Piano straordinario per l’edilizia scolastica

Edilizia scolastica, oltre 65 mln per i controlli su controsoffitti e solai

Bussetti: “Massimo impegno per sicurezza scuole.
Indagini mirate e finanziamenti specifici per intervenire tempestivamente”

Oltre 65 milioni di euro a disposizione per la sicurezza delle scuole. Il MIUR ha fatto partire oggi – con l’invio in Conferenza Unificata – l’iter del decreto che destina 65,9 milioni di euro a un Piano straordinario per le verifiche dei solai e dei controsoffitti degli istituti scolastici e per i relativi interventi urgenti che dovessero rendersi necessari.

“È un investimento importante – sottolinea il Ministro Marco Bussetti -, un altro segnale di impegno sul fronte della sicurezza delle scuole, anche attraverso azioni di prevenzione di fenomeni di crollo di solai e controsoffitti. Poter analizzare lo stato degli edifici con indagini mirate consente poi di intervenire tempestivamente sulle criticità rilevate, per garantire l’incolumità degli studenti e del personale scolastico. A differenza del passato, abbiamo deciso di non fermarci alle sole indagini, pur fondamentali, ma di stanziare da subito anche specifiche risorse per intervenire sulle situazioni più gravi di inagibilità. È un’azione concreta che dà risposte agli enti locali e ai dirigenti scolastici, che più volte hanno manifestato la necessità di intervenire in modo specifico per prevenire fenomeni di crollo negli ambienti di apprendimento”.

Il decreto prevede l’emanazione di un avviso pubblico nazionale, cui potranno aderire tutti gli enti locali interessati, che saranno selezionati sulla base dei seguenti criteri: vetustà degli immobili, con particolare riferimento agli edifici costruiti prima del 1970, sismicità dell’area in cui sono situati, popolazione scolastica coinvolta, assenza di finanziamento negli ultimi cinque anni per interventi strutturali o per indagini diagnostiche, eventuale quota di cofinanziamento.

Scuola e università, il coraggio di dire qualcosa di sinistra

da Il Tirreno ed. Livorno 31.7.2019

Fra plebe che rivendica la propria ignoranza e élite che trascura chi è rimasto indietro 

Scuola e università, il coraggio di dire qualcosa di sinistra 

L’INTERVENTO – Quasi centocinquant’anni orsono Francesco De Sanctis nella sua prolusione napoletana su La scienza e la vita argomentava come la scienza che non sapesse farsi vita fosse destinata a rimanere sterile e poneva l’obiettivo culturale e politico di far diventare la plebe un popolo. I processi di globalizzazione rischiano di condurci a una Italia divisa tra una élite astrattamente cosmopolita che non capisce e non pensa suo dovere essere parte di un popolo, per la quale i rimasti indietro o i persi per strada nel cammino sono immeritevoli e quindi colpevole di non aver capito in tempo e abbastanza, e una nuova plebe orgogliosa della sua ignoranza linguistica economica e finanche religiosa. Mettere in grado le persone di capire e di affrontare il mondo che cambia è una precondizione per metterle in grado di «dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» secondo quanto recita l’art. 4 della nostra Costituzione, è un dovere morale e anche un interesse economico perché allarga le basi del mercato interno. La sostenibilità buona non può essere quella basata sul disagio di una parte crescente della popolazione. Prima delle questioni è quella delle dimensioni della spesa pubblica ovvero del suo adeguamento ai livelli della media Ue. L’ordine di grandezza delle risorse da recuperare potrebbe essere un punto di Pil; dentro queste si deve pensare alle retribuzioni degli insegnanti e al contrasto alla povertà educativa che nel mezzogiorno è fortemente intrecciata con la marginalità sociale. A questa condizione sarà possibile fornire una preparazione di base solida che tenga insieme le esigenze della cittadinanza con quelle della occupabilità, in cui imparare ad imparare si impara imparando bene qualcosa, tenendo insieme principi e casi di studio, o che dir si voglia conoscenze e competenze .In un sistema educativo e formativo di livello europeo la formazione iniziale e permanente del personale è una funzione normale del sistema di cui sono parte l’università e la scuola; non può essere una questione che riguarda solo i pedagogisti e/o gli esperti delle didattiche disciplinari. Le docenze devono essere adeguatamente retribuite valorizzate tanto nelle carriere degli accademici quanto in quelle degli insegnanti; solo così la formazione degli insegnanti non sarà un qualcosa di autoreferenziale ma una delle funzioni. La pubblica istruzione, di cui sono parte l’Università e tutte le istituzioni di qualsiasi livello che rilasciano titoli aventi valore legale, deve essere una organizzazione che apprende; può essere tale se ha consapevolezza dei processi e se tale consapevolezza è propria non solo del centro ma di ogni livello e componente del sistema; un buon esempio di metodo rimane il libro bianco del 2007. Non ultima necessità è quella di un sistema di regole certe e ragionevolmente stabili a partire da un testo unico di settore.

prof. Angelo Gaudio
docente di storia della pedagogia all’Università di Udine

Colpo all’Invalsi Tolto l’obbligo in terza media

da La Repubblica, 31.07.2019

Corrado Zunino

L’Invalsi ancora ridimensionato dal governo. Su spinta del Movimento 5 Stelle, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha accettato di inserire nello schema di decreto legge sulla scuola che sarà portato in Consiglio dei ministri (oggi o il 9 agosto) due novità sui test che fotografano lo stato di preparazione dei nostri studenti. Nel decreto si certifica che anche in terza media l’Invalsi non sarà più obbligatorio per accedere all’esame di Stato. Dall’anno scolastico 2017-2018 i test al computer di italiano, matematica e inglese non sono più parte dell’esame, ma sono rimasti condizione indispensabile per esservi ammessi. Ora il decreto ne toglie l’obbligatorietà. Lo stesso schema legislativo conferma che il test Invalsi di quinta superiore non sarà più prova necessaria per la Maturità: era così già per l’anno scolastico appena concluso, il Miur ha deciso di trasformare la sperimentazione in un atto definitivo.

I risultati delle prove Invalsi nazionali venti giorni fa hanno certificato come il 35 per cento degli studenti di terza media abbia difficoltà a comprendere un testo in italiano. L’opposizione politica e gli stessi tecnici dell’Istituto di valutazione fanno notare che mettere in continua discussione il sistema che misura lo stato di salute delle nostre scuole «rischia di portarci fuori dalle misurazioni riconosciute su un piano internazionale ».


Panino a scuola, non è possibile portare il pasto da casa e consumarlo nei locali dell’istituto

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Alberto Moramarco

Non esiste un diritto soggettivo all’autorefezione individuale nell’orario della mensa e nei locali scolastici. Gli alunni perciò non possono consumare a scuola il cibo portato da casa durante la pausa pranzo. Questa è la conclusione cui sono giunte le Sezioni unite della Cassazione con la sentenza 20504, depositata ieri, che ha posto la parola fine al cosiddetto caso del “Panino a scuola”. Per i giudici di legittimità i genitori degli studenti non possono, dunque, pretendere che le scuole si organizzino per far consumare ai propri figli un pasto diverso da quello offerto dalla mensa scolastica, ma ben possono influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, compresi i cibi offerti, partecipando al relativo procedimento amministrativo.

Le tappe della vicenda
La questione sorge nel novembre 2014 quando un cospicuo numero di genitori di alunni di scuole elementari e medie di Torino decideva di rivolgersi all’autorità giudiziaria, a fronte del divieto imposto ai loro figli di consumare cibo portato da casa all’interno delle aule mensa delle scuole durante la pausa pranzo. L’Amministrazione scolastica e il Comune di Torino negavano tale facoltà sostenendo l’impossibilità per gli alunni di usufruire del servizio mensa scolastico con modalità diverse da quelle della refezione scolastica, ben potendo i genitori optare per il modulo del “tempo breve”, ovvero far uscire i figli da scuola durante l’ora di pranzo e riaccompagnarli per le attività pomeridiane.
Dopo il primo giudizio di merito in linea con la tesi di Miur e Comune di Torino, in appello i giudici accoglievano la tesi dei genitori, ritenendo sussistente un dovere per le scuole di «consentire indiscriminatamente agli alunni di consumare il pasto domestico presso la mensa scolastica», adottando le apposite misure organizzative necessarie. Ciò in quanto la nozione di istruzione «non coincide con la sola attività di insegnamento, ma comprende anche il momento della formazione», che si realizza mediante non solo attività strettamente didattiche, rientrando cioè il “tempo mensa” nel “tempo scuola”.
Di qui la palla passava ai giudici della Cassazione – che rimettevano subito la questione alle Sezioni unite (si veda l’edizione del Quotidiano del 12 marzo 2019) – a cui Ministero e Comune chiedevano di riconsiderare le nozioni di “tempo mensa” e “tempo scuola” e di prendere in considerazione gli aspetti organizzativi igienico-sanitario ed economici della questione, mentre i genitori insistevano sui principi costituzionali in materia di istruzione e autodeterminazione individuale in relazione alle scelte alimentari. Nel frattempo, il Consiglio di Stato in analoga vicenda relativa al Comune di Benevento (si veda l’edizione del Quotidiano del 10 settembre 2018) si era espresso in termini favorevoli alla tesi dei genitori, bocciando il regolamento comunale che impediva il consumo di cibo portato da casa nei locali scolastici.

Il tempo mensa e il tempo scuola
Le Sezioni unite con una lunga e ben articolata sentenza optano, però, per la tesi dell’Amministrazione scolastica e comunale soffermandosi sulle due principali questioni dell’intera vicenda: le nozioni di “tempo mensa” e “tempo scuola” e l’invocazione di un diritto soggettivo all’autorefezione individuale. Quanto alla prima questione, per la Suprema corte il “tempo mensa” è indiscutibilmente compreso nel “tempo scuola”, in quanto «esso condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui esso è parte», oltre alla finalità di socializzazione che «è tipica della consumazione del pasto “insieme”». In quest’ottica, secondo i giudici di legittimità solo condividendo i cibi forniti dalla scuola si perseguono tali finalità, non potendosi considerare il pasto «un momento di incontro occasionale di consumatori di cibo». D’altra parte, sostiene il Collegio, «non è agevole comprendere come il pasto solitario degli alunni con cibo proprio, in locali destinati nella scuola, possa realizzare gli obiettivi di socializzazione e condivisione», che ineriscono all’invocato diritto di usufruire del “tempo scuola”.

L’autorefezione scolastica non è un diritto soggettivo
La stessa logica porta le Sezioni unite ad escludere, in generale, l’esistenza di un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione durante l’orario della mensa. Tale conclusione non sarebbe in contrasto né con il principio di gratuità dell’istruzione, né con il diritto allo studio, in quanto il servizio mensa è erogato nei limiti delle effettive disponibilità finanziarie ed è correlato alla disponibilità finanziaria degli studenti.
Inoltre, l’invocato diritto all’autorefezione quale espressione dell’autodeterminazione individuale, o del diritto dei genitori di educare i propri figli in campo alimentare, non è un diritto incomprimibile, ma va bilanciato con le esigenze delle istituzioni scolastiche, le quali organizzano il servizio mensa proprio in favore degli alunni che hanno optato per il tempo pieno e prolungato, accettando «l’offerta formativa comprendente la mensa». Le famiglie cioè, scegliendo il tempo pieno, esercitano una «libertà di scelta educativa», dalla quale scaturisce il loro «diritto di partecipazione al procedimento amministrativo per influire sulle modalità di gestione del servizio pubblico di mensa (ai fini dell’individuazione dell’impresa che lo gestisce e dei cibi offerti), ma non il diritto sostanziale di performarlo secondo le proprie esigenze individuali».

In sostanza, chiosa il Collegio, consentire agli alunni che intendano partecipare alle attività pomeridiane di pranzare con cibo proprio nei locali scolastici, sia locali mensa che altri, implica attribuire alle famiglie un diritto privo di una base normativa. Ciò che le famiglie possono fare, invece, è partecipare «con i consueti strumenti a tutela della legittimità dell’azione amministrativa» al procedimento amministrativo, «al fine di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche».

Il problema è la carenza di concorsi a cadenza regolare

da ItaliaOggi

Carlo Forte

La sentenza della Corte costituzionale 187/2016 era intervenuta a seguito di una questione pregiudiziale posta dalla stessa Consulta davanti alla Corte di giustizia europea per effetto di alcuni ricorsi presentati da docenti precari davanti alla magistratura di merito. Il ragionamento seguito da questi ultimi attori era stato il seguente. Se è vero che l’Italia ha stipulato accordi e trattati di diritto comunitario che entrano «a pettine» nella nostra Costituzione, le norme italiane che violano le norme comunitarie sono anche anticostituzionali. E dunque, la Corte costituzionale ha il dovere di cancellarle. La Consulta, dal canto suo, aveva ritenuto che la questione non fosse manifestamente infondata, ma si era astenuta dal rispondere subito, ritenendo opportuno investire della questione il giudice che si occupa di queste specifiche questioni: la Corte di giustizia europea. E i giudici di Bruxelles con una sentenza depositata il 26 novembre 2014 (C-22/13) avevano risposto con un lungo e articolato provvedimento.

La parte che assume rilievo, però è il dispositivo, con il quale i giudici europei avevano dichiarato incompatibile con il diritto comunitario la legge italiana che « autorizza il rinnovo di contratti a tempo determinato per provvedere alla copertura di posti vacanti d’insegnamento e di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario delle scuole pubbliche» si legge nel provvedimento « in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo, senza che vi sia la benché minima certezza sulla data in cui tali procedure si concluderanno e, pertanto, senza definire criteri obiettivi e trasparenti che consentano di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale e sia di natura tale da raggiungere l’obiettivo perseguito e necessario a tal fine». E al tempo stesso avevano affermato che è illegittima la mancata previsione di un indennizzo in favore dei precari che venissero assunti con contratto a termine sui posti vacanti e disponibili, nelle more dell’indizione dei concorsi. Perché tale prassi non poggia su ragioni obiettive, ma sulla mera inerzia del legislatore italiano. E sulla base del responso dei giudici di Bruxelles la Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la legge 124/99, nella parte in cui consentiva la reiterazione dei contratti oltre i 36 mesi, limitatamente alle supplenze su posti vacanti e disponibili.

Ma per la Consulta tutto ok dopo la Buona scuola

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Nel 2016 la Corte costituzionale si era espressa dichiarando l’incostituzionalità della legge 124/99 nella parte in cui consentiva la reiterazione delle supplenze annuali senza limite e senza prevedere tempi certi per i concorsi. Ma aveva anche chiarito che la legge 107/2015 aveva aggiunto quello che mancava, affinché la legge 124/99 potesse continuare a dispiegare effetti in modalità compatibile con la Costituzione. La Consulta aveva spiegato tutto nella sentenza 187 depositata il 20 luglio 2016: gli elementi di incostituzionalità dell’articolo 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 sono stati sanati dal legislatore. Perché la legge 107/2015 ha previsto per i docenti una stabilizzazione di massa attraverso il piano straordinario di assunzioni,. Mentre per gli Ata ha previsto un risarcimento per equivalente. In più, per i docenti, il piano assunzionale della 107 prevedeva due velocità. Un primo step, con il quale sono stati immessi in ruolo tutti i docenti delle fasi B e C. E un’ulteriore fase, pluriennale, nella quale avrebbero dovuto essere immessi in ruolo i 18mila docenti rimasti nelle graduatorie a esaurimento, mediante veri e propri automatismi, in alternativa alla procedura ordinaria del concorso a cattedra. In buona sostanza, dunque, secondo la Corte costituzionale, non sussistevano i termini per azioni legali da parte dei precari ultratriennalisti. Perché il legislatore aveva già ampiamente provveduto a sanare la questione. Addirittura prevedendo il risarcimento in forma specifica. E cioè la stabilizzazione, sebbene in due fasi. Per gli Ata, invece, la legge prevedeva espressamente il risarcimento per equivalente. Fin qui il pregresso.

La legge 107/2015, peraltro, aveva previsto anche una soluzione definitiva per evitare di superare il cumulo dei 36 mesi che determina l’insorgenza dell’infrazione. Una soluzione che era stata ritenuta dalla Consulta conforme al diritto comunitario e, per l’effetto, compatibile con l’articolo 117 della Costituzione, che prevede l’inserimento « a pettine» in Costituzione delle norme comunitarie (cosiddette norme interposte). La soluzione consisteva divieto di superare i 36 mesi nel cumulo delle supplenze annuali e, in caso di superamento, il risarcimento del danno per equivalente. Ma questa soluzione è stata cancellata dall’ordinamento tramite l’abrogazione del comma 131 della legge 107/2015 operata dal Decreto dignità.

Ue alla carica sulle supplenze

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Il 25 luglio scorso la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia sollecitando il nostro paese a prevenire l’abuso dei contratti a tempo determinato e ad evitare le condizioni di lavoro discriminatorie nel settore pubblico (decisione n. 20144231 del 25.07.2019). La questione riguarda la scuola per quanto riguarda la sola reiterazione oltre i 36 mesi delle supplenze annuali (fino al 31 agosto) e per il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità ai precari. L’abuso dei contratti a termine oltre i 36 mesi è stato oggetto, peraltro, di un contenzioso seriale che è stato già definito dalle magistrature superiori, compresa la Corte di giustizia europea. La Cassazione il 7 novembre del 2016, con le sentenze 22252,22253,22254 e 22257, aveva dichiarato, infatti, che la reiterazione dei contratti prevista dal nostro ordinamento era da considerarsi legittima. La Suprema corte aveva ricostruito tutto l’iter legislativo in materia di assunzioni a tempo determinato nella scuola. Ed aveva recepito la giurisprudenza della Corte di giustizia europea e della Corte costituzionale, confermando il proprio orientamento sul divieto di stabilizzazione automatica dei precari della scuola.

In più, aveva spiegato in quali casi sia dovuto il risarcimento del danno da abuso di contratti a termine, fissando l’entità del relativo importo da un minimo di 2,5 mensilità di retribuzione a un massimo di 12, fatte salve le maggiorazioni da 10 a 14 mensilità per i precari che vantino un’anzianità di servizio superiore, rispettivamente, ai 10 e ai 20 anni di servizio. Infine, con la sentenza 22258, sempre del 7 novembre 2016, aveva confermato la non applicabilità degli scatti biennali ai docenti precari che avessero insegnato materie diverse dalla religione cattolica. Ma aveva dichiarato il diritto di questi ultimi a vedersi riconoscere i gradoni così come avviene per i docenti di ruolo.

La Cassazione aveva spiegato, inoltre, che qualora la reiterazione fosse stata effettuata su posti o cattedre vacanti e disponibili, erroneamente qualificati dall’amministrazione scolastica come posti o cattedre dell’organico di fatto, sarebbe stato comunque onere del lavoratore precario ricorrente quello di dimostrare tale errore. In assenza di tale adempimento, il diritto al risarcimento del danno non sarebbe sussistito.

In ogni caso, sono da considerarsi legittime anche le reiterazioni dei contratti di supplenza su posti e cattedre di organico di diritto se effettuate prima del 10 luglio 2001. Termine previsto dall’articolo 2 della direttiva della comunità europea 1999/70/CE per l’adozione da parte degli stati membri delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni in essa contenute per porre fine all’abuso di contratti a termine. Nondimeno, anche in presenza di abuso di contratti a termine, se nel frattempo gli interessati fossero stati assunti a tempo indeterminato, la stabilizzazione avrebbe cancellato definitivamente il diritto al risarcimento del danno. Per coloro che, dal 10 luglio 2001, non fossero stati immessi in ruolo e che non avessero avuto alcuna certezza di stabilizzazione (per esempio , perché non inseriti nella graduatorie a esaurimento oppure nelle graduatorie di merito dei concorsi ordinari) se la reiterazione avesse riguardato periodi eccedenti i 36 mesi su posti o cattedra vacanti e disponibili in organico di diritto, avrebbe dovuto essere «riconosciuto il risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n.5072 del 2016». E cioè « nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto».

Nel caso dei docenti e del personale Ata, la misura massima del risarcimento avrebbe potuto essere maggiorata fino a 10 mensilità per chi avesse vantato un’anzianità di servizio superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per chi avesse maturato un’anzianità di servizio superiore ai 20 anni (si veda l’articolo 8 della legge 664/66). Il risarcimento del danno, dunque, non consiste nel riconoscimento degli scatti di anzianità. Che però possono essere fatti valere a parte con ulteriori azioni. Sempre con la sentenza 22558, la Suprema corte, infatti, aveva escluso il diritto agli scatti biennali, riservato ai docenti di religione. Ma aveva dichiarato il diritto del ricorrente a vedersi riconoscere i cosiddetti gradoni, disapplicando le disposizioni che prevedono l’inquadramento dei docenti precari sempre nella classe inziale della progressione di carriera: la cosiddetta classe «0». Secondo la Cassazione, infatti, la normativa europea preclude agli stati membri di applicare ai precari un trattamento sfavorevole rispetto ai colleghi di ruolo. Pertanto, le questioni dove l’Italia potrebbe andare incontro a sanzioni da parte dell’Unione europea riguardano la reiterazione oltre i 36 di contratti di supplenza annuale e il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità ai precari.

Nuovi dirigenti, rebus chiamata

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Le organizzazioni sindacali dei dirigenti scolastici sono state convocate dall’amministrazione domani alle 14.00, presso il ministero dell’istruzione, per discutere dei criteri generali per il conferimento degli incarichi dirigenziali in vista delle immissioni in ruolo dei vincitori dell’ultimo concorso. La materia vede l’amministrazione e i sindacati confederali su due posizioni contrapposte. Diversa la posizione dell’Anp, l’associazione nazionale dei presidi.

Queste le posizioni in campo. Il ministero dell’istruzione vorrebbe conferire gli incarichi non solo scorrendo la graduatoria dei vincitori, per la prima volta nazionale, ma anche e soprattutto valorizzando le competenze dei neodirigenti, collegandole alla particolare tipologia delle istituzioni scolastiche a cui dovranno essere preposti. Come del resto sempre fatto in passato, in base al decreto 165. Per esempio, qualora il direttore generale dell’ufficio scolastico si trovasse ad assegnare l’incarico fruendo del criterio di competenza, nel caso in cui l’istituzione scolastica di riferimento dovesse essere un istituto agrario, avrebbe la possibilità di assegnare l’incarico ad un agronomo oppure, nel caso di un liceo musicale, potrebbe conferire l’incarico ad un musicista. Sempre che in graduatoria vi fossero vincitori del concorso in possesso di queste caratteristiche.

Nel caso in cui dovesse prevalere, invece, il mero criterio del maggiore punteggio in graduatoria, la preposizione dei nuovi dirigenti alle istituzioni scolastiche risulterebbe informata a un criterio meramente casuale. Le organizzazioni sindacali vorrebbero proprio che il conferimento dell’incarico avvenisse scorrendo la graduatoria solo secondo il criterio del maggiore punteggio. Posizione non condivisa dall’Anp, che rivendica l’opportunità di non utilizzare un criterio solo numerico, quello del punteggio. Per approfondire la questione, domani si terrà il confronto: una procedura negoziale prevista dall’articolo art. 5, comma 3, lettera g) del contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto l’8 luglio scorso.

Va detto subito che l’amministrazione non è tenuta ad accogliere le richieste dei sindacati. Perché la delicata materia della preposizione dei dirigenti scolastici alle istituzioni scolastiche è riservata alla legge. Ciò vuol dire che l’amministrazione conserva titolo a procedere unilateralmente, senza che vi sia la necessità di recepire le richieste dei sindacati. Il contratto, infatti, prevede in questi casi l’avvio di una procedura, a metà strada tra l’informativa e la contrattazione, per mezzo della quale ai sindacati viene semplicemente concesso di esporre le proprie tesi in maniera più approfondita. Fermo restando il potere dell’amministrazione di non accogliere tali tesi e di procedere in senso opposto, qualora lo ritenesse opportuno.

L’unico obbligo che ha l’amministrazione è quello di redigere, al termine dell’incontro che consegue all’avvio della procedura di confronto, «una sintesi dei lavori e delle posizioni emerse». La questione riguarda da vicino i circa 2mila docenti che, nella graduatoria del concorso si trovano in posizione utile per essere immessi in ruolo già dal 1° settembre prossimo. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi i posti effettivi dovrebbero essere 1.980 o 1.982, con qualche eventuale aggiustamento dopo i mutamenti di incarico. I vincitori sono invece 2.900. Fermo restando che chi non risulta collocato attualmente in posizione utile, otterrà l’incarico il prossimo anno o quello successivo, a mano a mano che i posti si libereranno per effetto dei pensionamenti. Gli idonei, invece, sono 3.420. E potrebbero essere «ripescati» qualora vi dovessero essere delle rinunce oppure nel caso in cui il nuovo concorso non dovesse essere bandito in tempo e il legislatore dovesse disporre lo scorrimento della graduatoria.

Resta il fatto, però, che sulla legittimità del concorso a preside pende ancor la spada di Damocle del giudizio davanti al Consiglio di stato. Il Tar del Lazio, infatti, con la sentenza 8655/2019 (sezione terza bis, si veda Italia Oggi del 9 luglio scorso), aveva annullato in toto la procedura concorsuale, avendo accertato la situazione di incompatibilità di due componenti la commissione dell’esame. L’amministrazione, però, ha impugnato la sentenza in appello e il Consiglio di stato, in sede cautelare, ne ha sospeso gli effetti (si veda l’ordinanza 5765/2019). Sebbene nell’ordinanza non vi sia traccia di valutazioni di merito, è ragionevole ritenere che il Consiglio di stato abbia già valutato anche il merito. E che proprio per effetto di tale valutazione abbia deciso di accogliere il ricorso cautelare. Dunque, con ogni probabilità, nella fase di merito la sezione si pronuncerà definitivamente per l’accoglimento del ricorso.

Tanto più che l’udienza è stata fissata al 17 ottobre prossimo: una data molto ravvicinata rispetto alla prassi invalsa. In ogni caso, per effetto delle due ordinanze, il ministero dell’istruzione ha avuto modo di portare legittimamente a termine le operazioni di assunzione in ruolo dei nuovi dirigenti scolastici. E qualora il giudizio di merito dovesse risultare sfavorevole per l’amministrazione, i nuovi dirigenti si saranno già insediati e il governo avrà il tempo per disporre una sanatoria per via legislativa. Come già accaduto in passato.

Scuola-lavoro, le nuove linee guida Osservatorio e bottone rosso in bilico

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

«Le linee guida sono state perfezionate e inviate al Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi, ndr) per l’espressione del parere che, presumibilmente, sarà reso entro il mese di luglio, dopodiché si provvederà ad adottarle mediante apposito decreto». L’annuncio del sottosegretario all’istruzione Salvatore Giuliano alla Camera, sulla probabile prossima emanazione delle nuove linee guida sull’alternanza scuola-lavoro dopo il parere del Cspi, previsto per il 30 luglio, coglie di sorpresa le associazioni degli studenti del Forum che le riunisce presso il Miur. «Proprio in queste ore ci stiamo coordinando per degli emendamenti», spiega ad ItaliaOggi i rappresentanti delle associazioni studentesche. Come spiegato da Giuliano, infatti, il Forum è stato sentito dall’apposito tavolo tecnico costituito dal Miur per definire il documento. Ma solo di recente. Il nuovo testo delle linee guida, infatti, è stato presentato a fine giugno durante una riunione del Forum, a cui è poi stato inviato solo 10 giorni giorni fa. Sapere che il decreto verrà emanato dopo il parere del parlamentino della scuola presieduto da Francesco Scrima lascia l’amaro in bocca alle associazioni studentesche che evidenziano alcuni nodi ancora da sciogliere.

Tre in particolare, spiega Adelaide Iacobelli, segretaria nazionale Msac: «se esiste ancora un Osservatorio sull’alternanza, se rimane attivo il bottone rosso di segnalazione degli studenti e se la vecchia versione delle linee guida rimane in vigore». Il lavoro sulle linee guida da parte del Forum era cominciato già intorno a dicembre, quando l’ufficio tecnico del ministro dell’istruzione Marco Bussetti gli chiese un commento sulle vecchie linee guida e delle proposte per una nuova versione. Del resto, la legge di bilancio 2019, che il governo avrebbe emanato qualche settimana dopo, prevede la definizione del documento per l’organizzazione dei nuovi percorsi di alternanza e ne fissa l’emanazione con un decreto ministeriale entro 60 giorni dall’entrata in vigore della manovra, quindi entro l’inizio dello scorso marzo. Insomma, i tempi erano stretti. Ma non sono stati rispettati. Le linee guida, infatti, saranno adottate dal Miur non prima dell’inizio di agosto, 5 mesi dopo la scadenza prevista. Anche perché, come comunicato dal Miur alle scuole in una nota a metà febbraio, troveranno applicazione a partire dal prossima anno scolastico 2019/20 «per i progetti che avranno inizio, ovvero saranno in corso, a tale epoca». I tempi, quindi, sono strettissimi. Alcune delle proposte espresse tra dicembre e gennaio dal Forum delle associazioni studentesche, tuttavia, sono state accolto nel nuovo testo. In particolare, la sottolineatura sulla gratuità dell’esperienza di alternanza per gli studenti, sulla personalizzazione dei percorsi e la valorizzazione della Carta dei diritti e doveri degli studenti. Restano invece in bilico la valutazione dei percorsi, perché non vengano vissuti al di fuori dei mesi di scuola, e il Registro nazionale dell’alternanza per le convenzioni che le singole scuole stipulano con le aziende.

La scuola italiana? Una gabbia di matti

da La Tecnica della Scuola

Ogni anno scolastico è vissuto pericolosamente dai prof: compiti in classe da preparare, colloqui con i genitori, bambini incapaci di tenere il sedere sulla sedia e liceali che fingono di aver studiato ma durante l’interrogazione si arrampicano sugli specchi, prendendo  per scemo l’insegnante; e poi liti con i colleghi presuntuosi, arrovellamenti con le Lim che non funzionano, l’ansia perenne che possa cadere l’intonaco in testa, disconoscimento  dell’autorità in classe, né tantomeno apprezzamento del  valore del  mestiere. Professionisti, ma con busta paga miserabile.

Non vacanze ma convalescenza

L’unica gratifica?  “Tre mesi di convalescenza, più che di vacanza”. Perché la scuola è sfiancante con rischi perfino per la salute mentale.

E infatti, si legge su Linkiesta, l’80% delle patologie professionali nel mondo della scuola è di natura psichiatrica: ansia, depressione, male di vivere, mentre gli insegnanti sono tra i più soggetti allo sviluppo di tumori, proprio in virtù dello stress cronico a cui sono sottoposti quotidianamente.

Professione a rischio suicidio?

Pare inoltre che l’insegnamento sia la professione a maggior rischio suicidiario e finchè la scuola rimarrà la giungla che è oggi, difficilmente si potranno liberare dai mali che li affliggono.

Mestiere facile? Guardate la Moe di lavoro di ogni giorno

Un mestiere facile? Ma troppi ignorano quanto lavoro ci si porta a casa, quanto “sommerso” per la preparazione dei programmi delle lezioni, la correzione dei compiti, le relazioni. Quante ore sacrificate “in nome dei ragazzi” e mai ricompensate, nemmeno con una pacca sulla spalla. E poi la relazione con gli studenti. Un rapporto strano e a tratti malsano. Una condanna ad una sorta di “sindrome di Dorian Gray al contrario” perché pur andando avanti con gli anni i prof  continuano a stare in cattedra, e ogni anno sempre nuove generazioni di bambini e ragazzi sempre più giovani, sempre più diversi, sempre più distanti dai docenti.

Classi pollaio

E poi lo squilibrio squisitamente numerico dello stare in classe con venti o trenta ragazzini che ogni minuto di ogni giorno, senza interruzione di continuità, fanno una «risonanza magnetico-nucleare» nel momento esatto in cui si mette piede in classe.

Posto infine che gli insegnanti italiani sono i meno pagati e i più vecchi di tutti in Europa, è facile intuire di quale livello di considerazione possano godere.

«Uno psicologo americano una volta si mise a stilare l’elenco degli elementi che condizionano il lavoro degli insegnanti. Giunto al quarantesimo, si rese conto che sarebbe potuto arrivare all’ottantesimo: lì realizzò che non avrebbe avuto senso continuare».

Professione stressante a a rischio burn-out

Il punto è –continua Linkiesta- che l’insegnamento è una professione altamente stressante, e posto che questo stress intacca inevitabilmente non solo il benessere degli stessi docenti, ma si riflette anche nella qualità dell’insegnamento, qualche riflessione a riguardo bisognerebbe pure farla. E non si dica che i docenti, più degli altri, hanno un dovere morale. Si tratta di una professione gravosa e importantissima, purtroppo svilita.

Chi pensa che l’insegnamento sia una missione, vada a fare il missionario. Lascuola italiana è una gabbia di matti.

Pasto da casa, perché la Cassazione ha detto no

da La Tecnica della Scuola

Abbiamo già dato la notizia della sentenza con la quale la Corte di Cassazione mette il punto sulla questione del pasto da casa.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 20504 del 30 luglio 2019, hanno infatti affermato che non è configurabile, né può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, un diritto soggettivo perfetto ed incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado. E che le famiglie non possono influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell’amministrazione pubblica.

Il servizio mensa è compreso nel tempo scuola

Secondo la normativa vigente, il servizio mensa è compreso nel «tempo scuola», perché esso condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui esso è parte, come evidenziato dalla ulteriore funzione cui detto servizio assolve, di educazione all’alimentazione sana.

Alla suddetta finalità educativa concorre quella di socializzazione che è tipica della consumazione del pasto «insieme», cioè in comunità, condividendo i cibi forniti dalla scuola, pur nel rispetto (garantito dal servizio pubblico) delle esigenze individuali determinate da ragioni di salute o di religione.

Il pasto non è un momento di incontro occasionale di consumatori di cibo, ma di socializzazione e condivisione (anche del cibo), in condizioni di uguaglianza, nell’ambito di un progetto formativo comune. Per questa ragione il tempo della mensa fa parte del «tempo scuola».

Sulla gratuità dell’istruzione inferiore

La Cassazione ha anche sostenuto che l’affermazione generalizzata di un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione, durante l’orario della mensa non trova conferma sul piano normativo neppure sotto il profilo della violazione del principio di gratuità dell’istruzione inferiore, sul presupposto che gli alunni che intendono aderire alle attività formative pomeridiane sarebbero costretti a sostenere la contribuzione prevista per il servizio mensa.

Premesso che negli istituti scolastici dove è istituito, il servizio mensa è erogato «senza nuovi o maggiori oneri per gli enti pubblici interessati» e «in forma gratuita ovvero con contribuzione delle famiglie a copertura dei costi», previa individuazione delle fasce di reddito sino al limite della gratuità in taluni casi, secondo la Suprema Corte il principio di gratuità dell’istruzione scolastica non implica che si debba necessariamente assicurare la completa gratuità di tutte le ipotizzabili prestazioni che possano essere connesse all’esercizio del diritto allo studio, pur se collaterali, accessorie, di supporto, facoltative o di complemento, quand’anche rese necessarie da peculiari situazioni personali.

Richiamando precedenti sentenze, la Cassazione ha ricordato che il diritto all’istruzione non è «svincolato dall’adempimento di corrispondenti doveri da parte dei genitori» e che i «principi della scuola aperta a tutti e della gratuità dell’istruzione elementare e media debbono essere adempiuti nel quadro degli obblighi dello Stato secondo una complessa disciplina legislativa e nell’osservanza dei limiti del bilancio».

A questo deve aggiungersi che l’assistenza scolastica viene prestata nei limiti delle risorse disponibili e può, di conseguenza, essere legittimamente correlata alla disponibilità di mezzi finanziari degli studenti, quali risultano dagli importi da essi corrisposti per le rette di fruizione dei servizi scolastici scelti.

E le merendine?

Secondo la Cassazione, non è pertinente il rilievo che agli alunni è invece consentito il consumo di merende portate da casa durante il tempo della ricreazione, il quale non interferisce con il servizio pubblico della refezione scolastica.

Le conclusioni della Cassazione

La Supera Corte, a sostegno della propria decisione, ha anche evidenziato che «l’istituzione scolastica non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni, né il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negozia li, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità, come interpretati dall’istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell’adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza».

Alla mensa scolastica non si può portare il panino da casa: lo dice la Cassazione

da La Tecnica della Scuola

Le sezioni unite della Cassazione prendono le distanze da quanto affermato dal Consiglio di Stato nella querelle del panino portato da casa nella mensa scolastica.

Infatti, per i giudici dell Cassazione, riporta Il Sole 24 Ore, non esiste alcun diritto soggettivo a portare da casa i pasti da consumare nella mensa scolastica.

Per il supremo consesso la materia, in assenza di un diritto perfetto, non può essere oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario.

Inoltre, la gestione del servizio mensa rientra nell’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche di primo e secondo grado in attuazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione.

Le famiglie possono scegliere si portare a casa i figli per il pranzo e riaccompagnarli a scuola nel dopo pranzo.

Educazione&Scuola Newsletter n. 1103


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Luglio 2019 – XXIV Anno

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Notizie
Concorso Dirigenti Scolastici

Prevista per il 31 luglio la pubblicazione della graduatoria nazionale

RAV e Rendicontazione sociale

Il RAV 2019/22 deve essere elaborato entro il 31 luglio 2019

Accordi MIUR con BEI e CEB

1,5 miliardi di euro per la messa in sicurezza e l’ammodernamento delle scuole

Test Corsi ad accesso programmato

Iscrizioni alle prove sino al 25 luglio 2019

Mobilità 2019-2020

Le domande di utilizzazione ed assegnazione provvisoria devono essere prodotte da tutto il personale interessato entro il 20 luglio 2019

Contratto Area dirigenziale Istruzione e Ricerca

Il CCNL dell’area dirigenziale Istruzione e Ricerca è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.168 del 19-07-2019

Concorso Docenti Scuola Infanzia e Primaria

Il DPCM 11.6.19 è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.167 del 18 luglio 2019

Obblighi vaccinali

Scadenze previste per il 10 luglio 2019

Rapporto Prove INVALSI 2019

Roma, 10 luglio 2019

Norme

Comunicato MEF 29 luglio 2019, n. 144

Via libera del MEF all’assunzione di oltre 53.000 docenti

Nota 29 luglio 2019, AOODGRUF 17067

Art. 1, comma 512 della Legge n. 208/2015 – Obbligo di ricorrere agli strumenti di acquisto e di negoziazione messi a disposizione da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore per gli affidamenti di …

Avviso 22 luglio 2019, AOODGSINFS 25219

Bando per la costituzione del «Comitato dei cinquanta ovidiani» (art. 3, comma 7, legge 29 dicembre 2017, n. 226) – Avviso di proroga del termine di presentazione delle domade di partecipazione

Legge 19 luglio 2019, n. 69

Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere

Potenziamento dell’educazione all’Imprenditorialità. Autorizzazione progetti

Autorizzazioni del 19 luglio 2019
Integrazione dell’elenco Istituti di cui alla tabella A dell’OM 373/19 per anno 2019, degli esami di Stato di abilitazione all’esercizio della libera professione di Perito Industriale e Perito Industriale …

Nota 17 luglio 2019, AOODGPER 32565

Concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le Istituzioni scolastiche statali (D.D.G. n. 1259, del 23/11/2017). Valutazione dei titoli culturali, …

Nota 12 luglio 2019, AOODGRUF 16056

Istruzioni di carattere generale relative all’applicazione del Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 50/2016 e ss.mm.ii) – Quaderno n. 1 e Appendice – Aggiornamento giugno 2019

Sentenza Tribunale Cosenza 12 luglio 2019, n. 1436

Diritto di precedenza ex art. 33 legge 104/1992 nella mobilità interprovinciale

Ordinanza Consiglio di Stato 11 luglio 2019, n. 3512

Concorso nazionale per il reclutamento di dirigenti scolastici, indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259

Decreto-Legge 11 luglio 2019, n. 64

Modifiche al decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56

Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell’area istruzione e ricerca – Triennio 2016-2018

ARaN, 8 luglio 2019

CCNL Area dirigenziale Istruzione e Ricerca 2016-2018 (Aran, 8.7.2019)

Personale dell’Area Istruzione e Ricerca

Nota 3 luglio 2019, AOODGOSV 14688

Proroga scadenza dei termini per la presentazione dei progetti nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali appartenenti ad una minoranza linguistica (Legge 15 dicembre 1999, n. 482 …

Sentenza TAR Lazio 2 luglio 2019, n. 8655

Annullamento concorso nazionale per il reclutamento di dirigenti scolastici, indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259

Rubriche

in Esami

I risultati dell’Esame di Stato

Pubblicati i primi dati sui risultati dell’Esame
in Europ@Fondi Strutturali di Fabio Navanteri

in Handicap&Società di Rolando Alberto Borzetti

FAQ Handicap e Scuola – 63

a cura dell’avv. Salvatore Nocera e di Evelina Chiocca

in InformagiovaniLa Rete di Vincenzo Andraous

Emergenza genitoriale

di Vincenzo Andraous

in LRE di Paolo Manzelli

Egocreanet Cluster

di Paolo Manzelli

in Recensioni

A. Petrella, Fragile è la notte

di Antonio Stanca

AA.VV., Antologia di Poeti contemporanei dei Balcani

a cura di Paolo Maria Rocco e Emir Sokolović

P.M. Rocco, Bosnia, appunti di viaggio e altre poesie

di Marco Labbate

AA.VV., Le tue parole

di Giovanni Ferrari

E. De Luca, La faccia delle nuvole

di Antonio Stanca

in Riforme On Line di Giancarlo Cerini

Una proposta per il reclutamento dei dirigenti scolastici

di Stefano Stefanel

in Software

Internet, Reti, Nuove tecnologie

Scuola digitale: arrivano le équipe territoriali

Pubblicato il bando per la selezione di 120 docenti

in Statististiche

La dispersione scolastica AA.SS. 2016/2017 e 2017/2018

MIUR – Ufficio Gestione Patrimonio Informativo e Statistica

Rapporto Prove INVALSI 2019

Roma, 10 luglio 2019

Cifre chiave educazione e cura prima infanzia in Europa

Eurydice

in Stranieri

Alunni con cittadinanza non italiana – A.S. 2017/2018

MIUR – Ufficio Statistica e studi

in Tiriticcheide di Maurizio Tiriticco

Per una didattica laboratoriale

di Maurizio Tiriticco

La pedagogia del Duemila

di Maurizio Tiriticco

Del concorso DS

di Maurizio Tiriticco

Misurare, valutare e certificare nella scuola dell’autonomia

di Maurizio Tiriticco

Una scuola per l’Europa: perché e come

di Maurizio Tiriticco

I bambini non giocano

di Maurizio Tiriticco

Rassegne

Stampa

Sindacato

Gazzetta Ufficiale

Concorso ordinario Infanzia e Primaria: bando forse rimandato ad ottobre. Tutto quello che sappiamo fino ad ora

da Tuttoscuola

Il concorso ordinario infanzia e primaria forse è stato bocciato, anzi rimandato a ottobre. La decisione è al vaglio del MIUR dopo la richiesta presentata dai sindacati  oggi, 30 luglio, giorno in cui FLC GIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS e Gilda sono stati convocati per l’informativa sul bando. Tutto sembrava pronto, la pubblicazione del bando attesa per questa settimana. E invece niente: il bando concorso ordinario infanzia e primaria forse non sarà pubblicato prima di ottobre prossimo per consentire l’attivazione delle procedure straordinarie preannunciate nel decreto legge in via di definizione. Ora si attende la decisione finale del MIUR che, di fatto, ha intanto sospeso la pubblicazione del bando. Non ci resta dunque che aspettare e ricapitolare tutto quello che sappiamo fino ad oggi sul concorso Infanzia e Primaria: posti disponibili, preselettiva e titoli valutabili.

Concorso Infanzia e Primaria: i posti disponibili

posti autorizzati al concorso Infanzia e Primaria sono così suddivisi:

– 10.624 per l’anno scolastico 2020/2021;
– 6.335 per l’anno scolastico 2021/2022.

Il concorso Infanzia e Primaria sarà bandito per:

– infanzia posto comune;
– primaria posto comune;
– sostegno infanzia;
– sostegno primaria.

Concorso Infanzia e Primaria: prova preselettiva eventuale (ma quasi certa)

Lo svolgimento di una prova preselettiva per il concorso Infanzia e Primaria non è certo e dipende dal numero di domande inviare per partecipare. Tuttavia Tuttoscuola ha motivo di credere che una prova preselettiva al concorso Infanzia e Primaria sia quasi certa. Infatti,  con tutta probabilità al concorso Infanzia e Primaria, di cui si attende il bando, i candidati saranno complessivamente non meno di 160 mila, di cui 73-78 mila per l’infanzia, 75-80 mila per la primaria e 8-10 mila per i posti di sostegno.
Negli ultimi tre anni una parte dei candidati in possesso soltanto del diploma magistrale acquisito entro il 2001-2002 ha già trovato posto stabile nella scuola oppure ha superato il limite massimo di età anagrafica per concorrere, ma nel frattempo alcune migliaia di nuovi laureati in scienze della formazione primaria sono pronte ad aggiungersi alla nuova platea di candidati al concorso. Se quei dati dei posti e dei candidati per i concorsi 2019 saranno confermati, sarà inevitabile la prova preselettiva concorso Infanzia e Primaria, soprattutto per i posti comuni.

Concorso Infanzia e Primaria: nel caso di preselettiva ecco come si svolgerebbe

La prova, unica per tutto il territorio nazionale, dovrà svolgersi in modalità computer based e sarà finalizzata all’accertamento delle capacità logiche, di comprensione del testo, nonché di conoscenza della normativa scolastica.

Concorso Infanzia e Primaria: i titoli valutabili

Con decreto del 9 aprile scorso è stata pubblicata la tabella dei titoli valutabili per il concorso Infanzia e Primaria. La commissione, per i titoli, può attribuire al massimo 20 punti. La tabella titoli, adottata con DM n. 328/2019, si suddivide in tre sezioni principali:

  1. Punteggio per il titolo d’accesso alla procedura concorsuale;
  2. punteggio per i titoli culturali e professionali ulteriori rispetto al titolo d’accesso;
  3. pubblicazioni.

Qualora la valutazione dei titoli dovesse eccedere i 20 punti, la stessa è ricondotta entro tale limite (ossia 20 punti).

1. Punteggio per il titolo d’accesso alla procedura concorsuale

Si tratta  della laurea in Scienze della Formazione Primaria e il diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/02. Il punteggio massimo attribuibile al titolo d’accesso è 5 punti.

2. Punteggio per i titoli culturali e professionali ulteriori rispetto al titolo d’accesso

Di seguito i titoli culturali e professionali valutabili nell’ambito del concorso Infanzia e Primaria e i relativi punteggi:

– Inserimento nella graduatoria di merito di un precedente concorso ordinario per titoli ed esami per lo specifico posto, per ciascun titolo. Punti 3,5
– Diploma di laurea, laurea specialistica o laurea magistrale costituente titolo di accesso alle classi di concorso A-24 e A-25 per la lingua inglese (si valuta un solo titolo). Punti 2,5
– Diploma di laurea, laurea specialistica o laurea magistrale o diploma ISEF costituente titolo di accesso alle classi di concorso A-48 e A-49 per scienze motorie (si valuta un solo titolo). Punti 2,5
– Diploma di laurea, laurea specialistica o laurea magistrale; diploma accademico di II livello o diploma di conservatorio costituente titolo di accesso alle classi di concorso A-29, A-30, A-55 e A-56 di ambito musicale (si valuta un solo titolo). Punti 2,5
– Diploma di laurea, laurea specialistica, laurea magistrale, diploma accademico di vecchio ordinamento e diploma accademico di II livello, non altrimenti valutati, per ciascun titolo. Punti 2
– Laurea triennale nelle classi di laurea L-11 e L-12, purché il piano di studi abbia ricompreso 24 crediti nel settori scientifico disciplinari L-UN  01 ovvero L-UN 02 e 36 crediti nei settori scientifico disciplinari L-UN 11 ovvero L-UN 12, non cumulabile con il punteggio di cui al punto B.2. Punti 1,5
– Abilitazione all’insegnamento con metodo didattico Montessori, Pizzigoni o Agazzi, per ciascun titolo. Punti 1
– Ulteriore abilitazione sullo specifico posto. Punti 2
– Dottorato di ricerca; diploma di perfezionamento equiparato per legge o per statuto e ricompreso nell’allegato 4 nel Decreto del Direttore Generale per il personale della scuola 31 marzo 2005, per ciascun titolo. Punti 5
– Abilitazione scientifica nazionale a professore di I o II fascia, per ciascun titolo. Punti 5
– Attività di ricerca scientifica sulla base di assegni al sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997 n. 449, ovvero dell’articolo 1, comma 14, della legge 4 novembre 2005 n. 230, ovvero dell’articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, per ciascun titolo. Punti 5
– Diploma di specializzazione universitario di durata pluriennale. Punti 1,5
– Titolo di specializzazione sul sostegno alle alunne ed alunni con disabilità (non valutabile per le procedure concorsuali sul sostegno) Punti 1,5
– Titolo di perfezionamento all’insegnamento in CLIL conseguito ai sensi dell’articolo 14 del DM 249/2010 ovvero titolo abilitante all’insegnamento in_CLIL in un Paese UE. Punti 1,5
– Certificazione CeClil o certificazione ottenuta a seguito di positiva frequenza dei percorsi di perfezionamento in CLIL di cui al Decreto del Direttore Generale per il personale scolastico 16 aprile 2012, n. 6 o per la positiva frequenza di Corsi di perfezionamento sulla metodologia CLIL della durata pari a 60 CFU, purché congiunti alla certificazione nella relativa lingua straniera di livello almeno B2. Punti 1
– Certificazioni linguistiche di livello almeno C1 in lingua straniera conseguite al sensi del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 7 marzo 2012, prot. 3889, pubblicato sulla G.U. n. 79 del 3 marzo 2012 ed esclusivamente presso gli Enti certificatori , compresi nell’elenco degli Enti certificatori riconosciuti dal Miur ai sensi del predetto decreto. C1 Punti 2; C2 Punti 3
– Diploma di perfezionamento post diploma o post laurea, master universitario di I o II livello, corrispondenti a 60 CFU con esame finale, per un massimo di tre titoli, conseguiti in tre differenti anni accademici. Punti 0,5
– Titolo di specializzazione in italiano L2 di cui all’articolo 3. Punti 1,5

3. Pubblicazioni

– Per ciascun libro o parte di libro, dai contenuti inerenti ai percorsi della scuola dell’infanzia e primaria ovvero alle aree trasversali della pedagogia, della didattica e della didattica inclusiva o dell’utilizzo delle Tecnologie per l’informazione e la comunicazione nella didattica, purché risulti evidente l’apporto individuale del candidato. Punti l
– Per ciascun articolo dai contenuti inerenti alla specifica classe di concorso ovvero alle aree trasversali della pedagogia, della didattica e della didattica inclusiva o dell ‘utilizzo delle Tecnologie per l’informazione e la comunicazione nella didattica, pubblicato su riviste ricomprese negli  elenchi ANVUR. Punti 0,2

Concorso ordinario Infanzia e Primaria: preparati con Tuttoscuola

Per aiutare a preparasi nel modo giusto al concorso infanzia e primaria, Tuttoscuola ha realizzato il corso “Concorso Infanzia e Primaria: verso la prova preselettiva” che prevede l’approfondimento delle principali tematiche educative, normative e didattiche, presenti sul bando di concorso e fondamentali per l’accesso al mondo della scuola.

Attraverso un mix di interventi in registrata e dirette, con un alto livello d’interattività, i nostri docenti presenteranno le problematiche più diffuse e le teorie psicopedagogiche di riferimento.

Come valore aggiunto Tuttoscuola propone anche 2 webinar di tutoraggio, nei quali i nostri esperti risponderanno a tutte le domande e ai dubbi relativi agli argomenti presentati e, più in generale, a tutti gli aspetti poco chiari incontrati nello studio.

I nostri formatori sono docenti della scuola dell’infanzia e primaria, con grande esperienza nel campo della formazione e esperti di chiara fama e autorevolezza, tra i quali il prof. Italo Fiorin, coordinatore della commissione per le Indicazioni Nazionali del Primo Ciclo e il prof. Sergio Govi, un punto di riferimento a livello nazionale sul tema della normativa scolastica.

Concorso DS: 1982 vincitori subito, 560 l’anno prossimo e gli altri nel 2021-22

da Tuttoscuola

Poche ore ancora poi si conoscerà finalmente la graduatoria del concorso DS. Contemporaneamente si conosceranno i potenziali vincitori destinati a ricoprire i 2900 posti che verranno assegnati, a cominciare dal prossimo settembre e nei prossimi anni fino al completo esaurimento della graduatoria.

I primi 1982 candidati (e altri 7 per il Friuli Venezia Giulia lingua slovena) saranno chiamati subito a indicare le regioni di maggior preferenza, mentre tutti gli altri potenziali vincitori (poco più di 900) fino al 2900.mo posto dovranno attendere gli anni prossimi.

Ma quanti potranno essere nominati vincitori l’anno prossimo?

Si possono fare già alcune stime attendibili sulla base del recente turn over.

Quest’anno hanno lasciato il servizio per raggiunti limiti di età o di servizio oppure per quota 100 esattamente 560 dirigenti scolastici. Si può stimare che un numero simile di pensionamenti si possa avere anche per l’anno prossimo.

Potrebbero essere nominati vincitori nel 2020-21 i candidati compresi tra il 1983.mo e il 2.540-50.mo. Tutti gli altri 350-360 nel 2021-22.