Il D.Lgs 96/2019: le modifiche al D.Lgs 66/2017

Il D.Lgs 96/2019: le modifiche al D.Lgs 66/2017

di Fabio Zanardelli

Una delle novità di maggior rilievo degli ultimi giorni è stata l’emanazione del D.Lgs 96/2019, Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, recante: «Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c) , della legge 13 luglio 2015, n. 107».

Il nuovo testo di legge, entrato in vigore il 12 settembre 2019, introduce alcune importanti modifiche al D.Lgs 66/2017 su cui pare opportuno soffermarsi al fine di fornire un’analisi più aggiornata del decreto sull’inclusione scolastica.

Dopo aver elencato per punti le principali novità introdotte dal nuovo decreto, si proseguirà con un bilancio provvisorio dei nuovi punti di forza e delle criticità ancora in essere che caratterizzano il D.Lgs 66/2017 a valle delle modifiche introdotte dal D.Lgs 96/2019, cercando di mettere in luce se, e in quale misura, tali novità abbiano migliorato l’impostazione del testo di legge.

Le principali modifiche

Tralasciando gli aggiustamenti di terminologia, si possono riassumere le principali novità introdotte dal nuovo decreto nei seguenti punti:

  • Maggiore insistenza sul principio di accomodamento ragionevole come principio guida per l’utilizzo delle risorse per il sostegno dei singoli PEI (D.Lgs. 96/2019, art. 7, Modifiche all’art. 8 del D.Lgs 66/2017).
  • Estensione dell’adozione dei criteri dell’ICF anche all’accertamento della condizione di disabilità (D.Lgs 96/2019, art. 4, Modifica all’art. 5 del D.Lgs 66/2017)
  • Modifica delle commissioni mediche per l’accertamento della disabilità e precisazione dei partecipanti alla stesura dei documenti per l’Inclusione (D.Lgs 96/2019, art. 4, Modifica all’art. 5 del D.Lgs 66/2017, c. 3). La commissione medica per la redazione del Profilo di Funzionamento è stata notevolmente ridimensionata, con un numero di elementi che oscilla da 3 a un massimo di 4 professionisti (Neuropsichiatra infantile o esperto nella patologia più almeno due tra terapista della riabilitazione, psicologo e assistente sociale o rappresentante dell’Ente Locale). Ad essa si aggiunge la collaborazione dei genitori, la partecipazione dell’alunno -“nella massima misura possibile”- e della scuola nella persona del dirigente scolastico o di un docente specializzato in sostegno didattico (il decreto precedente indicava un rappresentante generico dell’istituzione scolastica, individuato “preferibilmente” tra i docenti).
  • Circoscrizione più puntuale del Piano Educativo Individualizzato. All’art. 6 del D.Lgs 96/2019 si specifica che il documento deve essere redatto dal Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione di cui all’art. 8 del suddetto decreto e deve contenere una quantificazione delle ore e delle risorse necessarie per il sostegno, nonché tutti gli strumenti, le strategie e gli interventi educativi e didattici (D.Lgs 96/2019, art. 6, c. 1, punto 4). Inoltre, sono stabilite scadenze univoche, ancorché non cogenti, per la sua redazione: il PEI “va redatto in via provvisoria entro giugno e in via definitiva, di norma, non oltre il mese di ottobre” (D.Lgs 96/2019, art. 6, c. 1, punto 6).
  • Chiarificazione dei rapporti tra i differenti documenti per l’inclusione scolastica, con particolare riferimento al Progetto Individuale: Il Piano Educativo Individualizzato è ora definito univocamente come “facente parte del progetto individuale” (D.Lgs 96/2019, art. 4, Modifica all’art. 5 del D.Lgs 66/2017, sostituzione della lettera b), sancendo definitivamente lo statuto del progetto individuale come summa onnicomprensiva degli interventi predisposti per il progetto di vita della persona con disabilità.
  • Coinvolgimento diretto dello studente con disabilità nel progetto di inclusione in virtù del suo diritto all’autodeterminazione; il decreto, infatti, specifica che la “partecipazione attiva”  di tali studenti deve essere “assicurata” all’interno del Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione (D.Lgs 96/2019, art. 8, c.11), in sede di definizione del proprio progetto educativo individuale. 
  • Introduzione, a livello di singola istituzione scolastica, del Gruppo di Lavoro Operativo per la progettazione per l’inclusione dei singoli alunni con accertata condizione di disabilità ai fini dell’inclusione scolastica (GLO, D.Lgs 96/2019, art. 8, c. 10, Modifica all’art. 9 del D.Lgs 66/2017): si tratta, in altre parole, di una legittimazione del GLHO, fino ad oggi lasciato in ombra dalla legislazione e inserito solo in sporadici riferimenti come operativo ma destinato ad essere sostituito dal GLI. In seguito alla modifica del decreto si chiarisce il rapporto di sinergia e azione complementare ai fini dell’inclusione scolastica tra GLO (a livello di singoli alunni) e GLI (a livello di intero istituto).
  • Riconoscimento e istituzionalizzazione della realtà dei Centri Territoriali di Supporto e delle Scuole Polo come importante supporto per l’inclusione scolastica (D.Lgs 96/2019, Art. 8, Modifica all’art. 9 del D.lgs 66/2017, aggiunta dei commi 2-bis e 2-ter).
  • Definizione più precisa dei ruoli del GIT: essi costituiscono da un lato  la cinghia di trasmissione a livello di ambito territoriale tra Istituzioni e Ufficio Scolastico Regionale e, dall’altro, sono un punto di riferimento e supporto per i gruppi per l’inclusione delle singole Istituzioni scolastiche (D.Lgs 96/2019, art. 8, commi 1-7). 
  • Maggiore rilievo all’interistituzionalità del progetto inclusivo. La maggior parte dei documenti per l’inclusione prevede la collaborazione, a diverso titolo, dei rappresentanti di almeno due delle diverse realtà territoriali (Sanità, Scuola, Ente Locale). A titolo di esempio, la stesura del progetto individuale è ora affidata non esclusivamente all’Ente Locale (D.Lgs 66/2017, art. 6, c. 2), ma all’azione sinergica di quest’ultimo d’intesa con la competente Azienda Sanitaria Locale (D.Lgs 96/2019, art. 7, c. 1, b) ). Ancora, l’azione dei gruppi di lavoro per l’inclusione può avvalersi della collaborazione delle associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità nell’inclusione scolastica, degli Enti Locali e delle Aziende Sanitarie Locali (D.Lgs 96/2019, art. 8, c. 6). In virtù di questa impostazione, la quasi totalità del processo di inclusione è affidata ad un’autentica azione di rete tra le Istituzioni presenti sul territorio.

Le nuove proroghe

Tra le nuove proroghe introdotte dal D.Lgs 96/2019, le più rilevanti riguardano i seguenti tre punti: l’utilizzo dei criteri dell’ICF, l’entrata in funzione del Gruppo per l’Inclusione Territoriale in riferimento all’assegnazione delle risorse per il sostegno e la definizione delle misure di accompagnamento per la formazione in servizio del personale scolastico

Ancora una volta, a causa delle forti disparità tra le Aziende Sanitarie Locali delle diverse Regioni e, soprattutto, in assenza di opportune Linee Guida, ad oggi ancora da emanare, è stata rinviata la stesura della documentazione per l’inclusione secondo i criteri dell’ICF. Per risolvere tale criticità, oltre alla pubblicazione della Linee Guida, sarebbe auspicabile un’iniziativa di formazione diffusa non solo tra il personale sanitario, ma anche all’interno delle diverse realtà del territorio, scuola ed Ente Locale, in modo da rendere l’ICF un vero linguaggio comune per descrivere e classificare il funzionamento dei soggetti con disabilità e consentire una progettazione davvero efficace e interistituzionale del loro percorso di vita.

Quanto all’operatività del GIT, essa è ancora rimandata a data da destinarsi, ma il decreto introduce un’importante soluzione ad interim: fino a quando il GIT non sarà formato e operativo, il Dirigente Scolastico potrà interloquire direttamente con l’USR per richiedere l’assegnazione delle ore per il sostegno (D.Lgs 96/2019, artt. 9 e 16). Questo provvedimento snellisce e velocizza la procedura e investe il Dirigente Scolastico di una grande responsabilità nei confronti dell’Istituto, ma il rischio di non avere il filtro di un gruppo che funga da cinghia di trasmissione tra Istituzioni scolastiche di un ambito territoriale e Regione potrebbe comportare complicazioni a livello burocratico e logistico. Inoltre, la mancanza di obbligatorietà o di termini ultimi per la formazione del GIT potrebbe risultare nella permanenza a tempo indeterminato della discrezionalità completa dei Dirigenti Scolastici nella richiesta di risorse per il sostegno, con possibilità di contenzioso per le Istituzioni scolastiche tra loro e con USR senza la possibilità di mediazione a livello né di provincia né di ambito territoriale.

L’ultima nota -in parte- dolente del decreto riguarda la fondamentale questione della formazione in servizio del personale docente. Le misure di accompagnamento definite all’art. 15, infatti, stabiliscono, senza precisarle, le necessarie misure di accompagnamento per assicurare la formazione in materia di inclusione scolastica. L’aspetto positivo che caratterizza questa e altre disposizioni del D.Lgs 96/2019 riguarda il termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore del decreto per la loro messa in atto. Si auspica che tale termine sia rispettato ed entro marzo del prossimo anno le misure previste dal decreto trovino piena attuazione.

Il nuovo decreto-un bilancio provvisorio

Alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs 96/2019, il D.Lgs 66/2017 presenta notevoli miglioramenti in termini di precisione delle direttive e attuazione del processo inclusivo come azione di rete e a misura del singolo alunno con disabilità, del quale è assicurata, ove possibile, la partecipazione diretta alla creazione del progetto inclusivo.

Tra le criticità, oltre alle proroghe che ancora gravano sull’attivazione di alcuni provvedimenti, si riscontra una ancora poco soddisfacente regolamentazione della continuità del progetto educativo, che allo stato attuale esclude, penalizzandoli, i lavoratori a tempo determinato non in possesso del titolo di specializzazione che hanno tuttavia prestato servizio su sostegno, magari anche instaurando una relazione significativa con l’alunno. Per quanto riguarda la formazione in servizio, inoltre, non sono ancora state regolamentate né la quantificazione, né le modalità di tali importanti iniziative.

Nel complesso, per concludere, il nuovo decreto ha compiuto notevoli passi in avanti verso la piena attuazione della L. 107/2015, cui fa spesso diretto riferimento. Si auspica che le successive disposizioni non si limitino ad attuare in maniera più completa la L. 107/2015 (“La Buona Scuola”), ma implementino ulteriormente, e a livello di tutti i contesti di vita, la portata inclusiva della legislazione italiana.

Patto educativo alla primaria: da quest’anno o è differito?

Patto educativo alla primaria: da quest’anno o è differito?

di Cinzia Olivieri

La Legge 20 agosto 2019, n. 92 Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica è stata pubblicata sulla GU n.195 del 21.08.2019 ed è entrata in vigore il 05/09/2019.

L’Art. 2 di detto provvedimento dispone che: “1. Ai fini di cui all’articolo 1, a decorrere dal 1° settembre del primo anno scolastico successivo all’entrata in vigore della presente legge, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione è istituito l’insegnamento trasversale dell’educazione civica, …”. Come ha precisato anche  il  CSPI nel suo parere dell’11/09/2019 con riferimento allo schema di decreto istitutivo della sperimentazione nazionale per l’insegnamento trasversale dell’educazione civica, quindi, indiscutibilmente la legge è entrata in vigore il 5 settembre dell’anno in corso, già iniziato, ma tale insegnamento “decorrerà a partire dal prossimo anno scolastico (2020/21) circostanza peraltro riconosciuta nello schema di decreto in esame che istituisce una sperimentazione per il vigente anno scolastico 2019/20”.

Il parere negativo all’avvio della sperimentazione trova ragioni articolate, di legittimità e di merito, non certo solo collegate alle predette scadenze giuridiche.

Il CSPI  ha dunque suggerito di utilizzare l’anno scolastico in corso tra l’altro per: “preparare studenti e genitori al significato del nuovo insegnamento, anche in previsione delle opportune ridefinizioni dei patti di corresponsabilità che devono essere estesi alla scuola primaria e revisionati nella scuola secondaria di primo e secondo grado, come prevede l’art. 7 della legge n. 92 …”.Recita infatti tale articolo: “1.   Al   fine   di    valorizzare    l’insegnamento    trasversale dell’educazione  civica  e  di  sensibilizzare  gli   studenti   alla cittadinanza responsabile, la scuola rafforza la  collaborazione  con le   famiglie,   anche   integrando    il    Patto    educativo    di corresponsabilità di cui all’articolo 5-bis del regolamento  di  cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno  1998,  n.  249, estendendolo alla scuola primaria. Gli articoli  da  412  a  414  del regolamento di cui al regio decreto 26 aprile  1928,  n.  1297,  sono abrogati”.

Quindi l’integrazione ed estensione del patto alla primaria ha la funzione di rafforzare la collaborazione ed è finalizzata alla valorizzazione dell’educazione civica. Potremmo definirla come attività propedeutica all’insegnamento.

Ma se devono ritenersi già abrogati gli articoli da 412 a 414 del RD 1297/1928 con l’entrata in vigore del provvedimento (con la conseguente necessità di definire il procedimento disciplinare alla primaria), il differimento della decorrenza al prossimo anno scolastico posticipa anche l’estensione ed adeguamento del patto?

L’art. 7 non individua una scadenza entro la quale tale adempimento deve realizzarsi e quindi, in coerenza con quanto suggerito  dal CSPI, è opportuno le scuole comincino sin d’ora a lavorare in maniera condivisa e serena per la migliore revisione del patto, secondo le aspettative della norma che neanche prevede sanzioni per eventuali ritardi, non avendo appunto indicato un termine.

Del resto l’art. 5 bis del dpr 249/98 stabilisce che la sottoscrizione del patto educativo avviene contestualmente all’iscrizione. Quindi si potrebbe pensare ad una sua revisione prima dell’inizio di quelle al prossimo anno scolastico.

Ma occorrerà lavorare ancor prima sui regolamenti interni, distinti dal patto che non regola né i comportamenti sanzionabili né il procedimento disciplinare, i quali dovranno essere calati in una realtà complessa come quella della scuola primaria dove gli alunni non sono imputabili, tenendo conto anche del contesto in cui dovranno essere applicati.

Sarà necessario riflettere sull’inadeguatezza ed inopportunità di “mezzi disciplinari” come la sospensione, l’esclusione dagli scrutini o dagli esami e persino l’espulsione, pur previsti dall’art. 412 del RD 1297/1928, e sulle garanzie  di un procedimento nei confronti di minori che per legge (art. 85 c.p.) non hanno la capacità di intendere e volere.

Bisognerà piuttosto ragionare, in coerenza con il dpr 235/07, sulle sanzioni sostitutive ovvero sulle possibili ipotesi di conversione in attività in favore della comunità scolastica.

Potrebbe essere anche l’occasione per riflettere su quanto espresso dalla recente sentenza della Cassazione a SSUU (n. 20594/2019) che riconosce la possibilità agli alunni (ed ai loro genitori) di “partecipare al procedimento amministrativo” e quindi di “esercitare diritti procedimentali, al fine di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche” all’indomani dell’ordinanza cautelare del Tar Lazio (n. 6011/2019) che ha riconosciuto il diritto degli alunni a consumare il pasto da casa nei locali scolastici. Perché il bilanciamento degli interessi non implica banalmente il sacrificio della minoranza ma la ricerca di una soluzione che  pur accordando la tutela ad un interesse comporti tuttavia meno limitazioni a quello in contrasto.

Gli insegnanti: “Appassionati ma poco rispettati”

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Appassionati della materia che insegnano e dei loro studenti che vedono crescere tra i banchi, raggiungere obiettivi, saltare ostacoli. Un po’ alla Robin Williams ne L’attimo fuggente , anche se più che capitani si sentono accompagnatori, compagni di strada. Insomma, dentro all’aula tutto bene (o quasi), al netto di chi è diventato prof per caso e non sono pochi, quasi un quinto. Fuori cominciano i guai. In sala insegnanti li attende un mare di carte e scartoffie da compilare, «la burocrazia ci soffoca». E una volta usciti da scuola è anche peggio. Si sentono rispettati? Non certo dal governo: solo il 5 per cento dice sì. E appena il 24 per cento afferma che gli italiani, ovvero la società, porta loro rispetto. Insomma, l’ambiente sociale e politico è percepito più che ostile. E lo è, in effetti, visto la “riformite” inconcludente che affligge la scuola italiana, genitori sempre più incattiviti e riconoscimento del valore dell’educazione sotto zero. Ecco cosa provano e pensano gli insegnanti italiani. Il quadro esce dall’indagine “Essere un docente” realizzata dalla Cambridge University Press su un campione di 1.330 maestri e professori in vista dell’avvio dell’anno scolastico. Il dossier racconta chi salirà in cattedra. «Mi aspettavo che gli insegnanti italiani fossero più insoddisfatti visto lo scarso riconoscimento sociale e i bassi stipendi», osserva Patrizia Zanon, general manager della casa editrice. La passione resiste nel 97 per cento dei casi, 77 si dichiarano soddisfatti. Tanto che il 65,8 per cento se tornasse indietro farebbe ancora l’insegnante. Letto al contrario è preoccupante: un terzo cambierebbe strada. Zanon vede il bicchiere mezzo pieno: «Siamo abituati a pensare all’insegnamento come a una professione di ripiego, rispetto alle aspettative il dato è abbastanza alto. Poi non si possono negare le difficoltà, il livello di stress, l’impiego del tempo vessatorio, ma il profilo che ne esce è positivo».

Ma la nostra è la classe docente più anziana rispetto ai paesi Ocse: l’Italia ha la quota maggiore di docenti ultra 50enni. Il lavoro è considerato duro da più di 40 su cento. Il motivo? «Mi ha fatto sentire stressato, non mi lascia tempo per la vita privata». Il cattivo rapporto coi colleghi ha un impatto maggiore sullo stress rispetto a quello coi genitori. I più giovani, under 35, soffrono invece di più nella relazione con gli studenti. Non è una categoria che vive di rendita, reclama formazione, risorse digitali, hardware in classe e per sé. L’impegno va oltre le lezioni in classe: dicono di lavorare per prepararle, correggere i compiti, poi c’è la gestione della scuola, i colloqui coi genitori. In media 5 ore al giorno, weekend compreso. «Dedichiamo troppo tempo alle attività amministrative e a riunioni interne », lamenta la maggioranza. «La ricerca conferma che gli insegnanti sono generalmente soddisfatti del loro lavoro, per quanto logorante nella gestione quotidiana delle dinamiche relazionali. Ciò non sorprende », osserva Gianluca Argentin, ricercatore all’università di Milano-Bicocca, autore del volume “Gli insegnanti nella scuola italiana”. «Ma attenzione: il loro modo di stare bene a scuola è un ripiegarsi nel contesto dell’aula, rischiano l’autoreferenzialità: non a caso, gli insegnanti stanno bene nella quotidianità scolastica, ma si sentono poco riconosciuti socialmente». E infatti quando chiedi loro di mettere in fila di che cosa hanno bisogno replicano: maggior rispetto, riconoscimen to, tempo, formazione, meno burocrazia. Al sesto posto, lo stipendio.


Lasciamo che i ragazzi scrivano tutti insieme

da la Repubblica

Franco Lorenzoni

Cara professoressa (e caro professore), nessuno sceglie dove nascere, in quale famiglia o continente atterrare. E tutta la vita, a partire dai primi anni, proviamo ad adattarci, a subire o ribellarci a quella condizione data. Chiunque si sia trovato a insegnare in classi che sempre più si presentano come specchio di un pianeta frammentato e di una società con crescenti divaricazioni sociali, credo abbia provato almeno un momento lo sconcerto di avere di fronte a sé vite ineguali verso le quali, come insegnanti, dovremmo sentire la spinta etica a fare ogni sforzo possibile per fornire conoscenze e strumenti capaci di attenuare almeno un po’ lo scandalo di diversità che precipitano nella discriminazione. Ci vuole grande coraggio e cultura e convinzione per essere all’altezza dei nostri compiti perché si tratta di offrire e costruire, spesso con grande fatica, la più ampia libertà di scelta possibile per tutti, in un mondo in cui l’esclusione cresce ogni giorno di più. Vivendo in un clima spesso ostile, fa bene tornare a Lettera a una professoressa perché quella denuncia rovente contiene una visione radicale dell’educazione, che credo abbia ancora molto da dire a chi pensa l’arte e la cultura come ribellione alla dittatura del presente.

Nel suo ultimo anno di vita don Milani sperimentò un modo particolare di dare voce pubblica agli esclusi. Per una volta, infatti, a denunciare il classismo violento della nostra scuola non furono studi o saggi sociologici, ma le vittime stesse di quella strage di intelligenze che, in pieno boom economico, portava ad espellere da ogni percorso formativo oltre la metà dei figli di contadini ed operai. La preoccupazione maggiore di don Lorenzo, nelle sei settimane che separarono l’uscita della Lettera dalla sua morte, fu che fosse riconosciuta come un’ opera collettiva .

Il mezzo della scrittura collettiva, infatti, incarnava il messaggio. O, meglio, il messaggio era nel modo con cui era stato forgiato il mezzo. In un tempo in cui ogni impresa comunitaria è guardata con sospetto vorrei consigliare di sperimentare in classe, almeno una volta, la scrittura collettiva dandoci tutto il tempo che occorre, non solo perché è uno strumento efficace di affinamento della lingua, ma perché necessita di un ascolto reciproco attento, in primo luogo da parte di noi insegnanti. Dà inoltre voce e aiuta ogni allievo a sostare attorno alle domande, approfondire i concetti, mediare tra il proprio punto di vista e quello degli altri e imparare ad argomentare dando respiro al proprio pensiero. La sofferenza infantile si annida in ogni segmento della società e per affrontare il disagio crescente credo dobbiamo cercare sostegno nella bellezza. È solo nel corpo a corpo con un testo, un teorema o una pittura che possiamo appassionare i più piccoli alla fatica dell’apprendere e al piacere del farlo insieme tra diversi, liberandoci da semplificazioni avvilenti. Ma per far questo dobbiamo andare controvento, ridurre gli argomenti e proporre pratiche di ricerca e di studio necessariamente lente, in cui si discute ogni cosa e si fa del dialogo l’architrave del processo educativo. Due anni fa, nel comporre un testo collettivo sulla figura di Gandhi, una bambina in quinta elementare a un tratto ha detto: «Gandhi non dava ragione a uno, ma a due». Una frase che ci ha fatto riflettere a lungo e che trovo ci avvicini al nocciolo del pensiero nonviolento. Sono intuizioni come queste che dimostrano quanta ricchezza si possa ricevere dai più piccoli quando diamo spazio all’affiorare dei loro pensieri più intimi e profondi.

C’è un nemico insidioso che non dobbiamo mai stancarci di contrastare: la crescente alienazione e allontanamento di troppi giovani dal desiderio e dalla fatica del conoscere, che aumenta con l’età e porta alla tragedia dei due milioni e mezzo di ragazzi che, pur non lavorando, hanno smesso di studiare.

Uno scandalo che dovrebbe tenerci svegli la notte perché, se in così tanti perdono il piacere e il senso dello studio, dobbiamo guardarci allo specchio e riconoscere le nostre responsabilità. Inoltre, in diverse città sta aumentando la tendenza di numerose famiglie ad abbandonare scuole frequentate da un numero crescente di figli di immigrati, dando luogo a quella che Vinicio Ongini chiama fuga bianca.

I dati delle prove Invalsi ogni anno testimoniano in modo inequivocabile la presenza nelle nostre scuole di classi ghetto, in cui vengono ammassati giovani immigrati di prima e seconda generazione insieme a ragazzi che hanno altre difficoltà e problemi. Nessun ministro ha avuto sinora il coraggio di affrontare la questione, ma noi non possiamo tollerare ed adeguarci a pratiche che alimentano forme di apartheid educativa, senza tradire l’articolo 3 della Costituzione, che è il nostro testo collettivo di riferimento. Se l’arte del convivere e la cura del pianeta sono lo sfondo di ogni educazione che guardi al futuro, la sfida sta nel dimostrare che nelle classi disomogenee si impara di più e meglio.

«Il problema degli altri è uguale al mio», ricordava con i suoi ragazzi il Priore. «Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia ».

L’autore è stato maestro elementare per 40 anni. Il suo ultimo libro è “I bambini ci guardano” (Sellerio).

John Elkann “Ripensiamo la scuola perché da lì passa il futuro del Paese”

da la Repubblica

TORINO — Una proposta per rifare le scuole italiane. «Perché — dice John Elkann — modificare il contenitore può servire ad aggiornare i contenuti e i metodi dell’insegnamento. Noi come famiglia ci siamo impegnati in questa direzione. Siamo convinti che migliorando l’apprendimento si possano avere benefici per il Paese».

Il presidente della Fondazione Agnelli è nella palazzina di via Giacosa, a Torino, che fu la residenza del fondatore della Fiat e che oggi è la sede di una quantità di iniziative.

Dal progetto “Torino fa scuola” per la ristrutturazione degli edifici scolastici al laboratorio didattico Combo, alla Sei, la scuola di imprenditorialità e innovazione, a Eduscopio.it, il portale che aiuta le famiglie italiane a orientarsi nella scelta delle scuole superiori.

Elkann, da dove nasce l’iniziativa di ristrutturare due istituti che ospitano le scuole medie?

«Ci stiamo lavorando da quattro anni. L’idea era quella di modificare le scuole come contenitore. Inoltre gli istituti scolastici pericolanti o in condizioni difficili sono una delle emergenze del nostro Paese».

Avete una proposta per risolvere il problema?

«Abbiamo scelto la strada della concretezza: non solo attraverso ricerche e indagini mirate, ma anche passando dalle parole ai fatti. Ad esempio ristrutturando due edifici scolastici a Torino. Scuole nate in altri contesti storici, una di fine Ottocento, l’altra degli anni Sessanta. Diversi contesti e anche diverse logiche di insegnamento rispetto ad oggi. C’era ancora la cosiddetta lezione frontale: l’insegnante in cattedra, le file di banchi degli alunni di fronte. Oggi la lezione non dovrebbe essere soltanto così.

Bisogna dunque adattare anche l’architettura delle scuole».

In quanto tempo ci siete riusciti?

«I cantieri sono durati un anno, un record. Ma da soli non ce l’avremmo mai fatta. L’operazione è stata possibile perché abbiamo lavorato insieme a una Fondazione come la Compagnia di San Paolo, al Miur e alla città, collaborando con le due amministrazioni di diverso segno politico che hanno guidato Torino».

Avete ristrutturato due scuole.

Ma in Italia ce ne sono migliaia.

«Non c’è mai stato in Italia un progetto di questo tipo: un concorso di idee internazionale, quasi 300 proposte ricevute, il progetto vincente realizzato in un anno, un’inedita collaborazione pubblico-privato e un’esperienza che ora è a disposizione di tutti. Da oggi chiunque — amministratore pubblico, dirigente scolastico, imprenditore — può ricevere il kit che abbiamo messo a punto: idee, progetti, modelli pronti per essere replicati ovunque».

Negli ultimi anni la Fondazione Agnelli ha concentrato i suoi sforzi sull’insegnamento e la formazione.

La scuola italiana ha bisogno di essere curata?

«La scuola italiana è un’ottima scuola. Abbiamo un eccellente livello nelle elementari, un esempio che tutto il mondo ci invidia. Abbiamo un buon livello nei licei. Dagli studi che abbiamo condotto in Fondazione l’anello debole sono le scuole medie».

Parliamo allora, per una volta, degli aspetti positivi della scuola italiana. Da che cosa dipendono?

«Direi che il merito va agli insegnanti italiani. In generale, tanti di loro sono motivati e spesso prendono il loro lavoro come una vocazione. Sono loro la forza dei nostri istituti.

Ciascuno di noi può sperimentarlo: impari bene qualcosa se hai un insegnante capace di appassionarti.

Oggi questo aspetto della capacità di insegnare non è considerato nei criteri di assunzione dei docenti. E questo penalizza il nostro Paese nei confronti internazionali. Non basta conoscere bene una materia per poterla trasmettere ai ragazzi».

Fino a poco tempo fa tutti pensavamo che per trovare lavoro una strada sicura fosse quella di iscriversi a ingegneria. È ancora così?

«È ancora così. Ma in Italia c’è poco interesse per la cultura scientifica.

Che invece farà sempre più parte della nostra vita. Anche se scegliamo di fare il pittore, avremo sempre più a che fare con i robot e avremo sempre bisogno di conoscenze scientifiche».

Qual è il motivo di questa resistenza?

«Ho avuto occasione di parlarne tempo fa con Samantha Cristoforetti. Anche lei lamentava questa difficoltà degli italiani con le materie scientifiche. È evidentemente un fatto culturale. Soprattutto, continua ad essere basso il numero di bambine e ragazze che si accostano agli studi scientifici. Per questo la nostra Fondazione sviluppa programmi come Combo, un laboratorio didattico gratuito per insegnare queste discipline in modo accattivante».

Acquisire conoscenze scientifiche per poter interagire con i robot. Ma non saranno i robot a togliere il lavoro?

«I robot non sostituiranno il lavoro, lo integreranno. Per questo è importante saper interagire con loro. E non solo per il lavoro: entreranno sempre più nella nostra vita quotidiana. La promozione della cultura scientifica, ad esempio attraverso il Science Gateway — che Fca sta sviluppando insieme al Cern di Ginevra e in collaborazione con la Fondazione Agnelli, rientra tra i nostri obiettivi».

Lei ha ristrutturato un ufficio qui, nell’ex villa del senatore Agnelli. Si occupa da questo luogo anche delle trattative con Renault?

(Il presidente di Fca sorride) «Oggi parliamo di scuola e formazione.

Che, in prospettiva, possono diventare la vera ricchezza del nostro Paese».

Sostegno, nel 2019 solo 2.500 assunzioni su 14.000 posti. Mancano specializzati nelle graduatorie dei ruoli

da Orizzontescuola

di redazione

Sostegno: andamento organico di diritto e di fatto. Assunzioni autorizzate e assunzioni effettuate.

Studio Cisl

Nella mattinata odierna, abbiamo pubblicato lo studio della CISL Scuola relativo all’andamento nel tempo di assunzioni e supplenze, nonché allo scarto tra le assunzioni autorizzate e quelle effettivamente realizzate.

Dallo studio, scrive il sindacato, emerge una situazione che mostra tutti i limiti di una politica del reclutamento incapace di fare i conti con la realtà vera della scuola, rendendo ormai cronica la supplentite che a parole si dice di voler combattere.

Molti i posti vacanti nonostante le assunzioni. Tutti i numeri in un dossier CISL Scuola

Posti sostegno

Nello studio della Cisl è riportato l’andamento nel tempo anche dell’organico di diritto e di quello di fatto, ossia i posti in deroga, riguardanti il sostegno.

Organico di diritto

La Cisl ha pubblicato un grafico che mostra  l’andamento dell’organico di diritto dei posti di sostegno dal 2007/2008 al 2019/20.

Nel triennio 2013/14, 2014/15 e 2015/16 si è registrato un aumento di posti previsti dalla legge n. 104/2013; l’aumento avuto nel 2016/17 è da attribuire al piano straordinario di immissioni in ruolo previsto dalla Buona Scuola.

L’organico, dal 2017/18 al 2019/20, si è stabilizzato a quota 100.080 posti.

Ecco il grafico:

Posti in deroga

Quanto ai posti in deroga, concessi quindi in organico di fatto, lo studio prende in considerazione gli anni scolastici che vanno dal 2014/15 al 2018/19.

I dati evidenziano una crescita costante che va dai 28.863 posti del 2014/15 agli 65890 del 2018/19:

La crescita dei posti è corrisposta ad una più marcata carenza di personale specializzato. 

Assunzioni in ruolo

Lo studio riporta anche il confronto tra numero di assunzioni autorizzate e numero di assunzioni effettuate. Il dato è complessivo, ossia per posti comuni e di sostegno insieme:

Anche nello studio si evidenzia che la percentuale maggiore di assunzioni non effettuate riguarda il sostegno:

  • 3.576 assunzioni sulle 13.329 autorizzate nel 2018/19;
  • meno di 2.500 su 14.593 nell’anno 2019/20. Quest’ultimo dato, evidenzia lo studio, è provvisorio, ma presumibilmente non molto lontano da quello che si può ipotizzare come definitivo.

Corsi sostegno

Il Ministro Bussetti ha previsto lo svolgimento di corsi di specializzazione per 40.000 posti, di cui 14.224 banditi per l’a.a. 2018/19, ossia per il primo dei tre corsi previsti che è attualmente in atto.

Sciopero Scuola, proclamato per il 27 settembre. Nota Miur

da Orizzontescuola

di redazione

Sciopero comparto Scuola: proclamato per il 27 settembre. Nota Miur e integrazione.

Il Miur, con la nota del 12 settembre 2019, ha comunicato lo sciopero del comparto scuola proclamato da:

  • SISA (Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente): personale docente, dirigente ed ata, di ruolo e precario, in Italia e all’estero con adesione della Confederazione LAS (Lavoro Ambiente Solidarietà;
  • USI — Unione sindacale Italiana fondata nel 1912: personale dipendente a tempo indeterminato, determinato e con rapporti e contratti atipici e precari (compresi ex LSU/LPU, docente, non docente del comparto scuola di ogni ordine e grado e dei servizi esternalizzati a terzi soggetti (anche gestiti da Enti Locali o amministrazioni regionali, da loro aziende pubbliche o partecipate). Allo sciopero ha aderito l’USI SURF (per i settori scuola e università);
  • COBAS — Comitati di Base della Scuola: personale docente, educativo e Ata delle scuole di ogni ordine e grado, in Italia e all’estero;
  • FLC CGIL: personale del compatto istruzione e ricerca e dell’area della dirigenza, docenti universitari e personale della formazione professionale.

Alle succitate sigle sindacali si deve aggiungere l’Unicobas, come comunicato dal Miur con la nota del 13 settembre.

Essendo l’istruzione un servizio pubblico essenziale, lo sciopero va esercitato in osservanza delle regole e delle procedure fissate dalla normativa vigente (articolo 1 della legge 12 giugno 1990, n. 146 e successive modifiche ed integrazioni  e norme pattizie definite  ai sensi dell’art. 2 della legge medesima).

Gli USR devono comunicare lo sciopero alle scuole che, a loro volta, devono comunicarlo ai lavoratori, alle famiglie e agli alunni; le istituzioni scolastiche devono inoltre comunicare tramite SIDI le seguenti informazioni:

  • numero dei lavoratori dipendenti in servizio;
  • numero dei dipendenti aderenti allo sciopero anche se negativo;
  • numero dei dipendenti assenti per altri motivi;
  • ammontare delle retribuzioni trattenute.

Anagrafe studenti 19/20, aggiornamento dati entro il 19 ottobre. Responsabilità dirigente scolastico

da Orizzontescuola

di redazione

Aggiornamento Anagrafe Nazionale degli Studenti a.s. 2019/20: indicazioni Miur per le scuole statali e paritarie di tutti i gradi di istruzione. Nota

Consolidamento dati

Operazione propedeutica all’aggiornamento dell’Anagrafe per l’a.s. 2019/20 è il consolidamento dei dati a.s. 2018/19.

La verifica  della completezza e della correttezza dei dati dello scorso anno scolastico è possibile  tramite il cruscotto riepilogativo “Cruscotto dati di sintesi” che prospetta le frequenze e gli esiti presenti in SIDI.

Trasmissione dati a.s. 2019/20

Una volta effettuato il consolidamento (“Consolidamento frequenze a.s.”), si può procedere alla trasmissione dei dati di frequenza per l’anno scolastico 2019/20.

Le funzioni per la citata trasmissione sono disponibili sul SIDI (“Avvio anno scolastico”) dal 13 settembre al 19 ottobre 2019.

La comunicazione dei dati prevede due fasi:

  • Fase A – definizione della struttura di base
  • Fase B – comunicazione dei dati legati alle frequenze degli alunni (dati anagrafici e posizione scolastica)

Fase A

La definizione della struttura di base va effettuata esclusivamente in SIDI; a tal fine vanno inseriti i dati di seguito riportati:

  • sedi, sezioni, tempo scuola, giorni di apertura settimanale per la scuola dell’infanzia;
  • sedi, classi e tempo scuola per la scuola primaria;
  • sedi, classi, tempo scuola, indirizzo e piani di studio, per le scuole secondarie di I grado;
  • sedi, classi, indirizzi e quadri orari per le scuole secondarie di II grado.

Gli indirizzi e i quadri orari devono essere verificati (se già utilizzati nello scorso anno) e/o definiti nell’area “Gestione anno scolastico”.

Per quanto riguarda il biennio dei percorsi dell’istruzione professionale, devono essere utilizzati esclusivamente i nuovi indirizzi ed i quadri orari previsti dall’ordinamento vigente.

Fase B

La fase B consiste nella comunicazione dei dati legati alle frequenze degli alunni (dati anagrafici e posizione scolastica), che può essere effettuata secondo una delle seguenti modalità, esclusive tra loro:

1) inserimento diretto sul SIDI;
2) invio flusso da pacchetto locale di fornitore certificato.

Completate le due fasi – A e B – deve essere dichiarata la chiusura delle attività di avvio, utilizzando la funzione “Chiusura attività di avvio”; in tale modo si passa alla gestione ordinaria dell’Anagrafe.

Nel caso si debbano effettuare modifiche puntuali, l’”attività di avvio” non deve essere riaperta, mentre va verificato che la “Scelta Operativa” selezionata sia di inserimento diretto sul Sidi.

Gestione ordinaria dell’Anagrafe

Ciascuna scuola è tenuta a mantenere aggiornate le posizioni scolastiche dei propri alunni, registrando tempestivamente ogni evento (nuovi ingressi, trasferimenti, ritiri, abbandoni).

In Anagrafe, inoltre,  vanno aggiornate anche le seguenti sezioni:

  • “Gestione assenze mensili” per le scuole primarie e secondarie;
  • “Gestione Certificazioni/Attività” per le scuole secondarie.

Responsabilità dirigente scolastico

Responsabile dell’esattezza e dell’aggiornamento dei dati comunicati all’Anagrafe, si ricorda nella nota Miur, è il dirigente scolastico, ai sensi di quanto previsto dal DM 692/2017.

Il Dirigente, tra gli altri, deve fornire i dati relativi agli studenti che si avvalgono dell’istruzione parentale.

Ai fini della della verifica della completezza e correttezza dei dati comunicati, il dirigente ha a disposizione, nell’area “Gestione Alunni”, un cruscotto riepilogativo delle attività di anagrafe di propria competenza.

nota Miur

Progetto ed. fisica alla primaria, quest’anno a rischio

da Orizzontescuola

di redazione

Fermo il progetto Sport di Classe, niente educazione fisica nelle scuole elementari per mancanza di tutor. In Lombardia è stato invece avviato il progetto “A scuola di sport –Lombardia in gioco VI edizione – Educazione motoria nella scuola primaria a.s. 2019-2020”.

Introdurre l’insegnante di educazione fisica, inquadrato in una specifica classe di concorso, era uno degli obiettivi principali dell’ex ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, rimasto poi incompiuto per la fine del suo mandato da ministro.

Molte scuole elementari oggi non hanno tutor esperti per far svolgere le ore di sport agli alunni. In diversi istituti scolastici le lezioni sono già iniziate, ma del progetto Sport di Classe, avviato da ormai dieci anni, non si sa nulla.

Fino allo scorso anno ad occuparsi dello sport nelle classi primarie era il Coni, inviando gli esperti nelle scuole. Ma da quest’anno non sarà più così, la riforma Giorgetti ha messo al suo posto la Spa Sport e salute.
Mancano però i finanziamenti dalle Regioni e quindi il progetto per ora si è arenato.
A essere coinvolte sono quasi tutte le primarie in Italia, ma soprattutto le regioni che fino allo scorso anno partecipavano al progetto Coni.

Il caso della Lombardia

Diverso il caso della Lombardia, dove il docente di educazione fisica è realtà. Proprio oggi 13 settembre scadono i termini per la presentazione delle domande per la partecipazione al progetto “A scuola di Sport – Lombardia in gioco VI ed. a.s. 2019/2020”, finanziato dalla Regione Lombardia, per una quota di 1.000.000,00 di euro, rivolto a tutte le primarie sia statali che paritarie.

Questi i requisiti che devono possedere gli esperti tutor per partecipare al progetto:

  • essere laureati in Scienze Motorie e dello Sport. Sono validi sia la Laurea Magistrale che la Laurea Triennale o diplomati ISEF;
  • non avere avuto in precedenti esperienze analoghe una valutazione negativa per gravi e circostanziate condotte da parte dei dirigenti scolastici.

Carta docente, accreditati i 500 euro per l’anno scolastico 2019-2020

da La Tecnica della Scuola

A partire da venerdì 13 settembre l’applicazione Carta del Docente è aperta per consentire la gestione del bonus.

Si segnala che ai portafogli dei docenti saranno attribuiti anche i residui relativi all’anno scolastico 2018/2019. Non solo: sono già accreditati i 500 euro per l’anno scolastico 2019-2020.

Carta del docente

La Buona Scuola, la Legge 107/2015, ha introdotto un bonus di 500 euro da utilizzare per l’aggiornamento e l’auto formazione professionale dei docenti di ruolo.

Il bonus viene attribuito agli insegnanti di ruolo delle scuole statali, anche neo immessi in ruolo o con contratto part-time. Sono esclusi i precari e coloro che insegnano in scuole non statali.

Cosa si può acquistare con la Carta del docente

Altra domanda molto frequente, ancora non molto chiara, è cosa acquistare con la carta docente. Ecco una lista fornita dal Miur:

a) libri e testi, anche in formato digitale, pubblicazioni e riviste comunque utili all’aggiornamento professionale;

b) hardware e software;

c) iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;

d) iscrizione a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale;

e) titoli di accesso per rappresentazioni teatrali e cinematografiche;

f) titoli per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo;

g) iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione.

Carta del docente, cosa non si può comprare

Il Miur ha specificato che non possono essere acquistati con il bonus docenti 500 euro:

– smartphone, essendo dei dispositivi che hanno come finalità principale la comunicazione elettronica e non la formazione del docente

– cartucce per la stampante,

– webcam

– penne USB.

– Connessione ADSL, canone RAI e abbonamenti alle Pay TV.

– Viaggi, nemmeno il rimborso spese di viaggio sostenute per raggiungere una rappresentazione teatrale, o un corso di formazione.

Inizio anno scolastico, cerimonia ufficiale a L’Aquila con Mattarella e Fioramonti

da La Tecnica della Scuola

Lunedì 16 settembre 2019, a L’Aquila, nel cortile della Scuola Primaria ‘Mariele Ventre’ – Circolo Didattico ‘Amiternum’, si terrà Tutti a Scuola, la cerimonia nazionale di inaugurazione del nuovo anno scolastico.

All’evento parteciperanno il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Lorenzo Fioramonti.

In platea e sul palco animeranno la festa circa mille alunni di 350 istituti di tutta Italia e numerose personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e dello sport.

La cerimonia sarà trasmessa in diretta, dalle 16.30 alle 18.45 (circa), su Rai Uno, nel corso della trasmissione Tutti a Scuola, condotta da Flavio Insinna e Francesca Fialdini.

Prove Invalsi 2019, quando e dove vedere i risultati

da La Tecnica della Scuola

Anche quest’anno, nel mese di settembre l’Invalsi restituirà ad ogni scuola i risultati relativi alle Prove nazionali.

Per l’anno scolastico 2018-2019, le scuole primarie già dal 2 settembre hanno potuto accedere alle informazioni riguardanti le classi II e V (grado 2 e 5), mentre le scuole secondarie di I grado (grado 8) hanno potuto farlo dal 9 settembre. Le ultime saranno le scuole secondarie di II grado (grado 10 e 13), per le quali la restituzione avverrà dal 23 settembre prossimo.

Come accedere ai risultati

Per vedere i dati della propria scuola si deve accedere all’area riservata inserendo il ruolo e le credenziali personali.

Chi può accedere ai risultati

Rispetto ai risultati dell’indagine campionaria, che sono pubblici e consultabili da chiunque, i dati INVALSI di ciascuna scuola sono invece visibili e scaricabili solo ed esclusivamente da:

  • Dirigente scolastico
  • Referente per la Valutazione
  • Docenti delle classi che hanno svolto le Prove INVALSI
  • Docenti d’Istituto
  • Presidente del Consiglio d’Istituto.

Queste figure professionali possono vedere tutte le tabelle e i grafici previsti per il loro specifico ruolo.

I dati INVALSI restituiti alle scuole sono consultabili in maniera completa solo dal Dirigente scolastico e dal Referente per la Valutazione. Sono invece accessibili in maniera parziale dai Docenti d’Istituto e dal Presidente del Consiglio d’Istituto.

Ma a cosa servono i dati?

Lo spiega l’Invalsi, sul portale dedicato alle prove:

A seconda del ruolo, i dati forniti dall’INVALSI sono rilasciati a diversi livelli di analisi che permettono una panoramica sia globale sia dettagliata di ogni scuola.

I risultati sono uno strumento a disposizione delle scuole per individuare punti di forza e aspetti da migliorare attraverso i quali promuovere l’efficacia dell’azione educativa e la qualità degli apprendimenti.
Con la rilevazione campionaria, ovvero quella effettuata su un gruppo rappresentativo della popolazione scolastica, gli istituti possono confrontare i propri risultati rispetto alla media del Paese, della macroarea geografica e della regione di appartenenza.

L’INVALSI restituisce i risultati tenendo conto anche di alcune variabili di contesto che possono influire sugli esiti di apprendimento, come lo status socio economico culturale o il Paese d’origine.

Dal 2016 restituisce inoltre il dato sull’effetto scuola, ovvero sul contributo che l’Istituto scolastico dà al cambiamento del livello di competenze degli allievi, a prescindere dai risultati ottenuti nelle Prove nazionali“.

Dsga, sottoscritta intesa al Miur sui posti vacanti. Il testo dell’accordo

da La Tecnica della Scuola

Incontro, nella giornata di giovedì 12, al Miur, tra sindacati e amministrazione che ha portato all’intesa sulle indicazioni da dare agli Uffici Scolastici Regionali (USR) al fine di ovviare alla carenza di Direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA) per assicurare il funzionamento delle istituzioni scolastiche.

IL TESTO DELL’ACCORDO

Così come segnala la Flc Cgil, l’incontro, richiesto dalle organizzazioni sindacali, si è reso necessario dal momento che le misure che stavano adottando i vari USR risultavano le più varie e rischiavano di creare disparità di trattamento e inevitabile accensione di contenzioso.

In breve, l’ntesa prevede la possibilità di conferire l’incarico da parte degli USR agli assistenti amministrativi (AA) disponibili da fuori provincia e poi fuori regione, la reggenza a DSGA di ruolo disponibili anche in scuole normo-dimensionate, e a seguire l’incarico: agli assistenti amministrativi disponibili immessi in ruolo nel 2019/2020, agli assistenti amministrativi titolari di supplenza disponibili, agli assistenti amministrativi inseriti in graduatoria di istituto; in questi ultimi due casi a condizione che gli interessati siano in possesso del titolo di studio previsto dal CCNL Istruzione e Ricerca per coprire il ruolo di DSGA.

L’intesa prevede inoltre che questa materia rientri nell’ambito delle relazioni sindacali a livello regionale.

Posti vacanti DSGA: sottoscritta intesa al MIUR

da Tuttoscuola

Al Ministero dell’Istruzione i sindacati e l’Amministrazione hanno sottoscritto nel pomeriggio del 12 settembre 2019 una specifica Intesa sulle indicazioni da dare agli Uffici Scolastici Regionali (USR) al fine di ovviare alla carenza di Direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA) per assicurare il funzionamento delle istituzioni scolastiche.

Leggi il testo dell’intesa

L’incontro, richiesto dalla FLC CGIL e dalle altre organizzazioni sindacali, si è reso necessario dal momento che le misure che stavano adottando i vari USR risultavano le più varie e rischiavano di creare disparità di trattamento e inevitabile accensione di contenzioso.

In breve, l’Intesa prevede, una volta esperita la procedura prevista dal Contratto integrativo nazionale della scuola del 12 giugno 2019 all’articolo 14, in presenza di ulteriori posti disponibili e previa pubblicazione di avviso di disponibilità sul sito degli USR, la possibilità di conferire l’incarico da parte degli USR agli assistenti amministrativi (AA) disponibili da fuori provincia e poi fuori regione, la reggenza a DSGA di ruolo disponibili anche in scuole normo-dimensionate, e a seguire l’incarico: agli assistenti amministrativi disponibili immessi in ruolo nel 2019/2020, agli assistenti amministrativi titolari di supplenza disponibili, agli assistenti amministrativi inseriti in graduatoria di istituto; in questi ultimi due casi a condizione che gli interessati siano in possesso del titolo di studio previsto dal CCNL Istruzione e Ricerca per coprire il ruolo di DSGA.

L’intesa prevede inoltre che questa materia rientri nell’ambito delle relazioni sindacali a livello regionale.

Educazione Civica: a scuola dal 2020. La circolare del MIUR

da Tuttoscuola

È ufficiale: l’educazione civica tornerà a scuola da settembre 2020. Dopo il parere negativo al decreto da parte del CSPI e dopo le dichiarazioni del neo ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, il MIUR ha emanato una circolare che riportiamo di seguito:

Come è noto, è stata recentemente emanata la legge 20 agosto 2019, n. 92, che introduce nelle scuole di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione l’insegnamento trasversale dell’educazione civica, la cui entrata in vigore è intervenuta il 5 settembre 2019. Pertanto, sulla base di quanto disposto dall’articolo 2 della citata legge, l’insegnamento dell’educazione civica è istituito a partire dall’anno scolastico 2020/2021. A tale riguardo, si rappresenta che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, chiamato a pronunciarsi sulla proposta di avviare una sperimentazione nazionale già dal corrente anno scolastico, ha espresso parere negativo in data 11 settembre 2019.

Pertanto, sulla base di quanto disposto dall’articolo 2 della citata legge, l’insegnamento dell’educazione civica è istituito a partire dall’anno scolastico 2020/2021. A tale riguardo, si rappresenta che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, chiamato a pronunciarsi sulla proposta di avviare una sperimentazione nazionale già dal corrente anno scolastico, ha espresso parere negativo in data 11 settembre 2019.

L’On. le Ministro ha ritenuto di accogliere il parere del CSPI e, pertanto, di non dare seguito alla sperimentazione per l’anno scolastico in corso. Conseguentemente, e per il solo anno scolastico 2019/2020, nelle scuole di ogni ordine e grado continuerà ad essere impartito l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, di cui alla legge 30 ottobre 2008, n. 169, e continueranno ad essere applicati l’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, relativo alla valutazione di tale insegnamento, e il successivo articolo 17, comma 10, concernente il colloquio nell’ambito dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione.

Al fine di preparare in modo adeguato ed efficace l’introduzione dell’educazione civica nei percorsi scolastici di ogni ordine e grado a partire da settembre 2020, questo Ministero costituirà a breve un Comitato tecnico scientifico per la redazione delle Linee guida previste dall’articolo 3 della legge 92/2019, svolgendo un’ attività di consultazione degli stakeholders, e avvierà le opportune attività di accompagnamento per le scuole”.