Profilo e condizione occupazionale di dottori di ricerca e diplomati di master

di AlmaLaurea

I risultati dei Report 2020 di AlmaLaurea sul profilo e sulla condizione occupazionale di dottori di ricerca e diplomati di master fotografano alti tassi di occupazione (89,0% per i dottori di ricerca, 88,6% per i diplomati di master), maggiore retribuzione mensile netta (rispettivamente 1.703€ e 1.717€), più efficacia del titolo per trovare lavoro o migliorare la propria condizione occupazionale rispetto ai laureati.


Perché scegliere un corso post laurea.
Valore aggiunto e tutela contro la disoccupazione

[Bologna, 06 luglio 2020] Aggiornamento continuo e crescita professionale. Connubio garantito. Percorsi post laurea di alta specializzazione disciplinare e interdisciplinare consentono, infatti, di rafforzare e ampliare conoscenze e competenze, per rispondere con successo alle esigenze del mercato del lavoro.

Le indagini del Consorzio AlmaLaurea sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei dottori di ricerca e diplomati di master lo confermanoanalizzando sia le performance formative di circa 4.000 dottori di ricerca del 2019 di 24 atenei[1] aderenti al Consorzio e quelle lavorative di oltre 5.500 dottori di ricerca del 2018 di 36 atenei[2], contattati ad un anno dal conseguimento del titolo di studio; sia le performance formative di circa 8.500 diplomati del 2019, di primo e secondo livello, che hanno conseguito il titolo di studio in uno dei 17 atenei[3] aderenti al Consorzio e quelle lavorative di oltre 12.000 diplomati di master del 2018 di 23 atenei[4], contattati a un anno dal conseguimento del titolo di studio.

Perché scegliere un corso post laurea? Le analisi di AlmaLaurea aiutano a spiegare i motivi del lifelong learning o dell’apprendimento continuo, occasione vincente per trovare più facilmente un’occupazione, anche meglio retribuita, o per valorizzare il proprio ruolo professionale al passo con i cambiamenti e le esigenze del mercato.

Molteplici le voci prese in esame per fotografare il profilo di chi sceglie percorsi di alta specializzazione, tra le altre le differenze di genere, il contesto socio culturale, la mobilità geografica, le motivazioni che spingono a una scelta per la quale alcuni fruiscono di finanziamenti oltre che le valutazioni date da chi ha frequentato tali percorsi. Un’analisi questa di AlmaLaurea dalla quale emergono anche dati relativi a efficacia e performance occupazionali e retributive di chi sceglie master o dottorati di ricerca.


*AlmaLaurea è un Consorzio Interuniversitario fondato nel 1994 che a oggi rappresenta 76 Atenei e circa il 90% di coloro che ogni anno si laureano in Italia. Il Consorzio è sostenuto dal contributo del Ministero dell’Università e della Ricerca e dagli Atenei aderenti. Il suo Ufficio di Statistica è dal 2015 membro del Sistan, il Sistema Statistico Nazionale.
Il Consorzio realizza ogni anno due Indagini censuarie sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei laureati a 1, 3 e 5 anni dal conseguimento del titolo, restituendo agli Atenei aderenti, al Ministero, all’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) basi documentarie attendibili per favorire i processi di programmazione, monitoraggio e valutazione delle decisioni assunte dalle Università. Il Consorzio vuole essere anche un punto di riferimento per i diplomati e per i laureati di ogni grado, ai quali AlmaLaurea offre servizi, informazioni e occasioni di confronto tra pari, per valorizzare il loro percorso formativo e facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro.
Il Consorzio raccoglie e rende disponibili online i CV dei laureati (oggi quasi 3.100.000) e affianca gli Atenei consorziati nelle attività di job placement attraverso una piattaforma web per l’intermediazione.
Favorisce, inoltre, l’incontro tra offerta e domanda di lavoro qualificato tramite la società interamente controllata AlmaLaurea srl, Agenzia Per il Lavoro (APL) che opera principalmente nell’intermediazione e nella ricerca e selezione del personale, progettando ed erogando servizi – rivolti a imprese, enti e professionisti – concepiti e offerti nell’interesse primario dei laureati e in sinergia con gli Atenei e con le Istituzioni pubbliche competenti.
Il Consorzio internazionalizza i propri servizi, le competenze, le attività di ricerca in prospettiva globale, collaborando con Paesi europei – in linea con la Strategia di Lisbona – ed extra europei.
Dall’esperienza di AlmaLaurea è nata l’associazione di scuole AlmaDiploma, per creare un collegamento tra la scuola secondaria superiore, l’università e il mondo del lavoro.


[1] Bergamo, Bolzano, Cagliari, Campania Luigi Vanvitelli, Cassino e Lazio Meridionale, Ferrara, Firenze, Genova, Insubria, Milano Bicocca, Milano IULM, Padova, Parma, Pavia, Pisa, Roma Foro Italico, Roma Sapienza, Roma Tor Vergata, Salerno, Trento, Trieste, Venezia Ca’ Foscari, Venezia IUAV, Verona.

[2] Bergamo, Bolzano, Brescia, Cagliari, Campania Luigi Vanvitelli, Cassino e Lazio Meridionale, Ferrara, Firenze, Genova, Insubria, Milano, Milano Bicocca, Milano IULM, Modena e Reggio Emilia, Napoli L’Orientale, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Pavia IUSS, Piemonte Orientale, Pisa, Pisa Normale, Pisa Sant’Anna, Roma Foro Italico, Roma Sapienza, Roma Tor Vergata, Salerno, Torino, Trento, Trieste, Udine, Urbino Carlo Bo, Venezia Ca’ Foscari, Venezia IUAV, Verona.

[3]  Bergamo, Bologna, Bolzano, Cagliari, Ferrara, Milano Bicocca, Milano IULM, Napoli L’Orientale, Padova, Piemonte Orientale, Roma Sapienza, Roma Tre, Salerno, Siena, Torino Politecnico, Venezia Ca’ Foscari, Venezia IUAV.

[4] Bergamo, Bologna, Brescia, Cagliari, Ferrara, Genova, Milano, Milano Bicocca, Milano IULM, Modena e Reggio Emilia, Napoli L’Orientale, Padova, Palermo, Piemonte Orientale, Roma Sapienza, Roma Tre, Salerno, Pisa Sant’Anna, Siena, Torino, Torino Politecnico, Venezia Ca’ Foscari, Venezia IUAV.

SCIOPERO GENERALE SCUOLA 24 E 25 AGOSTO

UNICOBAS SCUOLA E COBAS SCUOLA SARDEGNA: GOVERNO BOCCIATO.

SCIOPERO GENERALE SCUOLA 24 E 25 AGOSTO

Ministero ed Uffici Scolastici hanno validato ancora le “classi pollaio” (anche con più di 30 alunni), peggiorando la situazione non calcolando neppure il tasso di ripetenza. Il Governo ha preso un’unica misura per l’anno scolastico 2020/2021: un solo metro fra le “rime buccali” (che consente persino banchi ad 80 cm. di distanza). In Belgio massimo 10 alunni con 4 metri quadrati a testa, per Germania e Regno Unito gruppi di 15 e separazione di 2 metri (cosa prevista anche in Spagna). Ribadiamo il nostro NO all’accordo sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Snals con finte guarentigie per Docenti ed Ata per il prossimo anno scolastico. Vogliamo una sanificazione adeguata ad opera delle Asl e prove sanitarie prima del rientro. NO al sequestro delle ferie di Docenti ed Ata: in un numero enorme di istituti sul territorio nazionale sono state arbitrariamente respinte le ferie legittimamente chieste per l’ultima settimana di Agosto e convocati illegittimi Collegi dei Docenti, mentre dal 1° Settembre si prevede un’estensione quasi ad libitum della frequenza: una vera e propria anticipazione di massa rispetto all’apertura istituzionale dell’anno scolastico, prevista dal 14. “Solerti” dirigenti scolastici, fomentati dal Ministero e dall’Associazione Nazionale Presidi hanno stracciato il contratto nazionale imponendo illegittimamente la presenza a scuola dei Docenti nel corso del periodo canonico di chiusura e non rispettando la continuità delle ferie chieste dal personale Ata.

Dopo 20 giorni questa è la risposta del Governo. Ribadiamo ciò che abbiamo chiesto con forza nell’incontro con il Governo Conte agli Stati Generali: massimo 15 alunni per classe ed assunzione di 240mila insegnanti (il terzo necessario in più per ridurre le classi), stabilizzazione quindi di molti più precari di quanto previsto, anche per il personale Ata e nella Scuola dell’Infanzia, esclusi dai concorsi banditi. NO al precariato “usa e getta” (le assunzioni a singhiozzo con licenziamento previste dal Ministro Azzolina in caso di nuova chiusura delle scuole). Stabilizzazione diretta degli specializzati per il sostegno e attivazione di percorsi di abilitazione aperti a chi ha esperienza pregressa, per evitare che la metà delle cattedre continui a venire assegnata a chi non sa nulla dell’handicap, e poi istituzione della classe di concorso specifica. Assunzione di almeno 30mila collaboratori scolastici per coprire i vuoti in organico per la vigilanza, di 10mila fra applicati di segreteria e collaboratori tecnici, più tutto il personale necessario per sopperire alle difficoltà dovute alle migliaia di soggetti fragili ed anziani che (indici Inps) avrebbero dovuto essere tutelati dal Settembre 2020. Ricordiamo che negli ultimi 30 anni sono state tagliate 300mila cattedre. Chiediamo l’assegnazione di cattedre all’organico potenziato. Sui 175 miliardi previsti nella manovra, sarebbe servito investirne immediatamente almeno 7 aggiuntivi per le assunzioni, 7 per il contratto ultra-scaduto, più i 13 necessari ad un piano pluriennale serio per porre in sicurezza l’edilizia scolastica (e sono già stati persi i 3 mesi del lock down), invece di spenderne 50 in armamenti, favorire le banche e le lobbies speculative e di versarne 6,3 ad Fca-Fiat. Sui circa 40.000 edifici scolastici italiani, 582 sono vetusti, costruiti prima del 1800, 944 risalgono al XIX Secolo (edificati fra il 1800 e il 1899), 4.410 hanno visto la luce tra il 1900 e il 1945, mentre 5.429 sono dell’immediato dopoguerra (1946-1960). Su tutte le scuole che abbiamo, solo 15.687 hanno il certificato di agibilità, mentre il restante 60% (70% in Sicilia) non ha neanche quello. Solo 5.117 edifici (12%) sono vagamente “antisismici” ed unicamente 9.824 (24%) hanno il certificato di prevenzione incendi (Cpi).

Si sarebbe potuto far pagare le tasse alle aziende informatiche, invece di dar loro in mano le piattaforme per la didattica a distanza. Abbiamo rivendicato e rivendichiamo un’indennità di rischio di 250 euro netti per i docenti ed il resto del personale. Ribadiamo l’opposizione alle smart-class, alle riunioni on-line ed alla didattica a distanza per l’a.s. 2020/21, nonché all’inserimento della “Dad” nei Ptof (triennali), voluto dai dirigenti scolastici anche se non lo prevede neanche il DL 22/20 che limita la Dad all’emergenza sanitaria. Ci siamo spesi, e ci spendiamo contro la delocalizzazione degli alunni in parrocchie e case comunali, esprimendoci contro la valutazione sommativa per la chiusura dell’anno scolastico che andava sostituita per quest’anno con una ben più congrua disamina formativa. Non abbiamo dimenticato la necessità di abrogare le controriforme della “Berluscuola”, chiedendo il ritorno immediato ai nuovi programmi del 1985 per la Scuola Primaria (abolizione del curriculum ciclico) ed ottenendo l’eliminazione della barbarie della valutazione in decimi voluta dalla Gelmini (ma solo dal prossimo anno scolastico). Siamo stati gli unici a chiedere l’innalzamento dell’obbligo sino al quinto Superiore, ivi comprendendo l’ultimo anno della Scuola dell’Infanzia, sin dall’a.s. 2021/2022, finita la pandemia, con l’utilizzazione dei neo-assunti oggi per il distanziamento sociale. Abbiamo stigmatizzato Invalsi ed alternanza scuola-lavoro e tutti gli orpelli del minimalismo culturale e dell’aziendalizzazione della scuola, ricordando la necessità del ripristino nelle Superiori di Primo e Secondo grado delle ore tagliate di Lettere, Storia, Geografia, Scienze e di quelle relative al bilinguismo. Ci battiamo ancora contro la cattiva scuola renziana, la chiamata diretta e “per competenze”, da abrogare, come il “bonus premiale”, da aggiungere al Fondo di Istituto. Vogliamo un vero stato giuridico per il personale educativo, che va equiparato ai docenti della Primaria. Siamo ancora contro la vergogna dell’abolizione della titolarità di istituto per i docenti. Abbiamo chiesto e chiediamo il preside elettivo. Abbiamo denunciato e denunciamo gli abusi perpetrati dal Ministero e dai dirigenti scolastici nei confronti di docenti ed educatori con l’attivazione della Didattica a distanza: • orario di sevizio superiore o spalmato sull’intera giornata; • massa di compiti per gli alunni e/o imposizione delle sole video lezioni; • attivazione classi virtuali senza controllo, mancato rispetto della privacy di docenti, famiglie e studenti; • moltiplicazione delle riunioni collegiali on-line, degli incontri con famiglie e studenti ben oltre gli spazi istituzionalmente dedicati e con ingerenze e “valutazioni” improprie sui docenti; • costi non rimborsati e rischi sanitari legati all’attivazione della Dad  (continuità sul video) per docenti, studenti ed ata; • disprezzo di mansionario, stato giuridico e norme del Ccnl. Abbiamo ricordato gli abusi perpetrati nei confronti del personale Ata su: • mansionario; • uso d’autorità delle ferie in essere e non godute; • presenza a scuola senza garanzie sanitarie in periodo di pandemia (fasi 1 e 2) e turnazioni improprie; • sanificazione delle scuole (competenza Asl).

Ci battiamo per risolvere definitivamente la questione del precariato, rivendicando l’attivazione del doppio canale di reclutamento dove valgano il servizio e l’abilitazione già conseguita (cosa che deve evitare la necessità di fare altri concorsi), mentre invece viene confermato il licenziamento dei diplomati magistrali e sono stati tagliati fuori migliaia di precari. Vogliamo l’estinzione immediata della truffa contro gli Ata ex Eell: basterebbero 100 milioni per riadeguare stipendi e pensioni, ed evitare più pesanti sanzioni dalla Ue, dopo ben 10 sentenze favorevoli pronunciate dalla Suprema Corte di Strasburgo. Rivendichiamo l’assunzione degli ex Lsp/Lpu, a pari retribuzione.

Dalla scuola dell’emergenza alla “scuola ricostruita”: l’Unicobas vuole un contratto specifico per la Scuola (per Docenti ed Ata) fuori dai diktat del DLvo 29/93 che impedisce aumenti superiori al tasso di inflazione programmato dal Governo (cosa che ci ha fatto diventare i peggio retribuiti della Ue), nonché la rielezione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione  con l’assorbimento da parte dello stesso dell’ambito disciplinare di Insegnanti ed Ata. Questo è l’unico organismo che può stilare il codice deontologico dei docenti (figura professionale). Esigiamo il ricalcolo della rappresentanza e rappresentatività sindacale sulla base di queste elezioni di categoria a suffragio universale con diritto di assemblea in orario di servizio per tutte le sigle.

Stefano d’Errico
Segretario Nazionale Unicobas & Università

Nicola Giua
Portavoce Cobas Scuola Sardegna

Autonomia, adesso o mai più

Autonomia, adesso o mai più

di Gian Carlo Sacchi

Le difficoltà in cui si dibatte la nostra scuola in vista dell’apertura del nuovo anno hanno mobilitato forse per la prima volta nella sua storia contemporaneamente istituzioni e realtà sociali a cercare modalità di ripresa dopo una lunga chiusura che ha creato non pochi disagi alla didattica ed alle relazioni tra le persone e le comunità, cercando di schivare un’eventuale recrudescenza della pandemia che ha imposto comportamenti ai quali mai prima si sarebbe pensato e che adesso diventano centrali nell’organizzazione.

Il rapporto tra scuola e società è in discussione da tempo, ma finora si è trattato di timide aperture alla partecipazione e se pur una pluralità di soggetti si trovava insieme in organismi chiamati collegiali per evidenziarne l’aspetto democratico, questi non avevano nessun potere reale di governo rimasto saldamente nelle mani dello Stato che lo esercita attraverso il suo apparato amministrativo.

Bisognava andare oltre l’aspetto partecipativo e nel periodo di riforma della pubblica amministrazione attuata, alla fine degli anni settanta del secolo scorso, si fece largo il concetto di autonomia appannaggio perlopiù di regioni ed enti locali, che venne riconosciuta anche alle scuole, le quali avrebbero dovuto abbandonare la dipendenza dall’amministrazione per potersi relazionare direttamente con le istituzioni del territorio. Ma la cosa si concluse a metà, in quanto si volle evitare la frammentazione di un servizio destinato a tutti i cittadini, da organizzare a livello nazionale.

La revisione del titolo quinto della Costituzione introdusse lo sdoppiamento delle competenze attribuendo allo Stato le norme generali e i principi fondamentali del sistema ed alle Regioni la governance dei servizi, facendo salva l’autonomia scolastica, la quale però non avendo un’organizzazione delle scuole autonome in grado di rapportarsi con i due interlocutori principali, statale e regionale, fu trattata come il vaso di coccio, in grado di espletare soltanto competenze tecnico-didattiche e non si è mai valorizzato adeguatamente un’autonomia “pedagogica”, nonostante il riconoscimento costituzionale, privilegiando la  dimensione politico-amministrativa.  

Inizia così la contesa tra i poteri dello Stato e quelli delle Regioni, approdata spesso alla Corte Costituzionale; a queste due riforme si è aggiunta la legge sul federalismo fiscale, per arrivare alle proposte relative al regionalismo differenziato, tutte fondate sull’accentuazione dell’autonomia. Nel settore dell’istruzione però il passaggio di attribuzioni agli enti territoriali ed alle scuole c’è stato solo in minima parte e questo fa sì che i vincoli normativi generali e le esigenze locali creino disagio ed inefficienza nel sistema.

L’emergenza sanitaria ha inferto una forte scossa all’organizzazione del servizio, facendo riemergere il tema dell’autonomia degli istituti scolastici e dei poteri di Comuni e Regioni nei confronti del centralismo statale. Si pensi ad esempio al di là dei necessari finanziamenti come l’assegnazione del personale debba passare attraverso l’ordinanza degli organici e modalità di reclutamento standard a livello nazionale, mentre sia importante da un lato diversificare gli interventi con un’assegnazione su base regionale e dall’altro che le scuole abbiano a disposizione un organico di istituto da utilizzare in modo flessibile, sia in relazione al curricolo, sia alle nuove disposizioni sulla sicurezza sanitaria.

Un altro esempio eclatante che incomincia a fare notizia è il totale fallimento dell’Agenzia Nazionale per le politiche attive del lavoro con i relativi navigator, quando le Regioni disponevano già di banche dati sulla domanda e l’offerta, in una collaudata struttura di servizi per l’impiego.

Le scuole devono riaprire a settembre, il tempo stringe, molte sono le cose da fare e le proteste non tardano ad arrivare, soprattutto da parte di chi è abituato a sottolineare le inefficienze statali rimanendo comunque all’ombra delle indicazioni ministeriali, ma la cosa più interessante è che Stato, Enti Locali e scuole stanno facendo la loro parte nell’ottica della leale collaborazione e per la prima volta in questo settore si vede applicato il nuovo titolo quinto, valorizzando la partecipazione (patto educativo con la famiglia), la gestione del servizio e il governo del territorio, fino ad arrivare all’intervento dello Stato a sostenere la qualità del sistema. Riemerge anche il ruolo della sanità pubblica con maggiori competenze sulla salute e sicurezza di alunni ed operatori, non semplicemente con compiti diagnostici e certificativi. 

In apparenza è sembrato che l’inconcludenza politica scaricasse una serie di incombenze sugli anelli più deboli della catena, quelli terminali, ma dopo l’intesa Stato-Regioni si può credere che il cerchio delle responsabilità sia sostenuto da diversi enti, chiamando a collaborare le famiglie e la società civile. Questo dovrà rassicurare i dirigenti scolastici che finalmente faranno il mestiere che tanto hanno rivendicato, cioè il referente del progetto formativo nei rapporti con l’utenza e gli altri soggetti impegnati nelle politiche territoriali (patti educativi di comunità).

E’ raro che un ministro non faccia della retorica sull’autonomia, ma pur con tante incertezze e fragilità questa volta ha espresso la convinzione che “ipotizzare una soluzione uguale per tutti, centralizzata, sarebbe fantascienza….l’autonomia non è una scorciatoia, è l’unica strada possibile”. In questo appoggiata da tutte le forze politiche di maggioranza.

Le linee guida del Governo per l’apertura del nuovo anno scolastico mettono in evidenza le due scuole di pensiero ancora compresenti nell’amministrazione, da un lato quella che sull’onda degli scarsi investimenti pone dei vincoli sul piano organizzativo, e, dall’altro, quella che facendo leva sull’autonomia cerca di forzare le predette limitazioni per lasciare più spazio alle decisioni prese sul territorio. Se ad esempio sono necessarie più risorse per effettuare il distanziamento, con l’assunzione di più personale, perché si deve dar corso all’abolizione delle scuole sottodimensionate, da sempre subite dalle Regioni, alle quali spetterebbe la programmazione della rete, mantenendo un servizio soprattutto nelle zone più disagiate e generalizzando gli istituti comprensivi del primo ciclo anche nelle aree urbane, che permettono un uso promiscuo di spazi e di personale da parte dei vari gradi scolastici.

In tale documento, emanato forse troppo in fretta, seppure in una situazione di emergenza, vengono fornite indicazioni di sistema, che competerebbero al capitolo delle norme generali dello Stato, ma anche di carattere didattico, che andrebbero invece attribuite alle autonomie scolastiche e più legate a scelte territoriali di competenza degli enti preposti. Tavoli operativi regionali, per mettere in pratica le intese Stato-Regioni, e conferenze dei servizi degli EELL, strumenti di gestione dei problemi dei territori, con la partecipazione delle istituzioni scolastiche, che in questo modo si vedono riconosciute e legittimate come interlocutori di costruzione delle strategie a livello locale.

Senza voler entrare nelle disposizioni minute dettate soprattutto dalle necessità di far fronte all’emergenza sanitaria, si accennano alle questioni inerenti l’esercizio dell’autonomia, utili per l’intero sistema anche in tempi di pace. La prima indicazione del documento ministeriale riguarda la flessibilità in tutte le sue applicazioni: la “riconfigurazione del gruppo classe” era già contenuta nel DPR 275/1999, ma la possibilità di costituire “più gruppi di apprendimento” con alunni “provenienti dalla stessa classe o da classi diverse e da diversi anni di corso” e “diverso frazionamento dei tempi di insegnamento”, coinvolge non solo i turni differenziati di frequenza, ma anche il curricolo, la valutazione, la diversificazione degli stessi ambienti nei quali si apprende.

Una didattica integrata, in presenza e a distanza, non può essere ridotta al nozionismo via web, ma trattandosi di flipped classroom vuol dire cambiare la modalità di costruzione della conoscenza, dall’analisi della realtà, ad una pluralità di linguaggi, al coinvolgimento dell’esperienza degli studenti. Non si tratterà più di somministrare un sapere frammentato in tante materie, ma è possibile “l’aggregazione delle discipline in aree o ambiti disciplinari”, riprendendo l’impostazione data alla riforma della primaria con il relativo team docente, che farebbe bene anche alle procedure anticovid. Tale modalità andrà applicata nella secondaria di primo grado, che ha bisogno di aree disciplinari, pena la dispersione non solo cognitiva, ma più in generale il fallimento della scolarità.

La scuola aperta è un’altra indicazione di cui si parla da tanto tempo, che è stata rilanciata anche dalla legge 107/2015, non solo per allungare i tempi della didattica peraltro sempre più richiesti anche dalle famiglie, ma per vedere in essa un “presidio pedagogico del territorio”, un “civic center” a disposizione di un’utenza anche adulta, come previsto dal citato decreto sull’autonomia, ma della cittadinanza intera, dove si intendono promuovere le competenze non formali ed informali, in collaborazione con iniziative degli enti locali,  del mondo aziendale e dell’associazionismo, attraverso i suddetti patti educativi di comunità, nonché i laboratori territoriali per l’occupazione.

Qui bisogna avere il coraggio di investire nel personale rovesciando la procedura in atto a livello sindacal-burocratico, e cioè il piano dell’offerta formativa non può essere contenuto nella rigida struttura oraria dettata dagli accordi sindacali e imposta a livello nazionale, ma ,al contrario, è il progetto di istituto, che diventa di territorio, a dettare le esigenze di organico che si risolve con il potenziamento di quest’ultimo sia con docenti e ATA, sia con altre figure professionali assunte a contratto dal dirigente scolastico, con l’intervento di programmazione delle regioni, come ebbe a dire un bel po’ di tempo fa la Corte Costituzionale.

Il vero rischio paventato anche in questo caso dai detrattori dell’autonomia è quello di avere un sistema che manca di equità, e come sia possibile garantirla adottando soluzioni organizzative diverse. Non v’è chi non veda, e l’INVALSI in questi anni ne è stato buon testimone, che il centralismo non ha ottenuto risultati omogenei e che il nuovo titolo quinto della Costituzione aveva previsto l’elaborazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” per tutti i cittadini, tradotti negli “standard minimi di servizio”; è su questi che lo Stato si deve impegnare colmando i vuoti di regioni con scarsa capacità fiscale, con fondi perequativi previsti dall’art.119 della carta costituzionale. Ed è qui che si discute sulle ragioni del regionalismo differenziato.

Al ministero compete di mettere a disposizione degli strumenti, in modo che ogni scuola creerà il proprio vestito su misura: parola di ministro. Tenere la barra sull’autonomia è tra i mille altri problemi l’elemento più interessante di queste linee guida; è da qui che si deve partire per tentare di risolvere le altre questioni di carattere organizzativo, ma anche educativo e didattico, nonché di governo, dove ognuno agisce per le sue competenze e insieme per rilanciare la scuola nel Paese, facendo tuttavia molta attenzione che nel bailamme legislativo, e questa contraddizione è ben presente anche nei recenti provvedimenti, si tenti di riportare continuamente sotto la voce ordinamento non solo le norme generali, indicate dall’art. 117 della Costituzione, ma anche la gestione.

Il triangolo dell’autonomia si chiude con il ruolo che hanno avuto le Regioni  in questa partita, che per la prima volta a loro dire hanno contribuito alla costruzione del Piano Scuola 2020/2021. Una collaborazione  che supera i passati conflitti di competenze, salvaguardando ciò che la Costituzione attribuisce alle scuole. E’ su questa lunghezza d’onda che vediamo dunque applicato il nuovo titolo quinto e che vorremmo vedere il regionalismo differenziato. Recuperare i tagli di personale operati sugli organici degli anni precedenti e distribuirlo con il contributo delle Regioni stesse, come la suprema Corte aveva già indicato nel 2004, aiuta a sostenere l’emergenza e non solo. Intervenire sull’edilizia scolastica, sul sistema integrato per l’infanzia; sostenere le scuole autonome, mantenendone un numero concordato, tenendo conto delle criticità di ciascuna, nei rapporti con i diversi attori locali che possono contribuire all’arricchimento dell’offerta formativa.

Comunità territoriali tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa per fornire una visione unitaria del progetto educativo legato però alle specifiche esigenze. In sintesi linee guida che applicano il predetto titolo quinto. In tale contesto famiglie e allievi dovranno continuare a mettere in pratica i comportamenti previsti per il contrasto all’epidemia in un’azione di responsabilità educativa collettiva, che diventeranno vere e proprie azioni formative con adeguate competenze per i più grandi e gioiose routine per i più piccoli.

Se gli edifici non sono sufficienti nel breve periodo vanno integrati con altri spazi anche esterni, mentre nel lungo periodo andranno riconsiderate le iscrizioni, per porre fine alle “classi pollaio”, e l’ampiezza delle autonomie, con una maggiore presenza della componente sanitaria (il medico competente D.Leg.vo 81/2008). Si devono trovare parametri di riempimento degli edifici cui deve corrispondere la misura dell’organico di istituto, anche in relazione ai diversi indirizzi di studio.

Cinquant’anni dalle prime elezioni regionali, vent’anni circa dalla riforma del titolo quinto, scadenze che dobbiamo richiamare proprio in questa emergenza, che ci aiutano non solo nell’allerta sanitaria, ma nel procedere del cammino istituzionale. La Repubblica nasce nel rifiuto del carattere autoritario e centralista dello Stato, per l’identità dei territori che sono la ricchezza della civiltà italiana, dice il presidente Mattarella. Il principio di autonomia delle regioni e degli enti locali, al quale si aggiunge nella riforma costituzionale quella delle scuole, è alle fondamenta della costruzione democratica. Le diversità, se non utilizzate in modo improprio, sono ancora parole della più alta magistratura statale, sono un moltiplicatore di crescita, civile, economica e culturale. Ed anche l’Europa è chiamata a valorizzare la dimensione regionale come vettore per l’integrazione.

Siamo alla vigilia di elezioni regionali e la pandemia nei sondaggi vede la gente apprezzare i presidenti delle regioni in una gestione vicina ai cittadini, nel bene e nel male. Un movimento trasversale che si aggiunge a quello delle cento città, con l’elezione diretta del sindaco, che in passato ha suscitato diffidenza e irritazione da parte della politica centralista di diversi schieramenti. La mappa del potere però sta cambiando e speriamo che la campagna elettorale non ci riproponga i soliti conflitti della politica nazionale. Queste elezioni, che peraltro ci danno il virus ancora presente nelle nostre comunità, dovrebbero essere il banco di prova del cambiamento culturale che ci faccia uscire dagli interessi di bottega e faccia emergere le esigenze dei territori. E’ sotto gli occhi di tutti un rimescolamento delle tradizionali provenienze politiche in relazione alla diversità delle realtà locali che il covid con il suo rapido cambiamento ci fa apprezzare in diretta, da una regione all’altra.

Verso il record di 250mila supplenti

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Che il prossimo anno avremmo avuto un record di supplenti i sindacati lo sostengono da mesi. Ma, man mano che ci avviciniamo alla riapertura delle scuole, il rischio diventa sempre più concreto. Già prima del Covid-19 molte stime convergevano sui 200mila incarichi a tempo determinato in arrivo, ora che serve un metro di distanza tra gli alunni (e 2 dall’insegnante) il conto complessivo potrebbe salire a 250mila. Inclusi i 50mila contratti a tempo determinato (più 17mila per il personale Ata) aggiuntivi, che potranno essere stipulati grazie al miliardo in più promesso dalla ministra Lucia Azzolina e dal premier Giuseppe Conte. Un fenomeno che interessa soprattutto il Nord, dove già adesso si trova gran parte delle cattedre scoperte, e che rischia di appesantire ancora di più il ritorno in classe.

Le stime dei sindacati

Il tema è tornato improvvisamente attuale. All’indomani della pubblicazione dei dati sui pensionamenti (30mila solo i prof) e dei risultati della mobilità, che ha portato altri 8mila prof a spostarsi dal Centro-Nord al Sud, la Cisl ha aggiornato le stime sulle cattedre vacanti (su cui si veda il Sole 24 Ore del 2 luglio) sull’organico di diritto: 85.150 (+20mila sull’anno prima); di queste, come conferma la tabella pubblicata qui accanto, 50mila circa sono al Nord. Con quali effetti lo scopriremo presto perché in settimana il ministero dell’Istruzione definirà il contingente delle assunzioni da effettuare quest’anno. Ci si dovrebbe aggirare sui 50-60mila, in linea con gli ultimi due anni. Ma è presumibile che anche stavolta almeno la metà delle nomine resti inevasa, considerando che in molte Regioni le graduatorie a esaurimento e quelle dei vecchi concorsi sono vuote. Complice il rinvio del concorso straordinario da 32mila posti, che la ministra Azzolina voleva far svolgere ad agosto ma che sulla spinta di sindacati e una parte della maggioranza (Pd e LeU) è slittato a dopo l’estate, il totalizzatore delle supplenze pare destinato a schizzare verso l’alto.

Il boom di supplenze

La Flc Cgil nei giorni scorsi ha ridato il numero di 200mila supplenze complessive. Ma se al 31 dicembre 2019 – tra contratti fino al 30 giugno e incarichi fino al 31 agosto – ne risultavano assegnate 188mila (di cui oltre 90mila sul sostegno) è presumibile che ci si avvicini a quei livelli. Per poi superarli, se aggiungiamo i 50mila prof in più che potrebbero arrivare con il miliardo aggiuntivo promesso dal tandem Azzolina-Conte e che ci porterebbero vicini a quota 250mila. Su livelli cioè che non si vedevano dal 2007.

Nonostante gli uffici scolastici regionali – ai tavoli previsti dalle linee guida ministeriali e nelle note esplicative appena emanate (ad esempio quella dell’Usr Lazio datata 3 luglio) – stiano sollecitando i presidi a non sdoppiare le classi tutto porta a pensare che le richieste di personale extra arriveranno eccome. Basta guardare alle reazioni di molti dirigenti scolastici alle misure alternative suggerite da viale Trastevere: dai banchi monoposto (ne servirebbero 7,5 milioni in due mesi) alle pareti mobili nelle palestre e nelle aule magne alla richiesta di ospitalità in scuole vicine e più capienti. Tutte ipotesi considerate – in pubblico e nelle chat private – poco praticabili dai capi d’istituto. E anche i 50mila prof (e 17mila Ata) rischiano di non bastare, soprattutto alle superiori – dove per legge si parte da 27 e si arriva a 30 alunni – che registrano le criticità maggiori. Come raccontano i numeri dell’Osservatorio Osservare, con 40.749 sedi scolastiche sparse lungo la Penisola ci sarebbe un insegnante in più a plesso e un collaboratore aggiuntivo ogni tre edifici scolastici. Pochi anche solo per sdoppiare i gruppi classe in sottogruppi da tenere a scuola contemporaneamente.

Per i presidi più responsabilità ma 1.000 euro in meno di stipendio

da Il Sole 24 Ore

di Eu. B.

Non è un caso che tra i più perplessi in vista della riapertura di settembre ci siano proprio i dirigenti scolastici. A fronte di un aumento delle responsabilità (anche penali) collegate alla riorganizzazione da attuare per accogliere dopo l’estate tutti gli studenti in classe rischia di seguire un taglio dello stipendio che, nelle migliore delle ipotesi si aggira sui 1.000 euro al mese. Una manovra “a tenaglia” che ha portato nei giorni scorsi il presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), Antonello Giannelli, a chiedere un incontro urgente alla ministra Lucia Azzolina.

I temi sul tavolo sono dunque due. E se apparentemente sembrano separati – visto che il carico di lavoro in vista di settembre arriva dalle linee guida ministeriali mentre la penalizzazione stipendiale deriva dal mancato rifinanziamento del Fondo unico nazionale (Fun) – nei fatti risultano invece collegati. Sia perché ricadono entrambi sui capi d’istituto sia per la concomitanza dei tempi con cui si stanno verificando. Mentre sulla responsabilità penale datoriale in capo ai presidi – che vede il Covid-19 aggiungersi ai fattori di rischio esterni – appare per forza di cose necessario un intervento legislativo, sull’incapienza del Fun e sul suo impatto retributivo basta un decreto ministeriale dell’Istruzione.

Per capire i termini della questione facciamo un passo indietro. Anche nel 2019-2020 i dirigenti scolastici stanno ricevendo una parte consistente della loro retribuzione sulla base di un contratto integrativo regionale che risale al 2016-2017. In regime di prorogatio per i ritardi con la quantificazione del Fondo nazionale 2017-2018 (certificato dal ministero dell’Economia solo alla fine del 2019) e 2018-2019 (ancora non certificato). In sostanza, a produrre effetti sono ancora il contratto e il Fun di tre anni fa. Con il rischio in capo ai dirigenti, una volta firmati gli integrativi per il 2017-2018 e il 2018-2019, di dover restituire la differenza tra quanto già percepito (calcolato sui valori del contratto 2016-2017) e quanto avrebbero dovuto incassare in base alle risorse rese disponibili per il 2017-2018 e 2018-2019.

Si tratta di cifre che, secondo l’Anp, superano mediamente i 1.000 euro l’anno. E che, stando invece ai calcoli della Cisl Scuola, sarebbero ancora più alti. A seconda del territorio di appartenenza. Tant’è che i dirigenti calabresi subirebbero una riduzione per il personale in terza fascia di 1.733 euro lordi annui laddove i liguri (in prima fascia) se ne vedrebbero tagliati 1.200, sempre lordi annuali.

Al centro di tutto ci sono i 10 milioni per il Fun 2018-2019, che il ministero dell’Istruzione aveva reperito dal proprio bilancio per evitare ai dirigenti di dover restituire quanto percepito in più negli anni successivi al 2016-2017. Fatto sta lo schema di decreto di viale Trastevere non è stato però sottoscritto da via Venti Settembre e, quindi, continuano a ballare proprio 10 milioni. Ed è su questo che i dirigenti vorrebbero una risposta dalla ministra Azzolina insieme agli altri quesiti che sono stati posti sul tavolo in vista della riapertura in sicurezza di settembre. Due su tutti: se il metro di distanza va calcolato in maniera statica o dinamica e quante volte vanno areati i locali durante il giorno. Dubbi a cui risponderà il Comitato tecnico scientifico (Cts) del ministero della Salute e che potrebbero trovare una definizione nel protocollo nazionale da sottoscrivere insieme alla protezione civile e ai sindacati.

Azzolina firma decreto: 855 milioni per la manutenzione straordinaria

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

La ministra dell’Istruzione ha firmato venerdì scorso il decreto con il quale vengono stanziati 855 milioni per il finanziamento di interventi di manutenzione straordinaria ed efficientamento energetico a favore di Province e Città metropolitane. Il decreto è stato sottoscritto già anche dal ministro dell’Economia e delle Finanze.

«Si tratta di un importante investimento che interessa le scuole secondarie di secondo grado e che è il punto di arrivo di un grande lavoro di coordinamento che è andato avanti, in questi mesi, tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il ministero dell’Istruzione e il ministero dell’Economia e delle Finanze, con l’Unione delle Province d’Italia (Upi) e l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci)», ha spiegato Lucia Azzolina. «Stiamo lavorando per sbloccare tutte le risorse possibili. Sull’edilizia scolastica molto è stato fatto, ma c’è ancora tanto da fare. Gli investimenti ci sono, bisogna spendere velocemente e realizzare le opere».

Il decreto andrà ora alla firma del Presidente del Consiglio e, subito dopo, con decreto del dell’Istruzione, saranno ripartite le risorse tra le Province e le Città metropolitane sulla base della popolazione scolastica, del numero degli edifici scolastici presenti sul territorio.

Gli Enti locali dovranno individuare e comunicare gli interventi che vorranno realizzare in via prioritaria. Per accelerare l’attuazione di queste opere, anche alla luce dell’attribuzione dei poteri commissariali a sindaci e presidenti di Province e Città metropolitane previsti dal decreto Scuola, nei prossimi giorni verranno fornite agli Enti locali le indicazioni operative per l’inoltro dei piani di interventi da attuare che verrà effettuato tramite apposito sistema informativo.

Maturità, e poi? Tanti sognano la laurea, ma il Covid cambia i loro piani: l’università sarà vicino casa

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Nessuna fuga dall’università. Gli studenti che hanno appena affrontato la Maturità, a dispetto delle previsioni nefaste, sembra non vogliano rinunciare ai propri obiettivi. Semmai, per limitare i ‘danni’ prodotti dall’emergenza sanitaria (problemi economici, difficoltà di spostamento, eventuali seconde ondate di contagi), in modo più o meno forzato cambieranno strategia; orientandosi verso atenei più vicini a casa ed evitando, se possibile, la vita da ‘fuori sede’. Almeno queste sono le intenzioni della stragrande maggioranza di loro, così come emerge da un sondaggio di Skuola.net, effettuato su 1500 neodiplomati. Circa 8 ragazzi su 10, infatti, continuano a inseguire il sogno di una laurea (numeri in linea, se non addirittura più alti, rispetto al recente passato).

Per qualcuno, però, più che di un consapevole progetto di vita possiamo parlare di una scelta buona per tutte le stagioni. Perché, sistematicamente, al termine dell’esame di Maturità, gli indecisi tendono a indirizzarsi sull’ipotesi di iscriversi all’Università, per poi scontrarsi con la dura realtà: storicamente i diplomati che poi si immatricolano sono poco più della metà. Inoltre, al momento, solo il 55% afferma con convinzione di avere le idee chiare.

Una variabile in più che, a settembre, potrebbe ulteriormente far oscillare il dato. Tuttavia questo interesse per la laurea e quindi per la formazione terziaria va letto in senso positivo.
Ovvio che qualche cambiamento nelle dinamiche, a causa dell’effetto Covid, ci sarà. Basta osservare l’ipotetica distribuzione delle matricole sul territorio. In media, quasi 2 su 3 immaginano di iscriversi in un ateneo della propria regione; un dato che al Nord (area geografica che di solito accoglie più studenti di quanti ne lascia partire) supera quota 70%. Un altro 10% è ancora indeciso. Mentre solo 1 su 4 ha intenzione di trasferirsi ugualmente; con un picco leggermente più alto (30%) tra gli studenti del Sud (tradizionalmente più inclini, spesso per necessità, all’esodo); ma, comunque, in flessione rispetto agli standard usuali dei flussi dei fuori sede.

Per molti, l’elemento determinante per farli rimanere, è legato proprio al virus. Stiamo parlando di quasi 1 futuro universitario su 4 tra quelli che resteranno all’interno dei confini regionali: il 5%, senza la crisi socio-sanitaria si sarebbe trasferito sicuramente; il 18% avrebbe perlomeno valutato l’offerta formativa di atenei di altre regioni. A pesare sulla loro scelta in primis fattori economici: oltre 1 su 2, alla luce di quanto successo, non può permettersi la vita da studente ‘fuori sede’. Notevole anche il ruolo di eventuali problemi logistici: il 40% ha paura che gli spostamenti per tornare a casa possano essere molto difficili, specie se ci sarà una ripresa dei contagi. Meno decisivi (9%), invece, i timori della famiglia. Una brutta notizia per quelle città che basavano parte del proprio bilancio sull’ospitalità universitaria.

Ma anche tra chi si trasferirà, c’è qualcuno che probabilmente avrebbe preferito restarsene nei paraggi. Soprattutto in questo momento. Solamente per 1 su 3 la partenza sarà una scelta del tutto volontaria, dettata dalla voglia di rendersi indipendente. Gli altri, al contrario, dovranno fare di necessità virtù: il 28% dice che nella propria regione non c’è il corso di laurea che vorrebbero frequentare, il 35% racconta che negli atenei della sua regione la qualità del corso prescelto è bassa.

Approccio pragmatico pure per quel che riguarda le strade più battute. Si punta alle discipline che, in teoria, garantiscono più chance di trovare lavoro. Circa un quarto (24%) – dato stabile rispetto al passato – tenterà l’iscrizione a un corso di area medico-sanitaria (Medicina, Odontoiatria, Professioni sanitarie e altre); quasi 1 su 5 proverà con corsi di Ingegneria o di Informatica (in crescita se guardiamo a dodici mesi fa); terzo posto condiviso (col 12% di preferenze) per i corsi di economia e marketing e per quelli umanistici o in lingue. Il condizionale, però, è d’obbligo: più di 8 su 10 devono passare per i test d’ingresso, nazionali o locali. Una missione per la quale quasi tutti (80%) si stanno già preparando (1 su 3 da almeno tre mesi).

E gli altri? Quelli che nel proprio futuro non intravedono l’università? Poco meno della metà di loro cercherà subito un’occupazione (anche attraverso concorsi), mentre gli altri si dividono tra chi pensa di andare all’estero per studiare o lavorare, tra chi frequenterà corsi di formazione non universitari (Its, corsi regionali e altro), tra chi tenterà una carriera nelle forze armate o di polizia. Scelte diverse, accomunate soprattutto dalla voglia di trovare la propria dimensione in fretta (al primo posto tra le priorità per il 33% delle mancate matricole) ma anche dalla consapevolezza che lo studio universitario non sia nelle proprie corde (la mette in cima alle motivazioni il 29%), a cui va aggiunto un 17% che non crede che una laurea attualmente dia tutte queste opportunità lavorative in più. Ma, almeno questi ultimi, i dati ufficiali sembrano smentirli. Dipende dalla laurea.

Ritorno in classe con più teledidattica, banda larga e stop classi pollaio: lo prevede il Piano nazionale di Riforma

da La Tecnica della Scuola

C’è anche la scuola nell’elenco di priorità inserite nel Piano nazionale di Riforma (il Pnr) che il Governo sta per varare per attuare il ‘Recovery plan’ italiano, da mettere a punto a settembre per accedere ai nuovi fondi europei anti-Covid: gli investimenti nell’istruzione si aggiungono a quelli su ricerca, trasporti e banda larga, assieme al sostegno ad alcuni settori “strategici”, come la farmaceutica, il biomedicale, l’auto, la siderurgia, compresa la transizione green dell’Ilva di Taranto, l’edilizia, il turismo e la cultura.

Il piano decennale per ripianare il debito pubblico

Il Pnr – con il quale Il Governo punta a modernizzare il Paese da settembre agendo su transizione ecologica e inclusione sociale e territoriale, e parità di genere – sarà accompagnato da un piano decennale di rientro dall’altissimo debito pubblico, lievitato oltre il 155% con il tracollo del Pil.

La crisi è stata “devastante” e non c’è tempo da perdere, ha detto il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri in premessa del documento, che sarà sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri.

Quello che occorre fare è evitare che al lockdown segua “un periodo di depressione economica”, partendo subito con il decreto semplificazioni, che sbloccherà i cantieri e snellirà la burocrazia, accanto a un nuovo intervento in deficit per tamponare l’emergenza.

Cosa è previsto per la scuola

Per la scuola sono previsti tre miliardi: andranno per le opere di edilizia, ma anche per portare in tutti gli istituti la fibra ottica entro due anni, così da favorire i progetti di didattica a distanza, che andrà rafforzata anche in epoca post-Covid, ma anche per evitare di arrivare impreparati dinanzi ad una sempre possibile ondata di ritorno del coronavirus.

Per il rientro in classe a settembre, rimane da risolvere il problema del distanziamento degli alunni nelle classi, con i sindacati che stanno ponendo dubbi contrattuali sulla possibilità dei docenti di svolgere lezioni in aule o spazi (appositamente adattati) esterni all’istituto da cui dipendono.

Potenziare la ‘teledidattica’

Il Programma nazionale di riforme che l’Italia metterà in campo comprende anche il potenziamento della ‘teledidattica’.

“Entro due anni – viene annunciato nella bozza del documento – tutte le scuole statali superiori e medie dell’intero territorio nazionale saranno connesse con collegamenti in fibra ottica a 1 Gbps e la connettività sarà gratuita per 5 anni e sarà inclusa la manutenzione delle reti”.

Per realizzare il Pnr, si realizzerà la banda ultralarga grazie ai 400 milioni, rispetto ai precedenti 200; inoltre, sono previsti interventi per rafforzare la connettività delle scuole portando in più di 32.000 istituti la banda ultralarga.

Sì alla “digitalizzazione intelligente”

Nel Piano nazionale di Riforma si legge, inoltre, che “l’innovazione didattica è la dimensione fondamentale per il rilancio del sistema di istruzione e il punto di partenza per porre gli studenti al centro della loro esperienza scolastica. Quest’ultima deve però passare per una digitalizzazione intelligente”: per questo “è necessario formare dei ragazzi che siano in grado non solo di adeguarsi al cambiamento, ma di guidarlo. In questo senso bisogna anche puntare sulla formazione continua, il ‘lifelong learning’”.

Classi meno numerose

Nel Pnr si legge che “a fronte dell’incertezza dettata dalla possibilità che l’emergenza sanitaria possa ripresentarsi, è compito del Governo continuare a garantire il rafforzamento della complessa struttura di interventi che ha garantito finora la didattica a distanza, traslando le azioni adottate in emergenza in una solida politica di sistema, per tutti i gradi scolastici”.

Infine, nel Pnr si chiede di dare uno stop alle ‘classi pollaio’ “per garantire stabilmente un migliore equilibrio tra le esigenze didattiche e di organizzazione del personale”.

Ritorno a scuola, a settembre test per docenti, Ata e studenti. Il Ministero della Salute è deciso

da La Tecnica della Scuola

Test sierologici per i lavoratori della scuola e molecolari per gli studenti. Lo ribadisce il Ministro della Salute Roberto Speranza.

Risulta ormai chiaro che l‘aspetto sanitario sarà inevitabilmente centrale in occasione del rientro a scuola: infatti, in questi giorni i sindacati insieme al Comitato tecnico scientifico stanno provando a costruire un protocollo di sicurezza che preveda una forte attenzione a questi aspetti.

Ritorno a scuola: serve un monitoraggio costante

Per questo il Ministro della Salute insiste sui controlli per prevenire il contagio. Nel corso di un’intervista a La Repubblica, Speranza ha infatti precisato di aver proposto alle Regioni di introdurre un modello scolastico che preveda test sierologici sui lavoratori, molecolari sulla popolazione scolastica“. Insomma, per Speranza è necessario un “monitoraggio costante“.

Secondo Speranza bisogna  “ricostruire un rapporto organico tra scuola e sanità, recuperando il senso di una norma del 1961 che introduceva la medicina scolastica, superata negli anni ’90. Una relazione organica costante della prevenzione sanitaria con le scuole“.

Non solo test per i lavoratori e studenti: medici e psicologi a scuola

A proposito di medicina e scuola, c’è anche il dibattito legato al presidio medico da istituire in ogni istituto scolastico: dopo il primo incontro con il CTS, i sindacati hanno puntato proprio su questo tema, e sul fatto che venga affidata la responsabilità della presa in carico degli eventuali casi positivi alle ASL.

Anche Mario Rusconi, dell’ANP, chiede di “ripristinare la figura professionale del medico scolastico si rileverebbe fondamentale per una corretta gestione delle profilassi antivirus che dovranno essere messe in atto per evitare i contagi”.

In realtà in molti fanno notare che un solo medico in ogni scuola non sarebbe sufficiente, o meglio, non in tutte le scuole del territorio: magari un solo medico potrebbe andare bene per le piccole scuole di provincia che non abbiano una popolazione scolastica esagerata. Nel caso di istituti molto più numerosi, forse si dovrebbe rivedere il numero di professionisti medici da inserire nelle scuole.

Legato al tema del presidio medico c’è anche quello del presidio psicologico: ancora Rusconi sostiene infatti: “C’è da chiedersi quale sarà il supporto psicologico diffuso che troveranno i nostri ragazzi con il loro ritorno tra i banchi e dopo essere rimasti per tanto tempo chiusi in casa a seguire la didattica digitale. Per molti di loro si sono create situazioni emotive più o meno gravi da risolvere proprio con interventi di supporto di équipe psicopedagogica, che tra l’altro potrebbero essere di grande aiuto professionale per gli interventi formativi che dovranno mettere in cantiere i docenti, e offrendo anche supporto ai genitori che si troveranno ad affrontare atteggiamenti difficili di molti ragazzi”.

Non si tratta certo di idee dell’ultima ora: il dibattito scolastico degli ultimi anno aveva già posto temi del genere sul tavolo di confronto. Solo che adesso, con il ritorno a scuola che si avvicina, dopo la chiusura per covid, tutto assume un altro significato.

Lavoratori pubblici in smart working altri 6 mesi, poi sarà la regola: riguarda gli Ata, non i docenti

da La Tecnica della Scuola

Nella pubblica amministrazione lo smart working continuerà ad essere adottato in modo massiccio, per circa per la metà dei lavoratori, almeno sino a fine anno: poi, nel 2021, si procederà a un piano complessivo di riorganizzazione di tutte le mansioni che si possono svolgere anche da casa. Lo prevedono alcuni emendamenti al decreto Rilancio approvati dalle commissioni del Camera, in particolare da quella Bilancio che spesso fa da ago della Bilancio.

L’emendamento che conferma il “lavoro agile”

La volontà di continuare con le attività lavorative eseguibili da remoto, si sta tentando di legiferare con un emendamento al decreto Rilancio, del M5S, che conferma lo smart working per altri sei mesi, introduce il “Piano organizzativo del lavoro agile” (POLA), con il quale dal 1° gennaio 2021 la percentuale salirà ad almeno il 60%.

Secondo la ministra per la PA, Fabiana Dadone, stiamo assistendo ad una vera “rivoluzione”. Con l’emendamento si introduce anche l’Osservatorio del lavoro agile “per raccogliere dati e informazioni fondamentali e permettere di programmare al meglio le future politiche organizzative delle Pa e lo sviluppo delle performance di dirigenti e personale”.

La ministra Dadone: obbligati dalla pandemia

“Nel frattempo – ha scritto Dadone su Fb – con le organizzazioni sindacali abbiamo portato avanti il confronto sul protocollo di sicurezza perché i dipendenti pubblici possano rientrare in piena tutela e continuare a dare il proprio contributo in questa fase di rilancio del Paese”.

“La pandemia – ha continuato la ministra – ha avuto un impatto cruciale che sta già trasformando e trasformerà gli assetti sociali, economici, ambientali e delle politiche pubbliche. Il lavoro agile è parte integrante di questa trasformazione e chi lo nega o ne derubrica la portata a elemento di polemica politica non ha capito nulla o fa finta di non capire. Le rivoluzioni si possono guidare o subire. Preferisco governarle”.

Il testo in Aula lunedì 6 luglio

Il decreto Rilancio, con le modifiche sul “lavoro agile” nella PA almeno sino alla fine del 2020, arriverà in Aula lunedì 6 luglio, dove il Governo dovrebbe porre la fiducia per inviarlo il prima possibile al Senato: qui, però, ci sarà appena il tempo di approvare le modifiche, vista la scadenza del provvedimento il 18 luglio.

La presidente della Bce Lagarde è d’accordo

Intanto, la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha parlato di “lavoro agile”: intervenendo ad un convegno on line dal tema ‘Attuare un modello di crescita alternativo’, ha detto che “il coronavirus cambierà profondamente la struttura della nostra economia, ci sarà un’accelerazione verso la digitalizzazione, i settori dei servizi e della manifattura saranno organizzati in modo diverso con quest’ultimo che vedrà un aumento della robotizzazione”.

La presidente si è soffermata proprio sullo “smart working: ha cambiato il nostro modo di lavorare, per cui ci saranno cambiamenti nel modo in cui viviamo, produciamo e vendiamo”.

Tra i cambiamenti in atto Lagarde ha spiegato che negli Stati Uniti la maggior parte delle aziende pensa di far lavorare i dipendenti “almeno un giorno o due giorni da casa”, in smart working, piuttosto che in ufficio.

Lagarde si è quindi detta “fiduciosa che l’Europa sarà in grado di gestire questa immensa transizione”.

La numero uno della Bce ha infine avvertito che il coronavirus “porterà anche ad un aumento delle diseguaglianze”: una dichiarazione che si allinea i dati Istat del giorno prima, che ha bocciato la didattica a distanza, perché escluderebbe troppi bambini di famiglie numerose, indigenti, in prevalenza del Sud.

Nella scuola situazione diversificata

Nella scuola, quindi, la didattica a distanza, effetto dello smart working dei docenti, deve essere considerata proprio l’ultima evenienza: la stessa ministra Lucia Azzolina ha detto che la DaD potrebbe tornare solo nel caso dovesse riesplodere la pandemia con contagi su larga scala.

Più fattibile appare il proseguimento delle attività in modalità remoto per il personale Ata, in particolare per gli assistenti amministrativi, i quali potrebbero infatti garantire a turno da casa il servizio professionale da realizzare all’interno delle mura scolastiche.

Avviso Adeguamento spazi e aule – 2a edizione

AVVISO PUBBLICO PER INTERVENTI DI ADEGUAMENTO E DI ADATTAMENTO FUNZIONALE DEGLI SPAZI E DELLE AULE DIDATTICHE IN CONSEGUENZA DELL’EMERGENZA SANITARIA DA COVID-19 II EDIZIONE – RISERVATA AGLI ENTI LOCALI CHE NON HANNO PRESENTATO LA CANDIDATURA
Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020 Asse II – Infrastrutture per l’Istruzione – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR)
Obiettivo Specifico 10.7 – Azione 10.7.1 – “Interventi di riqualificazione degli edifici scolastici (efficientamento energetico, sicurezza, attrattività e innovatività, accessibilità, impianti sportivi, connettività), anche per facilitare l’accessibilità delle persone con disabilità”

Avviso 19161 del 06 luglio 2020

AVVISO PUBBLICO PER IL SUPPORTO A STUDENTESSE E STUDENTI PER LIBRI DI TESTO E KIT SCOLASTICI

AVVISO PUBBLICO PER IL SUPPORTO A STUDENTESSE E STUDENTI DELLE SCUOLE SECONDARIE DI PRIMO E DI SECONDO GRADO PER LIBRI DI TESTO E KIT SCOLASTICI
Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020
Asse I – Istruzione – Fondo Sociale Europeo (FSE) Programma Operativo Complementare “Per la scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014- 2020
Asse I – Istruzione – Fondo di Rotazione (FdR) Obiettivo Specifico 10.2 Miglioramento delle competenze chiave degli allievi Azione 10.2.2 Azioni di integrazione e potenziamento delle aree disciplinari di base (lingua italiana, lingue straniere, matematica, scienze, nuove tecnologie e nuovi linguaggi, ecc.) con particolare riferimento al primo ciclo e al secondo ciclo e anche tramite percorsi on-line

Avviso 19146 del 06 luglio 2020

Diritto allo studio

AVVISO PUBBLICO PER IL SUPPORTO A STUDENTESSE E STUDENTI PER LIBRI DI TESTO E KIT SCOLASTICI
Avviso 19146 del 06 luglio 2020


Diritto allo studio, stanziati 236 milioni per l’acquisto di libri di testo Azzolina: “Mettiamo in campo azioni concrete per studenti e famiglie”

Uno stanziamento di 236 milioni di euro per garantire il diritto allo studio di studentesse e studenti delle scuole secondarie di I e II grado in condizioni di svantaggio e alleggerire in modo consistente la spesa delle famiglie in vista del prossimo anno scolastico. Lo ha messo in campo la Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, destinando a questo scopo una parte dei fondi PON ancora disponibili che il Ministero sta rapidamente spendendo e utilizzando per affrontare l’emergenza e la ripresa di settembre. L’annuncio è arrivato nel corso della visita all’ICS Giovanni Falcone di Palermo, prima tappa siciliana del tour che la Ministra sta effettuando per partecipare ai Tavoli regionali sulla ripartenza dell’anno scolastico.

Le scuole potranno accedere alle risorse partecipando all’Avviso pubblicato oggi sul sito del Ministero. Con i fondi potranno essere acquistati libri di testo scolastici digitali e/o cartacei, dizionari, dispositivi digitali, materiali didattici per ragazzi con Bisogni Educativi Speciali (BES) o Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) da destinare, anche in comodato d’uso, alle studentesse e agli studenti che vivono in condizioni di svantaggio.

“L’emergenza coronavirus ha messo a dura prova il sistema scolastico, ma anche molte famiglie che stanno affrontando difficoltà economiche impreviste. Con questo intervento puntiamo a tutelare il diritto allo studio, secondo quanto previsto dalla Costituzione. E a dare un supporto concreto a chi deve sostenere spese anche importanti per i figli in vista del nuovo anno scolastico”, sottolinea la Ministra Lucia Azzolina. “Si tratta di stanziamenti aggiuntivi rispetto a quelli già destinati a questo scopo. Abbiamo vissuto mesi particolari, avremo una ripresa in condizioni eccezionali, era giusto e doveroso prevedere un rafforzamento delle nostre azioni per il diritto allo studio”.

I materialipotranno essere consegnati in zainetti o altre custodie, trasformandoli così in veri e propri kit scolastici per il nuovo anno. L’Avviso mette a disposizione fino a 100mila euro per le scuole secondarie di primo grado e fino a 120mila per quelle di secondo gradosulla base del numero di studenti e di altri indicatori relativi sia al disagio negli apprendimenti sia al contesto socio-economico di riferimento delle scuole. All’Avviso potranno aderire anche le scuole paritarie secondarie di primo e di secondo grado non commerciali.

Le scuole avranno tempo per richiedere i fondi dalle ore 10.00 del 13 luglio 2020 alle ore 15.00 del 23 luglio 2020 e dovranno accedere all’area PON “Per la Scuola” del sito http://www.istruzione.it/pon/.