A distanza, ma non troppo! La scuola al tempo del COVID-19

A distanza, ma non troppo! La scuola al tempo del COVID-19
Presentazione in videoconferenza del “Manifesto per una didattica inclusiva”

In occasione del dibattito che si è aperto sull’utilizzo della didattica a distanza, il mondo della scuola, i pedagogisti e i commentatori si sono spesso divisi tra sostenitori e detrattori. Come FLC CGIL, pur esprimendo evidenti perplessità su una modalità comunicativa che non può essere esaustiva della relazione educativa, abbiamo espresso una posizione molto contestualizzata alla emergenzialità del momento, nel rispetto del faticoso lavoro che si sta effettuando nelle scuole.

A questo punto, sentiamo l’esigenza di condividere un documento organico con alcuni tra i più autorevoli rappresentanti del mondo della cultura pedagogica. 
Siamo lieti di invitare la stampa al lancio pubblico del Manifesto durante la videoconferenza che si terrà (su piattaforma Hangouts Meet) venerdì 17 aprile alle ore 11:00.

Graziamaria Pistorino, Segretaria nazionale FLC CGIL presenterà i punti significativi del “Manifesto per una didattica inclusiva

Ne discuteranno:

Francesco Sinopoli, Segretario generale FLC CGIL

Massimo Baldacci, Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale – Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” 

Giuseppe Bagni, Presidente Nazionale del C.I.D.I. 

Pietro Lucisano, Professore Ordinario di Pedagogia sperimentale – Università degli Studi di Roma “La Sapienza” 

Dario Missaglia, Presidente Nazionale di Proteo Fare Sapere 

Elisabetta Nigris, Professore Ordinario di Progettazione didattica e valutazione – Università di Milano “Bicocca”

Angela Maria Volpicella, Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Link per la partecipazione alla videoconferenza: https://meet.google.com/eck-kgbn-cwe

Ripartiamo dagli studenti

Ripartiamo dagli studenti. Webinar di Sinistra Italiana

Sabato 18 aprile 2020 ore 18

Sempre più intenso il programma degli appuntamenti online promossi da Sinistra Italiana. Sabato prossimo 18 aprile 2020  alle ore 18 webinar dedicato alla scuola: “Ripartiamo dagli studenti”.  Incontro-confronto tra Peppe De Cristofaro, Sottosegretario all’istruzione, e gli studenti e le studentesse  Interverranno coordinatori, rappresentanti di istituto e delle consulte dell’Unione degli Studenti

È possibile intervenire e fare domande. Si discuterà di didattica a distanza, valutazione, ammissione ed esami di stato, ripartenza nuovo anno scolastico, corsi di recupero e welfare studentesco

Si può usare questo link per prenotarsi e poi seguire le indicazioni contenute nella mail di conferma per collegarsi all’orario indicato:

https://attendee.gotowebinar.com/register/4878155266614392590?source=chat

G. Zigarella, La scuola è fallita

PREFAZIONE

Un modello, un progetto, uno sforzo di creatività ingegneristica, quello del Preside Zigarella, in un libro dal titolo caustico e urticante, amaro e vero.

Durante le nostre riunioni di preparazione alla pubblicazione ho avuto modo di approfondire con lui il discorso oltre queste pagine, riscoprendone la convinzione, la visione, l’utopia. Perché, sì, una scuola tutta rinnovata, organizzata, vissuta e fatta vivere esclusivamente da persone preparate ed ispirate, almeno nel breve termine, è forse davvero un’utopia.

Certamente non lo sono, invece: il perseguimento del bene degli studenti, la promozione meritocratica di discenti e docenti, la sicurezza materiale e psicologica dell’ambiente scolastico, la misurazione ponderata dei risultati, lo sblocco e la rimozione di alcuni interessi non compatibili con una buona offerta formativa.

A differenza dell’autore, non ho intrapreso altra carriera scolastica che il mio percorso di studi, durante il quale, da utente medio e insieme a molti dei miei compagni, posso dire di avere avvertito costantemente il bisogno di rinnovamento della proposta didattica, l’adeguamento di strutture e attrezzature, la riduzione degli sprechi, l’urgenza di una capacità dialogica rafforzata, sia tra noi bambini e ragazzi, sia i termini di strumenti che avrebbero dovuto essere dati o rafforzati in chi rappresentava per noi la guida e la fonte di apprendimento.

Generoso Zigarella ha lasciato la scuola in un’epoca in cui, a suo parere, tali cambiamenti, nonostante diverse riforme ed un interminabile ed interminato avvicendarsi di leggi e di ministri, non si sono ancora compiuti anzi, sono diventati più problematici e più impellenti.

Possibile, allora, che l’unica sentenza sia la condanna alla rassegnazione e al degrado? Leggendo il libro si comprende ben presto che, lungi da una presa di posizione disfattista, egli nutre auspici ben diversi e si assume la responsabilità di immaginare un primo possibile scenario, costruito con le considerazioni suggerite dalla sua personale esperienza. Un punto di vista soggettivo, concreto, a tratti originalissimo, anche nelle scelte stilistiche.

È anche così che ci si affida al lettore senza temere le pur opportune ed auspicabili critiche ed osservazioni, sapendo bene che, per recuperare le perle dal pantano delle opportunità mancate e della sfiducia generalizzata, una speranza può essere rappresentata da un grido di allarme (efficace, intonato e mai sguaiato) che, se colto da lettori consapevoli, pazientemente e minuziosamente cercati ed interrogati sulla lunghezza d’onda della loro onestà intellettuale, può rappresentare una scintilla per un confronto libero e appassionato che chi ama veramente la scuola ed i giovani può affrontare per costruire una soluzione condivisa, vera e desiderata come solo la verità può essere.

Il libro consta di tre parti.

La prima parte, che potrebbe definirsi viaggio nella scuola nascosta, rivela e denunzia situazioni ed aspetti inquietanti e deviati della vita scolastica, che, come tali, sono devianti e diseducativi per i giovani studenti. Di tali aspetti si indicano anche cause più generali e di sistema, ravvisabili, oltre che sul piano organizzativo e didattico, anche sul piano istituzionale, culturale e politico. Ne scaturisce un quadro inquietante della crisi scolastico-culturale dell’Italia, su cui ogni genitore, ogni studente, ogni docente, ogni dirigente, ogni cittadino dovrebbe riflettere.

L’emergenza educativa, della quale hanno, in vario modo, parlato autorità morali, intellettuali ed istituzionali, viene svelata in tutta la sua urgenza e drammaticità.

La scuola secondaria superiore italiana viene paragonata ad un’auto di grossa cilindrata col motore sempre acceso e col cambio sempre a folle; consuma tanta benzina, fa anche tanto rumore, ma è sempre ferma.

Richiamando le costanti negative valutazioni effettuate negli anni dall’OCSE, l’autore denunzia l’indifferenza del sistema politico-scolastico, evidenziando, al contrario, comeun’azienda, che avesse avuto una valutazione così negativa del suo “prodotto”, si sarebbe allarmata, avrebbe promosso indagini ed avrebbe cercato di individuare cause, responsabilità di metodo e di merito, colpevoli in carne ed ossa del disastro e, soprattutto, soluzioni.

Grazie alla sua diretta, ampia ed articolata esperienza, di vita e di scuola, l’autorefa conoscere concreti esempi di sprechi, di contraddizioni, di inutilità e di inefficienze didattiche, di abusi e di illegittimità istituzionali e costituzionali, che hanno caratterizzato e caratterizzano la vita e l’organizzazione della scuola secondaria superiore di questo Paese. Denunzia, così, le ciniche contraddizioni che caratterizzano la pratica attuazione della pur giusta legge 104/92 relativa alla diversa abilità; l’inutilità corporativa, a tutti i livelli, del sistema degli organi collegiali; le speculazioni che gravano sulla pratica attuazione dei principi della sicurezza. Ma ancor più svela e rappresenta i tradimenti, organizzativi e burocratici, che sono stati consumati nella fase di attuazione della legge che riconosce l’autonomia delle singole istituzioni scolastiche, individuando la responsabilità nei privilegi e negli interessi convergenti del sindacato e della burocrazia scolastica, che non esita a definire santa alleanza, fino al punto da determinare nella professionalità docente e nel ruolo del dirigente scolastico le reali, e non sempre consapevoli, vittime di tale sistema, oltre, ovviamente, agli studenti. Con significativa ed espressiva formulazione afferma che del dirigente scolastico, figura strategica del processo di autonomia, sono stati socializzati tutti i diritti e tutti i poteri, mentre ne sono state individualizzate tutte le responsabilità e tutti i doveri.

Proprio in questi processi ed in queste degenerazioni istituzionali, normative ed anche costituzionali, stanno le cause e le origini di quelle risultanze OCSE e, soprattutto, dei danni che si sono arrecati e si stanno arrecando ai giovani studenti; è da questa denunzia e da questa analisi che si deve partire per costruire una scuola secondaria superiore che serva agli studenti ed all’Italia intera. Da ciò la seconda parte.

La seconda parte, che potrebbe definirsi viaggio nel sogno di una nuova scuola, ipotizza un insieme organico di nuovi istituti, didattici, gestionali ed organizzativi, che, se introdotti, potrebbero affermare un nuovo e positivo ruolo formativo della scuola secondaria superiore italiana. Questo nuovo ed originale sistema scolastico avrebbe nel principio dell’unità della cultura il riferimento fondamentale per pensare e per costruire la nuova scuola.

Tale principio, però, non si risolve solo in una affermazione teorica, peraltro esplicitata e sviluppata con rigorosi riferimenti di didattica costruttivista; esso si accompagna ad una serie di idee-proposte riformatrici che gli danno senso e pratica validità. Tra queste idee va evidenziata, in primo luogo, una radicale riduzione del ruolo, del potere e della dimensione dell’amministrazione scolastica ministeriale, regionale e provinciale, che verrebbe sostituita da una vera ed autentica autonomia delle scuole secondarie superiori. Queste scuole, unitarie ed omnicomprensive, non dovrebbero essere più dimensionate secondo astratti limiti numerici, che hanno prodotto e che stanno producendo operazioni illegittime e clientelari di varia natura, ma devono essere definite esclusivamente in rapporto al numero di abitanti di un territorio ottimale ed omogeneo, sia esso comunale, pluricomunale o sottocomunale.  Dentro questo quadro si ipotizza il superamento delle cosiddette materie di insegnamento attraverso gli ambiti disciplinari assegnati ad una nuova figura di docente-master.

Ma c’è di più; c’è l’impianto organico e completo di una nuova scuola, che si sostanzia di ulteriori idee di riforma, tra cui va evidenziata una radicale riorganizzazione-unificazione della scuola secondaria attraverso l’istituzione dei dipartimenti, che, superando l’attuale divisione nelle diverse tipologie di istituti, consentano invece diversificazioni didattico-metodologiche solo a seconda degli ambiti di insegnamento ( non si possono insegnare cose diverse sempre e solo con gli stessi metodi e le stesse cadenze organizzative; non si possono insegnare le lingue straniere con lo stesso metodo con cui si insegna, ad esempio, la matematica o l’educazione fisica).

Si ipotizza così un’offerta formativa completa ed integrale, teorica e pratica, attraverso l’introduzione di nuove forme di didattica, tra cui, ad esempio, anche lezioni “on-line“, ma anche un tempo scuola più lungo sia nell’arco della giornata sia nell’arco dell’anno. Allosbandamento degli adolescenti, che, sempre più spesso, non trovano nella famiglia tempo ed occasione di serenità e di riflessione, è urgente e necessario che sia la scuola, in modo responsabile e qualificato, a supplirvi; a tal fine si immagina anche l’introduzione di una figura di tutor extrascolastico, che possa seguire e supportare il giovane al posto dei genitori, anche nei posti dove questi non potranno mai accompagnarlo.

Si ipotizza una paghetta per gli studenti, modesta e simbolica, un esame di stato facoltativo, un ultimo anno, che sia ponte tra lavoro pratico retribuito, studio universitario ed impegno sociale.

A corollario di tutto ciò e ad ulteriore qualificazione, in termini di efficienza, dell’intero impianto didattico-formativo si propone un sistema di valutazione di scuole e di docenti, non più incardinato su formali procedure ma solo sui successivi traguardi culturali e professionali raggiunti dagli studenti stessi.

La terza parte è solo l’annuncio di un altro prossimo libro, che dovrebbe essere scritto con quanto i lettori vorranno proporre, dopo avere letto e criticato questo libro. 

Ben consapevole delle complessità e delle dinamiche pratico-politiche che le idee qui rappresentate possono determinare, l’autore si augura che il libro possa almeno sollecitare un dibattito e, quindi, una ricaduta positiva su eventuali processi di rinnovamento della scuola. Peraltro, un tale dibattito, anche se non dovesse determinare un’automatica ricaduta legislativa, potrebbe almeno determinare un processo ed un’attenzione tale da incidere positivamente sulla situazione della scuola secondaria superiore; in altri termini, potrebbe almeno risvegliarla.

Un genitore potrebbe comprendere, col libro e col dibattito sul libro, meglio dinamiche e problematiche, che adesso potrebbero essergli sconosciute, potendo così meglio interessarsi ai suoi figli ed anche alle nuove ipotesi di riforma.

Un dirigente scolastico potrebbe meglio scoprire obiettivi e strategie che lo interessano direttamente, professionalmente e programmaticamente.

Analogamente un docente potrebbe meglio comprendere disfunzioni ed irregolarità, cogliendo, ad un tempo, anche una nuova visione di un suo elevamento professionale.

Lo stesso personale ausiliario-tecnico-amministrativo potrebbe trovare una più alta e qualificata occasione di realizzazione professionale.

Ma sono soprattutto gli studenti ad essere i veri beneficiari della scuola ipotizzata dall’autore, nella misura in cui potrà loro consentire, prima nella scuola e poi nella vita, di studiare, di lavorare e di realizzarsi in una dimensione di serenità, di felicità e di solidarietà.

Insomma, il libro potrebbe contribuire a fare uscire il ruolo e le rivendicazioni di tutti i lavoratori della scuola, dai docenti, ai dirigenti, agli A.T.A., da una visione corporativa, per collocarli dentro un protagonismo riformatore della scuola e di tutti i soggetti con la scuola interagenti. 

Ancora di più gli studenti potrebbero essere interessati direttamente sia da concreti contenuti culturali e formativi sia ad alcuni aspetti concreti, quale, solo per esempio, potrebbero essere la citata paghetta periodica ed ancor di più l’ultimo anno-ponte tra lavoro pratico retribuito, studio universitario ed impegno sociale.

Il libro si rivolge, inoltre, alla più generale opinione pubblica, nella misura in cui affronta un problema, quello della scuola, che è decisivo per il più complessivo sviluppo e progresso della società.

Un primo passo sarebbe costituito dall’infrangimento della barriera del silenzio, un secondo dall’analisi delle istanze rappresentate nella seconda parte. Quello definitivo verso un futuro migliore per la scuola: sicuramente il riempimento della terza parte, volutamente lasciata in bianco, con le controproposte, le alternative, perché no, il contraddittorio costruttivo e l’individuazione di un obiettivo condivisibile e focalizzato sulla missione principale che dovrebbe costituire la motivazione stessa dell’istruzione, ossia l’edificazione di generazioni future consapevoli, colte, composte di persone in grado di decodificare i linguaggi ed interpretare il proprio ruolo nel mondo con gli strumenti necessari.

Maria Elena Napodano

La Didattica a Distanza: il ‘Virtuale’ al servizio dell’ ‘Umano’?

La Didattica a Distanza: il ‘Virtuale’ al servizio dell’ ‘Umano’?

di Carlo De Nitti [1]

Colui che impara deve soffrire … il dolore che non può essere  dimenticato cade goccia dopo goccia sul cuore
ESCHILO Dire: eccomi. Fare qualcosa per un altro. Donare.  Essere spirito umano significa questo.
EMMANUEL LEVINAS

1. PREMESSA

In un precedente intervento[2], si è cercato di individuare un lessico minimo della recente “forzata” pratica della didattica a distanza, in un momento, quale quello presente, in cui interi continenti sono confinati in casa, per evitare il contagio della pandemia che imperversa.

L’esergo tratto da Eschilo dice proprio come la genesi di apprendimenti / comportamenti unanimemente diffusi che siano virtuosi nasca nella sofferenza, anche sociale come è quella che l’umanità sta vivendo in questi mesi del 2020; quello tratto da Emmanuel Lévinas, a parere di chi scrive, indica invece l’unica possibile via d’uscita, una rinnovata etica della responsabilità che abbia come ideale regolativo la solidarietà umana3.

Il ‘distanziamento sociale’ che tutti vivono (o dovrebbero…)4 non poteva non coinvolgere anche tutte le scuole di ogni ordine e grado: la distanza ha mutato le forme in cui il processo di insegnamento / apprendimento viene realizzato per ottenere l’obiettivo da parte dei docenti per stimolare la partecipazione e l’impegno dei discenti (non va dimenticato che la parola didattica deriva dal verbo greco ‘didasco’ che significa ‘imparare’). Ogni tempo, ogni luogo ed ogni modalità sono declinabili nell’ottica del processo didattico: è una questione di intenzionalità umana.

2. IL ‘REALE’ ED IL ‘VIRTUALE’ COESISTONO

A chi – come chi scrive – per ruolo professionale, compete “attivare per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza, avuto riguardo

anche alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”[3]  non può non imporsi, nella mente e nel cuore, la domanda che dà titolo a queste righe e costituisce il loro indiscutibile punto di abbrivo. Considerate le finalità che le istituzioni scolastiche si pongono tale domanda assurge quasi discrimine, a spartiacque, tra quello che è – o, meglio, può essere posto dall’opera professionale della comunità scolastica – al servizio dell’ ‘umano’ e che non lo è.

Il ‘virtuale’ non è entrato nelle scuole con la didattica a distanza: esso era già ben presente ad integrazione del ‘reale’, cui, sovente, nel linguaggio comune, è erroneamente contrapposto. Tutta la didattica in presenza fondata sulle Technology Information Communications (vulgo TIC), classi digitali, aule 3.0 et similia erano già ben presenti nella quotidiana pratica didattica delle scuole di ogni ordine e grado. La pandemia ha fatto sì che l’uso delle piattaforme digitali, novelle agorà virtuali, siano diventate lo spazio vissuto contestualmente tra docenti e discenti, che, in siffatto modo, possono surrogare quell’agorà reale che, da sempre, sono le aule scolastiche. Esse non sono, da molto, il tempio esclusivo in cui si celebra il processo di insegnamento / apprendimento: oggi esse sono coartatamente surrogate dalle cosiddette ‘piattaforme digitali’[4].

Mediante esse, oggi, in questo contesto, si realizzano tutte le relazioni umane reali che avvenivano – e nuovamente avverranno, quando sarà possibile in condizioni di sicurezza per tutt* – nelle aule delle scuole: l’incontro tra il sé e l’altro, il sé ed il diverso da sé. Docenti, studenti, colleghi, amici, gruppo dei pari, dirigente: tutti coloro che, in un certo contesto reale, vivono la loro esperienza lavorativa (anche lo studio è un lavoro, altrocchè). 

3. BREVE EXCURSUS

In questo tempo ‘sospeso’ in cui tutto il mondo vive, la didattica a distanza, quindi, il ‘virtuale’ sta obtorto collo surrogando la didattica ‘in presenza’, il ‘reale’, ma contestualmente ne fa vivere a tutti – discenti e docenti – la mancanza, la nostalgia, il ‘dolore del ritorno’: un vero e proprio memento critico. Scaturisce imperiosa, quindi, la domanda iniziale: il ‘virtuale’ è al servizio dell’ ‘umano’? Quali condizioni devono essere presenti affinchè ciò avvenga. La questione ha il suo antecedente ideale nelle domande: qual è il fine della scienza e della tecnologia? La scienza ha un’intenzionalità umana?

Tali questioni pongono una questione che precede il mondo di internet: non è questa la sede per una puntuale ricostruzione storiografica di un problema filosofico, però può essere un ottimo punto di partenza per rispondere alla domanda iniziale un brevissimo riferimento, concettuale se non testuale, agli esiti ultimi della fenomenologia husserliana consegnati al volume postumo La crisi delle scienze europee (1954).

Le scienze (e la tecnologia) devono avere – e non possono non avere – un télos umano, una finalità del proprio essere che necessariamente travalica la loro ‘sintassi’ specifica, come vorrebbero i positivisti di ogni tempo. Oggi, il progresso tecnologico ci mette in condizione di essere tutti connessi ad un’unica rete a livello planetario: almeno possiede ha i mezzi, ma questo è un altro discorso, collaterale ma collegato (come torna nel prefisso cum– di entrambi gli aggettivi).

Il ‘virtuale’ – in quanto prodotto di tecnologia e, quindi, dell’ingegno e del lavoro umani – non può essere avulso dalle finalità della scienza nel mondo della vita dell’uomo. Come ciò debba avvenire non attiene alla sintassi della tecnologia ma alla weltanschauung prevalente tra gli uomini, ovvero, in una parola, alla politica, nel senso etimologico della parola.

Solo la polis può fare in modo che tutti i suoi abitanti diventino cittadini attivi e responsabili[5] e lo siano pleno iure con diritti e doveri, non solo formali ma anche materiali, uguali per tutti, come statuisce l’art. 3 c. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Attraverso il ‘virtuale’, l’azione didattica dei docenti deve, se non annullare, certamente ridurre considerevolmente (i.e. il più possibile) le distanze tra ogni discente ed il gruppo, e tra ognun* di loro ed il/i docent*, potendosi prevedere momenti di didattica personalizzata per tutti gli (a vantaggio degli) studenti “speciali”.

4. IL ‘VIRTUALE’ NELLA RELAZIONE EDUCATIVA

Cosa, quindi, dispone il virtuale al servizio dell’umano nella fattispecie dell’utilizzo scolastico del medesimo? 

L’intenzionalità educativa de* docenti, il loro essere professionisti a pieno titolo della formazione e dell’istruzione, il loro istruire educando / educare istruendo, in una parola la loro humanitas, che non può non avere come finalità educativa la formazione di cittadini di oggi e di domani.

Soltanto una professionalità docente competente, come peraltro definita in tutta la normativa legislativa e pattizia, può essere in grado di declinare il ‘virtuale’ al servizio dell’ ‘umano’, superando i tecnicismi rischiosamente presenti, allorquando l’attività didattica non avviene de visu

Nel virtuale, occorre che vengano ri-create, da parte dei professionisti della scuola, le condizioni affinchè si possa realizzare quell’empatia necessaria in ogni rapporto, umano prima ancora che scolastico, di insegnamento / apprendimento, come ci insegna una infinita tradizione di studi pedagogici che pongono al centro della didattica i/le discenti, a cominciare dai grandi classici dell’attivismo pedagogico tra Ottocento e Novecento, ad esempio, Maria Montessori, Célestin Freinet etc.

L’empatia non può essere creata, naturalmente, sulla trasmissione esclusiva (e magari un po’ pedante) dei contenuti di tutte le discipline, comprese quelle a forte valenza sperimentale (chimica, fisica, i laboratori delle suddette discipline, di enogastronomia, di meccanica, di elettrotecnica, etc.): essa si deve fondare, da un lato, sulla ri-creazione di una relazione euristica che metta al centro la partecipazione, l’impegno e, dall’altro, sulle modalità di insegnare e di apprendere, sostenute dalla tecnologia informatica) in modo tutt’affatto diverse da quelle usualmente utilizzate nella didattica in presenza.

Non è irrilevante anche una riflessione didattica sugli esami conclusivi del I e del II ciclo di istruzione, che, verosimilmente, esula dalle tematiche di queste pagine, se non per quanto attiene alla gestione telematica dei medesimi da ricondurre sempre nell’ottica del ‘virtuale’ al servizio dell’ ‘umano’[6].

5.  E DOMANI …?

In questa riprogettazione è in gioco il futuro della scuola e dei giovani: non è immaginabile che entro poco tempo si possa riprendere l’attività didattica in una sorta di heri dicebamus. In questo senso, il ‘virtuale’ deve essere indirizzato intenzionalmente al servizio dell’ ‘umano’, perché più si allunga il tempo dell’emergenza, maggiore è la necessità di pensare una didattica a distanza davvero empaticamente coinvolgente e cognitivamente efficace per ciascun* discente nelle condizioni, anche tecnologiche, che le scuole saranno riuscite ad approntare – con l’indispensabile supporto economico del Ministero dell’Istruzione, delle Regioni e degli Enti Locali.

Non è irrilevante un’altra variabile ‘indipendente’, cui, ad oggi, non è immediato considerare. A settembre, all’inizio del nuovo anno scolastico, le classi saranno popolate da alunni/studenti che non conosciamo affatto di persona: le classi prime in ogni ordine e grado di scuola e ciò renderà ancora più difficile conoscere i/le nuov* discenti e farsi ri-conoscere da loro come docenti: specialmente ma non in modo esclusivo nelle scuole in cui convergono discenti “speciali” di ogni tipologia, talvolta poco inclini al rapporto oro-auricolare, seppure arricchito dal video. Se si vogliono “rimuovere gli ostacoli …”, come ci impone il testo costituzionale, oltre che l’etica, professionale e non, che, a chi scrive, piace sempre definire con l’aristotelico “mestiere di uomo”.

Ecco perché non va dimenticato, da parte di chi deve governare il sistema scuola italiano, che l’inizio dell’a.s. 2020/21 è – parrà strano leggerlo – “domani” …


[1] CARLO DE NITTI (Bari 1960) opera nella scuola pugliese da quasi trentacinque anni; dal 2007 è dirigente scolastico nel capoluogo di regione, da cinque anni scolastici dirige la sede di attuale assegnazione, l’I.I.S.S. “Elena di Savoia – Piero Calamandrei” di Bari.

[2] <Distanti ma uniti>: la didattica al tempo del COVID-19. Lessico minimo, “Educazione & Scuola”, XXV, marzo 2020, 1111 3 Appare opportuno, in questo contesto, citare il volume di FRANCESCO BELLINO, Etica della solidarietà e società complessa, Bari 1987, Levante editori e, quale personalissimo corollario, CARLO DE NITTI, Bioetica ed etica della responsabilità, in AA.VV. Trattato di bioetica, a cura di FRANCESCO BELLINO, Bari 1992, Levante editori, pp. 337 – 355. 4 Il condizionale riviene da determinate scene sovente passano in televisione di troppe persone in giro senza alcun motivo che sia previsto nella normativa che viene via via emanata dal governo in carica.

[3] Si veda la Nota M.I. prot. n° 388 del 17 marzo 2020.

[4] Le piattaforme digitali per uso didattico, che sono presenti in gran copia nel mondo virtuale, hanno il pregio dell’apparente gratuità per gli utenti tutti, istituti scolastici compresi.

[5] Si può vedere, a tal riguardo, un sempre attuale volume di ATTILIO DANESE, Cittadini responsabili. Questioni di etica politica, Roma 1992, Dehoniane e, sia consentito, una discussione del medesimo testo in CARLO DE NITTI, Responsabilità e solidarietà. Il dibattito sull’etica della cittadinanza, “Prospettiva persona”, V (1995), 16, pp. 50 – 54.

[6] Anche in quella situazione occorrerà pensare ai discenti le cui dotazioni informatiche risultino essere impari al fine da conseguire, sempre nell’ottica della rimozione degli ostacoli di cui La Costituzione della Repubblica.

Coronavirus, il ministero dell’Istruzione rilancia: “Nuove risorse per la scuola e presto cantieri”

da la Repubblica

di CORRADO ZUNINO

ROMA – A breve il governo dirà, in maniera definitiva, che cosa farà dell’Anno scolastico 2019-2020. Lo spiegano fonti vicine alla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina: “Gli scienziati si sono espressi pubblicamente e la ministra si atterrà come sempre”. Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, e Giovanni Rezza, dell’Istituto superiore di Sanità, hanno chiesto di “posporre” la riapertura delle scuole a settembre. Il governo, a differenza di quanto deciso in Francia da Emmanuel Macron, seguirà la richiesta.

Sulla riapertura a settembre la Azzolina resta cauta. Dal ministero assicurano che, data certezza ai due esami di Stato, Terza media e Maturità, adesso l’attenzione della struttura è rivolta a settembre: “Sappiamo che ci dobbiamo muovere in fretta”. Le prossime due settimane saranno importanti per le scelte future, a partire da questa mattina. La ministra ha partecipato a una videoconferenza con i responsabili dell’Istruzione europei e in quella occasione potrebbero essere indicate nuove forme di finanziamento dirette alla scuola sul tema del diritto allo studio.

A proposito della richiesta del mondo della scuola di trovare 3 miliardi entro settembre, raccolta oggi da Repubblica, il ministero è in linea con la richiesta generale di risorse fresche necessarie per affrontare una fase straordinaria: “Per ora siamo riusciti a evitare la riduzione dei docenti”. Per domani è previsto un incontro con il sindacato per illustrare le decisioni prese in materia di concorsi, ma la Flc Cgil ha detto che senza discussione sugli argomenti i confederali non si presenteranno. Nell’agenda del Mi, ancora, sono previsti incontri con gli studenti e il Forum delle famiglie. Più avanti, il ministero vedrà le Regioni e proverà a costruire il nuovo calendario scolastico. L’Istruzione vuole far partire la stagione il primo settembre, con il richiamo degli studenti promossi con debiti, e avviare i recuperi, ma già Liguria e Toscana hanno detto che intendono utilizzare settembre per salvare una stagione turistica già in debito d’ossigeno.

La ministra Azzolina difende e rilancia la didattica a scuola, che “porteremo con noi nel tempo”. Ai 70 milioni di euro investiti in queste settimane per acquistare nuovi computer e tablet, andrà aggiunto il milione di “devices” che i singoli istituti hanno iniziato ad acquistare da novembre 2015: li distribuiranno in comodato d’uso agli studenti. Altri interventi sul tema sono in corso, in maniera autonoma, da parte di alcune Regioni.

Gissi: “Oggi una gestione estemporanea”

La Cisl scuola, il sindacato con più iscritti dopo le elezioni del 2018, conferma che non accetterà l’invito ministeriale per domani – “non possiamo discutere di informative su attività, i concorsi per i docenti, che forse non si potranno espletare”, dice la segretaria Maddalena Gissi. E sul ritorno a settembre sottolinea: “Non si considera abbastanza il problema dei più piccoli: infanzia e primaria. Con il rientro dei genitori alle attività lavorative, i bambini dovranno seguire da casa le attività scolastiche e non tutti hanno questa possibilità. Per loro il distanziamento preventivo è complicato, immaginiamo gli scuolabus e le mense”. La Cisl chiede un confronto “costante e sistematico” con la ministra, “come già avviene con la Sanità e la Pubblica amministrazione”. La richiesta è di entrare su “tutti i temi” che coinvolgono la scuola: “Valutazione e regole per la didattica a distanza, organi collegiali e programmazione delle attività fino alla fine dell’anno, oggi tutto questo è gestito in modo estemporaneo e a volte schizofrenico”. Anche la Cisl chiede risorse straordinarie: “Il momento è unico”. Se la scuola riapre i battenti, “avrà bisogno di recuperare sei mesi di attività per tanti adolescenti e bambini che non sono stati raggiunti con la Dad. Bisogna stringere alleanze con le associazioni che hanno lavorato da anni nei quartieri deprivati, creando sinergie tra il ministero per il Sud e l’Istruzione. Serve individuare le soluzioni anche sul piano contrattuale”. E sui concorsi, la Cisl ribadisce la volontà di aprire un bando facilitato: “I precari stanno lavorando tanto, si dovrebbe riconoscere loro l’impegno e la passione esercitata in condizioni difficili”.

Giannelli: “Docenti da formare sulla nuova didattica”

Sulla questione sollevata da “Repubblica” – rientro e risorse – interviene anche Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. È scettico sulla possibilità del ritorno a scuola a fine estate, Giannelli, ma chiede finanziamenti speciali e la rimessa in moto della macchina dell’edilizia scolastica: “Quando ci sarà sicurezza per tutti, si rientrerà tutti. Non è possibile restare a scuola, il luogo per eccellenza dell’assembramento, a distanza di sicurezza e non c’è modo di garantire il distanziamento all’ingresso, all’uscita, in mensa. Noi non siamo cinesi e non abbiamo studenti cinesi capaci di una disciplina ferrea. I corridoi, i bagni, la ricreazione sono momenti di potenziale contagio. Non vedo i ragazzi in mascherina a lezione come se fossero in un reparto di Infettivologia. E poi, chi le paga le mascherine? Dovremo organizzarci per un periodo da vivere sotto l’assedio di un virus insidioso e utilizzare la didattica a distanza anche nel 2020-2021. Non credo in soluzioni che prevedano doppi turni, orari ridotti. Senza i ragazzi a scuola bisogna, invece, avviare una stagione di forte ripresa dell’edilizia scolastica. E’ necessario per le nostre scuole e aiuta a rilanciare aziende in difficoltà. E poi dobbiamo cogliere l’occasione per raggiungere con internet tutte le case degli italiani. La commessione è un diritto sociale e non la si dovrebbe pagare. Da qui a settembre, infine, tutti i docenti devono acquisire dimestichezza con le piattaforme telematiche. Questo aggiornamento deve essere pagato, anche con incrementi contrattuali”.

Scuola, ecco i primi due indizi che si riaprirà a settembre (e a distanza)

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

In ogni giallo che si rispetti per arrivare a una prova servono tre indizi. Applicando la stessa regola a quello che circonda la riapertura delle scuole ce ne sono già due che portano a settembre e, almeno in una prima fase, alla prosecuzione delle lezioni online. Dopo l’invito alla prudenza del presidente del Consiglio superiori di sanità, Franco Locatelli, è arrivata anche la decisione del ministero dell’Istruzione di prorogare al 31 luglio il termine per acquistare – con i 500 euro del bonus professori – Pc e webcam utili per la didattica a distanza.

Il parere dell’esperto

Lunedì 13 aprile il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato che le scuole francesi riapriranno l’11 maggio. Da noi tutto porta invece a pensare che se ne riparlerà a settembre. Appena domenica 12, il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli – intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa” – ha infatti suggerito: «Personalmente penso che si possa fare una riflessione per posporre la riapertura delle scuole al prossimo anno». Precisando, subito dopo, che la decisione tuttavia «spetta al governo».
Fatto sta che la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha più volte sottolineato che ogni decisione sulla fine di questo anno scolastico e l’inizio del prossimo saranno prese ascoltando i consigli della comunità scientifica.

Il secondo indizio porta a settembre

Proprio da viale Trastevere arriva però il secondo inizio che la riapertura molto probabilmente slitterà a settembre e che, almeno in una prima fase, l’attività didattica continuerà a essere a distanza. Nei giorni scorsi il ministero dell’Istruzione ha prorogato dal 31 marzo al 31 luglio 2020 il termine entro cui i docenti potranno spendere i 500 euro della card formazione. Con cui possono essere acquistati – su input della ministra Azzolina – anche Pc, webcam e microfoni per le lezioni online.
Va bene concedere qualche mese in più ai prof per dotarsi di strumenti tecnologicamente avanzati ma perché arrivare fino a fine luglio, quando l’anno scolastico 2019/2020 sarà già terminato?

L’ultima parola all’ordinanza sulla maturità
Per la prova definitiva bisognerà aspettare ancora qualche settimana. Sarà un’ordinanza della ministra Azzolina a decidere in che forma e in che misura si svolgeranno gli esami di maturità e di licenza media tra i due scenari ipotizzati dal decreto scuola del 6 aprile (che è ora all’esame del Senato). Ma più passano i giorni più ci avviciniamo alla data spartiacque del 18 maggio più l’ipotesi in campo sembra restare una. E cioè che in quinta superiore ci sarà solo il colloquio (presumibilmente da remoto) mentre in terza media il giudizio finale sarà espresso sulla tesina dello studente. A quel punto spostare gli orologi sulla ripresa di settembre sarà quasi automatico.

Scuola, un rientro problematico tra distanze e continuità didattica

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto

È ormai pressoché certo che il rientro a scuola avverrà dopo l’estate. Nella migliore delle ipotesi, a settembre, con l’inizio del nuovo anno. Ma non si può escludere, alla luce del rischio epidemico che comportano le concentrazioni di studenti, che per le scuole la Fase 2 inizi ancora più in là, come pure per le università.

Sappiamo anche che non sarà un rientro “normale”, almeno fino a quando non ci saranno il vaccino, o almeno le cure, per il virus.

In primo luogo, dopo l’estate potrebbero esserci nuovi focolai, che in alcune aree costringeranno a chiusure “a scacchiera”. E se anche ciò non avvenisse, il vero problema è che gli edifici, l’organizzazione della giornata scolastica e la composizione delle classi nella maggior parte degli istituti italiani non sembrano in grado di garantire il rispetto delle misure precauzionali che la Fase 2 richiederà. Innanzitutto, un distanziamento sociale adeguato a prevenire nuovi contagi, magari da soggetti asintomatici, come spesso sembra siano i giovani che contraggono il virus.

Il primo problema di distanziamento sociale riguarda già l’arrivo a scuola. Nel tragitto da casa, moltissimi studenti affollano i mezzi pubblici; arrivati davanti a scuola, inevitabilmente si creano assembramenti fra i più grandi e forse ancor più fra i piccoli, accalcati sui marciapiedi con genitori e nonni. Spesso, poi, l’accesso all’edificio avviene attraverso un’unica entrata; anche sulle scale e nei corridoi (come pure nelle mense) non sarà facile tenere distanziate frotte di ragazzi.

Il problema è ancora più serio in aula, dove si trascorrono molte ore. In Italia la numerosità media di una classe di scuola primaria è di 19 alunni (con l’8% sopra 24), alle medie di 21 (con il 14% sopra 24), alle superiori di 22 (con il 17% sopra 24, che diventa il 38% per le prime classi). Le norme in vigore dal 1975 (ma il 60% delle scuole è stato costruito prima e con criteri più angusti) prevedono che la superficie netta per studente prevista per le attività didattiche vari dai 1,80 mq dalle materne alle medie fino ai 1,96 mq per le superiori. Un semplice calcolo fa capire che la superficie indicata dalla normativa non sarà sufficiente a garantire il distanziamento sociale minimo (almeno un metro lineare, ma si parla di due nei bar e ristoranti). Per ottenerlo, tenendo conto che in aula i ragazzi devono muoversi e ci vuole anche spazio per il docente, servirebbero aule di dimensioni di non inferiori a 60mq, probabilmente di più. Ma non è questa – temiamo – la situazione delle scuole italiane.

Ad esempio, la lettura di una ricerca dell’Università La Sapienza e del Comune di Roma sulle scuole capitoline suggerisce che le dimensioni delle aule di rado superano i 50mq. A livello nazionale, però, i dati sono insufficienti e andranno migliorati se si vorranno prendere decisioni ben fondate sulla Fase 2 della scuola.

Per inciso, evocare il vecchio (e falso) problema delle classi pollaio, da sempre definite come quelle classi con un numero di studenti superiore al limite di legge, è fuorviante: secondo le stime del nostro «Rapporto» sull’edilizia scolastica, sono meno dello 0,5%. Il problema, oggi, è piuttosto lo spazio per allievo.

Come affrontare il problema? Credo che non si potrà fare a meno di alcuni ingredienti, con un mix diverso da caso a caso: forme di turnazione, per liberare spazi; una riorganizzazione del monte ore e dei quadri orari, in modo da scaglionare gli ingressi e le lezioni; un’estensione al pomeriggio delle lezioni e dell’impegno dei docenti. La didattica a distanza resterà presumibilmente una risorsa necessaria per altri mesi, con magari una parte della classe a turno in aula e l’altra a casa collegata online. Tutto sarà ancora più difficile per gli alunni di infanzia e primaria.

Su alcuni di questi temi, essenziali per i mesi a venire, è opportunamente intervenuta la ministra Azzolina, che ha proposto di ridurre il numero di allievi per classe: nelle prossime settimane si tratterà di capire come.

Supponendo che questi problemi vengano risolti, c’è un’altra ragione per cui la ripresa a settembre (o dopo) non sarà normale. Il decreto approvato 15 giorni fa prevede infatti di dedicare le prime settimane a un recupero a tappe forzate di quanto non è stato possibile fare quest’anno, con particolare attenzione a chi è rimasto indietro. Per farlo, servirebbe però avere tutti i docenti in aula dal primo giorno. Ma da anni ciò non avviene e nel prossimo andrà ancora peggio: il termine per le nomine in ruolo è stato infatti posticipato al 15 settembre e si prevede un numero record di supplenti, anche più di 200mila.

Perché non congelare la mobilità, facendo in modo che gli attuali insegnanti completino e consolidino nella stessa scuola il percorso avviato, anche attraverso la didattica a distanza, in quest’anno tormentato ed eccezionale? Il diritto degli studenti alla continuità didattica, a non avere lacune gravi negli apprendimenti e – per quelli più fragili – a non rimanere irrimediabilmente indietro mi sembra prioritario.

Direttore Fondazione Agnelli

È ormai pressoché certo che il rientro a scuola avverrà dopo l’estate. Nella migliore delle ipotesi, a settembre, con l’inizio del nuovo anno. Ma non si può escludere, alla luce del rischio epidemico che comportano le concentrazioni di studenti, che per le scuole la Fase 2 inizi ancora più in là, come pure per le università.

Sappiamo anche che non sarà un rientro “normale”, almeno fino a quando non ci saranno il vaccino, o almeno le cure, per il virus.

In primo luogo, dopo l’estate potrebbero esserci nuovi focolai, che in alcune aree costringeranno a chiusure “a scacchiera”. E se anche ciò non avvenisse, il vero problema è che gli edifici, l’organizzazione della giornata scolastica e la composizione delle classi nella maggior parte degli istituti italiani non sembrano in grado di garantire il rispetto delle misure precauzionali che la Fase 2 richiederà. Innanzitutto, un distanziamento sociale adeguato a prevenire nuovi contagi, magari da soggetti asintomatici, come spesso sembra siano i giovani che contraggono il virus.

Il primo problema di distanziamento sociale riguarda già l’arrivo a scuola. Nel tragitto da casa, moltissimi studenti affollano i mezzi pubblici; arrivati davanti a scuola, inevitabilmente si creano assembramenti fra i più grandi e forse ancor più fra i piccoli, accalcati sui marciapiedi con genitori e nonni. Spesso, poi, l’accesso all’edificio avviene attraverso un’unica entrata; anche sulle scale e nei corridoi (come pure nelle mense) non sarà facile tenere distanziate frotte di ragazzi.

Il problema è ancora più serio in aula, dove si trascorrono molte ore. In Italia la numerosità media di una classe di scuola primaria è di 19 alunni (con l’8% sopra 24), alle medie di 21 (con il 14% sopra 24), alle superiori di 22 (con il 17% sopra 24, che diventa il 38% per le prime classi). Le norme in vigore dal 1975 (ma il 60% delle scuole è stato costruito prima e con criteri più angusti) prevedono che la superficie netta per studente prevista per le attività didattiche vari dai 1,80 mq dalle materne alle medie fino ai 1,96 mq per le superiori. Un semplice calcolo fa capire che la superficie indicata dalla normativa non sarà sufficiente a garantire il distanziamento sociale minimo (almeno un metro lineare, ma si parla di due nei bar e ristoranti). Per ottenerlo, tenendo conto che in aula i ragazzi devono muoversi e ci vuole anche spazio per il docente, servirebbero aule di dimensioni di non inferiori a 60mq, probabilmente di più. Ma non è questa – temiamo – la situazione delle scuole italiane.

Ad esempio, la lettura di una ricerca dell’Università La Sapienza e del Comune di Roma sulle scuole capitoline suggerisce che le dimensioni delle aule di rado superano i 50mq. A livello nazionale, però, i dati sono insufficienti e andranno migliorati se si vorranno prendere decisioni ben fondate sulla Fase 2 della scuola.

Per inciso, evocare il vecchio (e falso) problema delle classi pollaio, da sempre definite come quelle classi con un numero di studenti superiore al limite di legge, è fuorviante: secondo le stime del nostro «Rapporto» sull’edilizia scolastica, sono meno dello 0,5%. Il problema, oggi, è piuttosto lo spazio per allievo.

Come affrontare il problema? Credo che non si potrà fare a meno di alcuni ingredienti, con un mix diverso da caso a caso: forme di turnazione, per liberare spazi; una riorganizzazione del monte ore e dei quadri orari, in modo da scaglionare gli ingressi e le lezioni; un’estensione al pomeriggio delle lezioni e dell’impegno dei docenti. La didattica a distanza resterà presumibilmente una risorsa necessaria per altri mesi, con magari una parte della classe a turno in aula e l’altra a casa collegata online. Tutto sarà ancora più difficile per gli alunni di infanzia e primaria.

Su alcuni di questi temi, essenziali per i mesi a venire, è opportunamente intervenuta la ministra Azzolina, che ha proposto di ridurre il numero di allievi per classe: nelle prossime settimane si tratterà di capire come.

Supponendo che questi problemi vengano risolti, c’è un’altra ragione per cui la ripresa a settembre (o dopo) non sarà normale. Il decreto approvato 15 giorni fa prevede infatti di dedicare le prime settimane a un recupero a tappe forzate di quanto non è stato possibile fare quest’anno, con particolare attenzione a chi è rimasto indietro. Per farlo, servirebbe però avere tutti i docenti in aula dal primo giorno. Ma da anni ciò non avviene e nel prossimo andrà ancora peggio: il termine per le nomine in ruolo è stato infatti posticipato al 15 settembre e si prevede un numero record di supplenti, anche più di 200mila.

Perché non congelare la mobilità, facendo in modo che gli attuali insegnanti completino e consolidino nella stessa scuola il percorso avviato, anche attraverso la didattica a distanza, in quest’anno tormentato ed eccezionale? Il diritto degli studenti alla continuità didattica, a non avere lacune gravi negli apprendimenti e – per quelli più fragili – a non rimanere irrimediabilmente indietro mi sembra prioritario.

Direttore Fondazione Agnelli

Verso lo sblocco delle graduatorie provinciali già da quest’anno

da Il Sole 24 Ore

di Eu. B.

Si va verso lo sblocco – tanto caro ai precari – della trasformazione delle graduatorie di istituto in graduatorie provinciali. A confermarlo è un post su Facebook della ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, che si dice favorevole a “scongelare” la misura messa in freeezer dal decreto scuola. Ma affida la decisione finale al Parlamento che da domani (al Senato) inizierà a esaminare il Dl varato il 6 aprile scorso.

La ministra Azzolina possibilista
Nel ripetere quanto dichiarato dopo l’approvazione del decreto scuola – e cioè che alle condizioni attuali non è possibile l’aggiornamento delle graduatorie e che per questo il provvedimento lo ha rinviato all’anno scolastico 2020/21 – la titolare dell’Istruzione ricorda che una strada ci sarebbe per guadagnare 12 mesi di tempo: «Accelerare sulla provincializzazione delle graduatorie, digitalizzando il sistema». Ma ricorda che per farlo serve una norma che la autorizzi a emanare «un decreto ministeriale avente natura non regolamentare», a cui non servano gli ok delle commissioni parlamentari. Consapevole che si tratti di una «deroga forte» la ministra affida al Parlamento il compito di votarla e inserirla nel Dl che inizia domani il suo iter di conversione dal Senato.

L’ok di M5S e Pd
In Parlamento i consensi sembrano esserci. Prima del post di Azzolina anche i parlamentari dei deputati e senatori del suo movimento (il M5S) in commissione Cultura si
erano detti disponibili «a lavorare per l’attivazione immediata delle graduatorie provinciali». E una sponda potrebbe arrivare anche dal Pd, considerando che anche la viceministra all’Istruzione, la dem Anna Ascani, si è detta d’accordo: «Sono convinta che, con i doverosi investimenti in termini di risorse e di impegno, si debba lavorare per riaprire le graduatorie di istituto. È chiaro che per riuscire nell’intento sarà necessaria la più ampia condivisione parlamentare in sede di conversione del Decreto Scuola e sono certa che non mancherà».

Quanto è affidabile un’interrogazione a distanza?

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

La terza proposta della Zanichelli nelle idee per insegnare da casa: prima come connettersi con la classe, poi come fare una lezione segmentata e ora come valutare a distanza
Ore 11, interrogazione di italiano: «Leggi queste 10 righe dal Fu Mattia Pascal, che ti ho condiviso sullo schermo, poi ti farò alcune domande.» Da una parte lo studente, dall’altra la professoressa che ha sotto gli occhi una lista di domande. Non chiede quando è nato Pirandello, ma di fare una sintesi del testo, di riconoscere in quel testo lo stile dell’autore e di individuare collegamenti con opere di altri autori. Sono domande che mettono in gioco le competenze di analisi del testo, non le nozioni sulla vita e sulle opere che un amico dietro lo schermo potrebbe facilmente suggerire.
La professoressa interroga con un copione: una lista di quattro o cinque domande inserite in una griglia di valutazione, nella quale sono esplicitate le risposte che si aspetta dallo studente. Poi per ogni domanda spunta una casella nella quale esprime una valutazione: insufficiente, sufficiente, buono o ottimo. Alla fine dà una valutazione complessiva sulla base di un criterio oggettivo e documentabile.
La griglia di valutazione è una checklist che guida l’interrogazione a distanza, dandole una struttura ordinata e riproducibile. Se l’esame di maturità fosse tutto orale e a distanza, la griglia potrebbe diventare uno strumento nelle mani dei commissari per arrivare a una valutazione condivisa.

«Le verifiche orali a distanza con griglia di valutazione – dice il direttore editoriale Giuseppe Ferrari – sono la terza ondata di idee per insegnare da casa che la Zanichelli propone agli insegnanti, per aiutarli a sperimentare la didattica a distanza. Prima come connettersi con la classe in videoconferenza, poi come fare una buona lezione a distanza con il modello della lezione segmentata e ora come dare un voto affidabile quando hai meno possibilità di controllo che con gli studenti davanti».
La terza ondata di idee per insegnare da casa contiene anche proposte per insegnare agli studenti e alle studentesse con bisogni educativi speciali, per esempio i dislessici e gli stranieri. Mappe per visualizzare i concetti, infografiche e lo strumento di lettura immersivo di Microsoft: un software che legge un testo ad alta voce e aiuta i dislessici a concentrarsi su una sola riga alla volta, oscurando le altre righe. Sono strumenti utili per tutti, ma indispensabili per alcuni.

«Subito dopo la chiusura delle scuole – dice Ferrari – siamo partiti dallo Speciale coronavirus (che continuiamo ad aggiornare con il contributo del virologo Giovanni Maga), abbiamo proposto agli insegnanti idee concrete per insegnare da casa. Non abbiamo ricette provate, siamo consapevoli che si procede per tentativi ed errori, ma chi avrebbe detto un mese fa che il 90% degli insegnanti italiani avrebbe fatto lezioni a distanza? Alla Zanichelli ne siamo fieri, perché è una grande prova di responsabilità educativa della scuola italiana».

Video, esercizi interattivi e dizionari digitali
Nella pagina zanichelli.it/scuola/idee-per-insegnare-da-casa, che in due settimane ha superato il mezzo milione di visualizzazioni, ci sono:
•un video-tutorial sulla lezione segmentata con 35 tracce di lezione, da italiano a topografia.
•un video-tutorial sulle verifiche orali, con 70 griglie di valutazione per 27 materie, e altre 50 Verso l’Esame di Stato.
Altre idee per insegnare da casa sono:
•lezioni con video, testi e immagini su Collezioni https://collezioni.scuola.zanichelli.it/, con 2500 video d’autore di 20 materie
•lezioni di letteratura italiana su Biblioteca, con 1000 testi, 150 analisi visuali, 300 linee del tempo e 250 documenti di critica letteraria
•esercizi interattivi su ZTE – Zanichelli test, (https://zte.zanichelli.it/ ) con 120 mila test interattivi di 70 materie.

Nell’ultima settimana sono state create e condivise 5000 collezioni e svolti 1 milione e 600mila esercizi interattivi.
Infine, nell’ambito della solidarietà digitale la Zanichelli ha dato l’accesso gratuito per 90 giorni alle versioni digitali dello Zingarelli e di 9 dizionari, tra cui il Ragazzini di inglese, e il Boch di francese.

Alt dei presidi a ritorni in classe «graduali»

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

«Bisogna capire se a settembre potremo tornare a scuola oppure no. Io voglio sperare di sì ma nell’ipotesi in cui si possa tornare non sono a favore di un rientro graduale: a scuola o si torna o no, la scuola non è come una fabbrica». A dirlo è il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, spiegando che il distanziamento è «impossibile» e che 3 miliardi di euro per i contratti e l’edilizia sono pochi perché basterebbero al massimo per i rinnovi.

I dubbi su mascherine e lezioni alternate in presenza/distanza

«Gli operai possono lavorare con le mascherine – osserva – i ragazzi non possono farlo. Le mascherine poi costano, chi paga? Se ci saranno le condizioni si torna tutti, altrimenti si continua con la didattica a distanza». Né per Giannelli è praticabile la lezione seguita in presenza da alcuni e a distanza da altri studenti. «Se bisogna raddoppiare il numero di ore bisogna raddoppiare il numero di docenti. Tutti poi prenderebbero sul serio solo la lezione solo in presenza. Infine, anche con metà degli alunni, si creano assembramenti: a scuola il distanziamento non si può tenere, è impossibile. Insomma, o la scuola si riapre in piena sicurezza o non si riapre».

La fine dell’anno scolastico
Sulla fine dell’anno scolastico 2019/20 la speranza di Giannelli è che si possa «tornare in classe anche solo per qualche giorno, avrebbe un valore simbolico, ma saranno i medici a dire cosa è meglio fare. Sulle valutazioni, il ministero dell’Istruzione ha già chiarito che si deve procedere, bisogna valutare a distanza, i docenti devono farlo».

Le risorse che mancano
Quanto alla cifra di tre miliardi, circolata in queste ore, che servirebbe per la scuola, i presidente dell’Anp spiega: «Tre miliardi servono per il rinnovo contrattuale degli stipendi del personale della scuola, su cui io concordo pienamente, ma finché perdura l’emergenza, sarà difficile occuparsene. Servono sicuramente investimenti per adeguare, oltre agli stipendi, le infrastrutture scolastiche e le connessioni alla rete: questo è il momento ideale per intervenire, ora che non ci sono alunni».

“Didattica online a settembre Ma non dobbiamo lasciare nessuno studente indietro”

da la Repubblica

Andrea Gavosto, direttore Fondazione Agnelli

di Ilaria Venturi

Mette in fila le priorità, consapevole che a settembre realisticamente il rientro a scuola sarà progressivo e sarà ancora necessaria la didattica online. Così Andrea Gavosto, economista, direttore della Fondazione Agnelli, guarda alla fase due per l’istruzione.

La scuola sta subendo un duro colpo. Come intervenire?

«Va pensata ora una fase due per la scuola anche se è ragionevole che sia l’ultima a ripartire. Sino a che non saranno trovati la cura o il vaccino occorre essere molto prudenti. È possibile che la prima parte del nuovo anno scolastico si debba fare con lezioni a distanza».

Cosa è più urgente fare in questo scenario?

«Intanto si potrebbe prolungare l’anno sino a luglio per permettere ai ragazzi di recuperare subito lacune catastrofiche per il loro futuro. Il meccanismo dell’istruzione funziona come una scala a pioli: se salti un gradino fai più fatica a salire».

Ma un milione e 600 mila studenti non sono raggiunti dalle lezioni online.

«Il problema è enorme e bisogna su questo muoversi in fretta, i primi finanziamenti ci sono e dunque si cominci ad assicurare connessioni e tablet. Grande attenzione va data agli alunni disabili, i più fragili: su questo stiamo curando un progetto per i docenti. Infine, ed è ancora più difficile, occorre recuperare quelli che hanno mollato».

Come fare?

«I docenti sono stati straordinari in questa fase. Ma ora, immaginando tempi lunghi, occorre passare da una didattica a distanza trasmissiva o fatta con il solo registro elettronico a soluzioni più coinvolgenti. Di questo la scuola ha bisogno e per farlo diventa prioritario formare gli insegnanti».

Come immagina una riapertura a settembre?

«Se ci sarà ha senso pensare a doppi turni e a nuovi spazi da affittare per l’emergenza. Andranno riorganizzati orari e classi, magari con una didattica mista in aula e da casa.

Quello che andrà perduto in ogni caso sarà l’aspetto fondamentale di socializzazione della scuola.

Importante sarà fare molta attenzione al benessere psicologico dei ragazzi. Altra priorità è garantire la continuità didattica congelando mobilità e trasferimenti. Sarebbe disastroso a settembre far ripartire la giostra dei supplenti».

“Test sierologici obbligatori e organici al completo o in classe non si può tornare”

da la Repubblica

di Caterina Pasolini

«Bisogna tornare al più presto in classe: e per farlo ci vogliono test sierologici a professori e studenti oltre ad organici dei docenti completi. Altrimenti non è pensabile ripartire». Domenico Squillace, 63 anni, preside del liceo Volta di Milano, in questi giorni tra una pagina e l’altra de L’amore ai tempi del colera di Marquez, prende i computer della scuola e li consegna agli studenti che ne sono privi. È diventato famoso per aver scritto ai suoi alunni, il giorno della chiusura delle scuole, una lettera di affetto e letteratura, di chi coglie similitudini tra i Promessi sposi e la pandemia. Un invito a non distruggere col sospetto la vita sociale, che si concludeva: «Vi aspetto presto a scuola».

Sono passati quasi due mesi.

«Ne passeranno altri. Nonostante gli sforzi dei professori, alcuni sulla soglia della pensione si sono reinventati online, gli studenti a distanza faticano di più e cominciano ad essere stanchi. Dopo l’estate l’impegno sarà doppio: si dovranno mettere in pari i ragazzi che ora vengono promossi ma che non ce l’avrebbero fatta. E ristabilire il contatto: per questo oltre alle lezioni online ho invitato i docenti a fare anche iniziative con uno o due studenti per seguirli meglio».

Contrario alle lezioni online?

«Vanno bene per l’emergenza ma bisogna tornare in classe, perché lì gli studenti hanno uguali opportunità di imparare. La didattica online non è democratica: c’è chi ha un computer e chi no, chi non ha il wi-fi potente, chi ha spazi per studiare tranquillo e chi ci prova con i libri in bilico sul tavolo da cucina, i genitori che lavorano accanto e fratelli piccoli che stufi di stare in casa protestano».

Che fare per aprire a settembre?

«Copiare la Corea del sud o l’Islanda.

Test virologici obbligatori per entrare a scuola, e organici al completo.

Altrimenti non sarà possibile recuperare i ritardi e aiutare i ragazzi meno preparati».

C’è chi propone doppi turni per il distanziamento.

«Se fai i test li eviti. Da noi sarebbero impraticabili: ho 1.200 studenti , per garantire la distanza di sicurezza dovrei fare tre di turni di lezioni. E quindi avrei bisogno di 270 professori contro gli attuali 90. Chi me li dà?

Certo non il governo che mi sembra abbia ben altre serie emergenze, visto lo stato del sistema sanitario».

Tre miliardi per la scuola

da la Repubblica

Corrado ZUnino

– Chiudere con l’anno scolastico in corso e guardare a settembre. Il mondo della scuola chiede alla ministra Lucia Azzolina, e ancor più al governo guidato da Giuseppe Conte, di iniziare a dedicare – subito, che non c’è tempo da perdere – tempo e intelligenze, progetti straordinari e risorse all’altezza alla scuola italiana. Per provare a riportare in classe otto milioni e mezzo di ragazzi a settembre. Non si è ascoltato altro, in questi primi trentatré giorni di clausura, quaranta giorni di istituti chiusi (che diventano cinquantadue se la prospettiva è quella di Codogno e Vo’), che un impegno ministeriale ventre a terra sulla didattica a distanza. Settantacinque milioni di euro per portare computer e tablet a chi non li ha, e ancora molti studenti non sono stati raggiunti.

È stata una politica lodevole, “senza alternativa”, come ha recentemente detto la ministra dell’Istruzione, un’azione che ha spinto in avanti conoscenze e pratiche di docenti e studenti, ma la lezione a distanza “non può bastare”. Il mondo della scuola – a cui si aggiungono psicologi, educatori, le famiglie – chiede un piano straordinario per un anno di nuovo in classe. E indica le ipotesi da percorrere per garantire le distanze sociali tra gli studenti, i 900 mila insegnanti e i 200 mila amministrativi impegnati: turni in classe mattina e pomeriggio o, dove non si può, didattica mista in aula e a casa, quindi lezioni più brevi, utilizzo del sabato e cantieri aperti in estate per recuperare classi ed edifici che hanno bisogno di interventi non strutturali. Per fare tutto questo servono risorse nuove. Tre miliardi, almeno.

Task force e cronoprogramma

“La lezione a distanza non può bastare”. Sono le parole del sottosegretario all’Istruzione, Giuseppe De Cristofaro, negli ultimi tempi critico con l’agire della ministra e pronto a ricordare come il Consiglio superiore di sanità, per voce del suo presidente Franco Locatelli, abbia detto esplicitamente che è il caso “di posporre la riapertura delle scuole al prossimo anno”. Se ne riparla a settembre, sì, partita chiusa. Come ripartire, allora? Il sottosegretario De Cristofaro dice: “Bisogna fare tutti gli sforzi possibili per riportare in classe docenti e discenti. La didattica a distanza ha colmato il vuoto, ma ogni giorno amplifica le disuguaglianze che già a scuola esistono. Il ministero deve insediare al più presto una task force e costruire un cronoprogramma per i prossimi quattro mesi e mezzo. È il momento di trovare tre miliardi per la scuola italiana, che nelle ultime stagioni ha avuto scarsa attenzione. Questa pandemia ha dimostrato che i pilastri dello Stato sono il sistema sanitario e il sistema dell’istruzione. Dobbiamo mettere in discussione quello che abbiamo fatto fin qui, tagli. E portare a casa i concorsi avviati con un percorso rapido che guardi a chi già insegna”.

Tre miliardi, ecco. Sono quelli che ha investito nel 2015, attraverso la “Buona scuola”, il Governo Renzi. Con quelle risorse sono stati assunti 86 mila docenti, si sono dati premi agli insegnanti più impegnati e bonus cultura a tutti quelli in ruolo. Due miliardi – 1,977 milioni, esattamente – è la cifra che era riuscito ad ottenere il penultimo ministro, Lorenzo Fioramonti (li ritenne insufficienti e sotto Natale si dimise). Serve quel livello di risorse, e serve da settembre.

Rischio settembre caos

Francesco Sinopoli è il segretario della Federazione dei lavoratori della conoscenza della Cgil, il sindacato più grande nella scuola. Dice: “Oggi la ministra dimentica totalmente che per recuperare quanto perduto in tanti mesi saranno necessari forti investimenti in tempo scuola, organici docenti e amministrativi, laboratori, edilizia scolastica e sicurezza. Tre miliardi sono la base di partenza per tornare in classe a settembre con il distanziamento sociale, ma si può anche salire. Dovremo investire sul rinnovo del contratto e sull’aumento in busta paga perché già sappiamo che i carichi di questa rinascita peseranno sulle spalle dei nostri docenti, sottopagati. Ad oggi non ci è stato detto nulla: quale organizzazione didattica ci sarà, per quale ciclo scolastico, banalmente quale investimento sulla sanificazione degli istituti e sui dispositivi di sicurezza si farà. Di questo la ministra con noi non parla. Ci ha convocato per domani per comunicazioni sui concorsi, ma il sindacato non è qui per prendere comunicazioni, vogliamo discutere. Come hanno fatto in Fca arrivando a un accordo per la ripresa della produzione. No, all’incontro non ci presenteremo”.

L’ultima rivendicazione dei cinque sindacati – data 17 febbraio, la vigilia dell’epidemia – chiedeva più dei 100 euro lordi indicati da Fioramonti e un investimento pluriennale di 16 miliardi di euro: “Un punto di Pil sull’istruzione”.

Come provare a organizzare il futuro prova a dirlo Lucio Ficara, docente di Matematica e Fisica in un liceo di Reggio Calabria e giornalista della “Tecnica della scuola”, a nome di diversi insegnanti: “Si può prevedere un’organizzazione con turni mattutini e turni pomeridiani. Per esempio, per le superiori, prime e seconde in classe dalle 8 alle 13 e il triennio dalle 14 alle 19. Per non far lavorare i docenti il doppio sarebbe necessario ridurre la lezione a 40 minuti, come accade in molti Paesi europei, elevando il monte ore di ogni insegnante delle superiori al massimo possibile per legge, da 18 a 24 ore settimanali”.

Per ricompensare questo sforzo emergenziale (durerebbe un anno, forse anche solo sei mesi) serve un rinnovo del contratto vero, da fare subito. Fioramonti l’anno scorso parlava di un aumento di 100 euro lordi il mese? “Facciamo, almeno, 100 euro netti in più in busta paga”. Che resteranno anche quando l’emergenza sarà finita e le ore di insegnamento rientreranno a 18 a settimana.

Carmela Palumbo, storica capo dipartimento del vecchio Miur, immagina realizzabile una dinamica mista, da “scuola capovolta”: spiegazioni online e verifiche (orali e scritte) in classe, a gruppi. “Si può immaginare l’uso del sabato mattina, questo magari da casa”.

Un grande piano per la scuola di settembre dovrebbe mettere tutti i fondi di istituto, sono 800-900 milioni, su questo progetto di rifondazione: priorità alle materie di programma. E, poi, recuperare all’insegnamento i 50 mila docenti che la “Buona scuola” aveva messo su un potenziamento mai realizzato.

Concorsi scuola, Ministero riconvoca sindacati per venerdì 17 aprile

da Orizzontescuola

di redazione

Concorsi scuola: dopo il comunicato dei sindacati che hanno chiesto al Ministro un incontro politico precedente all’informativa stabilita per domani 15 aprile, è il Ministero a differire la riunione.

La prossima convocazione è per venerdì 17 aprile, sempre in videoconferenza.

Il Ministero ha differito la riunione per approfondimenti tecnico – giuridici.

L’ordine del giorno rimane però invariato: informativa sui bandi di concorso ordinario infanzia e primaria, concorso straordinario secondaria per il ruolo, concorso ordinario secondaria, concorso straordinario secondaria per l’abilitazione.

Valutazione online studenti, presidi: occorrono regole dettagliate, rischio ricorsi

da Orizzontescuola

di redazione

“La preoccupazione c’è, più il tempo passa più aumenta la preoccupazione”. A dirlo all’Ansa è Paola Serafin, alla guida dei dirigenti scolastici per la Cisl.

Occorre garantire la legittimità delle operazioni di valutazioni e tener conto della situazione complessa“, continua Serafin.

E’ necessaria una attenta e dettagliata regolamentazione: si rischia molto dal punto di vista del contenzioso, la difformità non aiuterebbe ed esami e valutazioni hanno rilevanza giuridica. Bisogna stabilire come devono essere sviluppate le valutazioni, come devono essere convocati gli organi collegiali e tanto altro. E’ un panorama imprevisto da dover essere regolamentato, lo scenario è completamente nuovo e assolutamente abbiamo bisogno di indicazioni. Siamo in attesa di essere convocati dal ministero ai tavoli tecnici: il confronto può portare un contributo, il nostro spirito è aiutare a trovare soluzioni alle varie questioni“.

Scrutini a distanza

L’articolo 1, comma 4, del decreto dell’8 aprile, sempre in seguito ad ordinanza ministeriale, prevede la possibilità che gli scrutini si svolgano in modalità telematiche.

La possibilità suddetta è prevista in caso non si rientri a scuola entro il 18 maggio (cosa ormai quasi certa) ovvero per ragioni sanitarie non possano svolgersi esami in presenza.

Quanto detto sopra in deroga all’articolo 2 del D.lgs. n. 62/2017 e all’articolo 4 del DPR n. 122/2009, che disciplinano gli scrutini finali nella scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado.