sempre superiore alla media europea e al 20%.

L’aumento dei giovani con rendimenti scolastici insufficienti, osservabile tra 2012 e 2015, non è stato uniforme sul territorio nazionale. Alcune aree del paese, e in particolare il mezzogiorno, mostrano un peggioramento preoccupante.

Il Nord ha studenti più preparati

Nella parte settentrionale del paese la quota di studenti con rendimenti scolastici insufficienti appare molto più contenuta. In particolare nelle regioni del nord-est: in queste la percentuale è ampiamente al di sotto della soglia europea del 15%. Quest’area presenta dati in linea (o inferiori) a quelli dei migliori benchmark europei in tutte le materie.

11% gli studenti con competenze insufficienti in lettura nel nord-est. Nelle isole sono il 32,8%: tre volte tanto.

Il Mezzogiorno distante

È il mezzogiorno a distanziarsi di più sia dalla media italiana, sia dall’obiettivo del 15%. Nelle regioni del sud i giovani con apprendimenti scarsi sono poco meno del 30%; nelle isole raggiungono o superano 1/3 del totale.

Per capire meglio  il livello degli apprendimenti possiamo comunque ricorrere ai dati Invalsi, che in modo simile stimano la percentuale di ragazzi della seconda superiore con competenze alfabetiche e numeriche insufficienti.

54,1% degli studenti calabresi di seconda superiore ha competenze insufficienti in lettura. Una quota 3 volte superiore a quella di Trento.

Letti regione per regione i dati rendono ancora meglio i divari interni al paese.

In 5 regioni, tutte del mezzogiorno, i rendimenti in lettura sono insufficienti per oltre il 40% dei ragazzi: Calabria, Sardegna, Sicilia, Campania e Puglia. E sugli apprendimenti in matematica il dato è ancora peggiore: 2 terzi dei ragazzi calabresi e sardi, e quasi il 60% di quelli campani e siciliani non ha competenze sufficienti.

Questi dati rischiano di avere gravi conseguenze in futuro, e di allargare le distanze che già esistono nei territori.

Escludendo le province di Abruzzo e Molise, i migliori rendimenti nel mezzogiorno sono concentrati in 3 territori: Lecce, Bari e Matera.

Seppur di poco, si trovano comunque al di sotto punteggio medio nazionale pari a 198,5 punti. Sono molto lontane dalla media realtà calabresi come Crotone e Vibo Valentia, la siciliana Enna, e la provincia del Sud Sardegna. Per queste aree la distanza è ampia non solo dalla media nazionale, ma soprattutto dalle province con i migliori rendimenti, tutte concentrate tra Lombardia, Veneto e Trentino, tra queste Lecco, Trento, Como, Belluno, Monza.

Questi dati confermano i trend già visti, ma la disaggregazione si evidenza anche comune per comune.

Dei primi 10 capoluoghi per competenza alfabetica, 9 sono del nord. Ma è interessante osservare il terzo posto di Lanusei (capoluogo della ex provincia sarda dell’Ogliastra), in controtendenza rispetto a quanto visto per il mezzogiorno e per la Sardegna.

Sempre controtendenza con le maggiori difficoltà registrate nel mezzogiorno, si segnalano anche altri capoluoghi meridionali al di sopra della media nazionale (pari a 200 punti). Nell’ordine Campobasso (209, 54 punti), Benevento (208,11), Trani (204,53), L’Aquila (203,52), Agrigento (203,09), Salerno (202,08, Chieti (201,65), Taranto (201,64), Lecce (201,53) e Villacidro (200,93).

Segno che nel sud la situazione dei capoluoghi è in alcuni casi meno drammatica di quella delle rispettive province, dal momento che anche le migliori del sud si avvicinavano, senza raggiungerla, alla media nazionale.

Ma sembra trattarsi più che altro di eccezioni rispetto al trend complessivo. Se prendiamo i 10 capoluoghi con i rendimenti più bassi sono tutti del mezzogiorno.

9 su 10 sono concentrati nelle due isole (in particolare in Sardegna), l’altro è la calabrese Cosenza.

Messi in fila, questi dati raccontano di un ritardo preoccupante delle regioni meridionali, con poche eccezioni, e risultati ancora peggiori in alcune realtà locali.

Un problema non solo educativo e giustizia sociale, ma anche economico: lasciare indietro negli apprendimenti gli studenti delle zone più deprivate del paese, è di fatto un disinvestimento sul capitale umano di questi territori. In definitiva, una tara sulle possibilità di sviluppo nel futuro.

Alternanza Scuola Lavoro: tutto quello che c’è da sapere prima di ritornare a scuola

da Tuttoscuola

L’anno scolastico è ricominciato e le questione a cui far fronte sono diverse. Una su tutte quella relativa all’Alternanza Scuola Lavoro (ora PCTO). A fare un punto sulla situazione attuale e la FLC CGIL all’interno del suo documento “Novità e questioni emergenti: cosa sapere prima della ripartenza”. Tuttoscuola le riassume di seguito.

Innanzitutto è bene ricordare che il quadro di riferimento in cui si inseriscono le nuove Linee guida sui PCTO appare completamente mutato rispetto a quello della Guida operativa sull’alternanza scuola- lavoro del 2016 che, in applicazione alla legge 107/15, aveva introdotto le attività obbligatorie quantificate nel secondo biennio e ultimo anno delle secondarie di 2° grado.

L’esperienza realizzata, condotta con notevole difficoltà dalle scuole e quanto mai osteggiata dagli studenti, è stata oggetto di una importante revisione nella Legge di Bilancio 2019 (L. 145/18) tale da produrre un taglio del monte-ore obbligatorio e dei finanziamenti, e disporre una fase transitoria sul rinnovato esame di Stato.

 La L. 145/18 stabilisce che:

784. I percorsi in alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono ridenominati  “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” e, a decorrere dall’anno scolastico 2018/2019, con effetti dall’esercizio finanziario 2019, sono attuati per una durata complessiva:

a) non inferiore a 210 ore nel triennio terminale del percorso di studi degli istituti professionali;
b) non inferiore a 150 ore nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi degli istituti tecnici;

c) non inferiore a 90 ore nel secondo biennio e nel quinto anno dei licei.
785. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, fermi restando i contingenti orari di cui al comma 784, sono definite linee guida in merito ai percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento.

Sul decreto di adozione delle Linee-guida, già oggetto di informazione alle organizzazioni sindacali, si è espresso con parere negativo il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI).

La nuova visione dei PCTO

Tutto ruota attorno all’imprenditorialità e all’economia come punto d’approdo, dove l’azienda diventa protagonista ben oltre il patto di accoglienza. Questo indica una precisa scelta di campo che modifica le finalità formative del sistema di istruzione, mettendo distanza (invece di creare sinergia) tra la scuola e le realtà produttive.

Nell’alternanza scuola-lavoro era centrale il concetto di apprendimento (quindi interno al percorso formativo); nei PCTO è centrale il concetto di “competenza”, termine che proietta la mission in una dimensione operativa del fare e dell’essere, dove la finalità dell’orientamento non è quella del successo formativo della persona, cui la scuola deve misurarsi, ma quella dell’orientamento come fattore di affermazione individuale in un’ottica produttiva, calata nella moderna competitività dei sistemi economici.

Richiamando i quadri europei, vengono elencate le competenze trasversali, in riferimento alle quali la seconda parte del documento (appendice) traccia varie indicazioni sui possibili percorsi da sviluppare e su esempi di attività: nelle aziende o in collaborazioni avviate con il terzo settore, in simulazione d’impresa, con esperti del mondo del lavoro o sul campo.

È un elenco di esperienze che sembrano trovare terreno di sviluppo al di fuori della dimensione formativa tradizionalmente intesa e che le singole discipline assumeranno nella propria progettazione; in realtà lo sviluppo di tali competenze accompagna, ed ha sempre accompagnato, ogni giorno l’intera vita scolastica dello studente (capacità di assumere iniziativa, di esprimere e comprendere punti di vista diversi, di lavorare in maniera collaborativa, di accettare responsabilità, di motivare gli altri e valorizzare le loro idee, creatività ed immaginazione, etc.) in quel processo di scoperta/consapevolezza di se stessi e del proprio ruolo sociale già pienamente collocato nel percorso di istruzione.

Indicazioni alle scuole

Occorre, innanzitutto, favorire un percorso formativo nelle istituzioni scolastiche sulla specificità dei PCTO per esercitare, attraverso l’appropriazione di finalità didattiche, una attinente progettazione dei percorsi.
Per questa ragione diventa primario il ruolo del collegio dei docenti (e le sue articolazioni come i dipartimenti) che dovrà anche programmare il piano delle attività dei consigli di classe, tenuto conto del maggiore fabbisogno di coordinamento e progettazione.

Non ultimo, il richiamo alle relazioni sindacali, perché le risorse specifiche dell’ASL sono oggetto di negoziazione, come prevede il CCNL 2018, secondo i criteri stabiliti tra dirigente scolastico e RSU in sede di contrattazione integrativa di istituto.