La riforma impossibile

Perché riformare la scuola è impossibile

di Francesco Scoppetta

Se raccogliessimo le proposte di riforma formulate dagli intellettuali (non dai politici) sulla scuola italiana, apparse non tanto sui libri ma soltanto sulla stampa, riempiremo intere biblioteche. Oggi voglio comparare due sole proposte che mi appaiono, tra le tante, degne di considerazione eppure destinate, come molte altre, a restare -purtroppo-  sulla carta (magari le studieranno i posteri o gli storici). 

La prima è di un noto scrittore, Marco Lodoli, che nella scuola ha insegnato sino alla pensione e quindi l’ha vissuta direttamente così come la sua collega Paola Mastrocola. L’altra l’hanno scritta insieme due esperti di pubblica istruzione, Francesco Luccisano e Marco Campione. Cominciamo con Lodoli, il quale avanzando scherzosamente la sua autocandidatura a ministro dell’Istruzione (il Foglio, agosto 2022), come semplice insegnante di lettere dell’istituto professionale con nessuna competenza amministrativa, legislativa, tecnica, ha voluto esprimere alcune sue convinzioni che ora riassumo. Sono ildecalogo di un fantasioso programma.

1. Dal momento che la missione della scuola è educare, preparare, formare, gli insegnanti non devono essere riempiti con compiti burocratici che sottraggono tempo allo studio e alla preparazione. Pertanto è necessario semplificare. La scuola deve insegnare la chiarezza, dunque anche ogni suo documento e ogni suo pensiero devono essere chiari.

2. La tendenza di questi anni è quella di moltiplicare licei di ogni genere, talvolta semplici creazioni ministeriali.Occorre rilanciare gli istituti tecnici e professionali, cioè le scuole dove gli studenti, immigrati compresi, possono apprendere un lavoro, che produrrà stipendi e indipendenza. 

3. Aumentiamo notevolmente le ore di educazione fisica ogni giorno, così come fanno in Croazia e in Slovenia. Iragazzi hanno bisogno di muoversi, correre, saltare, altrimenti in poco tempo ingrassano e si trascinano. 

4. Lezioni di cinquanta minuti e poi dieci minuti di pausa, come accade nelle scuole scandinave. Ogni ora pertanto sia divisa tra studio e aria aperta, concentrazione e poi rilassamento.

5. Due o tre ore alla settimana di musica a scuola, dalle elementari alle superiori. I ragazzi amano la musica, che è matematica e sensibilità, e sarebbero felici di imparare a suonare uno strumento, da soli e insieme agli altri.

6. Siccome i ragazzi amano il presente, sono necessari corsi di aggiornamento per gli insegnanti che non siano quelle noiose lezioni su come si usa il registro elettronico o come si organizza una programmazione. Magari pensare a corsi su cosa è accaduto negli ultimi trent’anni o quaranta nella letteratura, nella scienza, nell’arte, nella storia del nostro paese e del mondo. Aggiornare deve significare arricchire davvero la cultura di chi va in classe per spiegare il passato e il presente.

7. Cancellare l’alternanza scuola-lavoro per i licei classici e scientifici e rafforzarla per i professionali e tecnici. Nei licei è tempo perso, nei professionali è fondamentale e inoltre agli studenti piace moltissimo.

8. Basta con i proff trasfertisti che arrivano stanchi, amareggiati e infelici sul posto di lavoro. Riformulare le graduatorie scolastiche per evitare gli spostamenti geografici degli insegnanti costretti a svegliarsi alle tre di mattina per prendere un treno che li porterà in scuole lontane centinaia di chilometri da casa loro. 

9. Ridurre al massimo la precarietà. Essa consiste nel tremare ogni settembre nel timore di non essere richiamato dopo aver insegnato a scuola già dieci, quindici, vent’anni. Essa consiste nel cambiare scuola ogni anno perché si rinviene un posto libero da occupare, almeno per un poco.

10. Aumentare necessariamente gli stipendi ai professori per togliere loro almeno l’ansia di arrivare a fine mese. Si comincia con 1.400 euro, che neppure bastano per trovare una sistemazione decente in una scuola con cattedra libera di una città sconosciuta.

Se mi si consente un rapido commento (il mio scopo è soprattutto divulgare proposte che trovo molto interessanti),i punti 1 (semplificare), 2 (potenziare tecnici e professionali), 8 (riformulare la graduatorie scolastiche), 9 (eliminare la precarietà), 10 (stipendi migliori), sono “astratti”, sono destinazioni alle quali non si sa con quali mezzi arrivare, mentre gli altri punti sono facilmente realizzabili attraverso atti normativi (aumentare ore di educazione fisica, di musica, ecc…).

Veniamo adesso ad un altro articolo (“4 tabù da infrangere sulla scuola”) apparso sempre sul Foglio ma ad agosto del 2021, scritto da due esperti di istruzione, Francesco Luccisano e Marco Campione:

Tabù1 (Mobilità): La mobilità è un tabù perché alimenta il precariato. Occorrerebbe uniformare le regole per la mobilità dei docenti a quelle di tutta la Pa, fare concorsi a livello di scuola o reti di scuole, introdurre (il modello è quello della provincia di Trento) il periodo di prova per i docenti precari. Gli insegnanti italiani cambiano troppo spesso scuola e tutti i tentativi di limitarne la mobilità, rendendola simile a quella di ogni altro dipendente pubblico, sono stati finora inefficaci. L’effetto è una didattica spezzettata tra un supplente e l’altro, oltre che danni agli apprendimenti.  Secondo un dossier di Tuttoscuola, l’Italia spende per i docenti di sostegno quasi 8 miliardi di euro l’anno e quasi due terzi degli studenti con disabilità cambia il docente ogni anno. 

Tabù 2 (Carriera): La scuola -si ripete sempre- non è un’azienda, per cui con tale tabù si combatte ogni proposta di far crescere in responsabilità e in retribuzione una parte del corpo docente sulla base del merito, delle responsabilità assunte, della permanenza in contesti difficili. Siamo tutti uguali, le gratifiche possono al massimo decidersi in contrattazione scuola per scuola. In questo modo la scuola non attrae i migliori talenti tra i giovani laureati. Si dovrebbe proprio fare il contrario di quello che si fa oggi. I percorsi di valorizzazione professionale non devono essere né contrattati di anno in anno, né a pioggia. L’obiettivo dovrebbe essere quello di passare dal riconoscimento informale delle diverse funzioni che operano in ogni scuola, a quello formale. Il Pnrr sembrava andare in questa direzione, ma forse quel treno è stato indirizzato su un binario morto.

Tabù 3 (Valutazione): Sul sito “Scuola in chiaro” del ministero basta cercare una scuola qualsiasi, si troveranno il numero di laboratori, l’età media degli insegnanti, lo scostamento dai risultati Invalsi di quella regione, il numero di ragazzi che cambiano scuola durante l’anno, il numero di alunni per classi, il turn-over dei docenti. Ormai disponiamo di un’infinità di dati per aiutare le famiglie a scegliere bene la scuola, e per spingere ogni istituto a migliorare. Tutto inutile, le famiglie scelgono ancora sulla base del passaparola, ignorando ad esempio che spesso le differenze maggiori non sono tra le scuole, ma tra le classi. I presidi non sono valutati e pagati per come riescono ad operare miglioramenti misurabili nella propria scuola. Gliispettori di cui dispone il Ministero sono pochi (meno di 200 in pianta organica, in servizio poche decine); i finanziamenti non premiano le scuole che migliorano di più, né rafforzano quelle più in sofferenza. Pur con tanti dati a disposizione l’allergia alla valutazione produce una scuola senza strumenti e senza direzione, in cui il successo formativo dipende soltanto dalla buona volontà del suo personale. Che fare? Valutazione dei presidi, che incida sulla loro carriera; progressivo incremento del corpo ispettivo che lo porti in 5 anni almeno a 1.000 unità; piani di miglioramento per le scuole più vulnerabili.

Tabù 4 (Autonomia e parità): “Scuola della Repubblica” e “scuola di Stato” non sono affatto sinonimi, autonomia e parità hanno rotto quello schema, ben radicato anche nella prassi delle burocrazie ministeriali. Dal concetto di autonomia scolastica (il focus è sull’organizzazione) si passi dunque a quello di scuole autonome (il focus è sulle organizzazioni); si valorizzino le scuole come luogo delle autonomie (degli studenti, dei docenti, dei dirigenti e delle scuole stesse); si torni all’impianto della Conferenza del 1990. Sabino Cassese in quella sede disse: “Non si può attribuire a una comunità scolastica autonomia didattica se non le si concede in qualche misura autonomia di organizzazione, di destinazione delle risorse e anche di ricerca di risorse finanziarie, di scelta del personale”. Per strada si sono perse la scelta del personale e la ricerca autonoma di risorse finanziarie.

IL QUINTO TABU’ Ora, tutte le questioni poste nei due articoli sopra riassunti in fondo si risolvono affrontando il quinto tabù “trasversale” di cui parlano anche Luccisano e Campione: la centralità dello studente. Nessuno a parole la nega ma in realtà la scuola italiana è stata costruita e pensata mettendo al centro le sole esigenze del personale (magari con tessera sindacale). Gli esempi per dimostrare tale logica sarebbero molteplici, mi limito a qualche accenno. Addirittura, visti i bassi stipendi, è ormai senso comune accettare il doppio lavoro per cui avvocati e commercialisti, assicuratori e imprenditori insegnano solo per rimpinguare le proprie entrate e lo fanno beninteso nei ritagli di tempo. La scuola fornisce ormai spesso ai propri dipendenti un salario accessorio e l’insegnante si sta trasformando in un faccendiere (un lungo discorso a parte meritano i dirigenti e gli Ata). La classe, l’orario, il calendario, la lezione, la valutazione, la bocciatura sono tutte costruzioni pensate in funzione degli adulti (il professore, il preside o il provveditore), alle quali gli alunni devono solo adeguarsi. Le esigenze degli studenti devono piegarsi ai “diritti” degli adulti altrimenti i primi diventerebbero, si osa dire, clienti/utenti di un’azienda.

Si pensi, per fare un secondo esempio tratto dalla prassi delle scuole meridionali, che tutte le assemblee sindacali (ogni docente ha 10 ore di lezione all’anno per parteciparvi) devono per forza svolgersi di mattina (e non di pomeriggio) sottraendo ore di lezione agli studenti. Assemblee, beninteso, alle quali i docenti, pur dichiarando di voler aderire, di fatto sono liberi di non presenziare.

Rovesciando questa prospettiva e mettendo al centro della scuola le esigenze degli alunni, forse anche gli altri tabù verrebbero giù come un castello di carte. E’ chiaro come il sole che è questo quinto tabù per ragioni politiche-sindacali  a non poter essere smantellato in Italia.

Concludo dicendo che le proposte di Lodoli, Luccisano e Campione nella loro profondità e buon senso resteranno irrealizzabili per un motivo culturale ormai ben identificato. 

Tale motivo vorrei spiegarlo utilizzando le parole usate da Antonio Gurrado (“Liberiamo l’Italia dagli italiani”, il Foglio) a proposito del fatto che una buona metà degli italiani o non paga le tasse o sfrutta benefici statali o vive a carico dell’altra metà. Gurrado pertanto ha scritto: “Vige dunque una situazione in cui – dopo essere stati per secoli vessati dai francesi, dagli spagnoli, dagli austriaci – gli italiani celebrano centocinquant’anni di piena indipendenza riuscendo nell’impresa di vessarsi da soli. Siamo al culmine di quella che qualche anno fa Geminello Alvi aveva chiamato la dominazione italiana sull’Italia. E se da un lato, dopo un’intera storia nazionale trascorsa sotto il tacco di oppressori stranieri, non possiamo nascondere la soddisfazione di essere diventati noi stessi un popolo oppressore, dall’altro manteniamo la triste consapevolezza di essere rimasti un popolo oppresso”.

C’è una ragione culturale che consente agli italiani di convivere con l’evasione fiscale e anche, aggiungo, con una scuola costruita intorno al personale e non agli studenti.

Quando l’erba del vicino è più verde

Quando l’erba del vicino è più verde

di Maria Grazia Carnazzola

1. Il fascino delle cose che passano rapidamente.

Il rimedio all’imprevedibilità della sorte, alla caotica incertezza del futuro è la facoltà di fare e mantenere promesse”(1964).  

Questa frase di Hanna Arendt potrebbe aiutare noi comuni cittadini a comprendere il perché del forsennato ammassarsi di dichiarazioni di intenti e di promesse da parte dei vari leader di partito, sulle più diverse questioni. Nel contempo dovrebbe ricordare ai rappresentanti dei partiti che il fare prosegue nel mantenere le promesse; già questo ne sfoltirebbe e ridimensionerebbe di molto il numero, o porterebbe a sforzi maggiori per mantenerle. La lingua, tutte le lingue, è strutturata su convenzioni, su accordi tra coloro che la parlano. Può succedere che con l’uso e con il tempo queste convenzioni si alterino e allora bisogna far tornare a “fare aderire le parole alle cose” (Carofiglio 2021) perché è proprio attraverso il linguaggio che si esercitano la mistificazione e la manipolazione. Lo stiamo vedendo nel corso di questa campagna elettorale arruffata e confusa dove, si ha l’impressione, il dialogo avviene tra gli schieramenti di partito piuttosto che con i cittadini, su questioni che forse non sono al centro dell’attenzione degli elettori e che non rappresentano la situazione del Paese reale, ponendo problemi che, se  le normative già  vigenti fossero correttamente attuate e coordinate, non sarebbero tali. “Vogliamo che il ciclo scolastico sia ridisegnato sul modello dei Paesi avanzati”. Così il segretario del Pd. L’erba del vicino è sempre più verde evidentemente. Ma quali sono questi paesi e avanzati rispetto a che cosa? Economicamente, sul fronte dei diritti umani, dei diritti civili, dei diritti sociali, dei valori…?  Con quali obiettivi, mezzi, metodi, partendo da dove? La crisi educativa – che non origina certamente dentro la scuola- genera lo sfilacciamento sociale e mina lo stato di salute della democrazia, in questo   il leader del Pd ha ragione. Senza dubbio il sistema scolastico nazionale ha bisogno di un cambio di passo e non da ora. Basterebbe dare un occhio agli esiti delle indagini OCSE-PISA, e prima ancora a quelle della IEA a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, per rendersene conto. Il nodo della questione è capire se più tempo a scuola, cominciando obbligatoriamente a tre anni per tutti, e terminando a 18 anni (ma la maturità è posta a 19), risolverà i problemi. Il tempo è una variabile importante nell’esistenza umana, è una variabile fondamentale per l’apprendimento, ma il tempo senza l’azione non produce molto. Allora più tempo a scuola per fare che cosa; senza una diversificazione progettata e finalizzata dell’azione in relazione alle fasi di sviluppo diventa un “pour parler”, una promessa elettorale, appunto. 

2. Le promesse e la realtà. 

Da più di vent’anni siamo alla ricerca della riforma perfetta, per una scuola  che sia volano della crescita economica,  della promozione sociale, inclusiva, moderna, colta, innovativa:  il ministro Berlinguer- con l’autonomia e la legge 30/2000 ( mai attuata) che prevedeva- tra l’altro- l’ultimo anno della scuola materna  come preparatorio alla primaria; il completamento di De Mauro “Indirizzi per la costruzione del curricolo” 2001; il “punto e accapo” della Moratti, Legge Delega del 2003; poi il cacciavite di Fioroni  del  2007, il riordino della Gelmini -2008,2010- e via ancora fino alla 

L.107/2015 e ai  conseguenti decreti attuativi del 2017, tra cui il n. 65 riguardante- da sottolineare- il  “sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni”. È il fascino poco decifrabile delle cose che passano rapidamente, a volte senza nemmeno lasciare traccia o lasciandola così tenue e confusa che è impossibile ritrovarne la matrice. Passano anche le cose che riguardano l’educazioneformazione-istruzione: si polemizza su qualche aspetto, quasi mai fondamentale, che polarizza il dibattito e accende gli animi in dibattiti sterili e con modi sgangherati,  poi dopo qualche mese a malapena si ricordano gli attori e l’oggetto del contendere, bruciati nel fuoco delle novità, costantemente alimentato. Che anche il paradigma che caratterizza la scuola sia quello della provvisorietà, coerentemente con tutto il resto? Sarebbe terribile, ma è evidente la mancanza di un sistema condiviso di valori di riferimento. Pare che, per la scuola, i partiti siano sempre in posizione di perifrastica attiva: siamo sul punto di…, stiamo per…, abbiamo intenzione di…. Quale sistema, quale linguaggio ha maggiore rilevanza nella circolazione delle idee e nell’orientamento dei costumi, nel modellare i comportamenti? Molte idee e molte parole sono meglio di poche idee e poche parole, questo è vero. Resta però il fatto che ogni espressione della cultura dura poco e difficilmente riesce a strutturarsi e a consolidarsi. Nella scuola un’interpretazione viene quasi immediatamente scalzata da un’altra; una proposta quasi subito sostituita da una proposta diversa e spesso contraria- entrambe non sempre riconducibili a una teoria – entrambe con un’incerta relazione con le finalità, i bisogni o anche solo con gli interessi. Si dice, e probabilmente è vero, che la formazione è la condizione irrinunciabile per risolvere i problemi di una società e garantirne lo sviluppo, ma non è pedagogicamente corretto investire esclusivamente sulle situazioni che si presentano come contingenti o di emergenza. Benedetto Croce sosteneva che “…Un sistema filosofico risolve un gruppo di problemi storicamente dato e prepara le condizioni per la posizione di altri problemi” Dovrebbe valere anche per le riforme scolastiche. 

3. Obbligo, dovere, doveri, responsabilità.

 Dal secondo dopoguerra ad oggi più di trenta proposte di riforma del sistema scolastico si sono perse nei meandri delle discussioni e dei cavilli politici, senza giungere all’approvazione. Poi, nel breve spazio di tre anni, ci sono state due Riforme: L.30/2000 Berlinguer-De Mauro, Ld. 53/2003 che, più che  rappresentare la riscoperta della centralità della scuola o la manifestazione dell’efficienza politica nell’adeguare l’offerta formativa e l’ordinamento scolastico alla rapidità dei cambiamenti del  tempo, hanno proposto due visioni, due universi di valori culturali ed educativi per certi versi inconciliabili: dal ruolo dei saperi, all’obbligatorietà della scuola dell’infanzia alla professionalizzazione dei licei o alla licealizzazione degli istituti tecnici e professionali, dall’architettura dei cicli all’uso dei libri di testo, dalla cultura aulica e disinteressata alla cultura orientata ai saperi pratici e applicativi. La scuola è un bene pubblico e come tale deve essere pensata, gestita e considerata. Un bene pubblico prevede mete condivise che trascendono l’interesse individuale, o di partito, e privilegia l’interesse collettivo. È qualcosa di comune, uguale per tutti e che considera tutti uguali. Ma chi decide qual è il bene comune? In una società pluralistica non può esistere una sola idea di bene pubblico, così come non può esistere una sola idea di scuola. Ecco perché, se si vuole davvero rifondare il sistema di educazione-istruzione-formazione e dar corpo a una scuola che raccolga le sfide della contemporaneità e dia respiro al futuro, c’è bisogno di un patto sociale, della condivisione dei principi e dei paradigmi che connoteranno il sistema scolastico che sarà, gestito su una linea di   continuità  dall’alternanza degli schieramenti politici, fino a che saranno proficuamente praticabili. Un patto costruito partendo dai problemi e dal confronto sull’efficacia delle soluzioni: partendo dai valori di riferimento – i traguardi ideali su cui si regge la coesione sociale -, passando per i problemi e per i bisogni, per finire con le risposte da dare.

Da lì si potrà poi partire per delineare l’impianto pedagogico-culturale dei percorsi (Indicazioni Nazionali, Linee Guida) e definire l’architettura organizzativo/temporale dell’intera impalcatura (Ordinamenti), riflettendo sulle questioni legate all’obbligatorietà di frequenza, sulla differenza tra obbligo e dovere e, ancora, sull’idea di scuola che si vuole proporre. Una scuola da intendere come somma dei suoi membri (studenti, docenti, dirigente, personale ata e genitori), una scuola di individui che rispecchia una società di individui, la cui azione è la somma dei comportamenti e delle azioni dei diversi attori, dove gli interessi legittimi del singolo prevalgono su tutto. Oppure una scuola come organizzazione istituzionalizzata che costruisca un’identità di regole per integrarsi come attori con ruoli diversi in una comunità fondata sui diritti del “servizio”, dove i diritti degli studenti vengono prima degli interessi legittimi del personale e dei meccanismi incomprensibili alla logica comune e a quella del servizio pubblico. Occorre una trasformazione profonda del pensiero politico-culturale che pensi a una scuola autonoma come organizzazione nazionale di servizio, per un’offerta formativa di qualità. Chi parla di riformare il sistema scolastico non può non sapere di risorse giuridiche o delle dinamiche relative alla buona funzionalità del servizio. In una organizzazione complessa a legami deboli come è la scuola, i rapporti di potere reali non rispecchiano la struttura dell’organigramma. Il dirigente, gli insegnanti, il personale amministrativo, gli studenti, i genitori, i rappresentanti sindacali, gli amministratori locali, dispongono di un potere di condizionamento, anche se non sempre fondato logicamente e formalmente, nelle aree di incertezza che a scuola sono molte. Un dirigente, senza la piena cooperazione di tutti, difficilmente raggiunge gli obiettivi istituzionali. Chi vuole assumere la guida di un Paese, di questo deve avere contezza se non si vuole che il conflitto ideologico si sposti dalle aule parlamentari e dall’arena culturale, dove sono necessari ed è giusto che stiano, dentro le scuole che il cambiamento devono attuarlo. Quanto è successo con la L. 107/2015, ad esempio, è stata una grave responsabilità politica e sindacale; le democrazie mature tutelano e salvaguardano la funzionalità civile delle istituzioni; il che esige- dopo la proposta e il confronto- la costruzione del consenso, confinando la soluzione dei conflitti nelle sedi opportune. Guardare agli altri Paesi può essere più che utile e necessario, se insieme all’analisi degli ordinamenti e dei curricoli si ragiona sull’organizzazione interna delle istituzioni scolastiche, sulla distribuzione dei poteri e delle responsabilità, sull’intera architettura del sistema scolastico- valutazione dei risultati compresa-, sul contesto sociale, politico e culturale nonchè sulla rilevanza che la formazione riveste. In Finlandia, uno dei paesi a cui si guarda  spesso, il sistema di istruzione viene riformato regolarmente ogni dieci anni; l’attuazione della riforma è garantita da una sperimentazione obbligatoria supportata da specifica formazione degli insegnanti. E’ evidente che i buoni risultati nelle prove OCSE di quegli studenti non sono riconducibili solo agli ambienti colorati, gli spazi aperti, alle attrezzature, alle tecnologie. I docenti finlandesi godono di grande riconoscimento; fare l’insegnante è una professione ambita perché gode di grande prestigio sociale, nonostante un sistema di reclutamento molto selettivo, il lungo periodo di formazione teorica e di praticantato, il rigoroso sistema di valutazione del servizio prestato.

Ricordando che l’entrata in vigore dei Nuovi Programmi per la Scuola Elementare del 1985 fu accompagnata da un Piano Quinquennale di Aggiornamento obbligatorio per i docenti (!) come sperimentazione di accompagnamento che portò grande innovazione, chiedo quanta qualità e quali miglioramenti e quali innovazioni apporterebbe alle nostre scuole la sperimentazione delle norme già vigenti. 

4. Concludendo.

Se non si migliora la qualità della scuola, qualsiasi proposta di cambiamento- anticipo dell’obbligo alla scuola dell’infanzia, prolungamento dell’obbligo di istruzione (ora a 16 anni) o quello dell’obbligo di formazione (ora a 18)- non si riuscirà a contrastare efficacemente l’abbandono scolastico, che nel nostro Paese è nettamente superiore rispetto alla media europea, né a innalzare il livello degli esiti in uscita alla fine dei percorsi. Nella scuola il cambiamento assume due forme: la riforma e l’innovazione. La riforma riguarda una modifica radicale del sistema scolastico o di una sua parte, discende da una pianificazione politico/amministrativa, viene consegnata alle scuole. Per innovazione si intende il miglioramento continuo di parti delle realtà scolastiche: modifiche  della didattica, organizzative, culturali, pedagogiche… volte a migliorare e a rendere il servizio efficace; rinvia al paradigma della ricerca/sperimentazione ed è un processo intenzionale che riguarda le singole scuole. Già Scurati notava “…l’esperienza italiana presenta una netta prevalenza di situazioni di riforma rispetto a situazioni di innovazione” (1988), come a sottolineare la tendenza della nostra tradizione ad attendersi che l’innovazione segua la riforma invece di prepararla. Una riforma dovrebbe diventare innovazione nei contesti scolastici e questa, attraverso processi sistematici e sistemici di valutazione, preparare la riforma successiva.  In un sistema scolastico dove manca una seria cultura della valutazione dei risultati di apprendimento, del raggiungimento misurabile degli obiettivi, dell’insegnamento, dell’organizzazione del servizio e della valorizzazione flessibile delle risorse, la dispersione continuerà ad essere un evento fisiologico e non patologico.

G.A. Stella scriveva nel 2008 “…se va male la scuola…va male l’intera società…Ed è lì che vedi come una scuola alla deriva sia lo specchio di un Paese alla deriva”.  Il dibattito sulle istituzioni formative, in particolare sulla scuola, si intensifica ciclicamente, anche in questo periodo pre-elettorale; non sempre, purtroppo, le riflessioni portano contributi costruttivi per un possibile sostanziale cambiamento, non è solo questione di come utilizzare i fondi del PNRR. Se è evidente che la scuola rispecchia la crisi della famiglia e della società, è altrettanto evidente che è necessario ripensarne l’organizzazione in rapporto più dinamico e sinergico con la famiglia, con il territorio e con il contesto sociale. Questo è un problema politico: una nuova scuola sta dentro un progetto politico, a un sistema giuridico, a un’organizzazione amministrativa. Ma è fondamentale che l’opinione pubblica prenda coscienza che la scuola va messa al primo posto se si vuole uscire dalla crisi che è sì economica, ma è anche culturale, sociale, valoriale.

Servono idee nuove che veicolino una nuova visione del mondo, della vita, delle storie personali e sociali. Idee nuove nella scuola, nell’organizzazione dei servizi, delle istituzioni, nelle risposte alle persone per lo sviluppo di nuovi percorsi della conoscenza, della convivenza, della vita. Idee nuove non significa idee alla moda, le idee nuove non vengono dal nulla ma sono il risultato di una combinazione di idee già esistenti, vagliate attraverso i risultati nel tempo e nelle circostanze.

RIFERIMENTI

Arendt, H., (1964), La banalità del male, Adelphi, Milano, Feltrinelli.

Carofiglio, G., (2021), La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli Editore.

Scurati, C., (1988) Innovazione e formazione: esperienze e riflessioni critiche, in M.L. Giovannini; La valutazione delle innovazioni nella scuola, Cappelli, Bologna.

Stella, G. A.- Rizzo, S., La deriva, Edizioni Rizzoli Milano.

Bianchi nega ma il caro bollette può lasciare le scuole buie e fredde, le Province già a corto di soldi: Lodi scrive a Draghi

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Su come gestire il caro energia, dai rappresentanti del Governo continuano ad arrivare messaggi chiari: le scuole non pagheranno dazio. Prima è stato il Consiglio dei ministri a decidere che le misure di risparmio dei consumi negli edifici dello Stato o delle Regioni verranno decise in autonomia dalle singole amministrazioni. A seguire è toccato al ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, escludere in modo categorico che le questioni legate al caro energia siano “un tema proprio della scuola”.

Il ministro nega

Parlando a Valdobbiadene, in Provincia di Treviso, il numero uno del dicastero bianco ha ribadito il concetto rispondendo ad una domanda sull’ipotesi di settimana corta sollevata al fine di contenere le spese energetiche.

“Questo è un tema generale e la scuola – ha sottolineato Patrizio Bianchi – è l’ultima a dovere prendere sulle proprie spalle i problemi generali”.

La missiva a Draghi

Il problema, però, esiste. Ed è tangibile. Un campanello d’allarme è arrivato, nella giornata del 2 settembre, dal presidente della Provincia di Lodi, Fabrizio Santantonio, che ha deciso di scrivere al presidente del Consiglio Mario Draghi, comunicando il rischio di non poter sostenere i costi per riscaldamento e illuminazione delle scuole superiori dalla prossima riapertura delle lezioni.

Costi troppo alti per riscaldare e illuminare le scuole

“Le scrivo – ha scritto il presidente della Provincia – per rappresentarle la condizione di grave disagio finanziario in cui la Provincia di Lodi, analogamente a quanto accade a tutte le 107 Province d’Italia, versa a causa del clamoroso incremento dei costi per i consumi di energia e del vistoso calo del gettito dei tributi di competenza provinciale: un disagio che comporta il rischio, sempre più concreto, di non riuscire a sostenere dal prossimo autunno le spese per riscaldamento e illuminazione delle scuole superiori, lasciando quindi al freddo e al buio studenti, insegnanti e personale scolastico. O, in alternativa, di lasciare le scuole chiuse“.

Il responsabile della Provincia di Lodi ha quindi rimarcato che il “profondo deficit di risorse correnti” non possono non avere “immediato riflesso su quella che può essere considerata la principale funzione e responsabilità delle Province: la gestione ed il mantenimento degli edifici di scuola superiore”.

La DaD non la vogliono più nemmeno i prof, ma…

La questione, quindi, appare più complessa di quello che vorrebbe far pensare il Governo. Nessuno, certamente, vuole tornare alla DaD, docenti compresi: anche attraverso il sondaggio realizzato dalla Tecnica della Scuola, gli insegnanti hanno detto di essere in maggioranza d’accordo con la decisione del ministero dell’Istruzione di negare la didattica a distanza anche agli alunni positivi al Covid.

Il problema, però, è che se non si troverà una soluzione all’impossibilità per gli enti locali (per le scuole medie e del primo ciclo i responsabili sono i Comuni) di fare fronte all’innalzamento delle spese per le bollette elettriche e del gas, allora davvero per gli istituti scolastici potrebbero scattare delle limitazioni di aperture. E a quel punto anche la DaD potrebbe essere ripescata. E riapprezzata.


Inizio scuola, nel Lazio i dirigenti segnalano il sovraffollamento delle aule ma per la legge il numero di classi pollaio è zero

da La Tecnica della Scuola

Di Carla Virzì

A pochi giorni dal rientro in classe, nel Lazio ci si confronta sul tema delle classi pollaio (e non solo). Al tavolo regionale operativo per l’avvio dell’anno scolastico, i rappresentanti dell’Associazione nazionale presidi, Cristina Costarelli (Anp Lazio) Mario Rusconi (Anp Roma), hanno fatto presente lo stato delle cose all’assessore Scuola della Regione, Claudio Di Berardino.

Il punto è che ufficialmente nel Lazio non ci sono classi pollaio, secondo i parametri legislativi introdotti col dimensionamento Tremonti-Gelmini, in particolare con la famigerata Legge 133 del 2008. Eppure i dirigenti continuano a segnalare il sovraffollamento delle aule e restano in attesa delle nuove Linee Guida sul dimensionamento, “per le quali si attendeva un passaggio in Conferenza Stato/Regioni che non c’è stato,” rilevano i due Ds, Costarelli e Rusconi.

E altrettanto preoccupante è la situazione degli organici. La mancanza di collaboratori scolastici viene definita una reale emergenza, mentre sui DSGA, per la copertura dei posti bisognerà attendere il prossimo bando di concorso.

Non secondaria la necessità di avere ulteriori chiarimenti da parte dell’Amministrazione – secondo l’Anp – sul tema della gestione degli alunni positivi al Covid e sui possibili usi della didattica a distanza, una questione su cui si sono espressi, in un recente sondaggio, anche i lettori della Tecnica della Scuola, sollevati dalla decisione del ministero di dire no alla DaD (7 docenti su 10 sono d’accordo col MI).

La sintesi. L’Anp Lazio segnala criticità e richiede interventi

Ecco la lista delle istanze sollevate al tavolo operativo.

  • Necessario l’adeguamento del trasporto urbano ed extraurbano con il ritorno dei turni unici di ingresso e
    uscita dalle scuole;
  • carenza di organico di Collaboratori scolastici che in molte scuole costituisce una vera e propria
    emergenza 
    che compromette sia l’apertura degli istituti a tempo pieno che i regolari servizi di pulizia, vigilanza e assistenza agli alunni con DVA;
  • carenza di organico di AA.AA. per la gestione dei fondi PNRR per la quale si chiede anche adeguata
    formazione da parte dell’USRL/MI;
  • richiesta emanazione di una Nota da parte dell’USRL sulle misure per l’avvio dell’a.s;
  • mancanza di DSGA in numerose scuole;
  • attenzione alla tempistica delle nomine da GPS dal momento che molte scuole hanno numerosi posti vacanti e/o
    disponibili ancora da coprire;
  • rinnovo Organico Sisma nella provincia di Rieti;
  • attenzione al dimensionamento scolastico affinché non sia condizionato da questioni politiche di
    territorio nel rispetto degli accordi sindacali presi;
  • trasmissione di protocolli ASL sulla gestione dei casi Covid;
  • sovraffollamento classi;
  • valutare l’installazione di infissi a doppi vetri nelle scuole nell’ottica del risparmio energetico;
  • questione ex-custodi che, al di là delle situazioni di illegalità, tolgono spazi agli istituti scolastici in sofferenza;
  • valutare la giusta collocazione della DAD/DDI affinché quanto fatto negli ultimi due anni non venga archiviato totalmente considerandone gli aspetti positivi.

Alcuni feedback dell’amministrazione

  • al momento non sono previste ulteriori risorse per l’acquisto di mascherine FFP2;
  • relativamente al PNRR saranno stanziate ancora numerose risorse (circa l’81%). Sono previste 2 tipologie di bandi: la prima per le scuole e la seconda per gli EE.LL. per gli interventi di edilizia (manutenzione straordinaria) e per la costruzione di nuovi edifici scolastici. Per la formazione del personale amministrativo che dovrà gestire tali fondi al momento non ci sono fondi disponibili;
  • sul tema dell’edilizia scolastica si stanno portando avanti molte azioni ma che tuttavia richiedono tempi lunghi (verifiche antisismiche, certificazioni, ecc).il servizio trasporti non ha più vincoli e saranno incrementate le corse negli orari di ingresso e uscita dalle scuole;
  • lo scorso anno è iniziato il piano di distribuzione della fibra in tutte le scuole che ancora richiede tempo per essere ultimato;
  • L’ARPA, riferisce il DG, alla richiesta dell’USRL di controllo della qualità dell’aria, ha risposto che è di competenza delle ASL che, nel caso dell’ufficio Scolastico ha già provveduto;
  • L’Ufficio ha appena concluso il primo giro di assunzioni da GPS art. 59, c. 4 ed è in procinto di iniziare il secondo. Entro la settimana prossima dovrebbero concludersi le operazioni degli incarichi annuali con l’auspicio che non vi sia l’82% delle rinunce come lo scorso anno. In caso arriverà una Nota ai DDSS con indicazioni a procedere con supplenze brevi;
  • l’organico Sisma si è concluso come quello covid;
  • sull’Educazione Motoria alla scuola Primaria si sta ultimando l’articolazione dei posti che andranno a supplenza.