La discutibile ordinanza cautelare del TAR Campania n. 3905/2023 sul dimensionamento scolastico
Francesco G. Nuzzaci
1. Sintesi del provvedimento
1.1. Con ordinanza n. 3905 del 30 ottobre 2023, il TAR Campania ha accolto, nei termini che seguono, il ricorso della Regione Campania – sostenuta ad adiuvandum da CGIL e UIL – avverso il decreto n. 127 del 30 giugno 2023, con cui il MIM di concerto con il MEF ha stabilito i criteri per la definizione del contingente dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le Regioni per il triennio 2024-2025/2026-2027, assegnando alla Regione Campania 839 istituzioni scolastiche a fronte delle 965 attuali.
Il Decreto interministeriale impugnato rinviene la sua fonte nell’art.1, comma 557 della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025); che violerebbe, a giudizio della ricorrente, il sistema di riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni stabilito all’art, 117, comma 3 della Carta costituzionale, che annovera tra le numerose materie di legislazione concorrente l’istruzione, stabilendo all’ultimo periodo che “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
Le norme censurate sarebbero quindi invasive della sfera di competenza legislativa riservata alla Regione, nella misura in cui non si limiterebbero alla consentita determinazione dei principi fondamentali, sostanziando invece disposizioni di dettaglio che spetta solo ad essa emanare. E perciò il decreto sarebbe viziato in via di derivazione dalla illegittimità costituzionale dell’art. 19, commi quater e quinquies del D.L. n. 98/2011 convertito con la legge n. 111/2011: commi quivi inseriti dall’art.1, comma 557 della predetta legge 197/2022.
1.2. Il Collegio ha stimato rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale, rilevando inoltre che il divisato carattere incostituzionale, che va fondatamente ascritto alle norme in questione, emerge con una certa evidenza nella parte della disposizione che istituisce un potere d’intervento sostitutivo in capo allo Stato, operante per il caso di mancato raggiungimento dell’accordo con le Regioni (come in effetti avvenuto ed anche in passato).
Per tali motivi ha accolto la domanda cautelare e sospeso “nei limiti dell’interesse regionale della ricorrente Regione Campania” e fino al deposito della sentenza dell’adita Corte costituzionale il D.I. n. 127/2023 e le parimenti impugnate note ministeriali a seguito.
2. Una pronuncia tutt’altro che persuasiva
Non convince, preliminarmente, la decisione del TAR Campania di aver ritenuto la propria competenza territoriale per essere “la proposta impugnazione delimitata dai confini dell’interesse azionato dalla ricorrente”, ai sensi dell’articolo 13 del Codice del processo amministrativo (D. Lgs. 104/2010), ancorché gli atti in controversia promanino da un’autorità statale e perciò, secondo la regola, radicanti la competenza in capo al TAR Lazio.
A sostegno di tale decisione è richiamata una giurisprudenza supposta conforme, ma che invece la smentisce laddove afferma che, certamente, vi è competenza del TAR territoriale anche a fronte di provvedimenti-atti-accordi-comportamenti di pubbliche amministrazioni centrali, purché questi dispieghino i propri “effetti diretti esclusivamente nell’ambito territoriale di un tribunale periferico” (CGA Sicilia, n. 51/2018), ovvero “effetti territoriali limitati alla circoscrizione del Tribunale medesimo” (TAR Lombardia – Milano, n. 69/2020). Mentre qui gli avversati provvedimenti in concerto tra MIM e MEF interessano l’intero territorio nazionale e non incidono in via diretta ed esclusiva la sfera giuridica di una singola regione. O, se più piace, non producono i propri effetti sulla sola Campania, sì da legittimare la stravagante (sia pure provvisoria) statuizione del locale Giudice amministrativo di sospendere il decreto in parola e successive note ministeriali “nei limiti dell’interesse regionale della ricorrente Regione Campania”, ma evidentemente non per le altre Regioni: almeno fino a quando queste, o alcune di esse, non li impugnino autonomamente davanti al TAR domestico!
Non meno censurabile, e forse ancor più, appare la decisone del TAR campano nel merito o,per essere esatti, riguardo l’apparente fondatezza del buon diritto, di cui a breve.
Per quel che invece concerne l’altro obbligato presupposto di ogni provvedimento cautelare, cioè il pericolo da ritardo, questo è stato ritenuto sussistente per “lo stadio avanzato del processo di attuazione delle denunciate norme e dell’imminente realizzazione del dimensionamento scolastico”;mentre il giorno successivo il TAR Lazio, correttamente adito (ante) dalla Regione Puglia sullo stesso oggetto, per come riportato dalla stampa ha, all’opposto, statuito che “non sono positivamente riscontrabili gli stringenti presupposti di estrema gravità e urgenza … per la concessione della richiesta tutela cautelare monocratica, tenuto conto che nessun concreto pregiudizio è stato comprovato, tantomeno in termini di irreparabilità alla luce della complessiva e concreta situazione”.
3. In via previa, breve storia del dimensionamento scolastico
Il D.P.R. 233/1998, attuativo della specifica previsione figurante nell’articolo 21 della legge 59/1997, ha prescritto i requisiti entro i limiti minimo di 500 alunni (300 nelle zone in deroga) e massimo di 900 nella configurazione di istituzioni scolastiche dotate di (e per l’esercizio della) autonomia funzionale: sulla scorta di plurimi indici, quali la conformazione geografica dei luoghi, peculiari situazioni locali, tipologia dei settori d’istruzione compresi nell’istituzione scolastica, contesto socio-economico-culturale, organizzazione politico-amministrativa dei territori; e al riguardo anche prevedendo unificazioni sia in verticale (istituti comprensivi nel primo ciclo o ipercomprensivi nel mettere insieme scuole del primo e del secondo ciclo) che in orizzontale (all’occorrenza assemblando differenti tipi e indirizzi di studio del secondo ciclo).
Su questa base normativa, e in parallelo con la sopravvenuta riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, hanno impattato le modifiche apportate negli anni 2008-2011 nel quadro di una più ampia razionalizzazione del sistema scolastico.
Con il combinato disposto del D.L. 112/2008, e suo piano attuativo, e dell’art. 19 del D.L. 98/2011, convertito dalla legge 111/2011, si è in primo luogo proceduto a un forzoso accorpamento di scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado in istituti comprensivi aventi almeno 1000 alunni (senza alcun limite massimo, così come per il settore secondario superiore), ridotti a 500 nelle confermate zone in deroga; e in secondo luogo si è prescritto di non assegnare alle scuole con meno di 500 alunni (300 sempre per le zone in deroga) un dirigente titolare, quindi affidate in reggenza.
Di lì a breve la legge 183/2011, Legge di stabilità per il 2012, in esito al preannunciato giudizio d’incostituzionalità della prima parte del predetto combinato disposto (poi avvenuto con sentenza n. 147/2012 e di cui in prosieguo), ha generalizzato il parametro minimo di 600 alunni (400 per le consuete deroghe) per tutte le istituzioni scolastiche, del primo e del secondo ciclo; e, dopo il dirigente, ha negato a tutte quelle sotto tale parametro anche un DSGA titolare.
Otto anni dopo, irrompendo il Covid-19, la legge 178/2020, art. 2, commi 978-979, legge di bilancio per il 2021, ha inteso ripristinare provvisoriamenteper il solo anno scolastico 2021-2022 i parametri minimi 500/300 e mantenendo solo le scuole sotto tali soglie – invero contenute nel numero – orfane del dirigente e del DSGA. E, persistendo l’emergenza pandemica, la succedanea 234/2021, articolo 1, comma 343, ha prorogato la primigenia misura (e relative risorse finanziarie) sino al corrente anno scolastico; e contestualmente ha previsto un ridisegnato dispositivo di dimensionamento a decorrere dal primo settembre 2024 (infra).
4. L’intreccio delle competenze tra Stato e Regioni
Si sa che la riforma del Titolo V nel 2001 ha costituzionalizzato l’assetto della legge basica 59/1997 nella materia dell’istruzione.
Qui semplificando al massimo, spetta alla competenza esclusiva dello Stato dettare le norme generali sull’istruzione (sostituite dai livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione e formazione professionale, questa di esclusiva competenza delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano), secondo un nutrito elenco desunto da una serie di concordanti pronunce della Corte costituzionale (in particolare sentenza n. 200/2009 e successive n. 92/2011 e n. 147/2012) e in cui è pacificamente compresa la provvista del personale (dirigenti, docenti, ATA) e relativa assegnazione alle istituzioni scolastiche. Norme generali auto-consistenti, che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme sull’intero territorio dello Stato.
Mentre le Regioni e le due Province autonome di Trento e di Bolzano sono competenti nell’organizzazione sui rispettivi territori del servizio d’istruzione e d’istruzione e formazione professionale, ma nel rispetto dei principi fondamentali definiti dallo Stato per la prima e dei livelli essenziali delle prestazioni, pure definiti dallo Stato, per la seconda.
Principi che, sempre secondo la giurisprudenza costituzionale, “pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in sé stessi la loro operatività, ma informano … altre norme (id est: delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano) più o meno numerose” (Corte cost., sentenza 279/2005, oltre alle riferite nn. 200/2009, 92/2011, 147/2012) e più o meno differenziate per corrispondere alle vocazioni dei singoli territori.
È fuor di dubbio che l’organizzazione del servizio scolastico nei pertinenti territori, ma nel rispetto dei vincoli significati dai principi fondamentale, costituisce prerogativa delle Regioni e Province autonome; e che include primariamente il dimensionamento e/o la configurazione delle istituzioni scolastiche e formative. Come si sa altresì che, in luogo di un comportamento di leale collaborazione degli attori, richiesto naturaliter da una legislazione qui concorrente, si è piuttosto prodotto un endemico e tuttora irrisolto conflitto, con la continua chiamata in causa della Corte costituzionale nel non agevole compito di dirimerlo; e che dovrà pronunciarsi a breve (il 21 novembre) sulla questione di costituzionalità del nuovo sistema di dimensionamento scolastico di cui alla menzionata legge 197/2022, impugnata da diverse Regioni e tra le quali, ovviamente, figura la Campania.
5. Nel merito – provvisorio – dell’ordinanza cautelare
Il Tribunale partenopeo ha condiviso le prospettazioni attoree, laddove l’impugnato decreto e note ministeriali a corredo, attuativo della legge statale testé menzionata, non conterrebbe principi fondamentali inquanto l’assegnazione alle regioni di un dirigente e di un DSGA preposti necessariamente, o strutturalmente, ad ogni istituzione scolastica secondo un coefficiente mobile di 900-1000 alunni (e con alcuni correttivi) configura “una norma di dettaglio”; che, in ultima analisi, “imbriglia la potestà legislativa della regione entro margini assai limitati, atteso che appare evidente che ogni criterio in quanto tale circoscrive e astringe lo spazio di determinazione autonoma del destinatario del criterio stesso”.
Ora, che i principi possano circoscrivere o astringere o imbrigliare la potestà legislativa delle regioni è proprio, e per l’appunto, la loro funzione, allorquando fissano – devono fissare – “criteri, obiettivi, direttive o discipline tese ad assicurare l’esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale”.
L’ordinanza richiama a comprova, e tra le altre, la sentenza della Corte costituzionale n. 147/2012 (ante), estensore l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha investito nel giudizio di costituzionalità il citato articolo 19, comma 4 del decreto legge 98/2011, convertito con modificazioni dalla legge 111/2011, poi a sua volta corretto dalla legge 183/2011 nell’elevare da 500 a 600 il numero minimo di alunni affinché ogni scuola potesse avere un proprio dirigente e un proprio DSGA.
Tale normativa, per i giudici della Consulta, contiene due previsioni strettamente connesse.
La prima impone la costituzione forzosa di istituti comprensivi di almeno 1000 alunni (500 nelle zone in deroga) nel primo ciclo (ante): ed è affetta da incostituzionalità, per contrasto con l’art. 117, comma 3., Cost., in quanto incide direttamente sul dimensionamento obbligando le Regioni in una rigida organizzazione della rete, quasi una camicia di forza, e nella sostanza imponendo lo Stato delle misure di dettaglio più che indicare dei principi o criteri siccome entrambi dotati di una necessaria elasticità, sì da consentire un loro “adattamento” alle situazioni locali.
La seconda previsione – continua la sentenza – afferente al numero minimo di alunni 600/400 e al di sotto del quale non possono essere assegnati dirigenti scolastici (e DSGA titolari), “è indubbio che incide in modo significativo sulla condizione della rete scolastica, ma la norma in questione non sopprime posti di dirigente scolastico (e diDSGA), limitandosi a stabilirne un diverso modo di copertura e, tenendo presente che i dirigenti scolastici (e i DSGA) sono dipendenti pubblici statali (pagati dallo Stato enondalle regioni, così come i DSGA), è chiaro che il titolo di competenza esclusiva statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g, Cost., assume un peso decisamente prevalente rispetto al titolo di competenza concorrente (delle regioni)”. Sicché “la questione relativa va dichiarata infondata”.
Pertanto, seguendo questo filo argomentativo della Consulta, a maggior ragione non può pensarsi incostituzionale il futuro impugnato dispositivo: che, rispetto a quello tuttora vigente, consegna alle Regioni una maggiore libertà di organizzazione della rete scolastica, con scuole non soggette a limiti minimi di alunni per poter avere comunque un proprio dirigente e un proprio DSGA, risultando cancellate in radice le scuole sottodimensionate (e dunque da affidare a doppia reggenza).
Ma per il TAR Campania l’aver il legislatore nazionale fissato “addirittura” un coefficiente numerico per l’individuazione del numero dei dirigenti, e dei DSGA, entro un range oscillante tra 900 e 1000 alunni (dirigenti e DSGA, giova ripeterlo, dipendenti statali e dallo Stato pagati) configura “uno spiccato carattere di disposizione di dettaglio e non certo di principio, elidendo in toto ogni spazio di concorrente intervento del legislatore regionale, che finisce per essere in buona parte esautorato”(!?). TAR che condivide come ulteriore motivo di non manifesta infondatezza costituzionale il mancato accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, non essendosi realizzata – come per prassi – l’unanimità, e la conseguente previsione di legge del potere sostitutivo dello Stato.
Ignora però una giurisprudenza costituzionale – sentenza 200/2009, per altri versi richiamata – che, correggendo il Legislatore (legge 183/2011: ante), ha sì riconosciuto alle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano il potere esclusivo sull’organizzazione del servizio scolastico nei territori di pertinenza, ma nel contempo precisando che non è affatto precluso – pure nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni – l’intervento statale nella “creazione di strutture organizzativeomogenee”, in quanto “l’attività unificante dello Stato, in omaggio al principio cardine di unità e indivisibilità della Repubblica”, può ben dispiegarsi ad ampio (potenzialmente illimitato) spettro. E questo proprio in base al principio di sussidiarietà; che, con i complementari principi di differenziazione e di adeguatezza, risulta dotata di una “attitudine anche ascensionale”, sì darendere legittima extrema ratio una “deroga al riparto delle competenze non solo legislative, ma pure amministrative”.
6. Falsità consapevoli e pigrizie mentali
6.1. È proprio delle rispettive regole d’ingaggio replicare copioni precostituiti, che prescindono dai dati di realtà ovvero artatamente li manipolano, secondo il criterio dell’utile (liberamente stimato tale) rispetto a quello del vero.
Lo è per un presidente di Regione che, sfruttando una guadagnata sponda di prossimità, può affermare che si è fermata la scellerata decisione del Governo di “tagliare scuole, risorse e personale scolastico” e questo “ci incoraggia a proseguire la nostra battaglia fino alla conclusione positiva” (dal sito ufficiale della Regione Campania, 30.10.2023).
Lo è per le sigle sindacali intervenute ad adiuvandum, che ben possono gioire per “un grande risultato … che, senza questa decisione del TAR, si sarebbe andati incontro alla perdita di centinaia di sedi scolastiche con tutto quello che ne consegue in termini di perdita occupazionale, affollamento delle classi e completa sparizione di scuole nelle zone interne”; quindi “continua la lotta per evitare che, nell’arco del prossimo triennio, attraverso smembramenti e accorpamenti di plessi e sedi le attuali 8.007 scuole diventino 7.309, sopprimendosi in pratica il 9% delle sedi esistenti” (dal sito www.flcgil.it, 31.10.2023). Ovvero che possono esternare il loro plauso per essersi fermata la procedura “che avrebbe portato a una riduzione delle autonomie scolastiche nella nostra regione … oltre 120 autonomie scolastiche in meno (che) comporterebbero la perdita dell’identità di tante istituzioni scolastiche oltre che la riduzione di Dirigenti Scolastici, Dsga, personale ATA, e in prospettiva anche di docenti” (così la segretaria regionale Uil Scuola Rua della Campania, in www.vocedellascuola.it, 30.10.2023).
Lo è per l’opposizione parlamentare, esponenti del M5S in commissione Istruzione alla Camera, che ritengono quella del prefigurato nuovo dimensionamento scolastico “una norma iniqua, sbagliata e dannosa per interi territori” (in www.tecnicadellascuola.it, 30.10.2023).
E lo è per gli estensori dei titoli di giornali e riviste telematiche dedicate, che devono attrarre l’attenzione del lettore, tipo “Bocciato il taglio dei DS e DSGA conseguente all’accorpamento delle istituzioni scolastiche” (id.).
6.2. Sono delle bufale. Ma l’informazione distorta o del tutto falsa ha facile gioco nell’epoca della post-verità, decretata parola dell’anno del 2016 dall’Oxford Dictionary, a significare argomentazioni caratterizzate da un forte appello all’emotività; che, basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati, tende ad essere accettata come veritiera dall’opinione pubblica e grazie, soprattutto, agli strumenti comunicativi resi massivamente disponibili dall’incessante sviluppo tecnologico.
Post-verità ad un tempo causa ed effetto della “scomparsa del pensiero”, denunciata da Ermanno Bencivegna – logico e filosofo del linguaggio – nel testo edito da Feltrinelli, con lo stesso titolo, l’anno dopo: laddove uno sbrigativo, e compulsivo, clic surroga la fatica di una verifica delle fonti e di un ragionamento logico in grado di distinguere i fatti dalle opinioni sparate a prescindere, che richiede tempi più distesi e un’attitudine alla riflessione frigido pacatoque animo, evidentemente incompatibili con la frenesia dei giorni nostri e tuttavia esigibili da soggetti professionali, come coloro che operano nella scuola.
6.3. Nel caso in esame, è disarmante la lettera della norma e granitica la testardaggine dei numeri.
Nel ricorso la Regione Campania si è riferita al criterio di dimensionamento che consente di assegnare in via esclusiva dirigenti scolastici e direttori dei servizi generali e amministrativi alle scuole con almeno 500 studenti (300 se situate nelle piccole isole, nei comuni montani o nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche). Si tratta di un criterio provvisorio, in deroga al normale parametro 600/400 alunni, introdotto per far fronte alla pandemia per gli anni scolastici 2021-2022, 2022-2023, 2023-2024 e che, dopo questo periodo, non avrà più copertura finanziaria (legge 178/2000 e legge 234/2021).
Nell’anno scolastico 2022-2023 la Campania presenta (ha presentato) il numero più alto di scuole al di sotto dei parametri ordinari: 108 su 617 a livello nazionale. Stesso primato avrà (ha) nel 2023-2024, con 102 scuole su 644 a livello nazionale sotto i parametri. Quindi, la pianificazione della rete scolastica nella Regione è stata condotta negli ultimi anni senza prestare la necessaria attenzione al contenimento del numero delle istituzioni scolastiche sottodimensionate.
Secondo i dati ISTAT della popolazione 3-18 anni la Campania sarà interessata da un severo calo degli alunni: nel 2024 ne perderà 17.239 e l’anno successivo 19.456, per un totale di 36.695. Il calo, combinato con il parametro ordinario 600/400 che tornerebbe operativo nel 2024-2025, farebbe avere alla Campania 832 scuole normodimensionate (con un proprio dirigente e un proprio DSGA).
Rispetto a questo dato si è intervenuti applicando, prima di tutto, indici correttivi che hanno determinato il numero delle istituzioni scolastiche autonome in Campania in 839, con un incremento di 7 unità. Inoltre, si è data alla Regione la possibilità di definire la rete di istituti senza vincoli dimensionali minimi, in modo da preservare l’autonomia anche di piccole scuole che, altrimenti, sarebbero affidate in (doppia) reggenza in modo permanente.
Infine, è importante sottolineare che non si è prevista la chiusura di alcun plesso scolastico, poiché sono stati preservati i punti di erogazione del servizio attualmente esistenti.
È, testualmente, il contenuto della dichiarazione che il ministro Valditara ha consegnato alla stampa il 26 giugno 2023 e omettendo di aggiungervi che non si perdono posti di dirigente scolastico, né di docente, né di DSG e neanche di personale ATA, essendo comunque assicurato il mantenimento dell’attuale organico.
Negli stessi termini il discorso è estensibile a tutte le altre Regioni, che abbiano o meno investito la Corte costituzionale.
7. Due, brevi, considerazioni conclusive
7.1. Nella sua nuda oggettività il sistema di dimensionamento scolastico che decorrerà dal primo settembre 2024 è di gran lunga più razionale di quello vigente, oltre che maggiormente rispettoso delle prerogative regionali nell’organizzazione del servizio sui rispettivi territori (ante), tal che pare alquanto improbabile che il Giudice delle leggi, smentendo la sua precedente copiosa giurisprudenza, dichiari – totalmente o anche parzialmente – affetto da incostituzionalità il sistema di dimensionamento delle istituzioni scolastiche statuito dalla legge 197/2022.
Ma se così dovesse essere, significherebbe il mantenimento del dispositivo attuale e, tra le altre conseguenze, il sovrapporsi alla libera volontà del Legislatore che, volendo dotare ogni istituzione scolastica di un dirigente e di un DSGA, sarebbe costretto a subire la volontà delle Regioni di tenere in vita, e magari creandone di nuove, quelle che potrebbero avere anche un centinaio di alunni o poco più!
7.2. Una ragione, però, le Regioni ricorrenti e le sigle sindacali che le affiancano ce l’hanno: una ragione solida, oggettiva e generalmente condivisa.
Che tutte le istituzioni scolastiche debbano fare affidamento su un proprio dirigente e un proprio DSGA è condizione pregiudiziale per il presidio e l’implementazione dei processi organizzativi funzionali allo scopo ad esse assegnato e riassunto nell’incipit del D.P.R. 275/1999, art. 1, comma 2,, Regolamento dell’autonomia: la “progettazione e realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”. Ed è sempre condizione pregiudiziale per una loro capacità di efficace interlocuzione con la governance esterna, includente le altre istituzioni scolastiche e gli uffici periferici dell’Amministrazione, allorquando esse “provvedono – devono provvedere – alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa nel rispetto delle funzioni delegate alla Regione e dei compiti e funzioni trasferite agli enti locali … promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione” (ivi, comma 1).
Se non è verosimile far corrispondere le nuove istituzioni scolastiche, tutte per definizione normo-dimensionate, agli attuali quarantamila e più plessi o luoghi di erogazione del servizio, non potranno neanche tollerarsi mega-istituti che, per consentire la costituzione di scuole autonome nei piccoli luoghi che popolano il nostro Paese, possono arrivare ai duemila studenti e ai trecento e oltre tra docenti e personale ATA, naturaliter ingovernabili sui canonici e compresenti versanti gestionale, dei rapporti con il territorio, educativo-didattico: sicché il nanismo delle une e il gigantismo delle altre darebbero corpo al medesimo singolare effetto di un’offerta formativa non rispondente ai reali bisogni delle studentesse e degli studenti.
Occorrerebbe allora – e questo ci sembra il punto – una sinergia tra i diversi soggetti istituzionali e una loro concorde azione nel coinvolgimento ragionato dell’opinione pubblica, per premere all’unisono su Governo e Parlamento per una decisa riduzione dei codificati coefficienti 900/1000 a non oltre i 600/700. È un investimento, atteso che i costi, già di per sé alquanto contenuti, sarebbero di gran lunga inferiori ai benefici di una migliore qualità del servizio.
Viceversa, l’arroccamento su posizioni di assoluta intransigenza, quando non si voglia porre in essere una vera e propria – ma impropria – opposizione tutta politica, potrebbero sortire il mantenimento, e su tempi sicuramente non brevi, di soluzioni regressive. Indipendentemente da pronunce della Corte costituzionale.
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