La difficoltà nello studio della materia non può impedire la bocciatura

da Il Sole 24 Ore

La difficoltà nello studio della materia non può impedire la bocciatura

di Andrea Alberto Moramarco

Nell’offerta formativa di un liceo scientifico l’insegnamento della matematica assume un ruolo fondamentale e, se l’alunno viene bocciato per l’insufficienza riportata in tale materia, la decisione del consiglio di classe non può essere impugnata per via della corposità del programma o della difficoltà del metodo di insegnamento dell’insegnante. Difatti, il giudizio di non ammissione alla classe successiva espresso dai docenti è connotato da discrezionalità tecnica e costituisce espressione di una valutazione riservata a questi dalla legge. Questo è quanto si desume dalla sentenza 1068/2016 del Tar di Brescia.
Il caso
Protagonista della vicenda è uno studente di un liceo scientifico che al termine dell’anno scolastico 2016/2017 non veniva ammesso all’esame di maturità dal consiglio di classe, perché aveva riportato due insufficienze, in matematica e fisica. Dal verbale emergeva altresì che il ragazzo aveva riportato risultati costantemente negativi durante tutto l’anno scolastico, oltre a numerose assenze che avevano creato ulteriori ostacoli al raggiungimento di un livello di preparazione accettabile per l’ammissione all’esame finale.
Non d’accordo con tale valutazione, l’alunno impugnava però dinanzi al Tar il verbale dello scrutinio finale del consiglio di classe, facendo notare che le sue difficoltà erano da ricondurre al «metodo adottato dal professore di matematica», il cui programma sarebbe stato «corposo e di difficile assimilazione».
La decisione
I giudici amministrativi bocciano in maniera netta il ricorso ribadendo il limite esistente per l’organo giudicante nel sindacare le valutazioni discrezionali effettuate dai docenti. Il Tar ricorda, infatti, che il giudizio espresso dagli insegnanti relativo alla ammissione o mancata ammissione dell’alunno all’esame finale o alla classe successiva è totalmente rimesso alla discrezionalità degli stessi docenti, le cui valutazioni riflettono specifiche competenze solo da essi possedute. Quanto alla difficoltà della matematica, invece, per il Collegio, la censura sul metodo di insegnamento utilizzato dal docente non assume rilievo, in quanto «la natura “ostica” della materia è correlata alla naturale e obbiettiva difficoltà che la stessa comporta nell’offerta formativa di un liceo scientifico», dovendo l’alunno confrontarsi con il livello standard di insegnamento del liceo, secondo la specifica programmazione desumibile dall’offerta formativa.

Renzi: la riforma 0-6 anni avrà le risorse per partire

da Il Sole 24 Ore

Renzi: la riforma 0-6 anni avrà le risorse per partire

di Claudio Tucci

«Il futuro dell’Italia passa dalla capacità non di fare le riforme dei massimi sistemi, come mercato del lavoro o legge elettorale, ma dal fatto di dare a tutti i bambini come è scritto nel vostro centro la possibilità di imparare a fare le cose difficili». A parlare è il premier, Matteo Renzi, dopo aver visitato a Reggio Emilia il centro internazionale dell’Infanzia «Loris Malaguzzi» sede della fondazione «Reggio Children», una struttura all’avanguardia a livello internazionale sui processi educativi per l’infanzia.

Trovate le risorse
«Nelle deleghe attuative della legge 107 – ha proseguito Renzi – c’è una delega sull’educazione 0-6: fino a poco tempo fa non aveva stanziamento, adesso c’è». Nel centro – visitato per la prima volta da un presidente del Consiglio – c’è una scuola d’infanzia in cui i bambini vivono il «Reggio approch» in continuità didattica sperimentale con la scuola primaria. Il centro viene visitato in media da 70mila tra pedagogisti, educatori, insegnanti ogni anno, provenienti da 34 paesi del mondo che fanno parte del network internazionale «Reggio Children». Il governo – ha concluso Renzi – nelle prossime settimane investirà per la sfida educativa. Stiamo discutendo anche sulla nuova formazione degli insegnanti. C’è poi tutto il pacchetto dell’edilizia scolastica».

Fondo per l’autoimpiego anche per i «Neet»

da Il Sole 24 Ore

Fondo per l’autoimpiego anche per i «Neet»

di A.S.

Accesso più fluido al Fondo «Selfiemployment». Dal prossimo 12 settembre, infatti, le richieste di ammissione alle agevolazioni potranno essere presentate anche dai cosiddetti giovani Neet, ossia giovani con un’età compresa tra i 18 e i 29 anni, residenti sul territorio nazionale, privi di occupazione e non inseriti in percorsi di studio o formazione, che abbiano però aderito al programma «Garanzia Giovani», a prescindere dalla partecipazione o meno al percorso di accompagnamento finalizzato all’autoimprenditorialità. Lo ha stabilito un avviso pubblico che integra la disciplina sul funzionamento dei finanziamenti pubblicato nei giorni scorsi sul sito Invitalia (www.invitalia.it). Si ricorda che il Fondo, gestito da Invitalia sotto la supervisione del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, sostiene la nascita di piccole iniziative imprenditoriali, promosse da giovani fino ad un massimo di 29 anni, attraverso la concessione di prestiti a tasso zero.

Si tratta di idee imprenditoriali elaborate nell’ambito di percorsi di accompagnamento svolti presso la Regione o tramite Unioncamere. Le domande sono presentabili sin dallo scorso primo marzo per il tramite dell’apposita piattaforma informatica predisposta dal soggetto gestore.I richiedenti devono operare in forma di imprese individuali, società di persone, società cooperative con un numero di soci non superiore a nove, associazioni professionali e società tra professionisti. Dal 12 settembre, quindi, la partecipazione al percorso di accompagnamento finalizzato all’autoimprenditorialità non sarà più una discriminante. Tuttavia, precisa Invitalia, in sede di istruttoria, ai giovani Neet che abbiano concluso il percorso di accompagnamento sarà attribuita una premialità di 9 punti sul punteggio complessivo che concorre alla determinazione della soglia minima di accesso al finanziamento.

E a Torino i presidi insorgono: “Sarà il caos”

da la Repubblica

E a Torino i presidi insorgono: “Sarà il caos”

Federica Patti, assessora all’Istruzione, ha dato l’ok ma precisa: “Il riconoscimento di un diritto e la sua applicabilità sono due cose diverse”

Mamme e papà si sono segnati in agenda il 3 ottobre. Da quel giorno il Comune di Torino consentirà, salvo colpi di scena da parte dei giudici, di mangiare a scuola il pasto che gli allievi si porteranno da casa, come imposto dalla corte d’Appello di Torino. Ma in che modo verrà organizzato il servizio è ancora tutto da decidere: un vecchio parere dell’Asl chiede di dotare le scuole di frigo e forni. E c’è chi fa notare i pericoli di un’eventuale commistione tra il cibo della mensa (controllato) e quello di casa, dunque ipotizza l’utilizzo di due stanze diverse o di vigilantes che controllino. «Sono soluzioni di cui non possono farsi carico le singole scuole», si lamentano i dirigenti. Altro quesito: come gestire il problema da martedì fino al 3 ottobre? Gli istituti si stanno muovendo in ordine sparso: c’è chi chiederà di portare i figli a casa, chi adotterà la doppia stanza, chi farà finta di nulla.
Per capire come si è arrivati fin qui bisogna tornare a due anni fa. La “lotta per il panino libero” (ma chi l’ha scatenata assicura che ai loro piccoli darà pasti di tutto rispetto) inizia nel 2014, quando un gruppo di genitori crea il gruppo “Caro mensa” per contestare al Comune un aumento del prezzo dei pasti. La battaglia funziona a metà: la Città crea una tariffa a consumo e non più forfettaria, ma i costi restano, a loro dire, troppo elevati. Così 58 tra mamme e papà iniziano una lotta legale, guidati dall’avvocato (e papà) Giorgio Vecchione. In primo grado va male, mentre lo scorso giugno la corte d’Appello di Torino dà loro ragione: i bambini hanno diritto di mangiarsi il proprio cibo e di farlo rimanendo a scuola con tutti gli altri, quindi il Comune si adegui. È una piccola rivoluzione, che però solleva diversi interrogativi, logistici ma anche educativi.
A luglio l’Ufficio scolastico del Piemonte annuncia che il ministero farà ricorso in Cassazione (ma per un pronunciamento ci vorranno mesi) e precisa che nel frattempo le scuole dovranno dare la libertà di panino solo ai figli di chi ha fatto causa. Intanto l’avvocato Vecchione fa partire altri ricorsi d’urgenza, da parte di 44 famiglie che chiedono di vedersi riconosciuto lo stesso diritto.
Oggi la battaglia legale infuria, ma lunedì la scuola comincia e da martedì parte il servizio mensa. Che fare? L’assessora comunale all’Istruzione Federica Patti ha annunciato chi vorrà potrà portare il panino da casa: entro il 26 settembre i presidi dovranno raccogliere le adesioni al nuovo servizio, che partirà il 3 ottobre. Però, fa presente l’assessore, «il riconoscimento di un diritto e l’effettiva applicabilità sono due cose distinte». L’avvocato Vecchione promette: «I bambini andranno a scuola con il baracchino già dal 13 settembre».

Panino a scuola, è effetto domino sfida alla mensa da Genova a Milano

da la Repubblica

Panino a scuola, è effetto domino sfida alla mensa da Genova a Milano

in tutta Italia, sempre più genitori chiedono di poter dare ai figli cibo cucinato a casa “I pasti sono cari e di cattiva qualità”. Ma è polemica, e abbondano le soluzioni fai-da-te

Cristina Nadotti

Il panino della vittoria. O della sconfitta, a seconda dei punti di vista. La sentenza con cui la corte d’appello di Torino, a fine giugno, ha stabilito che un bambino può consumare un pasto portato da casa durante il servizio di refezione scolastica ha innescato una reazione a catena in altre Regioni creando non poche polemiche e difficoltà di tipo organizzativo. Il contagio del “diritto al panino” si è propagato subito a Genova, dove al Comune sono già arrivate numerose richieste di consumare il proprio pasto a scuola. Il sindaco Doria per applicare la sentenza della corte d’Appello ha creato un tavolo per far fronte alle richieste delle famiglie, con un precedente a cui guardare, quello del comune di Campomorone. Nel paese dell’entroterra genovese, i bambini che consumano il cibo della mensa e quelli che hanno il pasto portato da casa mangiano in due locali diversi. È la soluzione più semplice, che però non tiene conto di quanto è scritto proprio nella sentenza torinese, dove si indica la ristorazione scolastica come “tempo della mensa”, non distinguendo dunque il pasto da altri momenti fondamentali dell’attività didattica. E la separazione sa tanto di discriminazione, se non altro perché c’è chi non può mangiare un pasto caldo.
Anche a Napoli, dove pure c’è richiesta, l’assessora all’Istruzione, Annamaria Palmieri, ha convocato una commissione per diramare linee guida sugli aspetti sanitari, perché secondo gli esperti dell’Asl dopo qualche ora fuori dal frigorifero anche una fetta di formaggio ha una carica batterica pericolosa. Tuttavia la questione è più ampia, sottolinea l’assessora, perché «il panino è foriero di disuguaglianza sociale».
A Milano non ci sono numeri ufficiali, ma sono arrivate numerose richieste di informazioni al Comune per sapere quali siano le procedure per il pasto libero. Sotto accusa ci sono la qualità del servizio offerto e il suo prezzo. Sono questi i nodi della questione: il diritto al panino è reclamato da chi ritiene le mense troppo care o poco appetitose per bambini spesso schizzinosi. Non a caso a Firenze, dove sono previste 13 fasce di costo a seconda del reddito, per rendere la refezione accessibile a tutti, e la sperimentazione sui menu è molto avanzata, non sono arrivate richieste per il pranzo da casa. Stessa cosa a Bari, dove, nonostante il dibattito, secondo l’assessora all’Istruzione Paola Romano la mensa piace perché si continua a «mantenere la totale gratuità per i meno abbienti e si servono prodotti pugliesi». A Parma niente rinunce: anche qui le misure per chi ha un basso reddito sono numerose e funzionano.
A Palermo, invece, ci sono poche classi a tempo pieno e i direttori scolastici hanno elaborato soluzioni diverse a seconda dei casi, talvolta consentendo il panino da casa senza separare i bambini, come all’istituto comprensivo in pieno centro storico. C’è invece aria di burrasca a Bologna, dove per l’osservatorio cittadino sulle mense il movimento per il diritto al panino è conseguenza «di un’incapacità di ascolto delle istituzioni e di una mancanza di volontà politica di cambiamento e miglioramento di un servizio essenziale». Essenziale, sottolinea Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, specializzata in ricerca sull’istruzione e la formazione, perché «non stiamo parlando di semplice ristorazione. La mensa è fondamentale per la socializzazione e per educare a una corretta alimentazione. E – aggiunge – se il diritto al panino stabilisce un principio di libertà individuale, è pur vero che a scuola non si studia sul libro che si sceglie da sé, anche per questioni di organizzazione».

Infanzia, Renzi: i soldi per legge delega 0-6 anni ci sono. È la volta buona per svuotare le GaE?

da La Tecnica della Scuola

Infanzia, Renzi: i soldi per legge delega 0-6 anni ci sono. È la volta buona per svuotare le GaE?

La riforma della scuola d’infanzia sarebbe in dirittura d’arrivo: il Governo ha anche garantito la copertura economica.

A dirlo, visitando l’8 settembre Reggio Children, a Reggio Emilia, è stato il presidente del consiglio Matteo Renzi: “nelle deleghe attuative sulla legge della buona c’è la delega sulla fascia 0-6 anni che ha come modello proprio Reggio Children: oggi c’è lo stanziamento, su questo tema il governo nelle prossime settimane investirà per l’accelerazione decisiva, ci siamo, ci sono le risorse”, ha assicurato il premier.

Che poi ha aggiunto: “Fossero tutte così le scuole italiane”. Non lo sono, dovranno avvicinarsi a esserlo, sapendo che l’ eccellenza non si raggiunge mai tutti insieme. Il futuro dell’ Italia passa dalla capacità non di riforme di mercato del lavoro o legge elettorale, ma di dare a tutti i bambini il diritto di fare cose difficili, come c’è scritto all’ingresso del centro Malaguzzi, dare a ognuno la possibilità di provarci”.

Ma cosa porterà legge delega? Prima di tutto, è prevista una maggiore omogeneità e continuità del periodo precedente alla scuola primaria, che parte subito dopo la nascita e arriva a sei anni. La riforma garantirà maggiori possibilità di accesso, soprattutto nel periodo del nido, in alcune zone del Paese, prevalentemente al Meridione, dove ad usufruire delle strutture sono una minima parte dei bambini (in alcuni casi meno del 10%, contro il 40% indicato dell’Ue).

L’ampliamento dei servizi, porterà però anche un incremento di posti di maestra della scuola dell’infanzia pubblica (da non confondere con i servizi comunali, che nei grandi centri rappresentano oltre la metà delle strutture). Si sta realizzando, in pratica, proprio quello che attendevano le tante migliaia di docenti precari, quasi tutte donne, rimaste nelle GaE anche dopo la Buona Scuola (che a dire il vero non aveva previsto assunzioni per l’infanzia proprio in vista della riforma): all’attuale ritmo, anche dopo il piano di assunzione di questi giorni (prima riservato alle vincitrici del concorso 2012 ed ora allargato, per meno della metà dei posti, alle maestre delle graduatorie ad esaurimento), rimarrebbero in lista di attesa chissà ancora per quanti anni.

La “sterzata” conseguente all’approvazione della legge delega, con posti aggiuntivi in arrivo, potrebbe così concretizzare proprio quello che ci voleva per svuotare le GaE. Pure in tempi relativamente brevi.

In Veneto pasticci anche su docenti dell’infanzia

da La Tecnica della Scuola

In Veneto pasticci anche su docenti dell’infanzia

“Ogni volta che il competente Ministero mette le mani su qualcosa che riguarda l’istruzione nel nostro Paese, o combina pasticci, o non rispetta accordi e regole. L’ultimo esempio viene dal delicatissimo settore degli insegnanti nelle scuole dell’infanzia statali”.

Lo denuncia oggi l’Assessore all’Istruzione della Regione del Veneto, Elena Donazzan, dicendosi “stupefatta da una situazione complessiva di caos che ha superato il limite della sopportazione di insegnanti e genitori, che vivono, come noi rappresentanti delle Istituzioni sul territorio, nella più totale incertezza e mancanza di risposte alle esigenze più naturali, spesso banali, a soli 4 giorni dall’inizio dell’anno scolastico”.

Disponibili le funzioni Sidi per le immissioni in ruolo 2016/2017

da La Tecnica della Scuola

Disponibili le funzioni Sidi per le immissioni in ruolo 2016/2017

Il Miur ha informato, con nota 2989 del 6 settembre, che sono disponibili le funzioni SIDI per l’acquisizione delle immissioni in ruolo del personale docente, la predisposizione dei contratti a tempo indeterminato e la trasmissione al MEF per la liquidazione delle competenze.

Queste sono le operazioni che debbono effettuare gli uffici:

1. L’ufficio preposto al procedimento di assunzione (USR, Ufficio di Ambito Territoriale o scuola delegata), oppure la segreteria della scuola di incarico, inserisce le informazioni concernenti l’immissione in ruolo mediante l’applicazione SIDI “Fascicolo personale scuola – Gestione Corrente-Assunzioni e Ruolo – Gestione Assunzioni a Tempo Indeterminato – Immissioni in Ruolo – Acquisire immissione in ruolo”.

2. La segreteria della scuola di incarico, accertata la presa di servizio, inserisce le informazioni concernenti la sede di incarico mediante l’applicazione SIDI “Fascicolo personale scuola – Gestione Corrente-Assunzioni e Ruolo – Gestione Incarichi Triennali – Acquisizione Incarico Triennale”, e, se assenti a sistema, le informazioni utili per la liquidazione delle competenze mediante l’applicazione SIDI “Fascicolo personale scuola – Gestione Corrente-Assunzioni e Ruolo – Gestione Flussi MEF – Gestire Partita di Spesa” e
predispone il contratto di assunzione mediante l’applicazione SIDI “Fascicolo personale scuola – Gestione Corrente-Assunzioni e Ruolo – Gestione Assunzioni a Tempo Indeterminato – Immissioni in Ruolo – Integrazione Dati Contratto”.

3. Le parti (dirigente scolastico e docente) sottoscrivono le copie cartacee del contratto.

4. La segreteria scolastica invia copia del contratto alla competente RTS.

5. Il dirigente scolastico convalida il contratto ai fini della trasmissione dei relativi dati a SPT mediante l’applicazione SIDI “Fascicolo personale scuola – Gestione Corrente-Assunzioni e Ruolo – Gestione Flussi MEF – Convalidare contratti a tempo Indeterminato”.

6. Il SIDI, con le periodicità concordate tra MIUR e MEF, trasmette a SPT i dati dei contratti convalidati.

7. Il MEF elabora i dati ricevuti; se l’elaborazione va a buon fine, dispone la liquidazione delle competenze.

8. Il MEF riporterà nel flusso di ritorno, per ogni record elaborato, l’indicazione “messo in pagamento” oppure “sospeso”, con l’opportuna motivazione.

9. La segreteria scolastica, mediante l’applicazione SIDI “Fascicolo personale scuola – Gestione Corrente-Assunzioni e Ruolo – Gestione Flussi MEF – Interrogare stato di
avanzamento trasmissioni”, verificherà la presenza di trasmissioni che devono essere rielaborate ed esaminerà il motivo dello scarto. Se tale revisione si conclude con la rettifica di uno o più elementi del contratto, predisporrà una nuova versione, che sarà convalidata e i relativi dati saranno trasmessi da SIDI a SPT.

Tutti i contratti devono essere inviati, dall’Istituzione scolastica stipulante, alla Ragioneria Territoriale dello Stato. Lo stato verso RTS, infatti, è per tutti i contratti “Non soggetto a trattazione RTS” indicante che il contratto non verrà trasmesso in via telematica alla Ragioneria.

Le causali di immissioni in ruolo a.s. 2016/17 disponibili per le operazioni sono:

  • N7 – Concorso per titoli ed esami (fase regionale del concorso 2012 infanzia)
  • N8 – Concorso per titoli ed esami (fase nazionale concorso 2012 infanzia)
  • M4 – Concorso per soli titoli (graduatorie ad esaurimento)
  • N9 – Concorso per titoli ed esami 2016 – secondaria di I e II grado

Successivamente verrà comunicata la disponibilità della causale N9 – Concorso per titoli ed esami 2016 anche per la scuola dell’Infanzia e per la scuola Primaria.

Per gli uffici è inoltre possibile utilizzare le consuete causali per comunicare a sistema i passaggi da altro ruolo, a rettifica delle operazioni di mobilità in organico di diritto (codice M1), le immissioni in ruolo per mobilità intercompartimentale (codice M9) e le riammissioni in servizio (codice E7). In questi casi non è prevista la predisposizione del contratto né la trasmissione dei dati a SPT.

La causale di immissione in ruolo, precisa il Miur, non è rettificabile e che per cancellare o rettificare una immissione in ruolo a seguito della quale è stato registrato un incarico triennale, è necessario preliminarmente procedere con l’annullamento dell’incarico triennale.

Renzi, per 0-6 anni risorse in arrivo

da tuttoscuola.com

Renzi, per 0-6 anni risorse in arrivo

Il futuro dell’Italia non passa dalla capacità di fare riforme sui massimi sistemi come la riforma sul lavoro o la legge elettorale ma dal fatto di dare a tutti i bambini il diritto di fare cose difficili, la libertà, la possibilità e le pari opportunità per poterci provare“. Così il premier Matteo Renzi, a Reggio Emilia per visitare il centro internazionale Loris Malaguzzi, sede della fondazione Reggio Children, una struttura d’avanguardia sui processi educativi e di sviluppo per l’infanzia nota e apprezzata in tutto il mondo.

Nelle deleghe attuative della legge 107 del 2015 ce n’è una che riguarda l’educazione 0-6 anni sul modello Reggio Children e ora ha ricevuto uno stanziamento che sarà decisivo nell’arco delle prossime settimane“, annuncia.

Ad attendere il premier al suo arrivo la vice presidente della regione Emilia Romagna, Elisabetta Gualmini, e il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, che hanno accompagnato Renzi a visitare la struttura. Poi il presidente del Consiglio si è recato alla festa dell’Unità in corso nella stessa città emiliana.

Concorsi in ritardo: le GAE e i supplenti annui ringraziano

da tuttoscuola.com

Concorsi in ritardo: le GAE e i supplenti annui ringraziano

50 e 50: in condizioni normali metà dei circa 30 mila posti per le nomine in ruolo 2016-17 va ai vincitori del concorso e l’altra metà agli iscritti nelle GAE. Ma quest’anno…

Quest’anno il ritardo dei concorsi, però, sta modificando drasticamente questa ripartizione, perché in moltissimi casi la quota del 50% riservata al concorso non potrà essere assegnata in tempo utile (il termine fissato dalla legge è il 15 settembre).

Quei posti saranno assegnati in compensazione agli iscritti in GAE oltre la loro quota del 50% spettante di diritto. Una immissione in ruolo che arriva anticipatamente rispetto alle lunghe attese temute.

Mentre i vincitori del concorso non nominati quest’anno dovranno attendere l’anno prossimo per entrare in ruolo, il ritardo di pubblicazione delle loro graduatorie produrrà in diversi casi un altro effetto, oltre all’utilizzo delle GAE.

Infatti, laddove i posti previsti per il concorso e non assegnati vengano coperti parzialmente o per niente dalle GAE, si deve provvedere alle nomine di supplenti annuali.

Per avere un’idea degli effetti del ritardo in termini di disponibilità di posti, è possibile controllare il contatore di Tuttoscuola che ha registrato a tutto ieri una percentuale del 27,6% delle graduatorie di merito approvate con una disponibilità di posti da assegnare (nel triennio) di 6.259 su 63.712 previsti (nel triennio) a concorso.

Musica a scuola, insediato il Comitato di esperti

da tuttoscuola.com

Musica a scuola, insediato il Comitato di esperti

Si è insediato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca il Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica di recente rinnovato con Decreto del Ministro Stefania Giannini. Il Comitato proseguirà nelle sue attività di promozione e diffusione della cultura e della pratica musicale nella scuola.

Con il Decreto firmato dal Ministro Giannini il Comitato – alla cui presidenza è stato confermato Luigi Berlinguer – si arricchisce del contributo di personalità provenienti dal mondo artistico e musicale a livello nazionale. Rimarrà in carica tre anni scolastici, fino al 2019.

Il sapere artistico deve essere garantito agli alunni e agli studenti come cultura universale – ha sostenuto il presidente Berlinguer salutando i componenti del Comitato nella riunione di insediamento -. Ora è tutta un’altra musica, abbiamo ben altra realtà nelle nostre scuole, ben altre competenze ed esperienze che dieci anni fa, quando ci siamo insediati per la prima volta, non avremmo potuto immaginare. Adesso siamo ad una fase nuova e dobbiamo incrementare il nostro lavoro. Dalla nostra abbiamo anche una legge, quella de La Buona Scuola, che riconosce la musica, e la pratica musicale, come componente essenziale per la formazione dei nostri alunni”.

Il Comitato vuole favorire la creazione di un sistema integrato per l’implementazione della pratica musicale e la dimensione estetica e storica della musica, in tutti gli ordini di scuola. Ha compiti di supporto, consulenza, progettazione, coordinamento, monitoraggio e proposta per la realizzazione di percorsi formativi incentrati sullo sviluppo delle competenze musicali degli alunni, anche in riferimento alla pratica vocale e strumentale.

C. Lottieri, L’Europa è il problema, la Svizzera la soluzione

L’Europa di Lottieri

di Antonio Stanca

lottieriGiovedì 1 Settembre, quale supplemento del quotidiano “il Giornale” nella serie “fuori dal coro”, è comparso il brevissimo saggio L’Europa è il problema, la Svizzera la soluzione (Una via elvetica per ripensare il Continente) di Carlo Lottieri, docente di Filosofia Politica presso l’Università di Siena e di Filosofia delle Scienze Sociali presso l’Università Teologica di Lugano.

Lottieri è nato a Brescia nel 1960 ed ha studiato a Genova, Ginevra e Parigi, dove ha svolto un dottorato di ricerca. Allievo di Alberto Caracciolo è stato sempre a contatto con personalità di rilievo nell’ambito della filosofia politica. Ha svolto attività di collaboratore e di ricercatore nelle Università di Trieste e di Siena. Nel 2003 ha creato, insieme ad altri studiosi, l’Istituto Bruno Leoni ispirato alla figura e all’opera del noto pensatore torinese. In precedenza aveva insegnato Dottrine dello Stato presso l’Università di Siena. Collabora con “il Giornale”.

Filosofia libertaria viene definita la filosofia politica del Lottieri poiché s’ispira al pensiero libertario della classicità e si pone contro i sistemi di governo che con facilità si formano all’interno delle democrazie e tendono a rimanere per sempre rifiutando ogni cambiamento e diventando sistemi di dominio. La realtà politica, economica, sociale, statale, giuridica dell’Europa, la sua storia, i suoi problemi, sono i temi più trattati nei suoi studi e nei lavori pubblicati. Attento, profondo e documentato conoscitore di questi argomenti si mostra capace di muovere da essi e scoprire quanto è mancato o manca, come sarebbe stato o sarebbe possibile rimediare. Lottieri, nelle sue opere, non perde mai di vista la complessità, la totalità della situazione in esame anche se di un suo aspetto o problema si sta interessando. Chiaro, semplice risulta, inoltre, nel linguaggio ed è un altro dei meriti da attribuirgli se si tiene conto di quanto complicata sia diventata l’espressione in questo genere di lavori.

Anche nel recente opuscolo il filosofo si esprime chiaramente nonostante la brevità dell’opera. Stavolta l’argomento che discute è quello dell’Unione Europea nella fase attuale. L’uscita dell’Inghilterra, il Brexit è stato, per lui, un rifiuto motivato, ha rappresentato la volontà del Regno Unito di non far più parte di una corporazione giunta ad avere molti problemi, a stare fortemente in crisi. Contrariamente a quelle che erano state le premesse, quando si era parlato di una federazione che avrebbe proceduto nel rispetto di ogni suo componente, che avrebbe accolto, compreso la singolarità, la particolarità di ogni Stato, che sarebbe stata per tutti uguale, pari, si è giunti ad assistere ora, secondo Lottieri, alla formazione di un contesto nel quale sono emerse, hanno acquistato rilievo solo alcune delle Nazioni che lo compongono, che è finito col rappresentare il potere di queste, che sinonimo di verticalità e non di orizzontalità è diventato. I palazzi di Bruxelles sono la punta di questo vertice, la sede di questo potere di pochi, dei Paesi europei, cioè, più forti, più potenti nell’economia, negli armamenti, nel sistema politico, nella situazione sociale e in ogni altro aspetto della vita pubblica. Piramidale è la posizione degli Stati nell’Europa Unita, non si è tra pari ma tra superiori e inferiori. E questi ultimi non solo non hanno potere ma neanche la possibilità di vedere ascoltata la loro voce, di comunicare i loro bisogni, i loro problemi. Niente c’è, di federale, di democratico nell’Unione Europea.

Il Lottieri, nel suo lavoro, riesce pure a percorrere brevemente la storia, la formazione del pensiero politico europeo e a mostrare come la nuova Europa abbia perso alcune delle conquiste che nella politica del passato aveva ottenuto. Ad un recupero, quindi, invita di quanto di democratico, di liberale ha fatto parte della politica europea e ad una maggiore attenzione a quanto da secoli avviene in Svizzera, a come in questo Paese sia rimasto sempre valido il sistema federale. Per la Svizzera, stato federale, stato dei Cantoni, federazione ha sempre significato rispetto di ogni sua parte, dell’autonomia, delle regole, delle tradizioni, della cultura, della lingua di ogni Cantone anche se tutti rispondono ad una Costituzione, ad un Governo centrale. In Svizzera anche i più piccoli valgono, hanno il diritto di dire di sé, dei propri problemi, la possibilità di discuterli, di risolverli per proprio conto, nei propri posti, con proprie assemblee. Lo Stato federale svizzero sa essere diviso, sezionato tra le parti che lo compongono ed anche unito. Questo esempio il Lottieri esorta a seguire per salvare l’Unione Europea dalla crisi che sta attraversando e che è derivata dal mancato rispetto di quelle regole che pure le appartenevano ma che sono state trascurate al punto da trasformare in unione di pochi quella che sarebbe dovuta essere unione di molti.

The magic of belle isle di Rob Rainer

“The magic of belle isle”, un film di Rob Rainer con Morgan Freeman

di Mario Coviello

 

freemanE’ disponibile in rete “ The magic of belle isle” di Rob Reiner, con Morgan Freeman e Virginia Madsen.

Monte Wildhorn, anziano scrittore di libri western, ormai stanco di scrivere e di vivere, dipendente dall’alcool e su una sedia a rotelle, si trasferisce per l’estate in una casetta sulle rive di un lago. Monte odia i cellulari “tutti quelli attaccati ai cellulari li sparerei”, ed esercita un fortissimo senso critico prima di tutto verso se stesso che lo allontana delle persone. In una piccola comunità che lo costringe a partecipare a funerali e cene e l’amicizia con una ragazzina di nove anni sveglia e caparbia, gli fanno ritrovare il gusto di vivere.

Monte, per occupare la casa sul lago, è costretto ad occuparsi del cane del padrone di casa, musicista in tourneè. La sua ruvidezza viene pian piano scossa dai vicini di casa, Charlotte O’Neil, una mamma divorziata con tre figlie, e Carl, un ragazzo ritardato. Tra lezioni di immaginazione alla piccola Finnegan O’Neil e la riscoperta di sentimenti dimenticati dopo la morte della moglie, Monte si convince che la vita può ancora sorprenderlo e che ha ancora qualcosa da donare agli altri. Lentamente smette di bere e si convince, come non si stanca di ripetere alla piccola Finnegan, che “ la mente è la più grande libertà”.

E Finnegan impara a “immaginare” ,” a rincorrere il proprio cuore”, “a non smettere mai di cercare quello che non c’è…”

“The magico of belle isle” ha una trama semplice, sentimentale nel senso più alto del termine, con personaggi fragili e delicati, che nell’aprirsi agli altri manifestano tutto il dolore passato senza pudori. Persone vere, non quei caratteri spigolosi che attraversano la maggior parte dei film in circolazione.

Freeman è un attore che lascia il segno in ogni ruolo che interpreta, perché è capace di passare con disinvoltura dai film d’autore ai blockbusters ,senza mai dimenticare di portare sul set la propria bravura e sensibilità.

Abilissimo il regista Rob Reiner, che ci ha regalato, tra gli altri, “Stand  by me”  ed “Harry ti presento Sally” , nel mantenersi sempre in bilico sul crinale delle emozioni, senza mai scadere nel sentimentalismo, capace di regalare a Freeman e al cane Ringo, ribattezzato Macchia da Monte “ perché i cani non possono avere il nome di uno dei Beatles”, duetti esilaranti. Reiner aggiorna il genere “riscoperta della vita” con eleganza e buon gusto, e la bellezza dolce e ammorbidita di Virginia Madsen conferisce a Charlotte una vena sensuale e malinconica .Mostra coraggio nel dirigere e produrre un film apertamente sentimentale, senza personaggi estremi o provocazioni spesso inutili ma che fanno tendenza.Reiner , Freeman e la Madsen hanno talento e classe da vendere e il risultato dà loro pienamente ragione. Menzione di merito va a Flora, la più piccola delle O Neil, e al suo amico immaginario l’elefante Tony che riportano Monte alla macchina da scrivere.Sì perché Monte non scrive al computer e ascoltate con attenzione il perché vedendo il film.

Consiglio ai miei pazienti lettori questo film semplice e ben fatto che non si stanca di ricordarci che la scrittura, i libri sono” gli amici più fidati, capaci perfino di stare zitti quando abbiamo bisogno di riflettere”.

Ordinanza Tribunale Torino 9 settembre 2016, n. 21250

R.G. 21250/2016

tra

(omissis)

RICORRENTE

e

ISTITUTO G. MAZZINI

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE

MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ, DELL’ISTRUZIONE E DELLA RICERCA

RESISTENTE

Il giudice, sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 5.9.2016, osserva quanto segue.

Parte ricorrente espone

  • di esercitare la potestà genitoriale su (omissis), iscritta presso la scuola Giuseppe Mazzini di Torino, presso la quale è attivo un servizio di mensa;
  • che la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1049 del 21 giugno 2016 (resa nel giudizio d’appello proposto da n. 58 genitori di altrettanti studenti di scuole elementari e medie di Torino), ha accertato “il diritto degli appellanti di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione”;
  • che alcune amministrazioni comunali e istituti scolastici hanno negato l’esistenza di analogo diritto di scelta (fra refezione scolastica e pasto domestico da consumare a scuola) per coloro che non avevano preso parte al giudizio di cui sopra;
  • che tale posizione lede diritti fondamentali del ricorrente (allo studio, al lavoro, alla libertà delle scelte alimentari, alla uguaglianza), riconosciuti da norme di rango costituzionale, diritti che sono stati accertati dalla Corte d’Appello per le parti di quel processo, ma che sussistono ugualmente anche per coloro che non vi hanno partecipato;
  • che questi diritti rischiano di essere pregiudicati nel tempo occorrente per il loro accertamento giudiziale, poiché la facoltà di scelta tra refezione scolastica e pasto domestico da consumare a scuola non potrà concretamente essere esercitata nel prossimo anno scolastico, di imminente inizio.

Chiede pertanto che il Tribunale, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., accerti il proprio diritto di scegliere tra la refezione scolastica e il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione; e ordini ai convenuti “di consentire alla ricorrente … di dotare la propria figlia di un pasto domestico preparato a casa, da consumarsi nel refettorio scolastico, o previa dimostrazione dell’impossibilità giuridica, presso altro locale idoneo destinato alla refezione, a partire dal primo giorno di scuola e di attivazione del servizio di refezione comunale ed in concomitanza a questo”.

Il MINISTERO dell’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (MIUR) e l’Istituto scolastico resistono in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto:

  • parte ricorrente non può ottenere un provvedimento cautelare che incida sulla discrezionalità organizzativa dei singoli istituti scolastici, poiché il giudice ordinario difetta di giurisdizione sul punto;
  • la sentenza della Corte d’Appello invocata dal ricorrente – ad oggi non passata in giudicato – non fa stato nei suoi confronti, essendo egli rimasto estraneo a quel processo;
  • il ricorso ex art. 700 c.p.c. non è lo strumento idoneo per ottenere l’estensione degli effetti di una sentenza di merito resa inter alios, essendo esperibile il rimedio tipico dell’ottemperanza davanti al TAR; fa quindi difetto la sussidiarietà della tutela invocata;
  • il diritto vantato dal ricorrente a consumare a scuola, durante l’orario destinato alla refezione, un pasto preparato a casa, non ha fondamento giuridico.
  1. Inquadramento della domanda cautelare.

1.1 Il ricorso d’urgenza proposto è volto in primo luogo a ottenere l’accertamento di un diritto: quello a scegliere, per la propria figlia, tra la refezione scolastica e il pasto domestico da consumare a scuola. Parte ricorrente sostiene infatti che, nel tempo necessario per l’accertamento nelle forme ordinarie, tale diritto, la cui esistenza è concretamente negata dai convenuti, potrebbe essere compromesso. Parte ricorrente chiede ricorrente chiede inoltre che il giudice conceda i provvedimenti ritenuti più idonei ad anticipare e assicurare gli effetti della decisione di merito e ordini, quindi, alle amministrazioni convenute di consentire alla ricorrente di dotare la propria figlia di un pasto preparato a casa da consumare nel refettorio scolastico o, in subordine, presso altro locale idoneo.

1.2 Va subito chiarito, in risposta alle difese dei convenuti, che il presente procedimento non è volto a dare attuazione alla sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21 giugno 2016 n. 1049; né a estendere a terzi, estranei a quel giudizio, l’efficacia dell’accertamento contenuto in quella sentenza. La pronuncia della Corte d’Appello infatti – che non risulta ad oggi passata in giudicato – viene citata dal ricorrente come (autorevole) precedente a supporto della propria domanda. Ciò emerge chiaramente dalla narrativa del ricorso, dove si legge (p. 11): “La nota del Ministero [prodotta dal ricorrente come doc. 9, ove si afferma che la sentenza della Corte è efficace soltanto fra le parti] esprime un principio condivisibile, ossia quello per il quale le sentenze sono destinate a disciplinare, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., unicamente i rapporti tra le parti ed i loro aventi causa. Tuttavia, l’Avvocatura distrettuale dello Stato ben s’è guardata dal rendere edotto il Ministero … della portata generale ed astratta della pronuncia della Corte d’Appello di Torino la quale … rappresenta un autorevole precedente giurisprudenziale che ha scolpito un principio generale …”. D’altronde, parte ricorrente si duole proprio della disparità di trattamento che deriva dalla condotta del Ministero, il quale si rifiuta di riconoscere che lo stesso diritto accertato dalla Corte d’Appello in favore delle parti di quel giudizio sussiste anche in capo ai soggetti che non vi hanno preso parte; e si rammarica del fatto che questi ultimi siano costretti, da tale presa di posizione, a proporre autonomi ricorsi giudiziali, esponendosi a costi e spese (ricorso p. 16).

1.3 Così definito l’oggetto della domanda cautelare, ne consegue l’irrilevanza (e comunque l’infondatezza) delle difese dei convenuti relative al fatto che la sentenza della Corte d’Appello non è passata in giudicato. Egualmente inconsistente è il dedotto difetto di sussidiarietà del presente ricorso ex art. 700 c.p.c., dovendo esperirsi il rimedio tipico del giudizio di ottemperanza dinanzi al TAR. Non si tratta infatti, in questa sede, di dare attuazione a quella sentenza o estenderne gli effetti, ma di accertare autonomamente, in favore di soggetti estranei a quel giudizio, l’esistenza di un diritto di contenuto identico a quello già accertato in favore delle parti di quel processo.

1.4 Sotto diverso profilo, le Amministrazioni resistenti contestano che parte ricorrente non può ottenere (né in sede cautelare, né in sede di merito) il provvedimento richiesto, poiché esso inciderebbe sulle modalità di erogazione del servizio mensa, riservate alla discrezionalità organizzativa di ciascun istituto scolastico.

Nel ricorso si chiede infatti di ordinare ai convenuti di permettere la consumazione del pasto portato da casa “nel refettorio scolastico, o previa dimostrazione dell’impossibilità giuridica, presso altro locale idoneo”. Ma una tale misura implica una serie di valutazioni tipicamente rientranti nell’attività discrezionale della pubblica amministrazione. Da qui l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario. Ora, pare indiscutibile che le modalità attraverso cui deve essere data attuazione al diritto vantato dal ricorrente esulano dall’ambito della giurisdizione ordinaria, perché comportano l’adozione di misure organizzative, anche in funzione degli aspetti igienicosanitari evidenziati dai resistenti, che rientrano nella tipica attività discrezionale dell’amministrazione. Pertanto, fatte salve le puntualizzazioni di cui si dirà oltre (§ 4.2), che attengono alla consistenza del diritto da accertare, il presente provvedimento cautelare non potrebbe definire in concreto le modalità attraverso cui il diritto deve essere esercitato. Ciò tuttavia non comporta il difetto di giurisdizione ordinaria poiché – come sopra chiarito – la domanda cautelare ha come primo e principale oggetto un provvedimento di accertamento di un diritto soggettivo.

1.5 Che parte ricorrente non possa chiedere, col ricorso al presente esame, l’attuazione delle modalità organizzative necessarie a consentire la consumazione del pasto domestico all’interno della scuola, non toglie che essa conservi comunque specifico interesse al ricorso d’urgenza. Secondo giurisprudenza ormai consolidata (con particolare chiarezza e approfondimento vedi Trib. Bari 9.11.2012 su Jus Explorer; cfr. altresì Trib. Milano 2.7.2013, Trib. Cagliari 30.1.2008 in Riv. giur. sarda 2008, 112; Trib. Rossano 3.4.2007 e altre anteriori), il provvedimento d’urgenza idoneo ad assicurare temporaneamente e in via interinale il diritto minacciato di pregiudizio imminente e irreparabile può consistere anche nel solo mero accertamento dell’esistenza e contenuto del diritto fatto valere.

Indiscusso che tale pronuncia non può attingere alla stabilità del giudicato, né “fare stato” ai sensi dell’art. 2909 c.c.. Evidente tuttavia che la dichiarazione di esistenza e contenuto del diritto rimuove uno stato di incertezza e fornisce alle parti regole di condotta a cui esse devono orientare i propri comportamenti futuri. Tale regolamento del rapporto, seppure provvisorio, vale tra le parti fino a che non sia sostituito da accertamento di merito, a cognizione piena. Il giudizio a cognizione piena, peraltro, riveste oggi carattere meramente eventuale (cfr. art. 669-octies co. 6 c.p.c.), poiché il provvedimento richiesto ha contenuto interamente anticipatorio della pretesa fatta valere.

Vero è dunque che anche la pronuncia dichiarativa, rafforzando il diritto fatto valere, soddisfa la condizione dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.. Sempre che si tratti, come in specie, di un diritto minacciato da pregiudizio imminente e irreparabile (cfr. § 3) e che sia dato di assumere, con prognosi ex ante, l’idoneità della pronuncia a evitare quel pregiudizio: anche, se del caso, per il tramite della volontaria osservanza del provvedimento da parte del suo destinatario. Conforta questa valutazione nel caso di specie la circostanza che il provvedimento è destinato ad Amministrazioni pubbliche, tenute ad agire nel rispetto del principio di legalità, ancorché oggi incerte sull’esistenza e contenuto del diritto fatto valere ex adverso.

A maggior ragione appare indubbio l’interesse concreto e attuale del ricorrente a una pronuncia dichiarativa del suo diritto, alla luce della posizione manifestata dalle Amministrazioni convenute. Mentre infatti le Amministrazioni scolastiche hanno in corso, di concerto con i Comuni interessati (in particolare Torino), la predisposizione delle misure organizzative necessarie a dare esecuzione alla sentenza n. 1049 della Corte d’appello, e quindi a rendere possibile il consumo a scuola del pasto domestico, al contempo l’Ufficio Scolastico Regionale nega la sussistenza di quel medesimo diritto a soggetti diversi dalle parti del processo conclusosi con la cit. sentenza. Cfr. al riguardo la nota dell’ufficio scolastico regionale 15.7.2016 (doc. 9 ric.).

  1. Il diritto da accertare (fumus boni juris).

2.1 Il diritto di consumare a scuola, durante l’orario di refezione, un pasto preparato a casa viene presentato dal ricorrente come espressione e manifestazione di alcuni diritti fondamentali di rilevanza costituzionale: il diritto allo studio, quello alla libertà delle scelte alimentari, quello di uguaglianza e quello al lavoro. Questa impostazione deve ritenersi, almeno per quanto riguarda il diritto allo studio e al principio di eguaglianza, sostanzialmente condivisibile per le ragioni di seguito indicate.

2.2 Il diritto allo studio è riconosciuto dall’art. 34 Cost., che lo declina, in primo luogo, attraverso la previsione di obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore per almeno 8 anni. La gratuità dell’istruzione è un principio assoluto e in alcun modo relazionato al reddito dei soggetti che devono fruirne. E’ quindi evidente che condizionare o limitare il diritto allo studio in base alla fruizione di prestazioni a pagamento viola il dettato costituzionale.

L’ordinamento scolastico vigente consente a ciascun istituto di articolare il proprio piano di offerta formativa, fissando un orario scolastico settimanale a 24, 27, 30 o 40 ore (cfr. art. 1 del d.l. 7.9.2007 n. 147 conv. in legge 25.10.2007 n. 176; art. 4 D.P.R. 20.3.2009 n. 89).

Le 40 ore settimanali sono definite “tempo pieno”, implicano l’affidamento dell’alunno all’istituzione scolastica per una durata di otto ore per cinque giorni – in genere da prima mattina fino a metà pomeriggio (entrata 8,30 – uscita 16,30) – e comprendono esse sole “il tempo dedicato alla mensa” (d.l. 147/2007), che costituisce dunque parte dell’orario scolastico.

Per agevolare le famiglie degli studenti che frequentano “a tempo pieno”, i Comuni, proprietari degli edifici scolastici, mettono a disposizione un servizio di refezione, appaltandolo a ditte private. Questo servizio pubblico è tuttavia a pagamento e riveste carattere non obbligatorio, ma facoltativo “a domanda individuale”, come riconoscono le stesse Amministrazioni resistenti (cfr. D.M. Interno 31.12.1983).

Sostengono le Amministrazioni resistenti che i genitori che non vogliono avvalersi del servizio di mensa possono: 1) scegliere una formula diversa dal “tempo pieno”; 2) prelevare il figlio da scuola all’ora di pranzo, fargli consumare il pasto altrove e riaccompagnarlo per la ripresa pomeridiana delle lezioni, il tutto dietro autorizzazione all’uscita ed entrata fuori orario.

La prima interpretazione non ha un solido fondamento normativo ed entra in larvato conflitto con gli artt. 3 e 34 Cost. La legge, segnatamente l’art. 1 del d.l. 147/2007, comprende nell’orario scolastico di 40 ore “il tempo dedicato alla mensa”, ma non subordina l’iscrizione al tempo pieno all’adesione al servizio di refezione.

Né potrebbe essere altrimenti. Subordinare, di diritto o in via di fatto, l’iscrizione alle 40 ore soltanto a coloro che aderiscano al servizio di mensa e siano disponibili a sostenerne l’onere economico implicherebbe che un servizio facoltativo a pagamento diventi condizione per accedere a un’istruzione pubblica garantita dalla Costituzione come gratuita, oltreché obbligatoria. È quindi evidente che l’accesso al “tempo pieno” non deve portare alle famiglie consistenti maggiori oneri economici rispetto al “tempo definito” che non abbiano carattere di volontarietà. Ossia che il servizio di refezione deve restare un’agevolazione alle famiglie, “facoltativa a domanda individuale”, senza potersi larvatamente imporre come condicio sine qua non per la scelta del “tempo pieno”.

Può aggiungersi che la libertà di scelta del genitore (tra “tempo pieno” e “tempo definito”) non è affatto incondizionata, dipendendo sia dall’offerta formativa dell’istituto, dal numero di classi e di posti per classe disponibili, in rapporto alla domanda dell’utenza, sia, ancor più spesso, da dinamiche familiari che non consentono – in genere per ragioni lavorative – ai genitori o ad altre persone di famiglia di farsi carico del figlio all’ora di pranzo, tanto meno di prelevarlo quotidianamente da scuola e riportarvelo dopo pranzo, e che pertanto inducono ad affidarlo all’istituzione scolastica fino a metà pomeriggio.

La seconda interpretazione, oltre a trascurare le dinamiche familiari anzidette, sottese alla previsione normativa dell’affidamento dell’alunno a “tempo pieno”, implica che lo studente venga a perdere la parte del “tempo scolastico” destinato al pranzo comune e alle attività (di socializzazione, distensive e ricreative) che ad esso si accompagnano.

Al riguardo, come già rilevato in altre pronunce di questo Tribunale, che lo scrivente condivide e a cui intende dare continuità, la questione è dunque duplice. Anzitutto, di verificare se questo “tempo della mensa” abbia una funzione educativa. Secondo, se esistano ostacoli, rappresentati da altri diritti di pari dignità e confliggenti con quello qui fatto valere, che giustifichino in concreto la compressione o la negazione di questo diritto.

2.3 Sulla prima questione, come già ha ritenuto la cit. sentenza della Corte d’Appello, la funzione educativa della scuola non può ridursi alla sola trasmissione del sapere, ma coinvolge il rispetto dei principi di convivenza civile e l’educazione al rapporto con gli altri.

L’art. 5 del d. lgs. 19.2.2004 n. 59 definisce in questi ampi termini le finalità della scuola primaria: “La scuola primaria, accogliendo e valorizzando le diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilità, promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della personalità, ed ha il fine di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base, ivi comprese quelle relative all’alfabetizzazione informatica, fino alle prime sistemazioni logico-critiche, di fare apprendere i mezzi espressivi, la lingua italiana e l’alfabetizzazione nella lingua inglese, di porre le basi per l’utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio del mondo naturale, dei suoi fenomeni e delle sue leggi, di valorizzare le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo, di educare ai principi fondamentali della convivenza civile”. Parimenti, rientra nelle finalità della scuola secondaria di primo grado (art. 9 d. lgs.) il “rafforzamento delle attitudini all’interazione sociale”. I passaggi anzidetti, enfatizzati in corsivo dallo scrivente, testimoniano l’irriducibilità della funzione scolastica alla semplice trasmissione del sapere e per converso la valorizzazione delle diversità individuali, l’educazione al rispetto dei principi di convivenza civile e al rapporto con gli altri.

In linea con questa ampia funzione della scuola primaria e secondaria di primo grado, la Circolare del Ministero dell’Istruzione del 5.3.2004 (in atti) sottolinea che i tre segmenti orari del “monte ore obbligatorio”, del “monte ore facoltativo” e dell’“orario riservato all’erogazione del servizio di mensa e di dopo mensa” “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico. Essi non vanno considerati e progettati separatamente, ma concorrono a costituire un modello unitario del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa”.

Il c.d. “tempo mensa” rappresenta infatti un essenziale momento di condivisione, socializzazione, confronto degli studenti con i limiti e le regole che derivano dal rispetto degli altri e dalla civile convivenza. In piena coerenza con questa impostazione, il d.lgs. 59/2004 prevede che l’organico degli istituti scolastici debba essere determinato non solo per garantire le attività educative e didattiche di cui ai commi 1° e 2° degli art. 7 e 9 (rispettivamente dettati per la scuola primaria e per quella secondaria di primo grado); ma anche “per garantire l’assistenza educativa del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa”.

E la già ricordata Circolare del Ministero dell’Istruzione ribadisce che “I servizi di mensa, necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche … vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente, che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa”. La funzione educativa della mensa è dunque insistita, e ribadita nella scelta di far assistere gli allievi da “personale docente”.

Le stesse Amministrazioni resistenti concedono che “la ristorazione scolastica non deve essere vista come un semplice soddisfacimento dei bisogni nutrizionali, ma deve essere considerata un importante e continuo momento di educazione e di promozione della salute, che coinvolge sia gli alunni che i docenti” (comparsa di risposta pag. 8).

Evidente dunque che l’ora di pranzo non ha la stessa rilevanza di un’ora di italiano o di matematica. Queste sono imprescindibili e previste in ogni piano formativo. Il tempo della mensa e del dopomensa entra solo nella formula delle 40 ore, che implica l’affidamento dell’alunno alla scuola in via continuativa fino a metà pomeriggio. Pur tuttavia, anche questa parte della giornata viene piegata dall’istituzione scolastica a svolgere una funzione educativa e trattata come parte dell’offerta formativa.

2.4 Su queste premesse, ferma restando la possibilità di uscire accompagnato all’ora di pranzo e rientrare per la ripresa pomeridiana delle lezioni, il diritto dell’alunno a “tempo pieno” di partecipare al “tempo mensa e dopo mensa” a scuola non può essere negato, né subordinato all’adesione a un servizio a pagamento, come quello di refezione.

Segue, per esclusione, che l’unica alternativa ragionevolmente praticabile, rispettosa sia dell’art. 34 Cost., sia dei dati emergenti dalle fonti di legge e ministeriali, consiste nel consentire agli alunni del “tempo pieno” che non aderiscono al servizio di refezione comunale di consumare a scuola un pasto domestico, ossia preparato a casa.

2.5. Va ora verificato – e si tratta della seconda questione preannunciata sub § 2.2. – se il diritto sopra accertato possa essere limitato o escluso. Ciò che potrebbe accadere solo in virtù dell’accertata esistenza di altri diritti, aventi dignità pari o superiore.

Secondo le Amministrazioni resistenti, l’individuazione dei locali nei quali far consumare i pasti portati da casa è decisione che spetta ai singoli istituti e involge valutazioni di carattere tecnico e di opportunità. Tali valutazioni “potranno essere compiutamente effettuate solo in seguito all’inizio dell’anno scolastico … posto che le stesse presuppongono, già solo per mero buonsenso, che venga preliminarmente definito il numero degli allievi che decidano di formulare istanza in tal senso”. Lo scrivente conviene sul punto: come già è stato scritto (§ 1.4.), le modalità organizzative rientrano nell’autonomia dei singoli istituti e dipendono da numerose variabili, tra cui l’ampiezza degli spazi a disposizione e il numero di istanze pervenute.

I convenuti fanno valere inoltre l’affidamento dei locali della mensa scolastica alle ditte che gestiscono il relativo servizio di refezione, secondo le previsioni contenute nei contratti di appalto (doc. 4), nonché clausole di “generale divieto di introdurre alimenti esterni (ossia non riconducibili alle ditte concessionarie del servizio) nella mensa, durante l’orario dei pasti”, la cui fonte normativa risiede (comparsa pag. 11) in clausole di esclusione previste nelle polizze assicurative stipulate dalle ditte che erogano i servizi di mensa (peraltro non prodotte in giudizio).

Lo scrivente conviene che il riconoscimento del diritto al consumo a scuola del pasto domestico non può comportare sacrificio o arretramento di interessi pubblici di pari dignità: in particolare dell’interesse a mantenere invariato lo standard igienico-sanitario, a tutela di tutti gli utenti, anche di coloro che continueranno ad avvalersi del servizio di mensa e, in funzione di ciò, a non deflettere sull’osservanza da parte dell’appaltatore degli standard HAACP previsti dal regolamento UE n. 852/04 e richiamati dall’art. 34 del capitolato di appalto (doc. 4 res.) e sull’esistenza di idonea ed effettiva copertura assicurativa nel caso che abbia a verificarsi un danno a terzi riconducibile alla gestione del servizio di mensa.

Queste considerazioni non implicano peraltro – come già hanno ritenuto altre pronunce di questo Tribunale, che lo scrivente fa proprie – la negazione del diritto dell’alunno a consumare a scuola un pasto domestico, anziché avvalersi del servizio di refezione. Primo, non hanno valore di fonte normativa e sono res inter alios acta, incapaci dunque di pregiudicare una facoltà che deve intendersi riconosciuta dalle fonti esaminate sub § 2.2. e 2.3..

Secondo. L’utilizzo dello stesso refettorio, se questa è la scelta organizzativa dell’istituto scolastico, da parte di utenti diversi – quelli che utilizzano il servizio di refezione, quelli che consumano il pasto domestico – può rendere opportuno stabilire regole di coesistenza: regole che hanno anche, e soprattutto, la funzione di mantenere chiarezza sull’ambito entro cui la ditta appaltatrice del servizio può essere chiamata a rispondere per il cibo somministrato in mensa.

Che ciò porti alla divisione in due ali del refettorio o all’avvicendamento di gruppi di utenti o ad altra soluzione ancora, si tratta comunque, e in ogni caso, di coesistenza e non di reciproca esclusione. Ai fini che ne occupano, il diritto di parte ricorrente al consumo di pasti domestici a scuola nell’intervallo del pranzo esce confermato, ferma la discrezionalità amministrativa nell’organizzazione delle modalità necessarie a consentirne il consumo.

2.6. Un’ultima considerazione merita la questione igienico-sanitaria: nell’ottica, questa volta, della salute dello studente che sceglie di non avvalersi del servizio di refezione offerto e consuma il pasto domestico a scuola. Parte ricorrente si fa forte di una comunicazione resa dall’ASL TO 1 con la quale si certificava che “nessuna normativa vigente vieta il consumo di alimenti all’interno dei refettori scolastici diversi da quelli ivi somministrati” (doc. 1 ric.). Le Amministrazioni resistenti producono, per parte loro, un parere igienico-sanitario della ASL n. 5 del 14.2.2001 (doc. 3 res.) in merito a conservazione e riscaldamento delle vivande portate da casa.

Tali considerazioni non appaiono risolutive. Che per ragioni organizzative, ad es. indisponibilità di dispositivi scaldavivande o refrigeranti, alcuni cibi non possano essere consumati a scuola non esclude il diritto dell’alunno al consumo di un pasto domestico nell’intervallo del pranzo. Né tale diritto può risultare inficiato dalle norme regolamentari europee in tema di “igiene dei prodotti alimentari” (oggi Reg. 29.4.2004 n. 852) visto che tale disciplina deve “applicarsi solo alle imprese, concetto che implica una certa continuità delle attività e un certo grado di organizzazione” e non dunque ai privati (considerando n. 9), né si applica “alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato” (art. 1.2).

  1. Le esigenze di urgenza (periculum in mora).

Il ritardo nella tutela del diritto è evidentemente irreparabile. Come già accennato (sub § 1.6.), l’Amministrazione, pur preparandosi a concedere a chi è stato parte del giudizio avanti alla Corte d’appello la facoltà di scegliere il consumo del pasto domestico, nega questa stessa possibilità a coloro che siano rimasti estranei alla lite. Evidente dunque la necessità di agire in giudizio in via di urgenza per rientrare, fin d’ora, nel novero degli aventi diritto.

La strada ordinaria appare non percorribile, comunque non altrettanto efficace. Si tratta di diritti strettamente inerenti a un rapporto di utenza (scuola primaria), fisiologicamente destinato a cessare per effetto della progressione nel corso di studi. Considerando la durata media dei giudizi, riesce evidente che, per almeno due anni di scuola primaria e forse più, all’alunno (recte al suo genitore) potrebbe riuscire precluso l’esercizio di tale scelta. In casi estremi (alunni del quarto, quinto anno), potrebbe perfino negarsi che all’esito della causa ordinaria persista un interesse ad agire, in ragione del passaggio a un corso di studi superiore, che non contempla più il “tempo pieno”.

Le Amministrazioni resistenti tendono a minimizzare la gravità del danno, riducendo la questione in termini puramente economici, di reazione al “caro mensa”. La difesa è infondata. Secondo uno stabile condiviso indirizzo giurisprudenziale, ricorre l’estremo della gravità e irreparabilità del danno ai fini del ricorso alla tutela d’urgenza, se i diritti hanno contenuto non patrimoniale o assolvono comunque a bisogni primari della persona.

Nella specie, anche a presumere che l’azione giudiziale dell’odierno ricorrente, come degli altri, costituisca una reazione al cattivo rapporto prezzo/qualità del servizio di refezione offerto dal Comune, l’istruzione obbligatoria attiene incontrovertibilmente alla sfera dei bisogni primari dell’individuo. La compromissione della facoltà di scelta, tra “tempo pieno” e “tempo definito”, tra utilizzo del servizio di refezione, consumazione del pasto domestico a scuola anziché a casa ecc., riveste quindi il richiesto carattere di gravità e irreparabilità per dare luogo alla tutela d’urgenza.

  1. Le modalità di esercizio del diritto.

4.1 Si è già chiarito al § 1 che il giudice ordinario non ha il potere di individuare e prescrivere le modalità attraverso cui i singoli istituti scolastici devono assicurare l’esercizio del diritto. Un tale limite era stato già chiaramente individuato nella sentenza della Corte d’Appello, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione sulle domande con cui si chiedeva di impartire alle dirigenze scolastiche disposizioni per consentire agli studenti che decidono di non fruire della refezione scolastica di consumare il proprio pasto all’interno dei locali mensa della scuola. Non è pertanto possibile statuire in quale locale scolastico debba essere consumato il pasto portato da casa, né interferire in alcun modo su altre modalità organizzative.

4.2 Va però fatta un’ultima puntualizzazione. Le modalità attraverso cui l’istituto scolastico darà attuazione concreta al diritto qui riconosciuto non possono essere tali da snaturare o annullare di fatto i contenuti del diritto fondamentale alla istruzione, che costituisce il presupposto e la ragion d’essere del diritto (al pasto domestico) che qui si riconosce. E va dunque ricordato che il “tempo mensa e dopo mensa” è parte dell’offerta formativa ed è un momento di esplicazione (cfr. § 2.3) dello sviluppo della personalità, valorizzazione delle capacità relazionali, educazione ai principi della civile convivenza. Valori formativi che devono essere preservati, per quanto possibile, dall’istituzione scolastica, pena la negazione del diritto che è stato qui accertato.

  1. Spese del procedimento.

La presente ordinanza ha carattere interamente anticipatorio. Pertanto non occorre assegnare termine per introdurre il giudizio di merito, ai sensi dell’art. 669-octies co. 6 c.p.c. e deve provvedersi alla liquidazione delle spese di lite. Non sussistono ragioni di discostarsi dal criterio della soccombenza. Le spese sono liquidate avuto riguardo al valore di lite (€ 600,00) dichiarato ai fini del pagamento del contributo unificato.

PQM

Visti gli art. 669-sexies e 700 c.p.c., accerta e dichiara il diritto della ricorrente di scegliere per la propria figlia tra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione; rigetta ogni ulteriore domanda del ricorrente; condanna le resistenti in solido tra loro a rifondere al ricorrente la somma di € 48,50 per C.U., € 300,00 per onorari, oltre rimborso spese generali 15%, CPA e IVA di legge, con distrazione delle spese ex art. 93 c.p.c. a favore degli avv. Giorgio e Riccardo Vecchione.

Si comunichi.

Torino, 9 settembre 2016

Il Giudice (dott. Enrico Astuni)