L’Educazione Civica

L’EDUCAZIONE CIVICA
Per accompagnare i giovani a saper scegliere con libertà e responsabilità

di Maria Grazia Carnazzola

Uno dei primi e più importanti compiti dei docenti, che spesso non viene considerato o viene sottovalutato, è quello di trasformare un’entità amministrativa, la classe, in un gruppo di apprendimento che condivide regole e valori, dove le persone riconoscono reciprocamente il ruolo e l’identità di ciascuno, riconoscendosi nel contempo come parte di quella comunità. Questo è il primo passo dell’insegnamento di Educazione civica, a scuola. Sentirsi parte attiva e costruttiva di un gruppo da cui si riceve e a cui si dà, dentro il quale hanno significato e senso le regole, i diritti e i doveri- declinati e no – significa porre le basi per lo sviluppo delle competenze di cittadinanza, sottolineando l’importanza e giustificando l’esistenza della scuola pubblica. Sullo sfondo la società dei consumi, dell’informazione compulsiva, del successo con le scorciatoie, dei percorsi facilitati, della mezza cultura di massa, del trionfo dell’incompetenza da cui si deve comunque partire, perché il mondo reale è anche questo.

Sono sostanzialmente d’accordo sul fatto che tutti debbano conoscere la Costituzione: conoscere i propri diritti e i propri doveri e i fondamenti che regolano il vivere sociale; anche questa è cittadinanza, ma non è solo questo. Se la cittadinanza può essere definita come  una condizione giuridicamente definita in un sistema di comportamenti codificati e regolamentati, fondati sul rispetto di sé e degli altri, delle regole delle comunità per un corretto sistema di relazioni, la cittadinanza attiva è qualcosa di più: è un atteggiamento culturale che porta con sé costrutti come impegno, libertà, scelta, bene comune; è senso di appartenenza e di democrazia, intesa come cultura e come etica prima ancora che di forma di governo. È la consapevolezza di dover dare senso alle relazioni tra le persone, è consapevolezza del diritto alla parità delle opportunità, dell’uguaglianza nel riconoscimento delle diversità. Un atteggiamento quindi.  E sappiamo quanto gli atteggiamenti siano costruiti, modellati e orientati culturalmente, a livello affettivo e cognitivo, e che si esprimono in termini verbali e in comportamenti.  

La cultura è “…l’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo.… Complesso delle istituzioni sociali, delle attività artistiche e scientifiche…che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico”, così il Vocabolario Treccani. Basta l’insegnamento di Educazione Civica, dei contenuti a cui fa riferimento la L.92/20 agosto 2019 a realizzare tutto questo?

La scuola non è “culturalmente” indipendente.

La crescita umana, dall’infanzia in poi, è un formarsi continuo e ricorsivo di conoscenze, di modi di usarle, di modi di sentire, di pensare e di agire in cui non ci sono differenze tra quello che si impara informalmente e formalmente. Questo significa che gli uomini imparerebbero anche senza luoghi deputati alla formazione di conoscenze, valori, modalità di ragionamento? Non è facile rispondere a questa domanda. Viene subito in mente che la cultura dei giovani è ormai influenzata più dai sistemi di informazione e dai social network che dalla scuola; ma questa considerazione non assolve la scuola né la esime dalle sue responsabilità: proprio le conseguenze derivanti dalla massificazione del pensiero, dalla mezza cultura, dovrebbero portare a una seria riflessione sul senso e sui modi di interpretare la funzione formativa da parte della politica, della società e della scuola stessa. Mirare alla costruzione e all’esercizio di cittadinanze attive, come chiedono le direttive europee e la normativa italiana, come ad esempio la legge 92/2019, significa certamente promuovere l’informazione, ma significa anche, parallelamente, costruire strumenti per fruire consapevolmente e interagire attivamente con i media che filtrano e modellano la realtà. L’accesso al sapere deve essere sostenuto da solidi criteri di analisi, di discriminazione, di selezione, di elaborazione, cioè da uno strutturato pensiero critico. Le informazioni ci giungono da canali diversissimi e non ne è garantita né la scientificità, né la veridicità né l’attendibilità. Ma cosa si intende precisamente per pensiero critico e quali strategie didattiche lo promuovono?  Un compito a cui può assolvere solo la scuola pubblica è la promozione della consapevolezza della natura della conoscenza, della specificità dei saperi formali e dei diversi valori di verità che veicolano. La conoscenza scientifica è cosa diversa dall’opinione; l’opinione fondata su evidenze è altra cosa rispetto all’opinione arbitraria; il parere interessato e strumentale non è la stessa cosa del parere disinteressato. Questo dovrebbe insegnare la scuola, per esempio non proponendo i saperi come fossero verità assolute e definitive. Le cose non sono vere perché le ha dette il professore, o sono scritte sul libro, o si sono trovate in Internet, o le ha dette la televisione o il politico di turno che, giocoforza, portano una visione di parte. Servono il confronto dei punti di vista, dei risultati, dei processi…La scuola è chiamata a praticare e a insegnare il principio del confronto attraverso il suo specifico, interpretando il significato scientifico-disciplinare dei saperi, ad esempio attraverso la riflessione epistemologica e metodologica, il significato pedagogico-didattico, nella costruzione degli ambienti di apprendimento e il significato sociale analizzando contesti e problemi potenzialmente conflittuali. Quanto detto può sembrare si rivolga esclusivamente alla sfera cognitiva delle persone, ma se si guarda meglio, e più a fondo, si può vedere come un solido pensiero critico e una corretta educazione alla parzialità possano influire sulla sfera emotivo-affettiva e relazionale, sulla capacità di vedere la parzialità delle proprie credenze e regole, dei propri valori, riconoscendo, nel contempo, le parzialità degli altri come perfettamente legittime.

I ragazzi dovrebbero essere aiutati a capire che le verità non stanno da una parte sola, che le ragioni sono tante e non sempre conciliabili; che bisogna imparare a decidere da che parte stare sulla base di valutazioni e di principi che non sono i soli ad essere giusti. Questo dovrebbe fare la scuola pubblica, utilizzando la ricchezza culturale che deriva dal suo pluralismo, superando la palude del qualunquismo che, evitando ogni ombra di conflitto, perde ogni occasione di esperienze di tolleranza. Non si può sempre semplificare e offrire soluzioni edulcorate e neutre. La vita, fuori dalla scuola, non è così, non sarà così il futuro; se la scuola deve aiutare a capire il mondo, lo faccia seriamente. Non bastano gli slogan: mettere lo studente al centro, lo studente protagonista, promuovere competenze di cittadinanza e via di seguito. In un percorso veramente formativo lo studente si pone al centro da solo; se l’ambiente di apprendimento è ben costruito, se gli adulti sono punti di riferimento veri e sono riferimenti con cui confrontarsi e misurarsi, anche limiti quando serve, gli studenti colgono il senso del loro essere lì in quel momento, di ciò che si chiede loro di fare, anche della fatica del fare.

La legge c’è, tutto a posto dunque…

Forse no. Le leggi delineano il cambiamento, non lo attuano. Sono le persone-docenti, dirigenti e personale tutto- che dentro le scuole lavorano che agiscono e concretizzano il cambiamento. E per farlo hanno sì bisogno di indicazioni certe e non contradditorie, ma hanno bisogno soprattutto di spazi di riflessione e di tempi di attuazione che consentano di ripartire da dove ciascuna scuola è effettivamente giunta nel percorso di cambiamento. Sì perché i cambiamenti richiedono pianificazione, riflessione, integrazione/modificazione dell’esistente, monitoraggio, valutazione, implementazione, se si vogliono evitare l’improvvisazione e la discrepanza, o addirittura la contraddizione, tra dichiarato e agito. E questo richiede un giusto tempo per diventare patrimonio condiviso di una scuola. G. Ferroni metteva in guardia dall’effetto perverso “della inconsapevole subordinazione della scuola alla politica” (La scuola sospesa, Einaudi, Torino 1997, pp3-10). Spesso la scuola viene percepita come il luogo dei compromessi, delle resistenze ideologiche, degli interessi corporativi. In parte può essere vero, ma la percezione sociale delle questioni scolastiche è di fatto condizionata più dalle contrapposizioni partitiche che non dal dibattito culturale e pedagogico e dall’operato reale di chi vi lavora. La scuola è un bene pubblico e come tale deve essere pensata, gestita e considerata. Un bene pubblico prevede mete condivise che trascendono l’interesse individuale, o di parte, e privilegia l’interesse collettivo.

Se davvero si vuole dare corpo a una scuola che raccolga le sfide della contemporaneità e dia respiro al futuro, c’è bisogno di un patto sociale, della condivisione politica dei principi e dei paradigmi che connoteranno il sistema scolastico che sarà, gestito su una linea di continuità dall’alternanza degli schieramenti partitici, fino a che saranno proficuamente praticabili. Un patto costruito partendo dai problemi e dal confronto sull’efficacia delle possibili soluzioni: partendo dai valori di riferimento-i pilastri ideali su cui si regge la coesione sociale-, passando per i bisogni e per i problemi, per finire con le risposte da dare.

La conoscenza della Carta costituzionale…a partire da tale conoscenza…si potrà avviare la necessaria riflessione sui concetti di democrazia, legalità, senso di responsabilità.” Così un passaggio della bozza delle Linee Guida per l’insegnamento di Educazione civica inviata al CSPI per il previsto parere.

Mi auguro che Educazione civica porti la scuola a focalizzare questi aspetti, a riflettere e a far riflettere sull’uso e sulla manipolazione di parole come democrazia, bene comune, libertà, popolo, responsabilità. E ancora, rispetto, vergogna, scelta… per evitare che si svuotino di significato e diventino slogan. Ma che si rifletta anche su espressioni come “… il tempo dell’odio deve finire…” pronunciata da un politico, perché la democrazia si fonda sulla discussione e sul confronto critico di istanze anche contrastanti, sull’argomentazione, non sulla sfera dei sentimenti. E ancora si rifletta e si faccia riflettere sul fatto che la libertà dei cittadini “non è libertà dalle leggi, ma una libertà grazie e in virtù delle leggi…” (M.Viroli).

La padronanza delle parole sta alla base dell’uguaglianza delle opportunità e quindi della democrazia: la padronanza lessicale e linguistica hanno una profonda influenza sull’apprendimento, lo sappiamo tutti. E sappiamo anche che le parole fondano la democrazia, attraverso la contrapposizione prima e la mediazione poi di opinioni che circolano attraverso le parole. E più parole si posseggono più la mediazione è possibile. Ma occorre che il parlare sia corretto, che le parole siano aderenti ai fatti e alle cose e non, come riteneva Humtpy Dumpty di “Attraverso lo specchio”, al volere di chi comanda. La scuola può fare questo occupandosi del suo specifico, offrendo ai ragazzi contenuti selezionati, tratti dai saperi disciplinari, come i romanzi di Orwell, passi scelti di Wittgenstein, Klemperer, Primo Levi, Dante, Platone, Cicerone, Camus, Einstein, Pauli, Jung, Morin…come strumenti per riflettere su ciò che accade: il presente deve essere reso conoscibile.

Può essere l’occasione per una rilettura delle Indicazioni Nazionali e delle Linee Guida, e di tutte le norme che si sono susseguite, per trovare quelle trasversalità che permettono una finalizzazione unitaria dell’insegnamento allo sviluppo delle competenze disciplinari, trasversali e di cittadinanza, focalizzando l’attenzione sull’uso cognitivo della lingua, se è vero che la semplificazione della lingua, unita all’uso delle nuove tecnologie, può diventare un potente mezzo di disinformazione. Potranno essere utili “filoni”  di riferimento per la progettazione dei Consigli di classe argomenti quali “ le applicazioni delle scienze, tra libertà e responsabilità”, “lo sviluppo dell’informazione e i mutamenti della percezione della realtà”, “la formazione nel mondo di oggi”, “le donne e gli uomini nella realtà di questo tempo”, “ il governo democratico delle società e lo sviluppo dell’umanità”, “la crescita e la globalizzazione”…, per fare alcuni esempi riferiti a quanto contenuto nell’Agenda 2030. 

Si potrà così discutere con i ragazzi di concetti come crescita, sviluppo, sottosviluppo e constatare che forse sono concetti da ridefinire. Si potrà ragionare sulla diseguale distribuzione della ricchezza e sulla differenza che c’è tra dono e carità, sullo sviluppo sociale presentato come se fosse un processo naturale mentre non lo è, sui diversi significati del termine democrazia per evitare il fallimento dei governi e degli uomini…tenendo fermi gli impianti e i saperi disciplinari quanto mai fondamentali.

BIBLIOGRAFIA

L. 20 agosto 2019, n.92;

Educazione Civica, Linee guida bozza;
Raccomandazioni UE  22 maggio 2018;

 Risoluzione ONU 25/9/2015 – Agenda 2030;

R. Bortone, articoli vari;

P. Watzlawick, La realtà della realtà, Astrolabio 1976

L. Carrol, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, Mondadori, Milano 1978;

G. Orwell, 1984, Mondadori, Milano 1973;

V. Klemperer, Testimoniare fino all’ultimo. Diari 1933-1945, Mondadori, Milano 2000;

C.Sini, Del viver bene, Jaca Book, Milano 2011; M.Viroli, La libertà dei servi, Bari, Laterza, 2010.

Cara Prof, le dico solo “grazie”

da la Repubblica

Alberto Melloni

Cara Professoressa, caro Professore, le scrivo dall’altra parte del fosso che separa scuola e università, dove ragazze e ragazzi approdano dopo aver superato l’esame di immaturità e aver alimentato in tv, nei giornali, nelle case, la produzione di riflessioni stucchevoli come film di quinta categoria: “Il Grande Lutto” dedicato all’Invalsi, “Lo Iato” sul divario nord sud, “De Amicis Reloaded” sull’immigrato promosso a pieni voti, “¡No Pasarán!” sulla diserzione dal tema di storia, “Più Scienza per Tutti” con riferimento al nostro presunto eccesso di letteratura, “Redde Rocci vel Mariotti” sull’importanza formativa delle lingue classiche, e l’immancabile “La Parola d’Ordine è Una Sola, Categorica e Impegnativa per Tutti: Bocciate! E Bocceremo! (ovazione)”.

Anche per questo lei ha la mia ammirazione e la mia riconoscenza. Perché in ciò che sopporta c’è qualcosa di molto diverso dalla violenza messianica con la quale don Milani sbranò la più famosa delle sue colleghe: c’è una ammirazione fideistica e un disprezzo paternalista.

Da un lato infatti tutti si aspettano da lei l’onnipotenza onnisciente. Lei deve smontare il bullismo e insegnare la grammatica. Far capire la relatività e prevenire la violenza di genere. Trasmettere l’amore al sapere e la cultura della sostenibilità. Gestire i disturbi specifici dell’apprendimento ed essere attore della rivoluzione digitale. Vigilare sul razzismo e sulle equazioni di secondo grado. Iniziare all’arte e combattere l’analfabetismo religioso. Trasbordare gli immigrati da Lampedusa a Manzoni. Difficile? Non per lei, che ex opere operato , è psicologa, maieuta, poetessa, poliziotta. Dall’altro gli stessi, quando sospettano non sia onnipotente, le porgono il loro disprezzo. Perché è stata lei – non tenti di negarlo – che non ha insegnato l’antifascismo, l’autorità, il congiuntivo, le competenze digitali e dunque il razzismo, la cialtroneria, l’analfabetismo di ritorno e la dipendenza da smartphone sono colpa sua. E poi, se non avesse perso tempo a leggere, avrebbe potuto restaurare un po’ di autoritarismo, strappando di mano ai ragazzi i telefonini con la frusta di Indiana Jones, dopo un corso online disponibile sulla apposita piattaforma Edufuffa. E dunque, per queste colpe, lei si merita non solo uno stipendio modesto ma soprattutto il disprezzo sociale, il compatimento, l’omologazione ai tanti inetti che si mescolano agli eroi in aula insegnanti ed escono.

La ammiro e la ringrazio perché lei questo mix lo affronta con souplesse non solo quando arriva dai media, ma anche quando i genitori diventano aggressivi per autoassolversi. Quando lo Stato dice ad alcuni di voi che il vostro è un mestiere per il quale serve una selezione rigorosa oppure il titolo di precari. Quando le università le hanno venduto crediti in cambio di qualche improbabile passerella verso la cattedra. E soprattutto quando la violenza e il risentimento pompato dai sovranisti e dai populisti nelle vene di questo Paese diventano tensione fisica nella sua aula: e anziché aprire la finestra evocata dal personaggio Howard Beale del film Quinto Potere e dire «tutto questo non lo sopporterò più», apre la porta di un’aula ed entra.

Certo, lo saprà: di qua dal fosso della scuola, facciamo presto a parlar male di questi ragazzi che naufragano su test a prova di Tar o parlano come Soliti Idioti. Però, i meno peggio di noi, sanno i limiti della nostra università, antichi e nuovi; sanno che un sistema che educa non tira fuori da tutti e non a tutti aggiunge quello che dovrebbe; che è finanziata troppo dagli iscritti e troppo poco dagli evasori. Però i meno ottusi di noi sanno che poi alla fine tanti di questi ragazze e ragazzi che lei oggi ci consegna, quando avranno finito l’università, quando arrivano in paesi con sistemi scolastici più costosi e più iniqui del nostro, quando entrano in sistemi scientifici e industriali esteri e dove si fanno più concorsi che ricorsi – vincono. Il che vuol dire che “c’è del marcio”, qui: ma c’è anche qualcosa di sano. E fra mille lacune, quella traiettoria esistenziale di cui lei ha fatto il grosso ha mille acciacchi ma c’è un qualcosa che non è poi così male: perché quando politiche lungimiranti – pensi la media unica alla quale non so lei, ma certo io, figlio di genitori di pochi mezzi economici, devo tutto – e la probità di persone come lei le hanno dato gli strumenti la scuola fa la cosa giusta. Dunque grazie. Alberto Melloni P.S. Lo so che il suo collega che le ha fatto vedere questo articolo non merita il grazie di nessuno, anzi non merita niente. Però in questo limbo di riunioni non ci dia peso: e sappia che il grazie era solo per lei.

– L’autore ha curato e introdotto il Meridiano Mondadori dedicato agli scritti di don Lorenzo Milani


Insegnanti di sostegno, la scuola dove mancano 28 su 36: «Altro che diritti dei disabili, si tutelano i prof»

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

Ventotto insegnanti di sostegno su 36 mancano all’appello: è il caso dell’istituto Salvemini di Casalecchio di Reno a dare il senso del dramma della carenza di docenti di supporto agli studenti disabili, a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico. «L’istituto ha 40 ragazzi con problemi più o meno gravi, e io sulla carta avrei bisogno di 36 insegnanti-spiega il preside Carlo Braga- Peccato che di questi i 9 che fanno parte dell’organico di diritto, ovvero sono fissi, mi hanno già fatto richiesta di assegnazione provvisoria. E gli altri sono tutti posti in deroga, ovvero posti decisi sulla base delle richieste delle famiglie e delle Asl, e quindi sono tutte supplenze. Praticamente ora mi tocca convocare circa 500 insegnanti, sperando entro l’inizio dell’anno di trovare quelli disposti a venire qui per un anno». Il dirigente non parla di docenti adatti, ma di docenti disponibili, e non a caso: perché non esistono attualmente corsi per specializzare gli insegnanti di sostegno, e le nuove regole -adottate per facilitare gli spostamenti dei prof da una regione all’altra- permettono a chiunque di diventare insegnante di sostegno pur di prendere il contratto di supplenza.

Le graduatorie incrociate

«Prima c’era la possibilità di richiedere insegnanti ad hoc per le difficoltà dei singoli studenti: ad esempio, se un disabile aveva problemi con la matematica, potevo almeno chiedere il professore di matematica. Invece ora non c’è questa opportunità. Non esiste neanche più la possibilità di chiedere la riconferma, di un supplente, cosa che ci permetteva di garantire una continuità didattica importante per gli studenti disabili. Niente, ora dobbiamo prendere solo dalle graduatorie incrociate, il che significa che il posto lo prende chi ha più punteggi per anzianità e titoli. Noi non possiamo neanche decidere se il docente non ci sembra adatto a trattare con un certo di disabilità: il colloquio non è determinante né discriminante. Ma questo significa che non possiamo intervenire in nessun modo per far sì che proprio gli studenti disabili, quelli più deboli, abbiano il supporto più adatto», si sfoga Braga. Anche quest’anno l’istituto Salvemini, come molti altri, finirà per iniziare l’anno, il 16 settembre, con molte caselle vuote alla voce insegnanti di sostegno: anche se il dirigente è pronto a convocare tutti per il 13, è difficile che abbia la disponibilità immediata dei 28 che gli mancano. E per un disabile, la mancanza dell’insegnante di sostegno può significare dover accettare un orario ridotto di lezioni, o addirittura un inizio dell’anno posticipato. «È triste, che tutti parlino di garantire i diritti allo studio per i disabili, e poi in realtà le regole scolastiche finiscano per tutelare molto più i diritti dei professori».


Supplenti, troppi buchi nelle scuole: ora si arruolano anche gli studenti universitari

da Corriere della sera

Gianna Fregonara

C’è un nuovo gruppo di supplenti che s’avanza nelle scuole d’Italia: sono contraddistinti dalla sigla «Mad», che significa «messa a disposizione». Sono cioè quegli aspiranti supplenti che si mettono a disposizione di ogni singola scuola per supplenze più o meno brevi e che possono essere chiamati dal preside quando non trova più nessuno in alcuna graduatoria, a esaurimento, di merito e così via. Basta inviare – in questi giorni – un modulo alle singole scuole alle quali si offre la propria disponibilità e poi sarà il preside a decidere se non troverà più supplenti nelle graduatorie, se chiamare uno di questi aspiranti prof-.

Supplenti di complemento

Si tratta di supplenti di complemento, che dovrebbero essere pagati per coprire quei buchi di qualche giorno quando proprio i presidi sono in difficoltà. Ma il fatto che ormai le graduatorie in alcune regioni come Veneto, Lombardia e Piemonte siano terminate per materie come l’italiano e la matematica nelle medie e nelle superiori in diverse province da ormai alcuni anni, rende questi supplenti Mad una risorsa imprescindibile. Tanto che nell’ultima circolare del ministero dell’Istruzione si è deciso di dare qualche indicazione ai presidi per garantire trasparenza e competenza anche con loro. Si legge infatti: «In caso di esaurimento delle graduatorie d’istituto, anche delle scuole viciniori, e una scuola abbia necessità di ricorrere alle Mad, a garanzia della trasparenza della Pubblica amministrazione, il dirigente scolastico pubblica gli elenchi di aspiranti che hanno presentato l’istanza di messa a disposizione e conferisce la supplenza a seguito di procedura comparativa».

Anche studenti

Chi sono i «Mad»: la categoria è vasta e va da supplenti che tentano con scuole in province diverse da quella in cui sono in graduatoria a neolaureati non abilitati che intanto arrotondano. «Ma in casi eccezionali che cominciano a non essere più così tanto eccezionali i presidi ricorrono anche a studenti iscritti all’Università, per esempio a matematica», spiega il presidente dell’Associazione presidi del lazio Mario Rusconi.

Il record

«Andrebbe anche messa mano al regolamento che disciplina il reclutamento dei supplenti per inserire qualche norma sui Mad – propone Rita Frigerio, della Cisl – perché ormai in alcune scuola hanno anche supplenze annuali. Lo scorso anno sono stati 11.000 i contratti fatti a questi supplenti e quest’anno probabilmente si registrerà un nuovo record».

Mobilità per incompatibilità ambientale del docente, non è una sanzione disciplinare. Sentenza

da Orizzontescuola

di Avv. Marco Barone

I casi dei provvedimenti di incompatibilità ambientale non hanno rilievo disciplinare. Arriva l’ennesima sentenza di un tribunale italiano che continua a seguire il seguente orientamento in ambito scolastico.

Fatto

Una docente, vicaria di un DS, ricorreva in giudizio per accertarsi la declaratoria di illegittimità del trasferimento per incompatibilità ambientale disposto dall’Ufficio Scolastico Provinciale dalla sua precedente sede di servizio ad altra scuola. Parte ricorrente in via preliminare ha eccepito che” il provvedimento sarebbe stato adottato da “funzionario incompatibile” e si tratterebbe di un atto ” intrinsecamente disciplinare” emesso “senza tuttavia rispettare la necessaria procedura” e nel merito, ha affermato che ” il Provvedimento è adottato sulla base di una ricostruzione fattuale in gran parte erronea, comunque parziale e ideologicamente orientata” sollevando anche altre questioni.

Il Tribunale Brescia Sez. lavoro, Sent., 12-06-2019 respinge il ricorso della lavoratrice, richiamando anche una giurisprudenza di Cassazione che può essere utile conoscere per orientarsi in questa fattispecie che nella scuola è diffusa e problematica.

Il provvedimento di trasferimento di incompatibilità ambientale non ha carattere disciplinare

“(…)Va perciò esclusa la sussistenza dei lamentati vizi formali in quanto non si è affatto in presenza di un provvedimento di natura disciplinare bensì di un atto che prescinde del tutto dalla valutazione del comportamento del lavoratore trasferito. Come da tempo affermato dalla Suprema Corte: “L’istituto è ora riconducibile alle ragioni tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c…. Trattasi di un provvedimento che non ha carattere disciplinare, con la conseguenza che la sua legittimità prescinde dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. In tali casi, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità che la P.A. datrice di lavoro ha posto a suo fondamento: il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta organizzativa, nè questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo “. ( Ved. Cass. civ. Sez. lavoro, 27-01-2017, n. 2143). Analogamente in altra vicenda la Cassazione ( ved. Cass. Se. Lav. n.11833 dep. 4 maggio 2017) ha chiarito che “La situazione di incompatibilità – infatti – riguarda situazioni oggettive o situazioni soggettive valutate secondo un criterio oggettivo, indipendentemente dalla colpevolezza o dalla violazione di doveri d’ufficio del lavoratore, causa di disfunzione e disorganizzazione, non compatibile con il normale svolgimento dell’attività lavorativa”. E il trasferimento imposto al docente per tali cause rientra nell’esercizio dei poteri di carattere gestionale degli organi scolastici e “mantiene una propria autonoma funzionale e procedimentale”

L’assunzione del provvedimento di incompatibilità ambientale è doverosa per tutelare i dipendenti

“E’ poi appena il caso di segnalare che l’assunzione di siffatta tipologia di provvedimenti è una iniziativa doverosa anche per il datore di lavoro pubblico sia al fine di garantire la salute fisica e psichica dei dipendenti in genere e vieppiù del lavoratore interessato dal conflitto, sia per garantire la piena e serena operatività della attività “In tema di pubblico impiego, l’attuazione dei principi di cui all’art. 97 Cost. può legittimare l’assegnazione a settori o mansioni diverse del pubblico dipendente nei casi di situazioni di fatto di incompatibilità ambientale, che, se pure prescindono da ragioni punitive o disciplinari e sono riconducibili in via sistematica all’art. 2103 c.c., si distinguono dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo, in quanto costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione realizzando, di per sé, un’obiettiva esigenza di modifica e spostamento di settore organizzativo o del luogo di lavoro” ( Ved. ex multis Cass. civ. Sez. lavoro, 18-10-2016, n. 21030).”

Il giudice non può sostituirsi al datore di lavoro deve solo verificare sussistenza requisiti

“In conclusione nella presente fattispecie questo Giudice è chiamato a verificare se sussistano ed abbiano carattere oggettivo le esigenze in relazione alle quali la parte resistente ha disposto il trasferimento per incompatibilità ambientale al fine di escluderne la natura punitiva o discriminatoria, ma non può entrare nel merito della scelta gestionale ed organizzativa di competenza del datore di lavoro. Sicché non può in alcun modo sostituirsi al datore di lavoro né al fine di valutare la congruità del comportamento adottato rispetto ai problemi ambientali insorti, né il soggetto in relazione al quale è stata assunta la decisione del trasferimento, essendo sufficiente accertare che quella seguita era appunto una delle possibile scelte ragionevoli da adottare.”

Sottosegretari all’istruzione, Anna Ascani, Luciano D’alfonso, Walter Verini. Ecco le anticipazioni

da Orizzontescuola

di redazione

Quasi pronta la flottiglia dei sottosegretari tra PD e Movimento 5 Stelle che completeranno la squadra di Governo. Ancora in bilico alcune caselle per un totale di una quarantina di nomi. Ecco cosa è previsto per l’istruzione.

Entro venerdì, come riferisce l’Ansa, la squadra dei sottosegretari sarà al completo, per poter procedere subito a pieno regime con l’attività di governo e parlamentare. E’ l’obiettivo che spinge in queste ore ad accelerare le trattative tra M5s e Pd.

Per quanto riguarda l’istruzione, i nomi al momento papabili sono: Walter Verini, Luciano D’Alfonso, Anna Ascani. Nomi che potrebbero essere utilizzati sia per l’Istruzione che per la Pubblica Amministrazione.

Chi sono?

Anna Ascani, renziana trentunenne attualmente vicepresidente del PD

Luciano D’Alfonso, Laureatosi in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Teramo e in Filosofia presso l’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti, presso l’Università degli Studi del Molise ha conseguito nel 2017 il dottorato di ricerca triennale in “Innovazione e gestione delle risorse pubbliche”.

Walter Verini, eletto alla Camera dei Deputati per la prima volta nel 2008. Alle elezioni politiche del 2013 viene rieletto deputato della XVII legislatura della Repubblica Italiana nella circoscrizione XIII Umbria per il Partito Democratico.

Neo Dirigenti Scolastici, Giudice: con legge 104 hanno precedenza nella propria regione

da Orizzontescuola

di redazione

Scelta sede vincitori concorso Dirigente Scolastico: arriva la prima cautelare del Giudice del lavoro del Tribunale di Siena. Lo comunica l’Avv. Isetta Barsanti Mauceri.

Il docente, vincitore del Concorso 2017 Dirigenti Scolastici, beneficiario della legge 104/92, era stato destinato dall’algoritmo ministeriale nella sesta regione indicata tra le preferenze, pur essendoci nella sua regione di residenza ancora sedi destinate a reggenza.

Secondo quanto indicato dal Miur  l’assegnazione ai ruoli regionali (quindi alla regione) è avvenuta secondo l’ordine di graduatoria e le preferenze espresse dai vincitori stessi nel limite dei posti disponibili in ciascun Ufficio Scolastico.

Soltanto nelle operazioni di assegnazione della sede i direttori degli Uffici Scolastici Regionali hanno tenuto conto delle precedenze previste dalla legge 104/92 (articoli 21 e 33, commi 5, 6 e 7) in base alla quale i beneficiari hanno la precedenza nella scelta della sede.

Il docente aveva richiesto al Miur che i benefici della L. 104/92 fossero applicati per la scelta della Regione, di conseguenza aveva indicato come prima scelta la regione di residenza.

L’algoritmo lo aveva però destinato alla sesta preferenza indicata.

Come indicato dall’Avv. Barsanti Mauceri  il provvedimento è una cautelare, ma il ricorrente sin da subito potrà prendere servizio nella regione di residenza, in cui c’erano ancora posti disponibili, dati a reggenza.

Fioramonti: docenti eroi civili, devono tornare ad essere persone riverite

da Orizzontescuola

di redazione

Riportiamo le affermazioni del Ministro Fioramonti a proposito dei docenti, durante un’intervista a Repubblica.

“Credo nella scuola italiana, i suoi studenti sono ancora molto capaci e i suoi docenti eroi civili. Tutti i giorni sono chiamati a occuparsi di un sistema di una complessità intimorente. A volte non hanno la struttura adatta, sicuramente sono sottopagati. Maestri e professori devono tornare a essere persone riverite“.

Impegni molto importanti quelli assunti dal Ministro Fioramonti, che toccano non solo l’ambito economico ma anche quello culturale.

Il suo predecessore Bussetti aveva promesso ai docenti un aumento a tre cifre.

A questo proposito nell’accordo siglato il 24 aprile 2019 tra Governo, Ministro e sindacati FLCGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda c’era l’impegno a stanziare risorse per il triennio 2019-21 per recuperare la perdita del potere d’acquisto degli stipendi dell’intero comparto.

Inoltre “entro il triennio di vigenza contrattuale saranno reperite ulteriori risorse destinate al personale della scuola per allineare gradualmente gli stipendi alla media di quelli degli altri Paesi europei.

Cifra che potrebbe non essere percepita come significativa dai docenti, dato che le differenze con i colleghi europei sono di tutt’altro tenore. Ai nostri docenti infatti si applicano aumenti minimi, in media ogni quattro-cinque anni, mentre ai colleghi di oltre confine si danno incrementi più ravvicinati e sostanziosi.

L’aumento – afferma il sindacato Anief – dovrebbe essere almeno di 200 euro al mese, e quindi servirebbero due miliardi e mezzo.