Gli Esami di Stato all’epoca del Coronavirus

Gli Esami di Stato all’epoca del Coronavirus
Vecchi ricordi di un giovane maturando

di Carlo De Nitti [1]

Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene
perché, ditemi, chi non si è mai innamorato
di quella del primo banco …
ANTONELLO VENDITTI, Compagno di scuola (1975)

Tutto quello che voglio, pensavo, è solamente amore …
ANTONELLO VENDITTI, Sotto il segno dei pesci (1978)

A Chi c’era…[2]

  1. PREMESSA STORICO – SOCIALE

Ogni anno, in questo periodo, non riesco a non andare con la memoria agli esami di stato di un anno particolarissimo: quello del rapimento (16 marzo) e dell’assassinio/ritrovamento (9 maggio) di Aldo Moro; quello dei due conclavi (quello che elesse pontefice il Patriarca di Venezia Albino Luciani e quello che, dopo poche settimane, elesse l’Arcivescovo di Cracovia, Karol Woityla, che prese il nome di Giovanni Paolo II), ma anche quello dei mondiali di calcio in Argentina. Il 1978: l’anno del mio diploma, conseguito in un istituto superiore della città in cui sono nato, vivo e da quasi trentacinque anni opero nella scuola.

Erano gli “anni di piombo”, che, nell’assassinio di Aldo Moro, raggiungevano il loro climax, il loro momento più alto iniziato già ben prima e che, dopo sarebbero declinati con la sconfitta del terrorismo estremistico, “nero” e “rosso”. Anni di grandi trasformazioni socio-economiche, politiche, di affermazione di diritti anche nella scuola e nell’università con una notevole democratizzazione degli accessi. Si pensi alla legge 910/1969 (liberalizzazione delle iscrizioni all’università e la possibilità di piani di studio personalizzati) ed alla 348/1977 (abolizione del latino dalla scuola media ed obbligatorietà delle educazioni musicale e tecnica), che avevano fatto seguito alla legge 1859/1962 sull’istituzione della scuola media “unica”.

Un anno particolare: i due eserghi non rendono, di certo, compiutamente ragione della vita che i giovani vivevano (personalmente ho una cultura musicale molto “basica”) ma dicono di ansie giovanili che trovavano in quelle parole una loro rappresentazione.

  • GLI ESAMI DI MATURITA’

Era un esame tutt’affatto diverso da quello odierno. Gli esami di maturità, come allora si diceva, erano normati da un decreto legge del 15 febbraio 1969 dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione, on. Fiorentino Sullo (1921 – 2000)[3], che cambiò, in corso d’anno, sulla scia della contestazione sessantottina, l’esame di maturità: ridusse le prove a due scritte (di cui una doveva essere sempre italiano) ed una orale centrata su due discipline, da scegliersi in una rosa di quattro definita dal Ministero: una a scelta del candidato ed una a scelta della commissione, Ben presto si istaurò la prassi di farle scegliere entrambe ai candidati, che le comunicavano alla commissione “ufficiosamente” attraverso il membro interno, l’unico che conoscessero e li conoscesse. Per la prova scritta di italiano, inoltre, il candidato poteva scegliere in una rosa di quattro temi: tre tracce comuni a tutti gli ordini di scuole ed una specifica dell’indirizzo. Doveva essere un esame “sperimentale” e, quindi, provvisorio ma rimase in vigore per ben ventinove anni, fino a quando fu cambiato su proposta del Ministro on. Luigi Berlinguer con la legge 425 del dicembre 1997. La classificazione del voti era in sessantesimi e, quindi, i voti oscillavano tra il minimo 36/60 ed il massimo 60/60.

  • LA MIA <MATURITA’>

Il fatidico lunedì 3 luglio 1978, il Ministero della Pubblica Istruzione (allora era presente l’aggettivo “pubblica” come costitutivo della ratio dell’istruzione), all’epoca tenuto dall’on. Franco Maria Malfatti[4], fece trovare ai maturandi delle tracce di italiano che a posteriori definirei “profetiche”.

Scelsi di svolgere la traccia di storia, incentrata sull’influenza del movimento operaio sulla storia e la società italiana. Era, quello in carica, un governo nato proprio contestualmente al rapimento di Aldo Moro, con il sostegno importante del PCI, dopo molti decenni in cui questo era stato all’opposizione ed, all’epoca, rappresentava quasi un terzo degli italiani. Ricordo che conclusi il tema dicendo che l’aver assegnato una traccia siffatta era la riprova dell’influenza del movimento operaio nelle vicende italiane.

Invero molto interessante anche la traccia di letteratura sull’ermetismo: Ungaretti, Quasimodo e Montale. Quest’ultimo, nominato nel 1967 a senatore a vita da parte del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, e “fresco” di assegnazione del Premio Nobel nel 1975. All’epoca, non tutte le classi avevano la possibilità di “arrivare” a Montale, forse a causa di un crocianesimo ancora abbastanza diffuso nelle scuole…

Davvero profetica la traccia di cultura generale sulle prime elezioni a suffragio diretto del Parlamento europeo che si sarebbero tenute nell’anno seguente (il 10 giugno 1979, una settimana dopo le elezioni politiche: il “battesimo del voto” dei neodiplomati…).

All’orale decisi di portare come prima materia, quella scelta da me, filosofia; come seconda mi fu “assegnata” scienze, che, all’epoca, all’ultimo anno di scuola superiore era declinata nella geografia astronomica: di quell’orale non ricordo nel dettaglio cosa mi fu chiesto e come risposi, ma credo di non essere andato male (a quel tempo si accedeva agli orali senza conoscere il voto degli scritti) visto il voto conclusivo che mi fu attribuito.

  • GLI ESAMI FINISCONO?

Di quell’esame permane in me nitida memoria, nonostante gli oltre quaranta anni trascorsi da quella estate, iniziata, come allora succedeva, nella seconda metà di luglio: orali sostenuti il giorno 17 luglio, un lunedì, data oggi improponibile a studenti e professori e visita di leva presso la Capitaneria di porto di Bari il giorno 21, il venerdì successivo.

Tutti gli altri esami che ho sostenuto dopo quello – universitari e concorsuali di varia tipologia – non ne hanno mai scalfito il suo carattere paradigmatico, archetipico: una sorta di “debutto”, di ingresso nel mondo dei “grandi”[5], in cui si andava avanti soltanto, assumendosi le proprie responsabilità nelle scelte che si poteva compiere, finalmente, in autonomia.

Concludere gli esami di maturità era il voltare pagina nella vita, era il chiudere un capitolo, di cui sarebbe rimasta in tutti indelebile memoria, quale substrato per aprirne altri: studi/lavoro (nel mio caso sapevo con assoluta precisione che avrei proseguito gli studi ed in quale direzione si sarebbero orientati), maggiore età appena acquisita o da acquisire (nel caso mio qualche mese dopo), patente di guida da acquisire con conseguente autonomia negli spostamenti (personalmente, l’avrei presa circa nove anni dopo). Il concludere gli esami era – per me come per tutti – un momento di catarsi, un punto di non-ritorno, la svolta…

La conclusione dell’ultimo anno di scuola secondaria di secondo grado non è solo una semplice “fine” come quelle sperimentate in precedenza: non è un “arrivederci” a tre mesi dopo ma un “addio” che non riguarda solo gli adolescenti ma anche gli insegnanti e, mi sia consentito, “indirettamente” pure i dirigenti scolastici …[6]

Come si fa quindi a non essere d’accordo con coloro i quali auspicano che, in condizioni di assoluta sicurezza per tutti, desiderano che i maturandi possano vivere l’esame di Stato nella loro scuola, tra i loro compagni e con i loro professori, che li hanno visti crescere per cinque /tre anni?

Poter compiere scelte di vita, quali quelle che si effettuano dopo il diploma insieme e con il sostegno di chi ha contribuito a farli crescere per cinque anni come i professori ed il gruppo dei pari con cui si sono condivisi tanti momenti di vita (i momenti di scuola sono momenti di vita tout court) è certamente molto più securizzante che farle nella privata solitudine della propria casa, seppure in collegamento telematico con … il mondo intero, com’è possibile attualmente con le TIC.

In quei giorni, in quell’esame converge il “portato” di un intero percorso di studi e di vita di un gruppo, una comunità in cui si sono combinate ed incrociate “storie di vita”: una classe (tre sostantivi, tutti collettivi) con i suoi insegnanti, insomma. Qualcosa di unico, indelebile, che si situa nei “cassetti” delle memoria e che riemerge, magari, in circostanze particolari, come questa, per esempio …

Come dimenticare di aver studiato insieme, aiutandosi reciprocamente, anche superando le distanze cittadine a piedi o con l’aiuto dei bus urbani ?

Come non ricordare, approssimandosi i sessanta, quando cercammo, invano, di mettere in scena la pièce teatrale Natale in casa Cupiello di Eduardo de Filippo?

Come dimenticare gli anni in cui una mia compagna di classe – da dirigente scolastico dovrei dire che è una frode – imitava in modo perfetto la firma del vice preside per la giustificazione delle assenze di studenti di ogni classe, quando “marinavano” la scuola?

Come dimenticare, ad esempio, di aver rinunciato a vedere la partita inaugurale del campionato mondiale di calcio in un’Italia ammutolita da un gol lampo francese, poi “rinfrancata” dal pareggio di Roberto Bettega ed, infine, “risorta” con il gol vincente di Renato Zaccarelli ed il conseguente boato del palazzo in cui abitavo e dei circostanti?

Come non ricordare di aver raggiunto in autostop con altri due miei compagni (l’idea, ovviamente, non fu mia) il ristorante in cui fu realizzato il pranzo di fine anno, ubicato all’estrema periferia di via Giovanni Amendola, in una zona solo parecchi anni dopo densamente urbanizzata?

Come… tanto, tanto altro… di quell’anno:

i film (Ecce bombo, L’albero degli zoccoli, Ciao maschio! Un mercoledì da leoni, etc.);

la musica (Sotto il segno dei pesci, Una donna per amico, Stayng’ alive, Figli delle stelle);

il calcio (nel campionato 1977/78 la morte sul campo di calcio di Renato Curi, durante una partita Perugia – Juventus).

  • TRA “IO” E “NOI” VERSO IL MONDO ADULTO

Senza gli Esami di Stato in presenza verrebbe meno un rito di iniziazione all’età adulta, un passaggio in cui il Noi della comunità/società interagisce con l’io. Un’aula non può essere sostituita da un personal computer o da un cellulare dalla malferma connettività. La connessione deve essere reale ed interpersonale. Ogni persona può vivere soltanto in una dimensione plurale, nella dimensione del “Noi”, che la legittima, come insegnava già Aristotele. Oggi, nella società che dalla fine del XX secolo, è stata definita prima “postmoderna” (Jean François Lyotard) e “complessa” (Edgar Morin), divenendo poi “liquida” (Zygmut Bauman) lo stigma precedentemente delineato è entrato in crisi ed è venuto meno: è crollato. La dimensione del Noi non ha quasi più senso nel tempo in cui ci tocca di vivere, come ci insegnava qualche anno fa Vincenzo Paglia[7].

Se, come scuola, priviamo gli adolescenti di questo forte momento di integrazione sociale che sono gli esami, vissuti come affermazione dell’io all’interno di un Noi fraternamente solidale, gli avremo sottratto qualcosa di molto importante, di costitutivo della loro personalità di giovani che vanno verso l’adultità.

La fraternità ha, per forza di cose, una dimensione plurale: essa sconfigge il monoteismo dell’io che mina anche la libertà e l’uguaglianza. Poiché tessere la convivenza umana è il compito grave e urgentissimo che, all’epoca del Coronavirus, tutti, come società e come scuola, abbiamo davanti. Quest’ultima è uno dei luoghi dove il “noi” nasce e vive, un luogo “u-topico”, il principale, in cui questo processo accade e accadrà. Gli esami per via telematica sarebbero un’occasione persa per un’intera comunità educante …


[1] CARLO DE NITTI (Bari 1960) opera da quasi trentacinque anni nella scuola pugliese: dal 2007, è dirigente scolastico, dopo avere insegnato per ventuno anni,

[2] A chi c’era … ad esempio, la mia classe: Marcella, Giuditta, Giusy, Maria, Anna, Giuseppe (per tutti Joe), Anna, Lucia, Moira, Carlo, Lello, Francisco, Ottavio, Lucia, Antonio (detto Gugù), Mariella, Antonietta, Palmiro, Patrizia, Antonello, Donatella, Giorgio, Pietro. In ordine alfabetico di cognome, qui, come allora, a scuola e con i diminutivi dell’epoca …

I nostri professori: Domenico Pulice (Italiano e Storia), Anna Maria Biancolillo Stefanì (Filosofia e pedagogia), Marisa Frazzetto Petrizzelli (Latino), Maria Ciampolillo (Matematica e fisica), Felice Sasso (Esercitazioni di tirocinio), Felice Vita (Scienze naturali, chimica e geografia), Antonella Martino (Disegno e storia dell’arte), Elena Vigliano (Musica e canto corale), Marcello Brescia (Educazione fisica), Nicola Bonerba (Religione). Senza dimenticare il preside, prof. Vincenzo De Gregorio (nato nello stesso paese di Francesco De Sanctis, Morra irpina) e del temutissimo vice preside, il prof. Antonio de Feo, stimato docente di matematica e fisica, ed i docenti avuti negli anni precedenti, i proff. Caterina Caligiuri (filosofia) Pasqua Violante (lettere), Vito Adessa (francese),  Carlo Minenna (Italiano), Luigi Bilancia (matematica e fisica), Angela Ninni (scienze naturali, chimica e geografia), Antonio Pezzetta (latino), Apollonia Di Terlizzi (francese), Apollonia Massari (Disegno e storia dell’arte), Michele Maurelli (ed. fisica). Tralascio, ovviamente, soprannomi ed appellativi di cui, pure, ho memoria certa …

Per non far mancare nulla, la Commissione d’esame: il Presidente, prof. Rodolfo Striccoli, dell’Università degli studi di Bari, ed i Commissari, proff. Pasquale Barbangelo (lettere), Maria Cingolani (filosofia), Francesco Pellegrino (Scienze), Francesco Lavolpe (matematica), Felice Vita (membro interno).

A chi c’era … in altre classi (Gianluca, Carlo, Enzo, Aldo, il gruppo di ed. fisica maschile, etc.) e, leggendo, si riconosce in queste righe!!!

[3] Era il primo dei governi presieduti dall’on. Mariano Rumor (1915 – 1990).

[4] Era il Governo Andreotti IV.

[5] Invero, sono partecipe di una generazione di italiani che ha sostenuto esami scolastici anche in seconda elementare (fine primo ciclo), nel 1968, in quinta elementare (licenza elementare), nel 1971, ed in terza media, nel 1974, prima degli esami di cosiddetta “maturità”. Non a caso, erano chiamati in questo modo…

[6] Quest’anno si diplomeranno, nell’IISS che ho l’onore di dirigere, i/le ragazz* che sono arrivat* nelle classi prime l’anno in cui sono arrivato io, nel settembre 2015.

[7] VINCENZO PAGLIA, Il crollo del Noi, Roma – Bari 2017, Laterza.

Learning Passport

COVID-19: UNICEF e Microsoft lanciano la piattaforma di apprendimento globale per aiutare ad affrontare la crisi dell’istruzione

La chiusura delle scuole in più di 190 paesi costringe oltre 1,57 miliardi di studenti a lasciare le loro classi; il Learning Passport mira a far sì che i bambini continuino ad apprendere. 

20 aprile 2020 – L’UNICEF e Microsoft Corp. oggi hanno annunciato il potenziamento di una piattaforma di apprendimento globale per aiutare i bambini e i giovani coinvolti dalle misure legate al COVID-19 a portare avanti la loro istruzione a casa.

Il “Learning Passport” (“Passaporto per l’apprendimento”) è nato come una partnership tra UNICEF, Microsoft e l’Università di Cambridge e i suoi dipartimenti Cambridge University Press e Cambridge Assessment, progettato per fornire istruzione ai bambini sfollati e rifugiati attraverso una piattaforma digitale di apprendimento a distanza. Ora ha avuto una rapida espansione per facilitare i programmi di studio a livello nazionale per i bambini e i giovani le cui scuole sono state costrette a chiudere a causa del COVID-19. La piattaforma fornirà anche risorse cruciali agli insegnanti e ai formatori. 

“Dalla chiusura delle scuole, all’isolamento, a un persistente senso di paura e di ansia, gli effetti di questa pandemia stanno avendo un impatto sull’infanzia in tutto il mondo”, ha dichiarato Henrietta Fore, Direttore Generale dell’UNICEF. “Dobbiamo unirci ed esplorare ogni strada per far sì che i bambini apprendano e per aiutarli a superare questo difficile momento. Con partner di lunga data come Microsoft, siamo in grado di realizzare rapidamente soluzioni innovative ed espandibili su scala per i bambini e i giovani. Gli adattamenti apportati al Learning Passport sono un potente promemoria di ciò che possiamo realizzare insieme per i bambini man mano che la crisi peggiora a livello globale”.  

Secondo gli ultimi dati disponibili dell’UNESCO, 1,57 miliardi di studenti sono stati colpiti dalla chiusura delle scuole in oltre 190 paesi in tutto il mondo. 

Il Learning Passport, in fase di sviluppo negli ultimi 18 mesi, doveva partire quest’anno come programma pilota. Quando la pandemia globale ha colpito e le scuole sono state chiuse in tutto il mondo, il programma ha subito una rapida espansione della sua portata. Ora tutti i Paesi con un programma di studi che può essere insegnato online saranno in grado di agevolare l’apprendimento da remoto per i bambini e i giovani con dispositivi a casa. 

Kosovo, Timor Est e Ucraina – che nelle scorse settimane hanno chiuso i cancelli delle loro scuole per contribuire ad arrestare la trasmissione del virus – sono i primi a diffondere il loro programma di studi online attraverso il Learning Passport. I contenuti disponibili per gli studenti comprendono libri online, video e supporto aggiuntivo per i genitori di bambini con difficoltà di apprendimento.

“Così come l’impatto del COVID-19 non ha confini, le soluzioni adottate in risposta non devono avere confini, poiché richiedono la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato per garantire che ogni studente rimanga impegnato e continui ad apprendere”, ha dichiarato Brad Smith, Presidente di Microsoft. “Il Learning Passport dell’UNICEF si posiziona in modo unico come soluzione di apprendimento adattabile su scala per colmare il divario di apprendimento digitale e permettere a milioni di studenti di portare la loro classe a casa durante la pandemia”.

I bambini e i giovani che continuano la loro formazione online possono farlo attraverso una piattaforma specifica per il loro paese, accessibile attraverso la pagina learningpassport.unicef.org del loro paese. La piattaforma per ogni paese fornisce un piano di studi digitalizzato con libri di testo e una selezione di contenuti supplementari, nelle lingue nazionali, che viene gestita congiuntamente a livello nazionale per soddisfare al meglio le esigenze specifiche degli studenti e degli insegnanti. Il Learning Passport raccoglie un registro delle materie del piano di studi che ogni studente apprende e guida gli studenti, con poco supporto aggiuntivo necessario.

Il Learning Passport è un esempio di come l’UNICEF collabori con il mondo delle imprese – una collaborazione basata su un approccio con valori condivisi, in cui produrre valore sociale e rispondere alle sue sfide ha anche un perfetto senso commerciale.

Il Learning Passport fa parte dell’iniziativa Generazione Unlimited Global Breakthrough sulla formazione e il lavoro a distanza che mira a utilizzare la tecnologia per rispondere alle sfide affrontate dagli studenti, dai facilitatori e dai fornitori di servizi formativi, in particolare in contesti di conflitto e umanitari. Generation Unlimited è un partenariato globale multisettoriale per soddisfare il bisogno urgente di espandere le opportunità di istruzione, formazione e lavoro per i giovani.

FUN 2017/18 e 2018/19

FUN 2017/18 e 2018/19: incontro a distanza con il Ministero dell’istruzione

Si è tenuto stamattina, in videoconferenza, il previsto incontro tra Ministero e Organizzazioni sindacali rappresentative dell’area dirigenziale “istruzione e ricerca” per discutere del FUN relativo agli anni scolastici 2017/2018 e 2018/2019, come più volte sollecitato dall’ANP.

L’Amministrazione, rappresentata dal Direttore Generale delle risorse umane e finanziarie, ha comunicato di aver avviato un monitoraggio con gli Uffici scolastici regionali per definire con precisione il fabbisogno necessario alla retribuzione delle reggenze per i suddetti anni scolastici. Il loro costo dovrebbe gravare sulle risorse destinate alla retribuzione di risultato senza determinare incapienza e necessità di restituzione nemmeno nelle regioni particolarmente coinvolte dalla patologia delle reggenze.

L’ANP ha ribadito, al riguardo, che reputerebbe inaccettabile qualsiasi ipotesi di restituzione e, per prevenire questa evenienza, ha proposto di accelerare la definizione del FUN 2018/19 e di dare esecuzione simultaneamente ai contratti integrativi regionali concernenti i due anni in questione.

I risultati del monitoraggio saranno comunicati dal Ministero nel corso del prossimo incontro che si terrà, presumibilmente, il 27 aprile 2020.

L’ANP terrà informati i colleghi di tutti gli esiti successivi.

ABILITATI IN ROMANIA: IL CONSIGLIO DI STATO ACCOGLIE CON SENTENZA DEFINITIVA IL RICORSO

ABILITATI IN ROMANIA: IL CONSIGLIO DI STATO ACCOGLIE CON SENTENZA DEFINITIVA IL RICORSO NON ESSENDO CONTESTATO IL TITOLO DI STUDIO E L’ABILITAZIONE ALL’INSEGNAMENTO IN ROMANIA ANNULLATA LA SENTENZA DEL TAR LAZIO

Di particolare importanza la pronuncia della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n.2494 del 20 aprile 2020 di accoglimento dell’appello patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza del Foro di Roma, a favore di un docente abilitato in Romania ,che ha annullato la sentenza breve di rigetto n.12187/2019 del Tar Lazio Sez. III Bis emessa nei confronti di abilitato all’insegnamento in Romania.

In particolare il ricorso era stato presentato per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ad oggetto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia ,dell’ avviso MIUR n. 5636/2019 , del rigetto della istanza della ricorrente finalizzata al riconoscimento della abilitazione conseguita in Romania nella parte in cui il MIUR assumeva che i titoli denominati “Nivel I e Nivel II” conseguiti dai cittadini italiani in Romania, non soddisfacevano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE  ;

Contrariamente a quanto disposto dal TAR Lazio con la sentenza impugnata, il Collegio della Sez.VI del Consiglio di Stato con sentenza n.2494 del 20 aprile 2020 emanata ai sensi dell’art.84 co. 5, del D.L.n.18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa, ha accolto il ricorso dell’Avv. Maurizio Danza riformando la sentenza del TAR Lazio sez. III BIS

Il Consiglio di Stato in particolare ha motivato l’accoglimento sostenendo che , con l’appello in esame è stata impugnata la sentenza del T.A.R. per il Lazio di rigetto del ricorso avverso il provvedimento del Ministero, che comunicava che i titoli denominati “Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II”, conseguiti da cittadini italiani in Romania, non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche, e che pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei suddetti titoli erano da considerarsi rigettate;

l’amministrazione aveva espresso un diniego particolare, indirizzato a ogni singolo ricorrente, sulla scorta del richiamo al precedente e generale provvedimento predetto; in particolare, l’amministrazione precisava che la tipologia di formazione professionale in oggetto viene considerata dall’autorità competente rumena condizione necessaria ma non sufficiente al rilascio dell’attestazione di conformità da parte dell’autorità competente del medesimo Stato membro;

la nota n. 5636 del 2 aprile 2019 pubblicata sul sito istituzionale precisa, tra l’altro, che: per la professione di docente non si applica il regime del riconoscimento automatico, ma il sistema generale che prevede la valutazione dei percorsi di formazione attraverso l’analisi comparata dei percorsi formativi previsti nei due Stati Membri coinvolti; con nota del Ministero rumeno dell’educazione del novembre 2018 è stato chiarito che il possesso del certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania e che l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/Ce sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, si rilascia al richiedente solo nel caso in cui quest’ultimo abbia completato in Romania sia studi di istruzione superiore post secondaria sia studi universitari; la formazione svolta dai cittadini italiani non è riconosciuta dalla competente autorità rumena ai fini della direttiva in questione;

Considerato che non appare contestato che parte appellante sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania;

– il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania;

– la Sezione si è già espressa sulle medesime questioni in senso favorevole a parte appellante (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 1198/2020) e non sussistono ragioni per discostarsi da tale precedente di cui di seguito si riportano i passaggi motivazionali essenziali;

– invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018); pertanto, una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia;

– l’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana; ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana. Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

– in tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675);

– per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).” Pertanto, a fronte della sussistenza in capo a parte appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego. A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, il Ministero è chiamato unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno;

Il Consiglio di Stato ha concluso definitivamente pronunciandosi sull’appello, e in riforma della sentenza impugnata, ha accolto il ricorso di primo grado .

DIDATTICA A DISTANZA

“DIDATTICA A DISTANZA FINAS E CUORE DIGITALE SCRIVONO AL MINISTRO AZZOLINA”

“Nelle ultime settimane il dibattito pubblico sul potenziamento della didattica digitale è stato oggetto di un confronto politico ed istituzionale molto serrato. Nell’ottica di apportare un contributo volto a favorire il diritto allo studio di studenti e famiglie le associazioni  Future Is Now (FINAS) e Cuore Digitale hanno redatto una lettera rivolta al Ministro Azzolina ed alle numerose istituzioni attive nella promozione del digitale nel nostro paese. Tra i destinatari della missiva infatti anche due presidenti di commissione della Camera dei Deputati ed il presidente della VII commissione del Senato della Repubblica Mario Pittoni, commissione che ha in esame in questi giorni il DL scuola che prevede il potenziamento della didattica digitale. “
Di segutio la lettera: 

Ministero Sviluppo Economico Sottosegretario Gian Paolo Manzella
Camera Deputati Presidente IX Commissione Telecomunicazioni Alessandro Morelli
Camera dei Deputati Presidente VII Commissione Luigi Gallo
Senato della Repubblica Presidente VII Commissione Mario Pittoni 
Ministro Paola Pisano Ministero Innovazione
Amministratore Delegato Infratel Marco Bellezza

Onorevole Ministro Azzolina,
Le scriviamo la presente per fornire un contributo costruttivo a favore di studenti e famiglie volto a garantire il diritto allo studio.Nel nostro paese un terzo delle famiglie italiane non possiede un pc né tantomeno device digitali, e non ci riferiamo esclusivamente al meridione, a Roma ad esempio una persona su 5 vive sotto la soglia di povertà, e la scelta molto spesso è tra pagare la bolletta della luce e l’allaccio della rete internet.
Pertanto ricevere un device digitale da parte dello Stato può essere un utile supporto per garantire il diritto allo studio degli studenti, tuttavia se gli Istituti scolastici e le famiglie non hanno una rete infrastrutturale solida ed ampiamente diffusa, sarà difficile che potranno connettersi per la didattica online anche dopo l’emergenza del COVID-19.Peraltro vista la mole di dati anche una connessione ADSL verrebbe rallentata.  Oggi abbiamo la possibilità di digitalizzare i servizi e interconnettere istituti, studenti e genitori. Già ora stiamo scoprendo l’importanza degli insegnamenti da remoto ma arriveremo presto anche alla virtualizzazione dei professori nella propria casa e l’aggiungersi di varie applicazioni di realtà aumentata.In uno scenario del genere dove l’educazione viaggia sulla rete, bisogna tenere in considerazione i requisiti necessari per sostenere il traffico dati generato da un intero istituto che sommato agli alti istituti si tratta di un “tsumani” di dati che solo la fibra ottica puo’ sostenere ; la fibra ottica è l’alleato ideale per l’e-learning alle massime prestazioni.Entrambe le associazioni hanno collaborazioni stabili con le istituzioni governative, regionali e comunali, tra l’altro “Future is now” collabora attivamente col suo dicastero e  “Cuore Digitale” ha attestati di stima tra i vari partner tecnologici anche a livello internazionale; pertanto le nostre proposte sono frutto della nostra esperienza professionale e ci rivolgiamo a tutti gli organismi di governance pubblica. Concretamente, riteniamo necessario che si avvii quanto prima una cabina di regia interministeriale che veda coinvolta oltre al suo dicastero anche: l’ANCI;  la conferenza stato-regioni; il Ministero dell’Innovazione; il Ministero dello Sviluppo economico, e Infratel. Tale organismo riteniamo debba individuare gli istituti scolastici privi di connessione di rete affinché entro settembre possano potersi connettere ad internet, ed avviare uno sportello telematico per le famiglie bisognose dove poter richiedere delle sim con traffico di rete per la didattica a distanza. Si potrebbe inoltre proporre agli operatori telefonici che sono già partners del MIUR con la carta Io Studio, di donare gigabyte agli studenti che non hanno le possibilità economiche di accedere alla rete internet.
Certamente necessario l’approccio sopra menzionato perché rapidamente rispondiamo ad una esigenza ma altrettanto auspicabile è attivarsi immediatamente per creare una infrastruttura future proof. Le strade sono due :

  • portiamo la fibra ottica in tutte le scuole, con la massima priorità 

oppure 

  • nel progetto già esistente WiFi.Italia.It si dovrà procedere alla fornitura e installazione di Access Point WiFi non solo negli ospedali come sta avvenendo attualmente, ma prioritari lo saranno anche le scuole.

Certamente l’uno non esclude l’altro.
Prendiamo inoltre atto all’inizio di questa emergenza sanitaria, sociale, economica ed educativa,  che il MIUR non ha attivato in alcun modo i canali  di welfare dello studente, come ad esempio la carta “Io Studio” con i suoi numerosi partners. Il suo dicastero ha invece lanciato l’ hashtag #lascuolanonsiferma eppure come lei stessa ha potuto constatare, la scuola purtroppo in alcuni casi si è fermata.L’associazione culturale studentesca Future Is Now è un ente no profit attiva nella promozione di progetti  rivolti a studenti e famiglie che persegue scopi sociali ed educativi, cercando anche di ridurre la marginalizzazione di soggetti che rischiano di veder trascurate le proprie istanze.  In tale prospettiva, l’associazione, oltre ad aver curato progetti di particolare interesse istituzionale e civico, come “Scuola trasparente” in collaborazione con ANAC, MIUR e Presidenza del Consiglio, realizza da 5 anni campagne di media education contro bullismo e cyberbullismo ed educazione alla legalità, fino ad arrivare a temi più delicati ed attinenti alla sfera intima delle persone con disabilità.
L’associazione Cuore Digitale è un’associazione no profit che ha l’obiettivo di generare impatto sociale sul territorio nazionale attraverso la promozione della cultura digitale, la divulgazione degli strumenti tecnologici e la condivisione, con diverse realtà anche internazionali, di quelle che sono le conoscenze e competenze in ambito innovazione.Cuore Digitale, e i diversi riconoscimenti anche istituzionali ricevuti ne danno atto, contribuisce ad operare per il bene comune valorizzando il capitale umano affinché l’innovazione diventi driver e strumento essenziale per migliorare la qualità di vita di tutte le persone, in particolare dei più fragili e svantaggiati.
Con l’augurio che questa nostra missiva possa aver contribuito al processo di miglioramento della pubblica amministrazione ci rendiamo disponibili a collaborare, compatibilmente con i nostri impegni professionali, per indirizzare al meglio i piani operativi in essere.
Filippo Pompei                                                                      Gianluca RicciPresidente FutureIsNow                                                       Presidente Cuore Digitale

FASE 2, NON SIA UNA RESA AL COVID-19

FASE 2, NON SIA UNA RESA AL COVID-19

Lo scorso 10 aprile 2020 il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato di aver firmato un nuovo Dpcm con cui vengono prorogate fino al 3 maggio le misure restrittive per il contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Con il nuovo Dpcm, a partire dal 14 aprile, sarà consentita l’apertura delle cartolerie, delle librerie e dei negozi di vestiti per bambini e neonati e vengono inserite tra le attività produttive consentite la silvicoltura e l’industria del legno.

Seguirà la cosiddetta “fase 2”, per far ripartire il sistema produttivo attraverso un programma articolato di avvio graduale di alcune attività produttive e commerciali. A fronte di questa prospettiva, stante l’attuale situazione epidemiologica e i problemi inevitabili che si porranno per i settori scuola e università, l’Associazione Nazionale Docenti, con una lettera aperta, ha inteso far pervenire al Presidente del Consiglio alcune sue valutazioni e delle esplicite richieste volte ad evitare che la c.d. “fase 2” si risolva in una resa incondizionata al Covid-19.

In breve, l’Associazione Nazionale Docenti chiede che, nella “cosiddetta fase 2”, siano adottati provvedimenti che consentano di riprendere gradualmente condizioni di “normalità” per ambiti geografici “sanificati, NO Covid-19”, ovvero la revoca delle limitazioni alla circolazione e la ripresa delle attività economiche e commerciali all’interno dei comuni ove non si registrano casi di contagio, ampliando gradualmente verso aree geografiche più vaste ma prive di contagi.

TESTO DELLA LETTERA

Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri

FASE 2, NON SIA UNA RESA AL COVID-19

Ill.mo Prof. Giuseppe Conte
Presidente del Consiglio dei Ministri

Pregiatissimo Presidente,

la situazione sanitaria eccezionale che il nostro Paese si è trovato a fronteggiare sfuggiva, e ancora sfuggirà, per alcuni aspetti persino all’immaginario di geniali scrittori e di straordinari registi, per altri poneva questioni prevedibili e rendeva necessari interventi tempestivi che già il solo buon senso era bastevole a sollecitare. Pur non avendo la pretesa di indicare la strada ai suoi autorevoli consiglieri, è lo stesso buon senso ad ispirare questa nostra lettera, atteso che le strategie che si impongono altre ragioni non possono avere se non quelle della preminente salvaguardia della salute pubblica a cui tutti devono poter concorrere. D’altronde non siamo stati certo profetici quando chiedevamo già dai primi giorni di febbraio la sanificazione delle scuole e poi la loro chiusura e non lo siamo stati neanche quando chiedevamo, all’indomani del Dpcm dell’11 marzo, che fossero fatti tamponi anche agli asintomatici rientrati negli ultimi venti giorni nelle regioni del Sud. Gli effetti della mancata adozione di tali provvedimenti sono tangibili e sotto gli occhi di tutti!

A tal riguardo, giova ricordare che l’OMS ha dichiarato il 30 gennaio 2020 lo stato di emergenza internazionale di salute pubblica e, il giorno successivo, il Governo italiano ha deliberato quello di emergenza nazionale sanitaria fino al 31 luglio 2020. Tuttavia, la chiusura di centri nevralgici di aggregazione, come le scuole, è stata disposta solo il 4 marzo, benché da noi richiesta, unitamente ad una sanificazione generale e straordinaria delle scuole, dai primi giorni di febbraio, a Lei e ai ministri dell’Istruzione e della Salute.

Era certo prevedibile che la tardiva chiusura delle scuole e delle università avrebbe determinato il rientro nelle regioni del Sud di migliaia di studenti e di docenti di scuole e di università situate nelle regioni del Nord e, dopo l’11 marzo, a seguito della chiusura delle attività produttive e commerciali, il rientro di altri lavoratori. Tali spostamenti di popolazione hanno senz’altro contribuito alla diffusione massiccia del contagio nelle regioni del Sud, che sicuramente si sarebbe evitata se le scuole fossero state chiuse a febbraio con un’epidemia ancora incipiente nelle regioni del Nord. Anche assai prevedibili gli effetti nefasti di alcune situazioni in Lombardia, ove prontamente sono state dichiarate “zone rosse” alcune città, mentre non altre che presentavano un quadro epidemiologico altrettanto allarmante.

È evidente, e anche assai prevedibile visto anche quanto sta avvenendo in Cina ove si registrano “contagi di ritorno”, che la revoca, seppur graduale, delle attuali misure (cosiddetta “fase 2”) per alcune attività economiche e commerciali, in assenza di una strategia che tenga conto della situazione epidemiologica dei territori, rischia di vanificare gli enormi costi che il nostro Paese sta pagando per il flagello virale, in primis, di vite umane. Un’eventualità che avrebbe effetti devastanti sulla nostra popolazione, oltreché sulla tenuta sociale ed economica del Paese e che rischierebbe di rinviare a data indefinita il ritorno alla “normalità” nelle nostre scuole. A meno che la situazione dei contagi nelle regioni del Nord, ed in particolare nella Lombardia, sia assai diversa da quella ufficialmente rappresentata. Difatti, in queste regioni l’inspiegabile rapporto contagiati/decessi fa supporre che ben altro sia il numero effettivo dei contagiati e che dunque, forse qui si stia realizzando la cosiddetta “immunità di gregge”. Ma se così fosse, a quale prezzo? Una prospettiva che per il Sud sarebbe devastante. Ma lungi anche dall’immaginare che questo sia lo scenario da considerare, e le responsabilità che poi si dovranno richiamare, e che, in questo caso, ci stiamo davvero sbagliando.

In ragione di quanto detto, riteniamo necessaria, a nostro sommesso parere, d’altronde altre organizzazioni sociali (Confindustria) hanno già espresso il loro, una rivalutazione dei provvedimenti con i quali si vuole “inaugurare” la cosiddetta “Fase 2”, nella consapevolezza che i problemi che interessano il nostro settore di competenza, la scuola e l’università, mai come oggi non sono disgiunti, in verità non lo sono mai stati, da quelli generali che riguardano l’intero Paese.

 In breve, chiediamo che, nella “cosiddetta fase 2”, siano adottati provvedimenti che consentano di riprendere gradualmente condizioni di “normalità” per ambiti geografici “sanificati, NO Covid-19”, ovvero la revoca delle limitazioni alla circolazione e la ripresa delle attività economiche e commerciali all’interno dei comuni ove non si registrano casi di contagio, ampliando gradualmente verso aree geografiche più vaste ma prive di contagi. Naturalmente, rimarrebbero ancora alcuni obblighi in pubblico di distanziamento sociale e di utilizzo di mascherine e guanti. Si dovranno, invece, mantenere limitazioni, con controlli di temperatura corporea ed eventuali tamponi, per chi entra nell’area geografica sanificata. Corollario di tale strategia, non potrà che essere la ricerca costante di eventuali contagiati, ancorché non conclamati con sintomi lievi o asintomatici, attraverso l’effettuazione sistematica di tamponi per aree geografiche coincidenti con gli ambiti comunali. 

Con l’auspicio che quanto richiesto possa trovare la giusta attenzione, e che la cosiddetta “Fase 2” non si risolva in una resa al virus, la preghiamo di voler gradire l’espressione delle più vive cordialità.

Il Presidente

Prof. Francesco Greco

Diario di una prof. I tre mesi che hanno cambiato la nostra scuola

da Corriere della Sera

di Chiara Gobbi

21 febbraio: durante la personale rassegna stampa on line che accompagna la mia colazione, scopro che a venticinque chilometri da me c’è un paziente affetto da Corinavirus. Non capisco la portata della notizia, ma a scuola le mie studenti sono agitate: dopo l’intervallo, in cui hanno potuto prendere i cellulari e leggere i messaggi allarmati delle mamme (ah, le mamme!), quelle di terza non le tengo. Molte di loro abitano in quella che tra poche ore sarà la zona rossa. Giù in sala prof, all’una, c’è già il panico. Alle 14 ho una riunione in un comune vicino alla Bassa. Ci vado? Mi faranno tornare, se ci vado?

Bastano pochi giorni e il mondo da noi cambia. Il fine settimana di Carnevale serve a organizzare le idee, dal mercoledì mi arrovello per ristrutturare il lavoro. Penso alle mie studenti bloccate in casa con un cordone di polizia attorno al paese, ad ascoltare le sirene delle ambulanze e le notizie al telefono dei nonni con la febbre. Scrivo alle classi, mando qualcosa da fare, ma so che non basta: fisso lezioni via Meet. La prima volta che ci vediamo è passata una settimana dalla chiusura. Sembra un anno. Le ragazze si salutano commosse, vengono a lezione in pigiama, con il gatto in braccio e la tazza di latte davanti. Non è ancora scuola, è per ora la prova che siamo ancora vivi, che siamo ancora una classe. M’intenerisco a vedere sullo sfondo le loro camerette rosa con i peluches e la foto della comunione: a scuola sembrano così emancipate… Spiego un po’ di latino: adesso se volete ci salutiamo e gli esercizi li fate voi? No, prof, non li possiamo fare insieme? Poi mi mandate i compiti? Ma prof, non possiamo far lezione normale, anche mercoledì: così li correggiamo insieme! Sì prof, per favore, che io so già che poi non ho capito, almeno le facciamo le domande!

Le prime settimane vanno così: faccio lezione on line in alcune classi io sola, in altre io e la collega di matematica. La scuola non ha ancora mandato i tutorial sull’uso di Meet, la maggior parte dei colleghi mandano link e compiti e power point: la mattina è mia. Mettiamo le lezioni a metà mattina, i ragazzi cominciano ad arrivare più composti, senza gatto e senza pigiama. Dopo una settimana chiedo alla preside se posso interrogare. In quarta avevo chiuso un argomento e non ha senso che spieghi. Ho colleghi diffidenti sulle interrogazioni a distanza, ma io che sono nemica delle domande mnemoniche e chiedo sempre rielaborazioni, sintesi, collegamenti, so che non è un problema che abbiano davanti schemi, glieli lascio anche in classe: studiare non è un esercizio di memoria, ma di comprensione. La preside mi dice che posso, e interroghiamo.

Una delle mie seconde a scuola la vedo sempre nell’ora dopo l’intervallo, alle 11, ed è un’ora impossibile: già più corta delle altre (per l’intervallo, appunto) con loro diventa mezz’ora (sedetevi! Finisco la merenda, prof! Vado al volo in bagno che prima c’era coda! Faccio una corsa a riempire la bottiglietta che ho mangiato e adesso ho sete! Due secondi prof, mi lavo le mani che ho finito adesso le patatine!) anche perché per due volte su tre è la loro ultima ora (cosa state facendo: mancano 10 minuti? Cominciamo a metter via prof, abbiamo il treno al pelo e se non corriamo sulle scale c’è traffico! Prof posso tornare in bagno che ho bevuto tutta la bottiglietta all’intervallo e adesso non resisto fino a casa tra il pullman e tutto ci vuole un’ora e mezza?). E in questa mezz’ora hanno la testa altrove, brontolano, si danno sulla voce, non capiscono, non seguono, si rispondono male a vicenda. Ecco, a scuola questa seconda in latino è un disastro.

Adesso, le tre ore dalle 11 alle 12 sono ore perfette. Gli studenti, che si alzano dopo le nove, sono freschi e concentrati. Ognuno nella sua stanza (spegnete i microfoni!), tutti attenti e devoti. Le infinitive le hanno capite tutti. Tutti. Mai successo. I ragazzi di quarta, che la collega di pedagogia allena alle riflessioni metacognitive, mi dicono che mi vengono dietro di più perché non hanno distrazioni, forse la necessità stessa di usare un mezzo la cui connessione può essere fragile li costringe all’attenzione massima. Chi vuole mi manda i compiti per avere una correzione personalizzata. Vale farli a gruppi: hanno imparato a lavorare su un documento condiviso. Chi non ha capito qualcosa mi può scrivere, tanto sono sempre al pc, e organizziamo un Meet veloce per una spiegazione mirata.

Sono stremata: tra le lezioni, i documenti da compilare, i consigli di classe on line, i compiti da correggere, gli audio da registrare per le lezioni di storia, i power point da preparare la sera ho sempre come un leggero mal di mare, ma so che questo strano anno non è perso per niente, che abbiamo imparato tutti qualcosa di grande, che il rapporto coi miei studenti non sarà più lo stesso.

Fine marzo: è passato un mese. Un mese in cui pensavo di perdere molte lezioni per le gite, il teatro, le uscite didattiche, il PCTO (gli stages, in italiano corrente) invece ho avuto tutte le mie ore. Ora che è chiaro che a scuola non torneremo a breve — e chissà se torneremo — tutti i colleghi si sono messi a occupare le ore. Dobbiamo organizzarci e incastrarci. Qualcuno di noi teme di non riuscire ad avere abbastanza voti, qualcuno sa che non tratterà molti argomenti. Io allento la presa, riduco le ore. Lascio un po’ il tavolo della cucina a mio figlio minore, che con me e suo fratello e mio marito in videochiamata perenne dovrebbe seguire lezione di matematica dal corridoio.

Ho annunciato alle classi che per fine aprile potremo rilassarci. Ho tanti voti e un sacco di elementi di valutazione in più: la loro presenza, le loro domande, le loro mail. A maggio darò dei lavori di approfondimento a gruppi, anticiperò argomenti che pensavo di trattare a settembre e che interrogherò l’anno prossimo. I ragazzi sono increduli e grati, ma se non capiamo qualcosa la lezione di sabato la possiamo rimettere?

Ecco, la cosa peggiore che potrebbe succedere è che qualcuno ci chiedesse di tirare una riga su tutto questo, che non riconoscesse tutta questa fatica, tutto questo lavoro, nostro e loro, dei ragazzi che si fanno interrogare anche alle sei di pomeriggio, tanto prof non abbiamo niente da fare, dei miei figli che seguono con la stessa dedizione le lezioni di italiano e i tutorial di scienze motorie. Che qualcuno proponesse un’impietosa sanatoria pensando che siamo in vacanza da un mese.

Maturità 2020, «salviamo l’orale a scuola». Azzolina: ci provo, per me il momento più bello della mia vita

da Corriere della Sera

Dopo l’articolo di Paolo Giordano sul Corriere. La ministra: «Sarebbe auspicabile farlo il presenza». Giannelli (presidi): è vero è un rito di passaggio. I sindacati: si garantisca la sicurezza

di Gianna Fregonara

L’appello dello scrittore Paolo Giordano sul «Corriere» ha fatto breccia. La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, lo ha letto e, con un post su Facebook domenica mattina, ha risposto: «Come docente conosco bene il peso specifico che questa prova ha nella vita dei nostri ragazzi. Mi sono battuta fin dall’inizio dell’emergenza per salvaguardare gli Esami. L’Italia infatti è tra i Paesi, in Europa, che hanno deciso di mantenerli e di non annullarli. Anche per questo, come ho già detto ieri, auspico davvero che ci sia la possibilità, come anche tanti ragazzi ci stanno chiedendo, di svolgere almeno l’orale in presenza. Ovviamente nelle giuste condizioni di sicurezza per la salute di tutti». Ma cosa aveva scritto Giordano? «Diamo ai maturandi una prova orale in carne e ossa. Dentro la loro scuola, con i loro insegnanti radunati ad ascoltarli. – ha scritto ieri sul Corriere – Prendiamoci questo impegno subito e mettiamolo fra le priorità, accanto agli aiuti economici alle famiglie, ai test sierologici e al calendario delle riaperture aziendali». Un appello al governo e alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che dovranno decidere come si svolgerà la maturità del Coronavirus, la prima del dopoguerra così ridotta e così strana. Ma è anche un appello a riflettere – nei giorni in cui si ragiona su come si torna a lavorare – sull’importanza dell’esame per i ragazzi: è per molti la prima volta che «il mondo si accorge di te, finalmente ti prende sul serio», scrive Giordano: «Si tratta di un’occasione unica, che non si ripeterà in seguito…Nessun surrogato digitale può sostituire quell’esperienza».

Scuola, più fondi o maxi-detrazione per salvare le paritarie

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno, Claudio Tucci

Ogni nove studenti che scelgono le scuole statali ce n’è uno che opta per le paritarie. E nel comparto dell’infanzia questo rapporto scende a due. Benvenuti nel sistema nazionale di istruzione che in Italia esiste da 20 anni e che vede istituti paritari (religiosi e non) e comunali in campo accanto a quelli pubblici. Stiamo parlando di un universo variegato che non sempre ha brillato per trasparenza e qualità, ma che in alcune regioni (e in alcuni comparti) si rivela indispensabile per l’erogazione universale del servizio scolastico dai 3 anni in su di età. Un mondo che sta facendo i conti con l’emergenza coronavirus e che a settembre – quando si tornerà finalmente in classe – rischia di essere fortemente decimato. Tant’è che il Governo sta pensando di correre ai ripari con il decreto Aprile e anche le Regioni e i Comuni stanno iniziando a fare la loro parte (su cui si veda l’altro articolo in pagina).

La galassia non statale

Partiamo dai numeri. Le scuole paritarie in Italia, secondo gli ultimi dati del Miur, sono 12.564 (contro le 40mila statali) e accolgono 866.805 studenti (a fronte dei 7,5 milioni iscritti al pubblico): la fetta principale, 524.031, sono nel segmento della scuola dell’infanzia (compresi asili e materne). Il settore impiega circa 160mila unità di personale alle dipendenze, tra docenti (90mila) e tecnici-amministrativi (70mila) e tutto sommato ha retto al grande “esodo” di insegnanti che hanno colto al volo le varie tornate di stabilizzazioni iniziate nel 2015/2016, optando per il posto fisso negli istituti statali.

I fondi

Il finanziamento al mondo delle paritarie negli anni è salito, per effetto degli interventi spinti dall’ex sottosegretario, oggi deputato Iv, Gabriele Toccafondi. Il contributo pubblico ora ammonta a 512,7 milioni annui; a cui si aggiungono i 35,9 milioni previsti per inserire gli studenti con disabilità (gli ultimi dati indicano circa 12mila alunni). Le rette a carico delle famiglie oscillano dai 2mila ai 4-5mila euro, suddivise in 10 mensilità, a seconda del grado di istruzione; ma è prevista una detrazione, al pari delle scuole statali, del 19% fino a 800 euro di spese.

La riapertura a rischio

Già prima dell’emergenza coronavirus il sistema era in affanno: negli ultimi tempi, tra chiusure e nuove aperture, si sono perse circa 200 paritarie l’anno, soprattutto superiori, e con la stretta sui “diplomifici” in vigore da tre anni è stata tolta la parità a oltre un centinaio di istituti. In questo scenario è arrivata la crisi legata al Covid-19. Anche le scuole non statali sono state chiuse in tutta Italia dal 5 marzo e si sono dovute “riconvertire” alla didattica a distanza. Ma gli interventi statali di sostegno scarseggiano. Per effetto del decreto “cura Italia” le paritarie si sono viste recapitare 3,7 milioni (sui 43,5 complessivi) per le pulizie straordinarie dei plessi e l’acquisto di prodotti igienizzanti e, dopo un emendamento parlamentare, 2 milioni (contro gli 85 previsti sin dall’inizio per le scuole statali) per dotarsi di piattaforme e strumenti digitali da usare nelle lezioni online.

Il nodo restano le rette, che molti genitori, a loro volta colpiti dalla crisi, non stanno più versando. Come conferma Luigi Sepiacci, presidente di Aninsei Confindustria (che associa 600 gestori di strutture private): «A marzo ha pagato il 30% delle famiglie, ad aprile nessuno, anche chi sta usufruendo della didattica a distanza. Se continua così – è il suo allarme – a settembre rischiamo di avere il 50-60% degli asili chiusi. E quelli che resteranno in piedi saranno costretti a raddoppiare le rette». Ma un extra-costo rischia di pagarlo anche lo Stato. Un’eventuale chiusura di massa delle scuole paritarie costerebbe alla collettività circa 5-6 miliardi di euro all’anno, considerando che, secondo l’Ocse, la spesa media complessiva per uno studente è in Italia di circa 6.500 euro all’anno.

Le misure allo studio

Per evitare lo tsunami di settembre paventato da Sepiacci il Governo sta pensando di aiutare il mondo delle paritarie. A oggi allo studio ci sono due strumenti: un potenziamento delle detrazioni vigenti per ristorare i genitori con cifre maggiori. Oppure un fondo ad hoc, «che dovrà avere una capienza di non meno di 100 milioni di euro – avverte Toccafondi – per aiutare le famiglie in difficoltà con i pagamenti». Su entrambi gli strumenti sono in corso approfondimenti dei tecnici del Mef. L’intervento dovrebbe confluire nel decreto atteso per fine aprile. Ma la crisi morde e il tempo stringe.

Lo stop alle rette dei nidi mette a rischio i servizi per l’infanzia

da Il Sole 24 Ore

di Valentina Melis

Con la chiusura di scuole e asili nido da fine febbraio per l’epidemia da coronavirus, i Comuni hanno fatto scattare pressoché ovunque lo stop al pagamento delle rette a carico delle famiglie per nidi (pubblici e convenzionati), mense e trasporto scolastico. Le formule adottate dai Comuni cambiano in base all’organizzazione dei servizi e alle modalità della tariffazione, ma sostanzialmente sono stati azzerati i pagamenti da marzo in poi e in alcune città (come Roma o Bari), per le famiglie che avessero già pagato in un’unica soluzione, saranno riconosciuti crediti da spendere l’anno prossimo.

Questo stop ha imposto due problemi. Il primo è la drastica diminuzione delle entrate per i nidi: pubblici, convenzionati e privati. Il sistema dei nidi si poggia fortemente, in tutta italia, sugli operatori privati: dei 354.641 posti disponibili, solo il 51% sono in strutture pubbliche. Il nido infatti, nel nostro sistema di welfare, non è un servizio essenziale garantito dallo Stato, ma un servizio “a domanda individuale”.

Il secondo problema è rappresentato dalle minori entrate dei Comuni: un ostacolo ancora più rilevante dove l’ente locale gestisce direttamente la maggior parte degli asili nido, perché si deve far fronte anche alle spese per il personale. A Napoli, ad esempio, la quasi totalità dei 55 asili nido cittadini è comunale. A Bologna, in 50 asili nido e 70 scuole dell’infanzia comunali sono impiegati 1.400 dipendenti.

Per sostenere le strutture, che spesso sono gestite da enti del Terzo settore, i Comuni si stanno avvalendo della strada aperta dal Dl “cura Italia” (Dl 18/2020): l’articolo 48 consente che i servizi svolti in convenzione o in appalto con organizzazioni private possano essere erogati anche a domicilio o a distanza. Così in molti casi i servizi educativi, anche per i bambini più piccoli, si sono trasformati in servizi online, o l’assistenza ai bambini con disabilità è stata organizzata senza la presenza fisica degli educatori.

«Nella prima fase dell’emergenza per l’epidemia da coronavirus – spiega Cristina Giachi, vicesindaco di Firenze e responsabile scuola dell’Anci – non ci siamo affatto preoccupati di che cosa stesse succedendo ai bambini, ma il tema dei servizi educativi e scolastici ha un ruolo centrale, soprattutto quando si comincia a ragionare sulla ripresa delle attività. Inoltre – aggiunge – è essenziale non mettere in crisi i gestori dei servizi educativi nel territorio, perché senza gli operatori privati il sistema dei servizi per l’infanzia non reggerebbe».

Gli interventi delle Regioni

In attesa di interventi statali, le Regioni hanno già cominciato a muoversi. Il Lazio (che ha 486 nidi, 259 pubblici e 227 privati, con 21.938 posti totali) ha stanziato sei milioni. Per metà saranno destinati ai nidi privati non convenzionati, che si reggono solo sulle rette delle famiglie e rappresentano circa il 30% dei posti accreditati. Serviranno a riconoscere circa 100 euro al mese per ogni posto accreditato, da marzo a luglio: un aiuto per pagare utenze, affitti, manutenzione e sanificazione dei locali. Gli altri tre milioni saranno destinati ai nidi pubblici e convenzionati, anche per rimodulare i servizi sospesi, come previsto dal decreto cura-Italia.

Il Piemonte ha stanziato 15 milioni : 10 milioni destinati ai servizi per i bambini fino a tre anni, e 5 milioni per la fascia 3-6 anni.

C’è chi ha già calcolato quanto peseranno per i municipi i minori incassi dalle rette: l’assessore all’istruzione del Comune di Torino, Antonietta Di Martino, stima che «considerando le mancate entrate fino a luglio e la sospensione dei centri estivi, l’amministrazione avrà mancati introiti per 13 milioni di euro». Per l’assessora alle politiche educative del Comune di Bari, Paola Romano, «tra i minori incassi e i rimborsi alle famiglie, prevediamo minori entrate tra 650mila e 800 mila euro». Il tutto – fa notare l’assessora all’istruzione del Comune di Napoli, Annamaria Palmieri – «mentre il Comune ha già sospeso i versamenti fiscali su rifiuti e occupazione del suolo pubblico, e non ha più entrate dall’imposta di soggiorno».

Le richieste dei gestori

Intanto il comitato «Educhiamo», che si è costituito per rappresentare i nidi e le scuole private, chiede al Governo la proroga della cassa integrazione per tutte le settimane di chiusura dei servizi, contributi a fondo perduto per le spese ineludibili e sgravi fiscali.

Maturità, solo commissari interni. Azzolina firma l’ordinanza

da Il Sole 24 Ore

di Patrizia Maciocchi

Sei commissari interni e un presidente esterno per consentire agli studenti di essere valutati da chi conosce la loro storia

Via libera della ministra dell’istruzione Lucia Azzolina all’ordinanza membri interni, che ridisegna l’esame di maturità ai tempi del Coronavirus. Una norma – in attuazione del Dl del 6 aprile su Esami e valutazione – che cambia la “formazione” della Commissione per dare modo ai ragazzi di essere valutati da chi conosce la loro storia.

La nuova composizione prevede la presenza di 6 commissari interni e un presidente esterno. «In questo modo – spiega la ministra – gli studenti saranno valutati da docenti che conoscono il loro percorso e quanto realmente fatto durante questo particolare anno scolastico.

Equilibrio fra discipline

Vogliamo un esame di Stato vero, serio, ma che tenga conto anche delle difficoltà affrontate a causa dell’emergenza ancora in atto».

La nomina dei presidenti è assegnata agli Uffici scolastici regionali, quella dei commissari ai consigli di classe. Nella composizione della commissione si terrà conto dell’equilibrio fra le varie discipline di ciascun indirizzo.

In ogni caso, sarà assicurata la presenza del commissario di Italiano e di uno o più commissari che insegnano le discipline di indirizzo. La ministra affida a Facebook le rassicurazioni sulla serietà di una prova che deve comunque tenere conto della particolarità di questo anno scolastico.

Didattica a distanza, pronti altri 80 milioni

da Il Sole 24 Ore

di Cl. T.

In arrivo altri 80 milioni di euro, di risorse Pon per l’acquisto di pc, tablet e dispositivi per la connessione internet, dedicati alle scuole del primo ciclo, primaria e secondaria di I grado.

L’annuncio
Lo annuncia la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, spiegando che si tratta di «un nuovo importante investimento del ministero, con l’obiettivo di arrivare fino all’ultimo dei nostri studenti e garantire a tutti, in questo momento di difficoltà, la possibilità di accedere alla didattica a distanza». Questi 80 milioni si aggiungono agli 85 milioni già stanziati nel decreto cosiddetto Cura Italia, 70 dei quali erano destinati proprio all’acquisto di device.

Sarà un bando agile quello attraverso il quale le scuole potranno ricevere risorse immediatamente spendibili. Per aderire ci sarà tempo dalle ore 10.00 del giorno 20 aprile 2020 alle ore 15.00 del giorno 27 aprile 2020. L’elenco delle scuole a cui saranno assegnate le risorse sarà compilato sulla base degli indicatori socio-economici, del tasso di deprivazione territoriale, del livello di disagio negli apprendimenti e del tasso di abbandono scolastico, con l’obiettivo di raggiungere le fasce più deboli della popolazione e quindi i ragazzi che stanno incontrando maggiori difficoltà nello studio a distanza.

Via a nuovo monitoraggio
Superata la fase emergenziale, i dispositivi digitali acquistati dalle scuole potranno essere di supporto alle attività didattiche ordinarie. Sempre ieri il ministero ha dato il via a un nuovo monitoraggio con lo scopo di raccogliere informazioni sull’andamento della didattica a distanza e, in particolare, di rilevare le necessità attuali di device e connessioni da parte delle fasce più deboli per intervenire tempestivamente dove ci sono carenze e garantire il diritto allo studio.

Agenzia Giovani: Erasmus non si ferma, finanziati progetti per 4 milioni

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

L’attività dei programmi europei gestiti dall’Agenzia nazionale per i giovani prosegue nonostante l’emergenza Coronavirus. Sono stati, infatti, pubblicati sul sito www.agenziagiovani.it i risultati della valutazione del primo round 2020 di “Erasmus+: Gioventù” con i quali l’Agenzia ha approvato e finanziato 157 progetti, pari a oltre il 30% delle proposte pervenute, con la somma complessiva di 3.777.539 di euro.

Dei 157 progetti, relativi alle azioni su attività di mobilità, partenariati e dialogo giovanile, molti riguardano i temi della partecipazione giovanile, inclusione ed equità, creatività e cultura, cittadinanza responsabile e partecipazione civica, ambiente e cambiamenti climatici. Saranno coinvolti 5100 ragazzi di cui il 37% con minori opportunità. Il 28% delle proposte presentate riguarda organizzazioni e associazioni beneficiarie che accedono per la prima volta al finanziamento. Secondo una ripartizione su base geografica, il 46, 5% dei progetti accolti proviene dal Sud Italia, seguito dal Nord con 34,4% e poi il Centro con 19,1%, coprendo l’intero territorio nazionale.

«È possibile diminuire le distanze tra i finanziamenti europei e il territorio così come stiamo provando a fare da oltre un anno. Il riscontro in termini di partecipazione testimonia la presenza in Italia di associazioni giovanili e ragazzi che credono fortemente nel progetto europeo e pronti a mettersi in gioco se offerta loro l’opportunità, con trasparenza e accessibilità – dichiara Domenico De Maio, direttore generale dell’Agenzia nazionale per i giovani, l’ente vigilato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dalla Commissione Europea, gestisce in Italia i programmi Erasmus+ e Corpo Europeo di Solidarietà – La grande affermazione del programma Erasmus+ costituisce la risposta più sana e profonda in questo momento così difficile. In queste settimane, l’Agenzia sta lavorando incessantemente così, quando tutto sarà finito, saranno proprio le iniziative dei giovani a dare nuovo slancio alla mobilità europea».

Le prossime scadenze 2020 per presentare progetti Erasmus+ ed ESC sono il 7 maggio e l’1 ottobre (per info www.agenziagiovani.it).

Il “valore aggiunto” delle scuole, un indicatore utile e credibile?

da Il Sole 24 Ore

di Tommaso Agasisti*

L’attuale situazione di lockdown, che coinvolge tutte le scuole italiane, ha messo in standby il rilevantissimo tema relativo alla valutazione della performance delle istituzioni scolastiche. Nei fatti, nessuno in questo frangente si sta interrogando sulle migliori metodologie e strategie per valutare quali scuole siano migliori di altre, nel compito essenziale fornire le competenze e le conoscenze di cui gli studenti necessitano. Comprensibilmente, il dibattito si è invece spostato sull’adeguatezza delle risposte (tecnologiche e didattiche) fornite in questa emergenza. Allo stesso tempo, vale comunque la pena ricordare che l’Invalsi ha a disposizione tutti i dati raccolti negli anni scolastici precedenti per provare ad effettuare valutazioni di merito e, soprattutto, ha già iniziato ad utilizzarle per fare analisi del valore aggiunto delle scuole. È verosimile dunque pensare che, nel corso della cosiddetta “fase 2” si torni a discutere di questa tematica così urgente per migliorare il capitale umano del Paese. È dunque importante fare il punto su quali evidenze siano già oggi disponibili, e come utilizzarle in un’ottica di policy costruttiva.

Ma cosa s’intende per “valore aggiunto” di una scuola? Secondo la definizione proposta e applicata in concreto da Invalsi, «ciò che è importante stabilire ai fini di una valutazione sensata dell’efficacia di una scuola è se e in quale misura essa sia stata capace di far sì che i propri alunni apprendessero più di quanto abbiano mediamente appreso alunni comparabili (vale a dire con le medesime caratteristiche all’ingresso) che hanno frequentato in uno stesso arco di tempo altre scuole». In termini operativi, i modelli di valore aggiunto calcolati dall’Invalsi non analizzano i risultati “medi” degli studenti e delle scuole nei test standardizzati, bensì cercano di stimare l’effetto specifico di una singola scuola tenendo in considerazione le caratteristiche iniziali degli studenti (si dice, “al netto” delle caratteristiche degli studenti).

Dal 2016, l’Invalsi restituisce ai dirigenti scolastici le informazioni non solo sui loro punteggi grezzi nelle prove, ma anche sugli indicatori di valore aggiunto. Per ogni scuola viene calcolato un indicatore che rivela se il suo “valore aggiunto” sia positivo (ossia, la scuola genera un effetto positivo sui risultati dei suoi studenti) o negativo. Si noti che una scuola potrebbe avere un valore aggiunto positivo anche se i punteggi medi degli studenti sono bassi, nella misura in cui tali risultati siano superiori rispetto a quelli di studenti simili (ossia, con simile background socioeconomico) in altre scuole – e, ovviamente, viceversa.

L’informazione sul valore aggiunto è di primaria importanza per una valutazione “equa” delle scuole. I genitori sono di norma più interessati ai punteggi medi nelle prove, per iscrivere i propri figli nelle scuole “migliori”. Il ministero dell’Istruzione dovrebbe, invece, avere più interesse per il valore aggiunto, come misura della capacità di ciascuna istituzione scolastica di massimizzare i propri risultati utilizzando le risorse a disposizione e le caratteristiche di contesto degli studenti (le quali, come noto, non possono essere modificate dalle scuole stesse). In questa prospettiva, ancora più importante è stabilire se e in quale misura le stime del valore aggiunto siano stabili nel corso del tempo, ossia quanto una scuola risulti avere valore aggiunto coerente da un anno all’altro. Tale informazione dovrebbe consentire di capire se ci sono caratteristiche specifiche di una certa scuola che la rende più efficace, con l’idea poi di approfondire le ragioni di tali specificità. Sarebbe invece problematico se le stime del valore aggiunto fossero molto diversificate nel tempo per la singola scuola! Se, infatti, le stime si rivelassero eccessivamente volatili, come potrebbe un valutatore trarre conclusioni robuste sull’efficacia di una specifica scuola? Come giudicare una scuola che ottenesse un anno un indicatore di valore aggiunto positivo, poi negativo l’anno successivo, poi ancora positivo l’anno seguente?

In un recente lavoro pubblicato sulla rivista accademica Fiscal Studies, io e la mia co-autrice Veronica Minaya ci siamo occupati proprio di questo tema (Agasisti & Minaya, 2019). Utilizzando i dati di tutte le scuole primarie italiane per gli anni tra il 2013/14 e 2015/16 (tre coorti di studenti), abbiamo stimato un indicatore di valore aggiunto per ciascuna scuola, in ogni anno. Abbiamo poi calcolato la stabilità di queste stime da un anno all’altro, per giudicarne la stabilità o volatilità. Vale la pena sottolineare che abbiamo utilizzato diversi modelli statistici alternativi per effettuare tali stime, al fine di corroborare i risultati ottenuti ed evitare che fossero determinati da scelte puramente metodologiche. Nel definire i modelli, abbiamo anche utilizzato quello effettivamente adottato da Invalsi nel suo lavoro istituzionale e restituito alle scuole.

I risultati ottenuti sono per certi versi confortanti, per altri molto meno. Per quanto riguarda l’utilizzo di modelli statistici alternativi, i risultati sono tutti molto simili tra loro (con correlazioni tra modelli diversi superiori a 0.9, in una scala 0-1). Le evidenze sono molto differenti quando si confrontano i risultati per ciascuna scuola nel tempo. Si osserva chiaramente, infatti, che i risultati di valore aggiunto sono significativamente diversi da un anno a quello successivo, e le correlazioni sono particolarmente basse quando si confrontano i risultati a distanza di due anni.

Quali conseguenze si possono trarre da tali risultati? Principalmente, si può asserire che le valutazioni di valore aggiunto oggi disponibili non sono in grado di fornire indicazioni robuste sull’efficacia delle scuole da un anno all’altro. Ci sono due possibili spiegazioni per tali risultati: o le caratteristiche degli studenti di ciascuna classe quinta della scuola sono molto differenti da un anno all’altro, oppure alcune caratteristiche della scuola sono diverse da un anno a quello successivo e influiscono sul giudizio relativo alla sua efficacia. I nostri modelli statistici, tutto sommato, tengono in adeguata considerazione le caratteristiche degli studenti, avendo a disposizione nel nostro database alcune informazioni sul background socioeconomico degli studenti (occupazione e titolo di studio dei genitori). Pertanto, siamo propensi a ritenere che la causa dei diversi risultati da un anno con l’altro sia legata a cambiamenti nelle scuole.

Nella nostra interpretazione, la variazione dei risultati è da attribuirsi ad una differente qualità del corpo docente. Ricordiamo, infatti, che la valutazione di efficacia della scuola, ogni anno, riflette la qualità dei docenti che hanno insegnato ad una specifica coorte di studenti – la prova Invalsi è condotta sempre su studenti delle classi quinte (grado 5). Nella scuola primaria, i docenti sono assegnati a specifiche coorti di studenti, e insegnano loro dalla classe prima alla quinta (al netto di trasferimenti e mobilità). È dunque plausibile che le stime del valore aggiunto della scuola, in un determinato anno, riflettano sostanzialmente l’efficacia (media) dello specifico gruppo di docenti che insegna alle classi quinte di quell’anno. Tale qualità media può essere molto differente da una coorte di docenti che insegna nelle classi quinte a quella degli anni successivi.

I risultati spingono la riflessione in due direzioni, importanti per ridefinire alcune politiche scolastiche. In primo luogo, i risultati di valore aggiunto oggi disponibili, pur rappresentando un’informazione molto importante in ogni specifico anno, non possono essere utilizzati per finalità di incentivo allo stato attuale. I ricercatori (in primis, quelli di Invalsi) dovranno dunque continuare a lavorare sui modelli statistici per renderli più capaci di isolare informazioni utili per valutare in modo robusto, e consistente nel tempo, l’efficacia delle singole scuole. In secondo luogo, appare utile provare a raccogliere in modo più sistematico e completo dati riferiti ai docenti delle scuole (età, titolo di studio, esperienza, aggiornamento, pratiche didattiche adottate e altro), affinché i modelli statistici possano essere arricchiti con nuove informazioni che consentano di giudicare in modo più completo le determinanti dell’efficacia (o meno) delle attività delle scuole.

*Politecnico di Milano School of Management

Post scriptum. I lettori interessati ad approfondire possono fare riferimento al paper pubblicato su Fiscal Studies: Minaya, V., & Agasisti, T. (2019). Evaluating the Stability of School Performance Estimates over Time. Fiscal Studies, 40(3), 401-425. Una versione scaricabile gratuitamente del lavoro è disponibile qui: http://www.siepweb.it/siep/images/joomd/1517998327Agasisti_Minaya_WP_SIEP_733.pdf

Rientro a settembre, sindacati chiedono docenti e ATA in più e date diverse per regione

da Orizzontescuola

di redazione

Il rientro a scuola a settembre crea frizioni fra le parti. L’ipotesi di come e quando tornare sui banchi per il prossimo anno didattico è allo studio di un tavolo tecnico coordinato da Patrizio Bianchi.

Il docente ordinario in Economia e Management all’Università di Ferrara è chiamato a coordinare e soprattutto conciliare le necessità sanitarie con quelle del comparto scolastico a partire dagli alunni per finire al personale scolastico.

L’esperienza di una didattica a distanza potrebbe essere messa a frutto anche ad integrazione di quella in presenza. Le ipotesi in campo sono molte e vanno considerate anche le proposte e le richieste che arrivano dai sindacati.

I rappresentanti delle varie organizzazioni confederali chiedono in buona sostanza un rientro differenziato per regione e chiedono soprattutto un maggior numero di docenti e di personale Ata. Tale proposta piace anche ai dirigenti scolastici, per voce dell’associazione nazionale che li rappresenta.

I presidi, infatti, escludono l’ipotesi di un rientro tradizionale se si vogliono mantenere le distanze di sicurezza anche in presenza di guanti e mascherine di protezione.

Come si legge sul Fatto Quotidiano, Patrizio Bianchi ha rassicurato: “La nostra sarà una commissione tecnica di supporto al ministro e all’amministrazione. Non ho per ora delle ipotesi sulla riapertura. Ho chiarissima però la questione dei tempi: sento tutta l’urgenza di dare al ministro, all’amministrazione e alle famiglie un contributo affinché si possa ripartire serenamente. Ho chiarissima l’urgenza. Lavorerò perché tutti si possano rendere conto delle problematiche e delle diverse opzioni nel più breve tempo possibile”.