Situazioni delle scienze e missione della scuola 2

Situazioni delle scienze e missione della scuola. Puntata n.2

di Gabriele Boselli

Riassunto puntata n.1 (settembre 2019)   E’ da quasi un secolo che -mere tecnologie a parte- non si registrano sviluppi davvero cardinali delle scienze di base, di radicalità paragonabile a quella di altre stagioni della storia, ultima i primi trent’anni del secolo scorso. Nella prima puntata ho esaminato le cause di ordine politico, ora quelle inerenti alle strutture linguistiche.

L’esplosione scientifica della prima modernità in tutte le discipline è dovuta anche all’innesto sulla base dell’unica lingua latina (egemone per 1500 anni) di una pluralità di lingue nazionali e, con esse, dell’affermarsi di una molteplicità di prospettive sul mondo.  Ancora fino a mezzo secolo fa ogni ricerca era pensata e pubblicata il più delle volte nelle varie lingue nazionali; ora dev’esser pensata e almeno pubblicata solo in lingua inglese, lingua di successo perchè lingua del pur obsolescente impero americano e lingua degli affari, ma rassicurante anche perché si avvale di strutture sintattiche relativamente semplici e che non rischiano troppo di favorire l’ideazione e la comunicazione di nuclei di pensiero fortemente complessi e dinamici. Per una lingua essere innervata da strutture sintattiche di quest’ultimo tipo, semplici e rassicuranti, non è un vantaggio ai fini della discontinuità della ricerca; le strutture sintattiche devono a tal fine in certa misura essere complesse e inquietanti.

Oggi la mancata o ridotta interazione (conflittuale e/o sinergica) delle varie strutture linguistiche inibisce la dialettica, luogo di generazione delle idee. Perché? Una lingua non è solo uno strumento, un mezzo per organizzare e comunicare idee preesistenti intorno a oggetti, un procedere accumulativo di risultati vendibili sul mercato senza mutazione delle strutture generativo-trasformazionali del pensare, del conoscere e del sapere. Una lingua è il mondo stesso che si autorappresenta nella sua profondità ed estensione (ipotesi di Boas-Sapir-Worf, anni 50, ora 2017); è, nello stesso tempo, la terra su cui poggiare e l’imprescindibile orizzonte degli eventi. Varie lingue sono varie finestre che dalla casa dell’essere della lingua materna aprono o si chiudono sulla realtà (le cose come appaiono entro le strutture consolidate della mondanità) e sul reale. Più finestre, un più grande orizzonte su un mondo di mondi; meno modi verbali e strutture sintattiche elementari contribuiscono invece a determinare un pensiero più ingessato e resistente al novum. La scienza occidentale si è generata e ri-generata nei millenni a partire dalla varietà delle lingue d’Occidente nella loro comune filiazione dal greco e dal latino e, più remotamente, dal ceppo indoeuropeo.

Quanto sopra acquisisce valenza ermeneutica dei processi epistemici in corso anche per il fatto che l’intelligenza artificiale è stata quasi interamente pensata in inglese e quindi ripeterà nel suo evolversi, comunque di estremo rilievo per tutti gli aspetti della conoscenza e della vita (1), i processi generativo-trasformazionali che innervano quella lingua. Lo farà sistematicamente, senza quelle umane varianti, quei salti, quelle preziose incoerenze che caratterizzano il pensare e il conoscere degli umani.

Dopo le scienze a matrice linguistica classica, dopo le scienze elaborate plurilinguisticamente della modernità, dopo le scienze e prossimamente le intelligenze artificiali a matrice linguistica inglese, spero che in un futuro non troppo remoto un’altra fase della scienza, radicata nella storia e linguisticamente plurale, ci attenda lasciando all’inglese un ruolo prevalentemente “amministrativo”. Mi aspetto molto, oltre che dal potenziale elaborativo delle strutture sintattiche europee, anche da quelle indiane e cinesi.

Per ora la cattività monolinguistica dei luoghi di produzione delle scienze è ancora ben sorvegliata e la liberazione non sarà cosa da attendersi a breve.

  1. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale per mezzo di Internet stanno ad esempio avendo importanti applicazioni nel governo dei flussi elettorali. Agenzie come Cambridge Analityca sono state decisive nel concretizzare in voti la reazione dei ceti meno fortunati in favore di Trump in U.S.A. Idem Rousseau (con M5S) e La Bestia (Lega) in Italia. Non ancora identificabili  le sorgenti delle strutture informative del successo delle “sardine”. Nonostante siamo appena agli inizi e i computer quantistici siano ancora alla fase sperimentale, l’utilizzabilità di enormi masse di dati attraverso l’AI  già incrementa il potere di chi ne dispone in ogni campo, dal marketing elettorale e merceologico alle strategie militari fino, più modestamente, alla rappresentazione al pubblico ignaro degli apprendimenti scolastici (INVALSI).

N.Chomsky (1970 circa) Le strutture della sintassi, Laterza

A. Melucci (2016) Ri-pensare l’educazione negli scenari del post-umano, Encyclopaideia, n.46

E. Sapir – B. L.Whorf(anni 50) Linguaggio e Relatività, 2017 da Castelvecchi

A.Baricco (2018) The Game, Einaudi

Dal progettificio alla progettazione

Dal progettificio alla progettazione
Una concreta proposta di lavoro

di Carmen TALARICO


La piena dei progetti

Come l’irruenza dei fiumi in piena che tendono ad esondare dagli argini e che in queste settimane preoccupano l’Italia intera, anche in quest’anno scolastico ha avuto inizio la stagione delle piogge dei progetti.

Ormai da tempo impera nelle scuole di ogni ordine e grado il progettificio, una sorta di bulimia dei docenti che li spinge ad aderire a progetti che talvolta didatticamente «non si parlano fra loro» e, soprattutto, spesso sono poco coerenti rispetto alle scelte educativo-didattiche del consiglio di classe.

Nell’apparecchiare il sapere scolastico, inoltre, le ricette didattiche messe a cuocere nelle scuole italiane hanno una commistione di ingredienti: prevale il sapore della lezione frontale, mentre minoritario è il gusto laboratoriale che ha un pungente retrogusto per il docente innovatore.


Le competenze e le soft skills

La recente Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 Maggio 2018 [1], partendo da un’analisi del nuovo contesto sociale, culturale e lavorativo degli ultimi dieci anni, ha dato una nuova veste alle competenze chiave per l’apprendimento permanente.

Giuridicamente si restituisce, non solo agli appartenenti del mondo della scuola ma anche del lavoro e alla società intera, uno sguardo nuovo, aperto al futuro e che investe nel talento delle nuove generazioni.

In piena armonia con il panorama europeo, già le Indicazioni Nazionali del 2012 [2] sottolineavano che «l’obiettivo della scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto […] la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno».

La rinnovata architettura del sistema delle competenze si arricchisce delle soft skills e degli atteggiamenti proattivi: capacità di pianificare e organizzare, conseguire gli obiettivi, gestire le informazioni, precisione e attenzione ai dettagli, autonomia, fiducia in sé stessi, adattabilità, resistenza allo stress, apprendere in maniera continuativa, spirito d’iniziativa, problem solving, capacità comunicativa, team working, leadership.

L’intuizione normativa è una buona occasione per interrogarsi e riflettere su più fronti.


La formazione dei docenti della scuola di base: la start up

La Norma UNI ISO 21500:2013 e la Guida alla Gestione dei Progetti (Project Management) rappresentano il nuovo standard riconosciuto a livello internazionale della disciplina progettuale [3].

Affinché l’aggancio con il mondo del lavoro sia reale, è indispensabile partire dalla scuola di base.

L’attenzione verso la progettualità e il linguaggio che le sono propri, oggi viene volta verso gli ultimi anni dell’ultimo segmento di scuola secondaria di secondo grado. È una contraddizione in termini.

Occore essere più lungimiranti e pazienti: bisogna gettare i primi semi nella Scuola dell’Infanzia, con cura farli germogliare nella Scuola Primaria, successivamente farli fiorire nella scuola secondaria di primo e di secondo grado e infine raccogliere i preziosi frutti nel mondo del lavoro.

È indispensabile che il docente in aula indossi le vesti del Project Innovation Manager al fine di far sperimentare agli alunni il processo della progettualità: l’idea di progetto nuova, lo stabilire il chi fa cosa in gruppo, avere un obiettivo S.M.A.R.T., la gestione dei tempi, la scelta dei luoghi, la documentazione del prodotto, la condivisione.

La formazione dei docenti è prioritaria.


Le attività laboratoriali con le metodologie didattiche innovative: la chiave

In una programmazione per competenze, il talento è valorizzato proprio potenziando le soft skill.

È uno splendido viaggio per lo studente, seppur non privo di strade tortuose e contraddizioni: ha inizio nella Scuola dell’Infanzia dove si inizia a seminare; continua nella Scuola Primaria dove l’allievo può già lavorare sulla progettualità e l’organizzazione in team working; prosegue poi nella scuola secondaria di primo e secondo grado con l’aggancio all’Alternanza Scuola-Lavoro.

Maria Montessori saggiamente insegnava: «Aiutiamoli a fare da soli».

Preziose sono le attività laboratoriali poste in essere con le metodologie didattiche innovative quali: learning by doing, cooperative learning, peer to peer, debate, tutoring, chemigliorano l’interesse, l’attenzione e la concentrazione degli alunni stessi e, soprattutto, ascoltano i bisogni educativi degli alunni stessi.


Il ripensamento dello spazio di apprendimento: un beneficio

Lo spazio di apprendimento ha un ruolo decisivo.

Fernando Franco, DGE, Portogallo osserva che «in una classe in cui banchi e sedie sono disposti in modo tradizionale, non c’è personalizzazione dell’insegnamento perché a tutti gli studenti vengono dette le stesse cose e assegnate le stesse attività. Se cambiamo il layout della classe predisponendo ambienti in cui i discenti possono svolgere attività diverse, ognuno di essi potrà sentirsi a proprio agio e lavorare nella modalità più appropriata in base alle caratteristiche individuali».

Per l’alunno il docente è la guida del cammino, il custode dell’epistemologia dei saperi disciplinari, lo sguardo che sa accogliere lo smarrimento. Ciò può avvenire in spazi flessibili, morbidi e colorati in cui l’alunno può riflettere, raccogliere le informazioni, esplorare, sperimentare, condividere.

Un utile documento sono le Linee guida per il ripensamento e l’adattamento DEGLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO A SCUOLA [4], pubblicate nell’aprile del 2018, che individuano le Zone di apprendimento del Future Classroom Lab: Ricercare, Creare, Presentare, Interagire, Scambiare, Sviluppare.


[1]  Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 Maggio 2018

[2]  Indicazioni Nazionali 2012

[3]  La Norma UNI ISO 21500:2013 e la Guida alla Gestione Progetti (Project Management) rappresenta il nuovo standard riconosciuto a livello internazionale della disciplina.

[4]  Linee guida per il ripensamento e l’adattamento DEGLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO A SCUOLA

Uno studente su cinque sbaglia scelta della scuola

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Ogni anno uno studente su cinque sbaglia la scelta delle superiori. E si perde per strada. O abbandona i banchi anzitempo oppure arriva alla maturità senza le competenze minime. A confermarlo sono due diversi (e ravvicinati) studi dell’Invalsi sulla dispersione scolastica, che ritornano d’attualità nel momento in cui le famiglie sono chiamate a scegliere la scuola dei propri figli. Dal 27 dicembre, infatti, si apriranno le registrazioni alla piattaforma del Miur per le iscrizioni online; dal 7 al 31 gennaio, invece, sarà il momento delle decisioni vere e proprie.

La Guida del Sole 24 Ore

L’appuntamento si annuncia cruciale soprattutto per i ragazzi che nel 2020/21 andranno in prima superiore. In vista di quella data, Il Sole 24 ore di giovedì 5 dicembre uscirà in edicola (a 0,50 centesimi più il prezzo del quotidiano) con una guida alla scelta di 96 pagine, realizzata in collaborazione con l?Associazione nazionale presidi (Anp): una “cassetta degli attrezzi” che aiuti ragazzi e genitori ad andare oltre i passaparola e individuare il percorso formativo più adatto. Sia che vogliano iscriversi all’università, sia che puntino a lavorare dopo il diploma.

Il rischio dispersione

Il pericolo da evitare è che una partenza sbagliata condizioni l’intero percorso. E i precedenti non aiutano, come ci ricorda l’Invalsi in un focus recente del responsabile prove, Roberto Ricci, sulla dispersione scolastica implicita ed esplicita. Se quest’ultima – che fotografa i giovani di 18-24 anni fermi alla licenza media – è nota e vede l’Italia ferma al 14,5% di fine 2018 (contro un obiettivo del 10% entro il 2020), l’altra è una “creatura” dell’Istituto di valutazione e serve a misurare i ragazzi che arrivano al diploma con competenze di base neanche sufficienti. Il quadro è quello rappresentato qui accanto. Con il 22% di “dispersi” totali che al Sud superano addirittura il 30 per cento (il 37,4% in Sardegna).

A rendere più fosco il quadro interviene un altro report sempre a firma di Ricci che si sofferma sul passaggio dalla secondaria di I a quella di II grado. Per evidenziare che gli studenti più in difficoltà al termine delle superiori sono tendenzialmente gli stessi che già lo erano alla fine delle medie. Dei 515mila alunni che hanno conseguito la licenza media nel 2014, solo il 68% è arrivato al diploma cinque anni dopo. Escludendo quelli iscritti ai percorsi di istruzione regionale e quelli che non hanno partecipato ai test Invalsi di quinta superiore (e che dunque non sono campionabili) restano circa 100mila studenti tra ripetenti e abbandoni scolastici, che portano la stessa Invalsi a parlare di «uno studente su cinque che vive nei cinque anni della scuola superiore un’esperienza di insuccesso».

Il lavoro per i diplomati

In un Paese con la terza disoccupazione giovanile d’Europa logica vorrebbe che la scelta delle superiori venisse fatta prestando almeno un occhio al lavoro futuro. E sotto questo aspetto può risultare utile l’ultimo report Unioncamere, realizzato in occasione del Job&Orienta di Verona, che contiene le chance occupazionali per i diplomati. Ebbene, nei prossimi cinque anni le imprese richiederanno “periti” degli indirizzi amministrazione, finanza/marketing e industria/artigianato (tra cui spiccano gli indirizzi meccanica, meccatronica ed energia, elettronica ed elettrotecnica). Ci saranno chance anche per i diplomati nell’ambito del turismo. Tuttavia, per alcuni indirizzi di studio, vi sarà maggiore richiesta di ragazzi di quanti ne usciranno dalle scuole superiori. È il cosiddetto “mismatch” e, a oggi, riguarda soprattutto gli indirizzi in amministrazione/marketing, costruzioni, elettronica ed elettrotecnica. Nomi da tenere a mente.

Maturità 2020: peso diverso per alternanza e test Invalsi

da Il Sole 24 Ore

di Eu. B. e Cl. T.

Alla maturità di giugno 2020 Invalsi e alternanza, tornati requisiti di ammissione obbligatori, avranno un “peso” diverso.

Le prove standardizzate di italiano, matematica e inglese – che lo scorso anno, sganciate dall’esame di Stato, sono state svolte da oltre il 95% degli studenti – sono in calendario, quest’anno, dal 2 al 31 marzo 2020. Ebbene, i circa 500mila studenti che attualmente frequentano la quinta superiore, per essere ammessi alla maturità, dovranno solo «partecipare» a questi test, a prescindere quindi dal giudizio ottenuto. Che non influenzerà, pertanto, l’accesso agli esami; nè tanto meno peserà sul voto finale. A differenza invece della scuola-lavoro, oggi ri-nominata «Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento». In primo luogo, i ragazzi, sempre per sedersi alla maturità 2020, dovranno, obbligatoriamente, aver svolto le ore minime di formazione “sul campo” nel triennio, vale a dire almeno 90 ore nei licei, almeno 150 nei tecnici, almeno 210 nei professionali. L’alternanza, poi, varrà – come lo scorso anno – anche all’esame vero e proprio, in particolare al colloquio orale (dove invece scompaiono le buste). In questa sede, i ragazzi dovranno relazionare sull’esperienza “on the job” svolta attraverso una breve relazione o un elaborato multimediale.

Per la vice ministra Pd dell’Istruzione, Anna Ascani, il ritorno di Invalsi e alternanza come requisiti di accesso alla maturità, «è una prova di serietà e responsabilità – spiega al Sole 24 Ore -. Le prove Invalsi non incideranno sul voto dell’esame; e, a mio avviso, debbono essere utilizzate come indicatore per misurare, in generale, il sistema scolastico. Sono utili cioè per conoscere punti di forza e di debolezza; e in quest’ultimo caso, possono aiutare il ministero a mettere in campo azioni di accompagnamento a vantaggio dei singoli istituti più in difficoltà».

Ci sarà un ripensamento delle prove? «Al momento direi di no – ha risposto Ascani -. Peraltro, lo stesso Invalsi, in questi anni, ha fatto un lavoro per far evolvere lo strumento».

Quanto alla scuola-lavoro, ha poi aggiunto la vice ministra del Miur, «sono consapevole che rappresenti un tema divisivo all’interno del governo. Auspico tuttavia un aumento di ore e fondi almeno nei tecnici e professionali. Del resto, le nuove linee guida consegnate agli istituti servono innanzitutto a chiarire che non si tratta di snaturare la scuola o di chiedere alle imprese di fare scuola. Si tratta di dare ai ragazzi la possibilità di comunicare con il mondo esterno. E, al tempo stesso, di dare la possibilità alle imprese di conoscere quello che si fa a scuola».

Tornando all’Invalsi, la scelta di garantire le prove per tutti è apprezzata dal dg dell’Istituto, Paolo Mazzoli: «Potrà favorire la disponibilità di dati, precisi e completi, riguardanti gli studenti e le scuole più deboli – ha sottolineato -. Da alcune proiezioni svolte da Invalsi è risultato infatti che, anche in presenza di una partecipazione molto elevata, intorno al 95%, la quota di studenti che non hanno partecipato alle prove è costituita prevalentemente da studenti e scuole con forti criticità che è quindi importante individuare con precisione. In questo modo sarà possibile intervenire, a qualsiasi livello, in modo mirato e appropriato evitando di disperdere risorse».

Violenza nelle scuole. Nessuno “sconto” dalla Corte di Cassazione

da Il Sole 24 Ore

di Pietro Verna

L’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da “animus corrigendi”, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti.

Lo ha stabilito la Sesta Sezione della Corte di Cassazione (sentenza 31 ottobre 2019, numero 44634), che ha confermato l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lametia Terme aveva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari una collaboratrice scolastica per non aver impedito a una maestra di una scuola d’infanzia di porre in essere condotte violente e vessatorie nei confronti dei bambini ( frasi offensive del tipo «siete tutti cani», l’ordine di «stare seduti, immobili e in silenzio», schiaffi sul viso, sulla nuca, sulle mani e sul fondoschiena etc. ) nonché per essersi resa essa stessa responsabile di condotte altrettanto riprovevoli (percuotere i bambini per costringerli a mangiare, metterli in castigo, ovvero di dileggiarli dinanzi alla classe, come era avvenuto con un bambino affetto da incontinenza sfinterica). Fatti che il Tribunale del riesame di Catanzaro aveva qualificato «episodi […] rientranti in metodi educativi […] obsoleti» riconducibili all’ipotesi di reato (meno grave) di abuso di mezzi di correzione (articolo 571 Cp).

Argomentazioni che i Supremi giudici hanno respinto, confermando il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone un uso consentito e legittimo dei mezzi correttivi, che, senza attingere a forme di violenza, trasmodi in abuso a causa dell’eccesso, arbitrarietà o intempestività della misura correttiva.

Mentre nel caso in cui la persona offesa sia vittima di continui episodi di prevaricazione e violenza, ricorre il più grave reato di maltrattamenti (ex multis, Cassazione Penale, Sez. VI, sentenze 12 settembre 2007, numero 34460 e 22 dicembre 2014, numero 53416). Reato che assume particolare rilevanza se, come nel caso di specie, la persona che lo ha commesso (o che avrebbe dovuto impedirlo ) abbia «uno specifico obbligo giuridico in ragione dell’attività di vigilanza a lei affidata».

Dal decreto fiscale 10 milioni in più per le scuole ecosostenibili

da Il Sole 24 Ore

di Eu.B.

Edilizia scolastica protagonista del decreto fiscale all’esame della Camera. Grazie a due emendamenti dei relatori che hanno avuto il via libera nei giorni scorsi: il primo stanzia 10 milioni per la riqualificazione energetica degli edifici; il secondo modifica le regole sull’attribuzione dell’8 per mille alle scuole.

Più fondi alle scuole ecosostenibili
Dieci milioni all’anno dal 2020 al 2025, oltre a 5 milioni per il 2019, a favore dell’edilizia scolastica dedicando una sezione ad hoc del Fondo unico già esistente. Lo prevede un emendamento dei relatori al dl fiscale approvato in commissione Finanze di Montecitorio. Lo stanziamento punta a finanziare in particolare interventi per la messa in sicurezza e la riqualificazione energetica anche in chiave antisismica.

Cambia l’8 per mille
I contribuenti potranno scegliere la destinazione dell’8 per mille di competenza statale e finalizzarlo alla ristrutturazione, alla messa in sicurezza e all’efficientamento energetico delle scuole. Lo prevede un altro emendamento al dl fisco dei relatori, approvato in commissione Finanze alla Camera. Stop anche alla deroga che permette di destinare le risorse ad altre finalità rispetto a quelle individuate dai cittadini.

Piano straordinario per l’adeguamento alla normativa antincendio: stanziati 98 milioni di euro

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Un Piano straordinario per adeguare gli istituti scolastici alla normativa antincendio. Il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha firmato venerdì scorsoi il decreto per gli interventi di messa a norma delle scuole. Il Piano straordinario prevede un finanziamento complessivo di 98 milioni di euro.

Le risorse saranno assegnate con un avviso pubblico nazionale rivolto agli Enti locali da adottare entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto. Potranno candidarsi Comuni, Province, Unioni di Comuni e Città Metropolitane e i relativi contributi saranno concessi direttamente agli Enti Locali che così potranno mettere in regola gli istituti e le strutture adibite a uso scolastico entro la fine del 2021, come previsto dall’attuale normativa.

I contributi a disposizione degli Enti Locali saranno pari fino a 70.000 euro per le scuole del primo ciclo e fino a 100.000 per le scuole del secondo ciclo di istruzione.

Il digitale a scuola non migliora l’apprendimento. E a casa il cellulare sostituisce i genitori

da Il Sole 24 Ore

di Pierangelo Soldavini

La tecnologia deve tornare a essere un semplice strumento per abilitare l’apprendimento e i docenti devono rimettere al centro una didattica costruita sulla relazione personale con gli studenti. «Per fare una scuola che sia speranza e che si trasformi in desiderio di conoscenza basta un maestro», ha sintetizzato Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova nel corso degli Stati generali della scuola digitale, promossi dal Centro studi ImparaDigitale, venerdì a Bergamo.

L’introduzione della tecnologia nelle scuole non sempre ha infatti portato l’effetto sperato, anzi spesso ha provocato una flessione della motivazione e dell’atteggiamento degli studenti. Anche i docenti si sono troppo spesso concentrati sui device e sull’uso del digitale perdendo di vista il processo didattico. Sono questi alcuni dei risultati della ricerca “Digitale sì, digitale no”, condotta da Acer, Centro studi ImparaDigitale, Cnis, Università Bocconi e Università di Padova, presentata nel corso della giornata.

La ricerca ha evidenziato come al di fuori del contesto scolastico i genitori utilizzino il device digitale fin dalla più tenera età come strumento sostitutivo del rapporto educativo, per tener impegnato e per distrarre il bambino. «L’umano scompare: è molto più comodo delegare al digitale la motivazione allo studio».

Per di più genitori e figli hanno una percezione decisamente diversa sui comportamenti, gli usi e le modalità di controllo del digitale: se i ragazzi dichiarano quasi per il 70% di non utilizzare i device digitali per lo studio, i genitori sono convinti in grandissima maggioranza che lo usino molto.

«La questione digitale sì o digitale no è ormai superata dai fatti: il digitale è dentro la scuola, l’insegnamento è cambiato – ha affermato Anna Ascani, viceministro all’Istruzione -: deve prendere la leadership per orientare i ragazzi di fronte a una realtà complessa. In questo ambito non si può essere nostalgici del passato e neppure farsi prendere dall’ottimismo, ma bisogna adeguare la missione all’obiettivo della formazione di cittadini che sappiano districarsi tra la gran massa di informazioni».

Inutile quindi adottare divieti e bandi per il digitale che per i ragazzi è diventata una realtà integrata e inscindibile rispetto a quella reale, tanto da arrivare in molti casi a non comprendere i confini tra l’una e l’altra.

«I docenti devono riprendere in mano la didattica, basandola sul recupero delle relazioni umane e staccandosi dall’uso del digitale a tutti i costi: per i ragazzi la tecnologia è completamente trasparente, deve tornare a essere uno strumento, non un fine – ha aggiunto Dianora Bardi, presidente di ImparaDigitale -. Dobbiamo decidere il futuro che vogliamo per i nostri figli, che non possiamo delegare al digitale: non c’è altra strada se non recuperare l’umano».

Decreto scuola sui concorsi docenti: oggi testo definitivo in Aula alla Camera. Poi al Senato

da Orizzontescuola

di redazione

Decreto scuola: oggi 2 dicembre il testo definitivo approda in Aula alla Camera. Rimane da affrontare l’ultimo step, il voto. Poi si passerà al Senato.

Il provvedimento, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 ottobre 2019, dovrà essere convertito in legge entro il 29 dicembre 2019.

Il commento della relatrice dei lavori, l’On. Casa (M5S).  “Sono state settimane intense, durante le quali la Commissione Cultura e la Commissione Lavoro hanno vagliato con attenzione ogni singola proposta e ogni singolo emendamento, giungendo ad una sintesi di tutti i contributi.
Sono molto soddisfatta del clima sereno con cui i gruppi di maggioranza hanno operato, sintomo di responsabilità e compattezza.”

Il Sottosegretario Azzolina (M5S): “È un provvedimento che comincia a mettere ordine nel sistema scolastico Un testo a cui la maggioranza ha lavorato compatta e all’interno del quale sono state inserite diverse norme fortemente volute dal  Movimento 5 stelle. Ho seguito tutti i lavori in questi giorni, riunione dopo riunione, voto dopo voto. Abbiamo agito mettendo la scuola al centro. È una cosa di cui vado fiera. Sono certa che lavoreremo con lo stesso clima anche al Senato.”

Ecco tutti gli emendamenti presentati alla Camera

Qualche rilievo sembra esserci stato dal MEF, vedremo come sarà risolto.

Decreto scuola, ecco emendamenti con parere contrario MEF: assunzioni posti quota 100, diplomati magistrale, concorso DSGA

Decreto scuola, rischia il blocco della ragioneria dello Stato

da Orizzontescuola

di redazione

Ad affermarlo la FLCGIL con un comunicato diffuso questo pomeriggio. “Alcune norme – scrivono – dopo aver superato il vaglio delle Commissioni Lavoro e Cultura, rischiano il blocco per posizioni pregiudiziali dei tecnici della Ragioneria.”

Il comunicato

Lunedì 2 dicembre partirà l’iter di conversione in legge del Decreto Scuola e Ricerca (DL 126/2019). Dal Parlamento arriva la notizia che la Ragioneria Generale dello Stato avrebbe espresso parere negativo su alcuni emendamenti riguardanti la scuola e la ricerca già discussi e approvati dalle Commissioni Lavoro e Cultura.

Non vorremmo che si facessero rilievi infondati e basati su argomentazioni giuridicamente astratte e avulse dalla situazione concreta o, peggio ancora, si assumessero posizioni pregiudiziali e di natura politica. Sarebbe molto grave se a seguito di questi rilievi il MEF assumesse posizioni di natura eminentemente politica su ambiti che non sono di sua stretta pertinenza.

La Ragioneria porti in trasparenza tali rilievi supportandoli con dati e riferimenti normativi. Occorre una discussione aperta e informata svolta nelle sedi opportune, per evitare che la tecnocrazia superi le prerogative parlamentari.

Il Decreto Scuola e Ricerca è un provvedimento molto atteso anche per la portata “storica” di alcune misure sul precariato in esso contenute.

Il sindacato resta dunque in allarme per quanto sta accadendo in queste ore in Parlamento e chiede che la conversione in legge mantenga l’impegno preso verso i diritti e le aspirazioni delle migliaia di lavoratrici e lavoratori coinvolti.

Il digitale non migliora l’apprendimento

da Orizzontescuola

di redazione

A dirlo Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova, nel corso degli Stati generali della scuola digitale, promossi dal Centro studi ImparaDigitale, che si è svolta a Bergamo

“Per fare una scuola che sia speranza e che si trasformi in desiderio di conoscenza basta un maestro”, ha detto la Lucangeli.

L’introduzione della tecnologia nelle scuole non sempre ha infatti portato l’effetto sperato, anzi spesso ha provocato una flessione della motivazione e dell’atteggiamento degli studenti. Anche i docenti si sono troppo spesso concentrati sui device e sull’uso del digitale perdendo di vista il processo didattico.

La soluzione? I  docenti “devono riprendere in mano la didattica, basandola sul recupero delle relazioni umane e staccandosi dall’uso del digitale a tutti i costi: per i ragazzi la tecnologia è completamente trasparente, deve tornare a essere uno strumento, non un fine – ha aggiunto Dianora Bardi, presidente di ImparaDigitale -. Dobbiamo decidere il futuro che vogliamo per i nostri figli, che non possiamo delegare al digitale: non c’è altra strada se non recuperare l’umano”

Prove Invalsi e ASL: protesta la Flc-Cgil, ma nella legge di bilancio l’Invalsi è al primo posto

da La Tecnica della Scuola

Obbligatorietà di prove Invalsi e attività di ASL (anzi di PCTO, secondo la nuova terminologia) non piacciono affatto ai sindacati e alla Flc-Cgil in particolare.
“Ci aspettavamo da questo Governo un’inversione di rotta che rendesse tangibile nelle decisioni legislative un diverso approccio ideologico al mondo della scuola – sostiene il sindacato di Francesco Sinopoli – e invece ci troviamo ancora di fronte a residui della Legge 107/15, una legge che, ricordiamo, la scuola ha rifiutato in toto e la contrattazione ha smontato pezzo per pezzo”.
“La maggioranza di Governo – accusa la Flc – dimostra scarsa memoria, dimenticando che il più grande sciopero della scuola è stato proprio quello del 2015 contro la cosiddetta ‘Buona scuola’. Prove INVALSI e Alternanza definiscono una linea politica contro cui la scuola si è già pronunciata. I partiti al Governo, a cominciare dal Partito Democratico, dovrebbero ricordarlo bene”.
Ovviamente il sindacato auspica che il Governo metta in atto “un cambio di passo sostanziale nelle politiche sull’Istruzione, che dovrebbero rispondere soprattutto alle richieste di chi il mondo della scuola lo vive ogni giorno”, ma al momento attuale non sembra che ci sia l’intenzione da parte della maggioranza di intervenire su questo punto.
Anzi, per la verità va detto che la relazione allegata al capitolo della legge di bilancio che si occupa della scuola si apre con queste parole: “Il sistema scolastico soffre forti divari territoriali negli apprendimenti, con una polarità Nord-Sud evidente, come evidenziato dai Rapporti INVALSI”.
Pare, insomma che per il Governo gli esiti delle prove Invalsi debba essere considerati particolarmente significativi per comprendere lo “stato di salute” del nostro sistema scolastico. Ed è quindi piuttosto difficile che il Ministro Fioramonti possa tornare indietro su questo argomento.

E dopo le medie? Troppi genitori decidono per i figli. Eppure l’orientamento parte già a tre anni

da La Tecnica della Scuola

La fine dell’anno e l’inizio del nuovo rappresentano motivo di incertezza per centinaia di migliaia di alunni e famiglie: sono tutti coloro che, in vista del termine della scuola media, devono scegliere a quale istituto superiore iscriversi. Il problema è che anche dopo gli incontri per favorire l’orientamento, la partecipazione agli open day vari e le visite alle scuole, tantissimi alunni continuano a non prendere alcuna decisione.

Il percorso dovrebbe essere interiore

Allora, molto spesso in questi casi sono le famiglie a prendere in mano la situazione, sulla base dei consigli degli istituti frequentato.

In certi casi, però, nelle famiglie prevalgono le convinzioni personali, basate su esperienze positive e negative vissute, non riflettendo sul fatto che ogni individuo, anche il proprio figlio, ha il suo percorso da intraprendere.

Un percorso che deve partire da “dentro”, dalle proprie inclinazioni, dai propri interessi, dalla propria indole, che non può essere “castrato” delle scelte dei genitori.

Anche perchè in buona percentuale è anche la scelta errata di un istituto superiore alla base della sempre troppo alta dispersione che caratterizza l’Istruzione italiana.

Orientamento, c’è chi inizia molto presto

Anche per vincere questa tendenza, in alcuni istituti comprensivi è stato deciso di far partire l’orientamento in età tenerissima: addirittura nella scuola dell’infanzia.

Come nell’Istituto comprensivo di Roncade-Monastier, in provincia di Treviso, dove il ‘fascicolo digitale’ sulle predisposizioni di ogni bambino parte dai tre anni in su: la scuola vi annota tutto ciò che ha a che fare soprattutto con la componente emotiva; quindi interessi, tendenze e attitudini.

I promotori dell’iniziativa partono dal concetto che la pratica dell’orientamento, cioè il fermarsi a riflettere sul migliore percorso scolastico superiore da attuare, anche facendo un’opera di introspezione, non deve iniziare alla fine delle scuole medie.

L’esperienza veneta

Si tratta – scrive l’agenzia Ansa – del “cuore” di un macroprogetto che riguarda, che raccoglie 10 scuole, dalle materne alle medie, frequentate da 1.700 iscritti e nelle quali operano 200 insegnanti. A lanciarlo è Anna Maria Vecchio, dirigente nominata due mesi fa dopo cinque anni di reggenza provvisoria.

“Ce l’ha insegnato la scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani – spiega la manager scolastica – che la scoperta di quanto di importante c’è in una persona deve avvenire dai tre ai dieci anni. Il ‘file’ passerà dagli insegnanti delle scuole dell’infanzia a quelli delle elementari fino ai docenti delle medie. Tutto questo è stato approvato poche settimane fa dal Consiglio d’istituto”.

Non c’è nulla di ‘predicibile’

Naturalmente, precisa ancora Vecchio, non si tratta di comprendere quale possa essere il lavoro che possa assicurare un futuro successo professionale ad un bambino oggi di tre anni perché “in questa società liquida il lavoro che farà chi oggi abbia quell’età ancora non esiste”.

“Non c’è nulla di ‘predicibile’ e prevedibile. Io sto parlando – conclude la preside . di uno strumento di ‘saggezza intuitiva che deve portare gli insegnanti a percepire la presenza in ciascun bambino, adolescente e ragazzo di qualcosa che va disvelato”.

Ricostruzione di carriera, cade il tabù dei 4 anni: per la Cassazione il pre-ruolo vale tutto

da La Tecnica della Scuola

Il personale della scuola che ha svolto supplenze, ai fini della carriera ha diritto a vedersi riconoscere per intero tutto il periodo del precariato, compreso quello dopo il quarto anno. Senza così attendere tra i 16 e i 20 anni dopo l’immissione in ruolo, come accade oggi. A stabilirlo, dopo una lunga battaglia giudiziaria avviata nella metà degli anni Novanta, è stata  la Corte di Cassazione – IV Sezione Lavoro – che il 28 novembre ha emesso una doppia sentenza, la n. 31149 e n. 31150, la quale va a mettere mano su uno dei punti più contestati dal personale scolastico che ha fatto una lunga “gavetta”.

Il rilevante parere della Cassazione – sulla quale pesa quanto previsto dalla clausola 4 della direttiva UE n. 70/99, la stessa che ha riconosciuto la parità di trattamento economica tra il personale di ruolo e precario – sovverte gli articoli 485 e 569 (specifico per gli Ata) del d.lgs. n. 297 del 1994, i quali riducono di un terzo i servizi svolti dai precari superiori a quell’arco temporale. E, a nostro parere, potrebbe avere effetti anche nel prossimo Contratto collettivo nazionale di lavoro.

Le sentenze

Con la prima sentenza, rivolta a tutto il personale, la Cassazione ha stabilito che nel settore scolastico l’articolo 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, nei casi in cui determina il riconoscimento al personale docente assunto con contratti a termine, e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto a tempo indeterminato, “si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CEE e va pertanto disapplicato”.

Ai fini di tale verifica, gli ermellini hanno comunque specificato che non vanno presi in considerazione gli intervalli non lavorati, né va applicato il criterio dell’equivalenza di cui all’art. 489 dello stesso decreto.

Allo stesso modo, con la sentenza n. 31150, sempre del 28 novembre, si stabilisce che nel settore scolastico l’art. 569 del d.lgs. n. 297 del 1994, nella parte in cui limita il riconoscimento al personale Ata assunto con contratti a termine e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità pari al servizio effettivo prestato, “si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CEE e va pertanto disapplicato”.

I commenti

Tra i primi commenti alla doppia sentenza della Cassazione, si registra quello dell’Anief, che attraverso i legali Nicola Zampieri e Walter Miceli ha portato avanti la teoria del riconoscimento integrale del servizio pre-ruolo, ora adottata dalla Cassazione: a questo punto, proprio alla luce dell’espressione dei giudici, il sindacato non si limita a rilanciare i ricorsi, ma si leva qualche “sassolino dalle scarpe” rispetto al ministero, ritenendo che “l’interpretazione della Sentenza Motter fornita dall’avvocatura dello Stato non sia attendibile, in quanto da una lettura complessiva della sentenza emerge che la Corte di giustizia europea – contrariamente da quanto affermato dal Miur– ha ritenuto irrilevanti le diverse modalità di assunzione o la natura determinata del rapporto di impiego e ha quindi demandato ai Giudici nazionali di accertare in concreto, caso per caso, se il personale precario abbia beneficiato di ulteriori vantaggi nella ricostruzione di carriera, sufficienti a giustificare la disparità di trattamento rispetto al personale di ruolo, dovendo in caso contrario disapplicare il cit. art. 485”.

Cosa si guadagna

È bene ricordare che vanno considerati nel computo degli anni pre-ruolo da valutare, non di certo le supplenze temporanee di breve o media durata, ma solo i servizi svolti oltre i 180 giorni oppure ininterrottamente dal 1° giorno di febbraio sino alla fine dell’anno scolastico.

Va anche sottolineato che ad essere interessati alla restituzione degli aumenti non percepiti sono tutti docenti e Ata che si sono visti sottrarre quattro mesi per ogni annualità superiore ai quattro anni: per intenderci, ad un insegnante, ad un amministrativo o ad un collaboratore scolastico che ha svolto dieci anni di precariato, vengono oggi sottratte ben due annualità di carriera.

Questo significa che il passaggio da un “gradone” all’altro, con un aumento lordo medio attorno agli 80-100 euro, avviene con due anni di ritardo. E in tempi di magri stipendi, non è proprio una bazzecola.