Una scuola per l’Europa

Una scuola per l’Europa

di Stefano Stefanel

            In questa strana estate mi sento estraneo e antico e non riesco a stare dietro alle cose della scuola così come fanno molti colleghi dirigenti, molti insegnanti, molti opinionisti, molti sindacalisti, ma anche molti venditori di banchi e di strumenti per sanificare e misurare, in linea di massima anche terrorizzare. Constato poi, con un certo orrore, che sulla didattica a distanza si è ormai scesi a dibattiti di parte, con qualcuno che vuol proibire una modalità innovativa di didattica a favore di una didattica solo in presenza, che nega il tempo che avanza, ma anche il modo di innovare e migliorare. Possiamo anche ridurre a dodici centimetri la distanza di sicurezza tra un alunno e l’altro per fare stare tutti dove stavano prima, ma non possiamo certo ridurre lo spazio del sapere e nemmeno la naturale coerenza del virus, piuttosto disinteressato – temo – dalle metrature delle nostre aule e dei nostri corridoi.

            Da dirigente antico, che ama fare le cose una volta sola e quando serve, non posso non osservare con stupore molti colleghi dirigenti misurare tutto ad ogni battito di Facebook, dentro una logica geometrica e non didattica. I problemi vanno risolti pensando alla didattica non alle lampade a raggi ultravioletti.  Settembre è vicino, ma non proprio alle porte e dunque ancora molto può accadere. Diciamo che non sono attratto dal dibattito in corso, sono piuttosto perplesso sulle molte linee guida, che guidano poco o nulla, sono piuttosto sconcertato da quello che viene detto sugli organici, il numero di alunni per classe e tutto quanto riporta il discorso al punto di partenza, quel 22 febbraio 2020 che mai più ritornerà.

            Mi sarei aspettato, e ancora mi aspetto, che la scuola cominci ad appassionarsi al suo futuro europeo e che si scopra Scuola per l’Europa. Credo che tutto quello cui ho accennato sopra sia teoria di retroguardia e che lo sguardo debba sollevarsi sulla pratica e sulla concretezza. Che stanno lì belle in vista e belle forti, in attesa che qualcuno si occupi di loro. Ma poiché Ministro e Ministero, Sindacati e Insegnanti, Personale Amministrativo e Studenti, Famiglie e Opinione pubblica nulla hanno da dire in questo luglio sulla grande concretezza dell’Europa, provo a dire qualcosina io (anche se il tasso di ascolto sarà piuttosto modesto).

            Le cose concrete a cui la scuola deve guardare sono due:

1) MES

2) RECOVERY FUND

            Il MES 2020 dice che può essere speso per costi “diretti e indiretti legati alla sanità” e quindi in apparenza non può essere speso per la scuola. Le nostre scuole, però, hanno dimostrato limiti enormi laddove c’è stato un problema sanitario e pertanto ritengo che con progetti mirati e precisi, connessi alla pandemia e alla necessità di distanziamento a fini di diminuzione del contagio, potrebbero essere costruite strutture leggere e agili capaci di rispondere alle necessità collegate al distanziamento sociale, soprattutto degli studenti più piccoli. Evidentemente ai costi diretti (palazzine, spazi didattici, ecc.) vanno aggiunti quelli indiretti che renderebbero possibile dotare quegli spazi di personale (educatori, insegnanti, altro personale). La sanità si attua non slo in ospedale, ma anche con forti dosi di prevenzione.

            Il RECOVERY FUND invece potrebbe usare 15 dei 209 miliardi per rifare tutte le scuole d’Italia, dotandole di spazi nuovi e modellabili, didatticamente all’avanguardia, grandi. Quei soldi potrebbero far nascere una scuola nuova collegata alle necessità del tempo e non stipata in edifici costruiti per altri scopi educativi e formativi. Per esempio le scuole del Friuli, ricostruite dopo il terremoto, sono state realizzate con aule piccole e corridoi enormi: il contrario di quello che serve oggi.

            Chi ragionerà su tutto questo? Gli esperti di edifici o quelli di didattica? Gli ingegneri o gli insegnanti? Il personale del ministero o i dirigenti scolastici? Chi progetterà la scuola del futuro e chi si batterà perché una cospicua parte di quei soldi arrivi alle scuole? Quelli che capiscono cosa veramente serve alla scuola o quelli che sanno progettare edifici belli da vedere e difficili da usare per le pratiche didattiche dell’oggi?

            Vedo in giro troppe dichiarazioni generiche e molte task force dove la scuola non esiste o dove la scuola è rappresentata soprattutto da chi a scuola non ci mette quasi mai piede. E soprattutto vedo la scuola del primo ciclo senza una vera rappresentanza nelle istituzioni, mentre è la scuola da cui parte tutto il resto. Esiste,poi, in Italia l’idea assurda che il mondo universitario capisca e conosca quello della scuola: non succede praticamente mai e se c’è una cosa che l’Università non conosce è proprio la scuola. Anche nelle Facoltà di Scienze della formazione, che dovrebbero essere quelle più vicine alla scuola di base, si fa troppa teoria e poca pedagogia reale, tanta didattica frontale e poca didattica per competenze.

            Tutti questi soldi che la scuola deve pretendere devono passare da una progettazione scolastica e quindi mi piacerebbe che la scuola alzasse gli occhi dalle misurazioni degli spazi fatte ogni settimana con parametri diversi dalla settimana precedente e cominciasse a chiedere con forza che si esplorino le possibilità del MES e le potenzialità del RECOVERY FUND in funzione didattica. Non servono belle palazzine, belle scuole, begli edifici: servono edifici nuovi costruiti in maniera diversa da come sono stati fatti fino ad ora, funzionali alla scuola e al suo futuro. Abbiamo troppi edifici che si sono rivelati insicuri (il numero di edifici fuori norma è enorme) e inadatti per fronteggiare il nuovo e l’emergenza (e, infatti, usciti da quegli edifici il 24 febbraio rientreremo il 16 settembre, sperando di poter far finta che nulla sia accaduto).

            A scuola ci vanno 8 milioni di studenti l’anno e ci lavorano oltre 1 milione di persone. Stiamo parlando di 9 milioni di utenti diretti e almeno altri 18 indiretti (le famiglie collegate a questo mondo). Ma perché 27 milioni di portatori di interesse non devono essere ascoltati? Perché non si comprende che la scuola è il problema centrale della società della conoscenza? Io spero che dalla scuola venga forte la richiesta di essere coinvolta nella progettazione e che questa progettazione non vada per la sua strada cantierando ancora una volta spazi sbagliati e obsoleti. Basta aulette rigide, basta palestrine monofunzionali, basta laboratori adattati a qualunque disciplina, basta computer comprati a caso, basta assenza di banda larga. I miliardi dell’Europa chiedono una Scuola per l’Europa. Che deve essere progettata dalla scuola, non da professionisti di altro.

Educazione civica, tra scienza e democrazia

Educazione civica: per un possibile parallelo tra scienza e democrazia.

di Maria Grazia Carnazzola

Dal prossimo settembre l’insegnamento di Educazione civica e Costituzione sarà obbligatorio in tutte le classi delle scuole di ogni ordine e grado; a partire dalla scuola dell’infanzia. 

Questo è un momento di palese difficoltà anche per il mondo della scuola sotto diversi aspetti; la legge n.92/2019 e le Linee Guida del giugno scorso, ripropongono una necessaria riflessione sul tema delle competenze di cittadinanza a cui dovrebbe essere finalizzato l’intero curricolo e, quindi, anche l’insegnamento di Educazione Civica.  Ho letto i diversi documenti, compreso il Piano per la formazione dei docenti del 16-7-2020, e pur condividendone il senso complessivo, alcuni interrogativi riguardanti la dimensione culturale, psico- pedagogica e valoriale, mi rimangono.

La cittadinanza deve essere la chiave di lettura dei tanti documenti che, nel tempo, si sono susseguiti, comprese le Indicazioni Nazionali per i Licei 2010, le Linee guida per gli Istituti Tecnici e Professionali 2010-2012-2017, le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo di Istruzione 2012, il documento MIUR sulle Indicazioni per il curricolo del 22 febbraio 2018 e in molti altri. E dovrà continuare ad essere la chiave di lettura per comprendere e per interpretare gli indirizzi culturali e pedagogici presenti a volte esplicitamente a volte implicitamente nei documenti, perchè non basta ripetere le stesse cose con formule diverse o con nuovi documenti che spiegano via via il significato di documenti precedenti: serve individuare gli strumenti culturali e tecnici necessari per una visione complessiva, premessa per una compiuta realizzazione.

  1. Prima dell’educazione civica, l’educazione.

 L’educazione civica è un tassello fondamentale nella formazione dell’uomo e del cittadino, ma, tassello ancora più importante è l’educazione tout court, fatta di comportamenti rispettosi a casa, per strada, sui mezzi pubblici, a scuola… comportamenti che devono essere appresi perlopiù attraverso l’imitazione e, quindi, attraverso l’esempio. I ragazzi che abbiamo a scuola sono gli stessi che vediamo al bar o sugli scooter…pensiamo forse che dovrebbero essere diversi per il solo fatto di essere nella scuola? Non è così, o perlomeno, non è più così: i ruoli oggi dicono poco e se qualcuno nella scuola dice, è perché ne ha il coraggio e gli strumenti, la reputazione, la credibilità e la rispettabilità necessarie. Chi di noi ha in famiglia bambini o ragazzi, sa che queste non sono solo parole. Gli studenti irriverenti, o quanto meno demotivati e insofferenti, testimoniano la frattura che si è creata tra la scuola e la società, tra gli insegnanti e i genitori e danno atto della confusione imperante tra ruoli e funzioni, tra diritto all’istruzione e cultura della rivendicazione, in nome di una presunta democrazia.

La scuola non è democratica perchè permette a tutti di entrare: è democratica se permette a tutti di uscire con un bagaglio di cultura e di competenze che gli consentiranno di vivere nel miglior modo possibile- nella società- e di orientarsi nel mondo del lavoro. Solo se quelle competenze si fondano sugli strumenti culturali e tecnici necessari per conoscere e significare la realtà e per fare le proprie scelte, ciò sarà possibile.

2. Per non continuare a guardare il dito mentre si indica la luna.

Strumenti culturali e tecnici (e tecnologici) necessari per sapersi orientare, dicevo. Un buon funzionamento della democrazia non può prescindere da un livello quanto più possibile elevato di alfabetizzazione “scientifica”: la disinformazione che viaggia sulla rete, velocissima e incessante, se non controbilanciata da una adeguata familiarità con il sapere, può creare forme di consenso non mediate dagli esperti e mettere a rischio la sicurezza di intere popolazioni. Le vicende legate all’attuale pandemia la dicono lunga. Sottolineare la necessaria controllabilità pubblica delle posizioni e dei risultati scientifici, significa aprire le porte alla critica di altri scienziati, credibili per competenza e di comprovata reputazione, per una decisione collettiva. Con le dovute differenze, se guardiamo a fondo, anche i processi decisionali di una buona democrazia dovrebbero fondarsi su discussioni aperte alle critiche provenienti dalla stampa o dalle opposizioni, a confronti e a civili scontri di carattere pubblico, tra persone di riconosciuta competenza e reputazione.  Questa sarebbe la prima lezione di educazione civica per tutti. La crescente specializzazione di tutte le scienze moltiplica i linguaggi tecnici, sempre meno accessibili al grande pubblico sia in campo politico sia in campo scientifico: abbiamo bisogno di mediatori di conoscenza e di mediatori politici, di una qualche forma di mediazione da parte di esperti più competenti del cittadino medio: sappiamo che le conoscenze sono distribuite in modo ineguale. Questo è il fil rouge che dovrebbe collegare conoscenza e democrazia e a cui dovremmo essere formati. Il principio di controllabilità e di delega, sia in ambito politico sia in ambito conoscitivo, si fonda, direbbe J. Searle, sul primario contratto sociale di una comunità, cioè sulla fiducia in un linguaggio condiviso e non menzognero. Se prevalgono le asserzioni senza significato o false, i discorsi smarriscono il senso e ne consegue la caduta di legittimazione delle istituzioni. La qualità del linguaggio pubblico non è un lusso né un esercizio accademico: è un dovere civile.  Infatti, la società civile è fondata sulla possibilità, per ciascuno, di comprendere e di farsi comprendere. Parlare o scrivere bene attiene direttamente alla qualità del ragionamento e del pensiero. Non a caso, A. Camus aveva sostenuto che “Quelli che scrivono con chiarezza hanno dei lettori, quelli che scrivono in modo ambiguo hanno dei commentatori.”  Mi chiedo come mai, nelle linee guida non si faccia menzione, tra le altre discipline citate, della necessaria trasversalità della lingua, orale e scritta. “Tu sai bene che il parlare scorretto non è solo una cosa per sé sconveniente, ma fa male anche alle anime” ebbe a dire Socrate a Critone. Se le parole perdono aderenza con i concetti, cosa è Stato, cosa è libertà, cosa giustizia?

3. La scienza e la democrazia vogliono parole precise.

Tutti raccontiamo storie: è il nostro modo di dare significato e direzione a ciò che accade e che ci accade. Così come non possiamo non dire e non narrare, allo stesso modo dobbiamo cercare di comprendere quello che ci viene narrato. 

P. Watzlawick ha sostenuto che le parole e le frasi, usate in modo descrittivo e narrativo, possono avere una funzione costruttiva del mondo. Descrivere e narrare non sono operazioni neutre: possono creare la realtà. Vale quando si comunicano “verità” sia scientifiche sia politiche. Vale per la scienza – la cultura- vale per la democrazia. Allora dovremmo porci qualche domanda sul modo in cui sono scritti alcuni decreti, ordinanze, circolari, sul significato di formule come “didattica a distanza, apprendimento a distanza, arredi innovativi o sedute didattiche” che “scientificamente” non hanno senso.  La democrazia non è omologazione: è contrapposizione prima e mediazione, poi. 

Mediazione che si fonda sulle parole: più parole si posseggono, più possibilità di mediazione ci sono. Bisognerà che le giovani generazioni comprendano che democrazia non è solo regola di maggioranza; che in democrazia c’è chi vota, il popolo sovrano, e c’è chi decide, i suoi rappresentanti- i mediatori di cui ho detto più sopra-. Centrale, nella sfera politica e nella società civile, rimane il dibattito pubblico finalizzato anche a comprendere come si dovrebbe controllare chi ci governa e che fa riferimento all’intelligenza collettiva, in tutte le dimensioni del vivere e del sapere.  Le ipotesi scientifiche hanno a che fare con evidenze che le supportano in modo logico, possono essere valutate da scienziati e non da incompetenti. Se la scuola riuscisse a farlo comprendere, certi dibattiti televisivi o certe notizie in rete lascerebbero il tempo che trovano: tutti avrebbero gli strumenti per distinguere un parere fondato da un’opinione generica e/o da un’opinione interessata.  E questa sarebbe educazione civica, al di là dei contenuti di conoscenza. Riflettere sugli aspetti descrittivi e normativi della scienza e della democrazia, sui valori che le fondano- il pluralismo, il consenso, l’oggettività, la tolleranza, il rispetto dei fatti, l’apertura alla critica e al dissenso, contrapposti al dogmatismo e al conformismo,- possono costituire per i docenti piste di lavoro su cui convergere per individuare il contributo che ogni disciplina deve apportare, al di là dei contenuti.  In altro modo non vedo come potrebbero poi essere individuati gli elementi sui quali costruire i criteri per la valutazione da esprimere con un unico voto. Ma di questo parlerò in un’altra occasione.

4. Conclusioni.

Mi auguro che si riesca veramente a finalizzare l’insegnamento/apprendimento di Educazione Civica e Costituzione allo sviluppo delle competenze di cittadinanza; se ci si fermasse a una interpretazione degli aspetti sociali, relazionali o tecnici ne andrebbe perduta la potenziale valenza cognitiva e culturale. Da un lato occorrerà puntare a un percorso fondato su valori condivisi, su atteggiamenti collaborativi di convivenza civile e di legalità, dall’altra su competenze culturali forti di saperi disciplinari e di abilità trasversali che consentano a ciascuno di comprendere, selezionare, organizzare le informazioni per risolvere i problemi e progettare la propria vita facendo responsabilmente le proprie scelte.

BIBIOGRAFIA

M. Dorato, Disinformazione scientifica e democrazia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019;

Platone, Fedone- in Tutti gli scritti, G. Reale, Rusconi Ed: Milano 1994;

P. Watzlawick, La realtà della realtà. Comunicazione, disinformazione, confusione, Astrolabio Roma 1976; 

C. Sini, L’alfabeto e l’occidente, Jaca Book, Milano; L. 92/2919 e Linee Guida giugno 2020

Piano per la formazione dei docenti, 16 luglio 2020

Competenze chiave 2018.

ISTANZE ONLINE IN TILT

ISTANZE ONLINE IN TILT TRA GPS E MOBILITÀ ANNUALE, URGE PROROGA  

“Piattaforma telematica in tilt, numero verde collassato, errori a iosa e nervi a fior di pelle: l’informatizzazione delle graduatorie provinciali per le supplenze si sta rivelando un flop sulla pelle, ancora una volta, dei docenti precari”. Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, denuncia il malfunzionamento di Istanze Online, da ieri pomeriggio preso d’assalto dagli aspiranti supplenti che tentano di accedere al sistema informatico per presentare la domanda di inserimento nelle Gps.

“La piattaforma sta implodendo a causa del sovraccarico di utenti perché, oltre alle operazioni relative alle graduatorie provinciali, – ricorda Di Meglio – su Istanze Online è in corso anche la presentazione delle istanze per le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie il cui termine scadrà domani”.

“La situazione è insostenibile e, pur lavorando incessantemente, le nostre sedi sindacali non riescono a soddisfare tutte le richieste di assistenza. Chiediamo, perciò, un incontro urgente al ministero dell’Istruzione e una proroga della scadenza fissata per domani”, conclude il coordinatore nazionale della Gilda

Ordinanza Ministeriale 23 luglio 2020, AOOGABMI 69

Calendario scolastico nazionale a.s. 2020-2021

Nuovo allarme presidi, difficile didattica in presenza a superiori

da Il Sole 24 Ore

di Redazione scuola

Negli edifici che ospitano i bambini e i ragazzi delle scuole elementari e medie ci sono più spazi e sarà più facile il rientro a settembre in aula; più difficile la situazione alle superiori, spesso collocate, nelle grandi città, in edifici storici, con spazi ristretti in cui è difficile mantenere la distanza.

L’allarme
A illustrare la situazione è Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi di Roma e Lazio. «Il problema – spiega – si gioca sugli spazi che saranno recuperati. La situazione è diversa da territorio a territorio: le scuole superiori sono gestite dalle province e dalle città metropolitane. In alcune città, come a Roma, il problema è più forte per il minor attivismo della città metropolitana; in altre, come a Torino, le cose vanno più spedite».

Per Rusconi comunque l’arrivo dei banchi monoposto “supergalattici”, come li definisce, permette di avere il distanziamento assicurato e quindi più alunni in aula. «I problema non è scaglionare l’ingresso degli studenti ma quante scuole riusciranno a tenere tutti gli alunni in classe; le aule in Italia sono affollate, il Coronavirus lo ha messo sotto gli occhi di tutti», ha concluso Rusconi.

Scuola, da settembre «controllori anti-Covid» a tutti gli ingressi

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

Ingressi scaglionati, divieto di assembramenti, orari differenziati in base alle classi: a scuola, quest’anno, serviranno i controllori. E potrebbe pure scattare qualche forma di «multa» per chi viola le regole. Ne sono convinti i presidi, che tra le richieste inviate al ministero dell’Istruzione, nei giorni scorsi, oltre ai banchi, hanno specificato la necessità di un numero maggiore di collaboratori scolastici, che dovrebbero essere adibiti non solo a garantire la pulizia in un orario più ampio ma anche a verificare che le norme anti-Covid siano rispettate, in entrata e in uscita, e che nessuno pensi di poter ricominciare la solita routine, più o meno caotica, degli scorsi anni. «In passato avevamo i nonni-volontari- ricorda Marzia Calvano, dirigente dell’istituto comprensivo Sassuolo 4° ovest- Quest’anno non possiamo ricorrervi, per ovvi motivi: gli anziani sono più suscettibili al virus. Stiamo parlando con gli enti locali per capire come muoverci». Il punto è che, dovendo mantenere un orario scolastico completo, «ingresso posticipato implica uscita posticipata, quindi turnazioni, sguarnendo una parte della mattina, oppure un numero maggiore di bidelli», riflette Matteo Loria, preside dell’istituto superiore Samuel Roncalli di Vigevano (Pavia). «Nel monitoraggio che è stato fatto dall’Usr abbiamo segnalato la necessità, vediamo…». Alcuni dirigenti stanno anche pensando di inserire il rispetto delle regole anti-Covid nel patto di corresponsabilità educativa, per coinvolgere a pieno le famiglie e non dover ricorrere a «vigili» della scuola. Ma è evidente che si tratta di documenti che hanno un valore più simbolico che pratico, e che per poter regolamentare, soprattutto in caso di bambini piccoli, serve una presenza fisica. Conferma Ludovico Arte, istituto Leonardo da Vinci di Firenze: «Tutti abbiamo chiesto qualche insegnante e qualche unità di personale Ata in più, ci farebbe comodo: se ci arriva, siamo tutti più contenti». All’ingresso «servirebbe qualcuno in più per controllare, per sorveglianza e vigilanza: gli ingressi scaglionati necessitano di personale in più, questo è un aspetto corretto del problema», sottolinea Cristina Costarelli, liceo Newton di Roma. C’è chi, in attesa dell’eventuale personale in più, si è già organizzato: «Almeno per i primi mesi, per l’ingresso avremo l’appoggio degli alpini, delle Pro Loco e di alcune associazioni locali, mentre l’uscita si riesce a gestire- spiega Alfonso D’Ambrosio, preside dell’istituto comprensivo Lozzo Atestino di Vo’Euganeo- Noi grossi problemi non ne abbiamo perché abbiamo nove plessi, e in ognuno anche due/tre ingressi, quindi un centinaio di bambini solo che entrano dallo stesso punto, e che scaglioneremo di 5/10 minuti. Ma ho chiesto 4 collaboratori in più proprio per il supporto nell’entrata e nell’uscita . Il ministero assicura che ce li darà, ma non ho letto ancora un decreto con numeri certi, quindi aspettiamo». Pure Angelo Canio D’Alessio, preside dell’istituto comprensivo Ronchi di Cellamare (Bari), aspetta «fiducioso» personale in più per organizzare gli ingressi.

«La parola chiave della riapertura delle scuole è bidelli, ovvero collaboratori scolastici», sottolinea Andrea Di Mario, preside del Carducci di Milano. «Ho tre ingressi, devo avere almeno tre bidelli. Ne servono di più, considerata tutta una serie di casistiche: non tutti possono svolgere le stesse mansioni. Il piano scuola dice di allungare di un giorno le lezioni per dislocare, quando in realtà se si parla di bidelli bisognerebbe fare il contrario. I collaboratori scolastici lavorano sei giorni al giorno, nelle scuole di sei giorni a settimana, in quelle di 5 giorni sette ore e 16. Quindi per averli tutti contemporaneamente o fare dei turni sarebbe addirittura meglio che una scuola che fa sei giorni ne facesse cinque per poter contare sui collaboratori».Ma quanti collaboratori servono?Secondo i sindacati, partiamo da una situazione già svantaggiata: denunciano 21 mila posti Ata mancanti e chiedono al ministero «di mettere a disposizione delle scuole un organico aggiuntivo sia per il personale docente che ATA da utilizzare per: eventuale sdoppiamento o articolazione delle classi, laddove necessario; incrementare la didattica in termini di potenziamento orario; sostenere il lavoro laboratoriale (Assistenti tecnici in ogni scuola di base), la didattica, la sorveglianza e assistenza degli alunni, intensificare le pulizie con più collaboratori scolastici».Rino Di Meglio (Gilda), sottolinea: «Le linee guida non ci hanno spiegato come i ragazzi dovranno andare in bagno, come si fa quando arrivano a scuola, come si trova una soluzione in una scuola di due mila alunni per scaglionare gli ingressi». E Marcello Pacifico, Anief, spiega: «L’organico Ata è ridotto al minimo , servono rinforzi, abbiamo molte scuole con un solo collaboratore scolastico in servizio, che oltre alla pulizia dei locali è anche addetto alla sorveglianza, alla sicurezza ed alla assistenza dei minori nell’utilizzo degli spazi e dei servizi igienici».

Rientro a scuola: «I doppi turni sono inevitabili. Ragazzi in classe dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18»

da Corriere della sera

Giuseppe Alberto Falci

«Il periodo che stiamo attraversando non è facile», ammette Giuseppina Princi, dirigente scolastico del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Reggio Calabria, istituto che negli ultimi anni si è distinto per avere attivato corsi ad hoc a curvatura biomedica utili agli studenti che devono preparare i testi di ingresso per medica. Ma oggi il dilemma dei dilemma della Princi resta uno soltanto: l’inizio dell’anno scolastico. Ecco, preside, è pronto il sistema scuola per la ripartenza?

«Occorre lavorare nei mesi estivi, ma è necessario tenere conto del fatto che molte situazioni non dipendono direttamente dai dirigenti scolastici. Ad esempio, gli adeguamenti strutturali sono di competenza degli enti locali ed è proprio questo uno dei nodi più difficili da sciogliere nel breve tempo a disposizione».

Ricomincerà l’anno scolastico a settembre o c’è il rischio che venga tutto rinviato?

«I messaggi continuano ad essere contraddittori. È in atto una discussione tra ministero e sindacati relativa all’ampliamento degli organici che rischia di disorientare il mondo della scuola. Ma a settembre sarà assolutamente necessario garantire la scuola in presenza e lavorare senza sosta per superare le difficoltà».

La didattica a distanza non ha funzionato?

«L’esperienza della didattica a distanza, sebbene nell’ Istituto da me diretto abbia avuto una ricaduta positiva, perché siamo riusciti a mantenere la continuità didattica ed a raggiungere tutti i ragazzi, non può di certo sostituire il rapporto umano e garantire un’adeguata assimilazione dei contenuti. Inoltre, la DaD presenta criticità di carattere normativo, perché non sono state ancora definite regole precise relativamente alle assenze degli studenti ed all’orario di servizio dei docenti. Pertanto ogni scuola sta cercando di trovare le soluzioni ottimali per la ripartenza».

Quali sono le difficoltà ancora da superare?

«Nel mio Istituto, dopo che abbiamo esaminato le planimetrie e fatto un sopralluogo con il consulente per la sicurezza, si evince che per garantire il distanziamento tra le rime buccali ogni aula non può accogliere oltre i 17/20 studenti in media. Il liceo è ospitato in un edificio del centro storico e non è possibile creare ex novo ampi spazi, o svolgere lezioni all’aperto. L’Ente locale non ha locali disponibili da adattare ad aule scolastiche. Saranno effettuati soltanto piccoli adeguamenti edilizi, quali l’abbattimento di pareti non portanti per ampliare le aule più piccole ed il completamento dei lavori di restituzione dei seminterrati. ma noi abbiamo classi con una media di 27 alunni, potremo organizzare in presenza solo il 50-60 per cento delle classi.Sarà pertanto predisposta una turnazione con riduzione oraria di 50 minuti. Le classi si alterneranno su due fasce orarie (8-12 e 14-18). Nell’intervallo tra i due turni è prevista l’igienizzazione dei locali».

Lei ha comprato i nuovi banchi?

«I nuovi banchi monoposto che saranno acquistati dal commissario Arcuri per le scuole hanno dimensioni di poco inferiori a quelli già utilizzati e non risolvono di molto il problema degli spazi. Il distanziamento statico non preserva gli studenti, laddove la vigilanza non può essere garantita. Penso ai cambi d’ora o a situazioni di assenza dei docenti. E penso quanto sia difficile che gli studenti per quanto adeguatamente sensibilizzati e responsabilizzati continuino a rimanere fermi nelle loro postazioni. Insomma, meglio l’arredo tradizionale».

Qual è La sua pagella sulla ministra Azzolina?

«Non spetta certo a me valutare l’operato della Ministra Azzolina, ma è noto che nel corso delle ultime settimane si sono susseguiti messaggi in parte contraddittori e sono stati rilevati ritardi nei provvedimenti adottati. Se le Linee Guida fossero state pubblicate per tempo, ad esempio, sarebbe iniziata prima l’interlocuzione con gli enti locali per gli adeguamenti edilizi e sarebbe stato predisposto in tempo utile l’organico a disposizione, sia per quanto riguarda i docenti che il personale Ata. Tuttavia, è doveroso riconoscere che la situazione emergenziale ha trovato impreparati tutti i dicasteri e che la Ministra Azzolina ha lavorato intensamente e ha cercato in ogni modo di reperire le risorse per far fronte alle difficoltà».

Scuola, come cambiano gli orari: a rischio il tempo pieno alle elementari, ingressi scaglionati alle superiori

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

Orari di ingresso scaglionati, moduli orari ridotti, presenze al pomeriggio o al sabato. Dopo la polemica sui banchi, che saranno acquistati entro il prossimo mese dal commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, c’è un altro rebus da risolvere per il rientro a scuola. È quello degli orari, che secondo le linee guida andranno rimodulati per evitare gli assembramenti degli studenti e dei loro familiari. Un’ipotesi è stata formulata dai sindacati della scuola, che venerdì scorso- nel chiedere certezze per la ripresa- hanno pubblicato un documento che mette a confronto gli attuali orari del tempo scuola con quelli che dovrebbero essere applicati per le nuove misure di sicurezza.

Partiamo dalla scuola dell’infanzia. Attualmente il tempo scuola è di 40 ore settimanali (cinque giorni per otto ore giornaliere), con due docenti per ogni sezione, e 25 ore di presenza per ogni docente, che condivide in compresenza con l’altro docente 10 ore. Cosa suggeriscono le linee guida? Moduli orari da 40 minuti (da attivare preferibilmente con 2 sezioni), con 37,5 moduli ogni docente (25 ore). Già ora l’ingresso dei bambini avviene in una fascia temporale «aperta», che spesso raggiunge i 90 minuti: dalle 7,30 alle 9,00. Questa fascia potrà essere adeguata alle nuove condizioni, programmata e concordata con i genitori. Lo stesso vale per le fasce di uscita.

La scuola primaria è probabilmente quella che rischia di più. Il tempo scuola dipende: può essere da 24 – 30 – 40 ore (su cinque giorni settimanali). Il modello tempo pieno è di 40 ore, ovvero con il pranzo a scuola, due docenti per classe, 22 ore a docente e una compresenza di 4 ore. Cosa suggeriscono le linee guida? Moduli orari da 40 minuti (da attivare su un corso intero), 33 moduli per ogni docente. Ma ci sono molte scuole, soprattutto a Milano, avvertono i sindacati, che non avendo abbastanza docenti non riusciranno ad attivare il tempo pieno, con gravi difficoltà per le famiglie. E per l’ingresso? Molti dirigenti stanno pensando di scaglionare l’ingresso in base alle classi: ad esempio, tutte le prime potrebbero entrare alle 8.10, le seconde alle 8.15, le terze alle 8.20, le quarte alle 8.25, le quinte alle 8.30.

Nelle scuole medie, il tempo scuola è di 30 ore (ordinario) – 32 ore (Indirizzo musicale) – 36 ore (prolungato), spalmate su 5 o 6 giorni settimanali. L’orario docente è di 18 ore. Cosa suggeriscono le linee guida? Moduli orari da 45 minuti (6 x 5 giorni o 5×6 giorni), con 24 moduli per ogni docente. Per ogni classe residuano 10 moduli da 45 minuti da utilizzare per attività trasversali.Nella scuola secondaria di secondo grado il tempo scuola è sempre di 30 ore, e l’orario docente di 18 ore. In questo caso, secondo le linee guida, l’organizzazione e l’orario dovranno variare, nei diversi indirizzi, in base alla presenza degli ITP o dei docenti di potenziamento. Un esempio? 42 moduli di 40 minuti + 12 pause di 10 minuti (su 6 giorni): in questo modo ci sarebbero 24 moduli per ogni docente. Le classi dovrebbero essere divise su due gruppi e le entrate scaglionate. La modulazione dell’orario sarà comunque lasciata ai collegi dei docenti delle singole scuole, e molto dipenderà dal tipo di istituto, dalla zona, dalla disponibilità di trasporti. Le classi che ritarderanno l’ingresso ritarderanno anche l’uscita che potrebbe non essere prima delle 15 o, eccezionalmente anche delle 16. Infatti non cambierà il numero delle ore curriculari: cambierà la loro distribuzione durante la giornata e durante la settimana, con la possibilità di ricorrere ancora alle lezioni a distanza. Nelle scuole in cui gli spazi non sono sufficienti, è possibile che l’orario venga «allungato» su sei giorni, prevedendo la presenza anche il sabato.

Scostamento di bilancio, oggi ok in Cdm: 1,3 mld per la scuola. Verso proroga stato emergenza

da Orizzontescuola

di redazione

Stasera in Consiglio dei ministri “ci sarà l’ok al nuovo scostamento di bilancio”. Lo conferma il Presidente Giuseppe Conte uscendo dal Senato. Per la scuola ci saranno ulteriori 1,3 miliardi. Si dovrebbe esaminare anche la proroga dello stato di emergenza.

Il governo è intervenuto per contrastare la crisi provocata dal coronavirus con una mole di risorse senza precedenti: 180 miliardi di euro di saldo netto da finanziare e 75 miliardi di indebitamento netto, a cui si aggiungeranno le risorse dell’ulteriore scostamento che il governo tra poco approverà”, ha affermato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, durante il question time alla Camera.

Siamo alle porte di un Cdm di questa sera che prevederà l’autorizzazione al Parlamento per un altro scostamento di 20 miliardi ma ci sarà una capodelegazione dove ne parleremo e metteremo a punto ancora le cifre“: è quanto affermato dalla viceministra all’Economia Laura Castelli a Sky tg 24.

1,3 miliardi per la scuola

Con gli ulteriori 1,3 miliardi di euro che arriveranno dallo scostamento di bilancio ci permetteranno di dare risposte concrete, soprattutto sulla questione degli organici. In vista della ripresa dell’anno scolastico, a settembre, saranno dunque disponibili 2,9 miliardi di euro”, ha spiegato la ministra Azzolina, dopo il tavolo regionale nelle Marche.

Verso proroga stato emergenza

Stasera il Cdm dovrebbe esaminare inoltre l’eventuale proroga dello stato d’emergenza dovuta dal Covid 19. Stato di emergenza, si ricorda, non significa nuovo lockdown. L’attuale stato di emergenza scade il 31 luglio ed era stato deliberato il 31 gennaio scorso.

Nella nota ministeriale 622 del 1 maggio 2020 si legge che “L’articolo 87 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito dalla legge 29 aprile 2020, n. 27, ha disposto che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid 19 (31 luglio 2020), ovvero fino a una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il lavoro agile costituisca modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni”. La proroga dello stato di emergenza fino al 31 ottobre o al 31 dicembre potrebbe quindi anche prorogare il lavoro agile per il personale ATA, ovvero quanto indicato nella nota del 1 maggio.

Dirigenti scolastici, immissioni in ruolo al via

da La Tecnica della Scuola

Con la pubblicazione da parte dell’USR Campania dell’avviso con il quale si invitano i vincitori del concorso ordinario di cui al DDG del 2011 a produrre le istanze per il conferimento dell’incarico con decorrenza 01.09.2020 si potrebbe dire che si sono avviate le procedure per le immissioni in ruolo dei nuovi DS i cui vincitori del concorso attendono a buon diritto di essere assegnati e subito alla regione e sede per l’a.s. 20/21.
Per quanto riguarda l’avviso in questione si tratta dei posti riservati ai vincitori del concorso 2011 in Campania e a seguire toccherà a quelli dell’ultimo concorso del 2017. La procedura del D.D.G. n. 1259 del 23/11/2017 ha avuto carattere nazionale e prevede l’indicazione dell’ordine di preferenza della regione a cui essere assegnati da parte dei dirigenti che verranno assunti a partire dal primo settembre 2020.
Il MI ha il compito di elaborare i dati inviati dai vari uffici scolastici regionali relativamente ai posti disponibili che una volta autorizzati dal MEF saranno dati per l’immissione in ruolo. Il quadro è di fatto definito, i vari USR attenendosi ai propri CIR hanno occupato i posti destinati alla mobilità interregionale, tenendo conto nel caso di assegnazione delle sedi dei benefici di legge, per cui nessun movimento è tecnicamente più possibile e restano dunque solo le immissioni in ruolo da fare.
Anche un provvedimento cautelare alla data di oggi non avrebbe più tempo per produrre effetti sul numero comunicato e quindi sulla procedura avviata, restando eventualmente e successivamente da gestire non più a livello centrale.
Vero è che invece esiste una reale possibilità, come avevano accennato in un articolo precedente, che molti posti rimasti accantonati per provvedimenti cautelari possano rendersi disponibili per le immissioni. Infatti, non si può escludere che a seguito dell’avvenuta mobilità interregionale attraverso la procedura amministrativa venga meno l’interesse del DS e il posto rimasto accantonato in attesa della sentenza di merito non abbia più alcun senso congelarlo e quindi possa restare libero per l’immissione in ruolo.
E potrebbe ancora “scongelarsi” nel caso del venire meno del diritto al beneficio di legge o dell’interesse del ricorrente per altri motivi. Si tratta di dati che meritano attenta analisi e che i vari uffici scolastici regionali dovranno in sinergia col ministero calcolare evitando così l’assegnazione di reggenze che, in periodo di emergenza covid-19, non sono certo auspicabili.

Rientro a scuola, come si potrà fare educazione fisica in sicurezza?

da La Tecnica della Scuola

Alla ripresa delle lezioni in presenza sarà necessario assicurare il pieno svolgimento delle attività di Educazione Fisica, nel rispetto ovviamente delle indicazioni di sicurezza del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile.

In proposito, il CTS ha indicato le modalità di ripresa delle attività motorie nel prossimo anno scolastico, precisando che “per lo svolgimento della ricreazione, delle attività motorie …, ove possibile e compatibilmente con le variabili strutturali, di sicurezza e metereologiche, privilegiare lo svolgimento all’aperto, valorizzando lo spazio esterno quale occasione alternativa di apprendimento. Per le attività di Educazione Fisica, qualora svolte al chiuso (es. palestre), dovrà essere garantita adeguata aerazione e un distanziamento interpersonale di almeno 2 metri (in analogia a quanto disciplinato nell’allegato 17 del DPCM 17 maggio 2020). Nelle prime fasi di riapertura delle scuole sono sconsigliati i giochi di squadra e gli sport di gruppo, mentre sono da privilegiare le attività fisiche sportive individuali che permettano il distanziamento fisico”.

In uno dei materiali dell’USR Emilia Romagna dedicato alla ripartenza, vengono forniti suggerimenti e proposte per l’Educazione Fisica.

I criteri indicati dal CTS

Anche per l’Educazione Fisica dovranno essere rispettati i tre criteri generali indicati dal CTS:
distanziamento, protezione, pulizia.

Per l’attività al chiuso, in palestra, il distanziamento potrebbe ottenersi per le attività individuali facendo “muovere” una parte della classe, mentre l’altra attende il proprio turno. Più adatta al contenimento del rischio è l’attività svolta all’aria aperta.

Rispetto al criterio della protezione è utile ricordare che, ove l’evoluzione del contagio ne imponesse l’obbligo, l’uso della mascherina – da non utilizzare durante l’attività motoria perché potrebbe impedire l’assunzione di una adeguata quantità di ossigeno – è da prevedersi per gli spostamenti e durante le fasi di attesa.

Altro punto centrale è la pulizia: spogliatoi e attrezzi, se non pure palestre, andrebbero puliti ad ogni cambio di “gruppo classe”. Per gli spogliatoi e soprattutto per gli allievi più giovani si suggerisce, poi, una attenta strutturazione dello spazio, posizionando sedie, oppure segnalando sulle panche quali sedute non occupare. Anche il cambio dell’abbigliamento deve evitare che si creino contatti, soprattutto tra le suole delle scarpe e gli abiti.

Occorrerà anche assicurare l’aerazione e il ricambio d’aria degli ambienti.

Uso condiviso delle palestre

Il “Piano Scuola 2020-2021”, emanato dal Ministro dell’Istruzione, precisa: “Resta ferma la competenza degli Enti locali nell’utilizzo delle palestre e degli altri locali afferenti alle istituzioni scolastiche di competenza, al termine dell’orario scolastico, operate le opportune rilevazioni orarie e nel rispetto delle indicazioni recate dal Documento tecnico del CTS, purché, all’interno degli accordi intercorrenti tra ente locale e associazioni concessionarie siano esplicitamente regolati gli obblighi di pulizia approfondita e igienizzazione, da condurre obbligatoriamente al termine delle attività medesime, non in carico al personale della scuola”.

In proposito, è opportuno che Ente locale, Società sportive e Dirigente scolastico stipulino un protocollo di disciplina riguardante modalità di utilizzo delle palestre da parte di terzi, tempi, operazioni di pulizia e di igienizzazione.

Responsabilizzare gli studenti

L’USR suggeriscedi invitare gli studenti ad un’assunzione di responsabilità: “se come ovvio la pulizia degli spazi è compito dei collaboratori scolastici, rilevante è pure il loro corretto utilizzo da parte degli alunni, nel quadro dell’educazione civica praticata in cui potrebbe rientrare anche la pulizia dei piccoli attrezzi, realizzata dagli alunni stessi prima di riporli o di passarli ad altri, tramite prodotti presenti in palestra. Allo stesso modo, nel caso di impianti sportivi in cui si pratica attività all’aperto, oltre all’imprescindibile igiene delle mani prima di utilizzare le attrezzature presenti, potrebbe essere richiesto agli alunni di occuparsi della sanificazione di strutture di servizio come pareti artificiali per l’arrampicata, macchine, ecc.”

Recupero degli apprendimenti anche per educazione fisica

L’Ordinanza Ministeriale 16 maggio 2020, n. 11, ha introdotto la necessità di valutare, in sede di Consiglio di Classe, l’attivazione di Piani di Apprendimento Individualizzato (riservati agli alunni con insufficienze) e di Piani di Integrazione degli Apprendimenti (per attività didattiche che non sia stato possibile svolgere).

Gli apprendimenti “mancati” di Educazione Fisica nell’anno scolastico 2019/20, precisa l’USR, andranno dunque recuperati nella parte iniziale dell’anno scolastico 2020/21.

Banchi monoposto, Azzolina: non avranno necessariamente le ruote e non costeranno 300 euro

da La Tecnica della Scuola

I banchi singoli necessari al distanziamento richiesto dalle linee guida del Cts del ministero della Salute non devono essere necessariamente con le “ruote”. Nessuno lo ha mai detto. Ricordiamo però che alcuni di questi banchi sono utilizzati nelle scuole più innovative d’Italia. I banchi poi hanno caratteristiche diverse in relazione all’età degli studenti. Sono arredi che resteranno alle scuole e che permetteranno un giorno agli studenti di lavorare in gruppo e di avere forme di innovazione della didattica“.

A dirlo è la Ministra Azzolina, con un post pubblicato su Facebook, con il quale risponde a quelle che definisce fake news sulla scuola del leader della Lega, Matteo Salvini.

I banchi non costeranno 300 euro

La Ministra ha anche aggiunto che “nessuno ha detto che i banchi costeranno €300. Sfido chiunque a trovare una mia dichiarazione in cui dico che compreremo banchi da €300. Eppure trovo sui giornali e in rete frasi virgolettate che mi attribuiscono questa affermazione. C’è una gara europea in corso che serve ad abbattere i costi. Inoltre, come detto, esistono più tipologie di banco“.

Banchi, organici ed edilizia scolastica: le soluzioni per settembre

I banchi non sono LA soluzione unica che abbiamo proposto per riaprire in presenza e sicurezza. – ha continuato la Azzolina – I nuovi arredi sono solo uno dei tanti elementi che abbiamo messo in campo.

Noi abbiamo investito sull’organico del personale scolastico, abbiamo investito sull’edilizia scolastica e sulla ricerca di nuovi spazi, investiamo anche sugli arredi scolastici”.

Ulteriori 300 milioni per la scuola

E ha concluso: “Ho dato oggi la notizia dell’impegno del governo di stanziare altri 300 milioni di euro. Con questi arriviamo a circa 3 miliardi solo per settembre e a 6 miliardi di risorse messe a disposizione della scuola da inizio anno. Basta fake news. Salvini sfrutta le paure degli italiani senza mai avanzare una proposta”.

Internet veloce nelle scuole, Pisano: gara entro settembre, fornitura gratis per 5 anni

da La Tecnica della Scuola

La connessione internet in fibra ottica arriverà “alla quasi totalità dei plessi scolastici: la fornitura non avrà nessun costo per le scuole, sarà gratuita per cinque anni. E la procedura di gara si prevede sarà avviata entro settembre da parte di Infratel in modo da poter servire le prime scuole entro la fine dell’anno“.

A dirlo è, come riporta ANSA, la Ministra dell’Innovazione, Paola Pisano, in audizione in commissione Istruzione al Senato.

Gli esponenti del Movimento 5 Stelle, hanno accolto favorevolmente le parole della Ministra, che hanno così commentato: “Secondo i piani descritti in questo modo già entro il 2020 le prime scuole saranno dotate della connessione internet veloce, ma l’obiettivo è raggiungere la quasi totalità degli istituti il prima possibile. Il tutto senza costi per le scuole e con la garanzia della totale gratuità per i primi 5 anni. La connettività è un pilastro della politica del Movimento 5 Stelle, dando priorità alla digitalizzazione degli istituti scolastici diamo concretezza immediata a questo nostro principio e una risposta importantissima alle esigenze dell’intera comunità scolastica“.

Libri e device per gli studenti meno abbienti, scadenza 23 luglio per il PON Supporti didattici

da La Tecnica della Scuola

Sono 236 i milioni di euro per garantire il diritto allo studio di studentesse e studenti delle scuole secondarie di I e II grado in condizioni di svantaggio e alleggerire così la spesa delle famiglie in vista del prossimo anno scolastico. Per ottenere questi finanziamenti le scuole possono partecipare al PON Supporti didattici, in scadenza domani, 23 luglio 2020, alle ore 15.

L’avviso è dunque finalizzato a consentire alle istituzioni scolastiche di acquistare supporti, libri e kit didattici anche da concedere in comodato d’uso.

Le istituzioni scolastiche possono individuare studentesse e studenti in difficoltà cui assegnare libri di testo e altri sussidi didattici acquistati grazie alle risorse messe a disposizione dall’avviso fra quelli che non godono di analoghe forme di sostegno e le cui famiglie possano documentare situazioni di disagio economico anche a causa degli effetti connessi alla diffusione del COVID-19.

Tutte le indicazioni sono contenute nell’Avviso 19146 del 6 luglio 2020.

A supporto delle scuole il Ministero ha messo a disposizione i seguenti documenti:

Gli italiani tra i meno istruiti d’Europa, si salvano i giovani e le donne: male il Sud e record di Neet

da La Tecnica della Scuola

Gli Italiani risultano tra fra gli ultimi in Europa per livello di istruzione: il 62,2% delle persone tra i 25 e i 64 anni in Italia ha almeno il diploma, nell’Ue a 28 il 78,7%, dato che in alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione sale ancora; 86,6% in Germania, 80,4% in Francia e 81,1% nel Regno Unito. Solo Spagna, Malta e Portogallo hanno valori inferiori all’Italia. Il desolante quadro emerge dal Report dell’Istat sui livelli di istruzione pubblicato il 22 luglio.

La crescita dei laureati è più lenta

Non meno ampio è il divario rispetto alla quota di popolazione di 25-64enni con un titolo di studio terziario: in Italia, si tratta del 19,6%, contro un valore medio europeo pari a un terzo (33,2%). Anche la crescita della popolazione laureata è più lenta rispetto agli altri paesi dell’Unione, con un incremento di soli +0,3 punti nell’ultimo anno (+0,9 punti in media Ue) e di +2,7 punti nell’ultimo quinquennio (+3,9 punti).

Più Neet di tutti

Sempre dal Report dell’Istat risulta che nel 2019, in Italia, l’incidenza dei giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione cala di 1,2 punti rispetto al 2018 e raggiunge il 22,2%: si tratta di 2 milioni di giovani.

La quota di ‘neet’ si conferma la più elevata tra i Paesi dell’Unione, di circa 10 punti superiore al valore medio Ue28 (12,5%) e decisamente distante dai valori degli altri grandi Paesi europei.

L’incidenza dei neet è maggiore tra i giovani con un titolo secondario superiore (23,4%), leggermente più bassa tra chi ha raggiunto al massimo un titolo secondario inferiore (21,6%) ed è minima tra coloro che possiedono un titolo terziario (19,5%). In Europa invece l’incidenza è massima tra coloro che possiedono un basso livello di istruzione (14,8%), confermandosi minima tra i laureati (9,0%).

Donne più colte

Tra i maggiori paesi europei, Italia e Spagna hanno in comune un livello di istruzione femminile sensibilmente maggiore di quello maschile. Nel nostro Paese, infatti, nel 2019 le donne con almeno il diploma sono quasi i due terzi del totale (il 64,5%), quota di circa 5 punti percentuali superiore a quella degli uomini (il 59,8%); una differenza che nella media Ue è di appena un punto percentuale.

Le donne laureate sono il 22,4% contro il 16,8% degli uomini; vantaggio femminile ancora una volta più marcato rispetto alla media Ue.

Il risultato deriva anche da una crescita dei livelli di istruzione femminili più veloce rispetto a quella dei maschi: in cinque anni la quota di donne almeno diplomate e di quelle laureate è aumentata, in entrambi i casi, di 3,5 punti (+2,2 punti e +1,9 punti i rispettivi incrementi tra gli uomini).

Giovani più istruiti

I giovani in Italia sono più istruiti del resto della popolazione: nel 2019, oltre i tre quarti (76,2%) dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore, a fronte di appena la metà (50,3%) dei 55-64enni, del 57,7% dei 45-54enni e del 68,3% dei 35-44enni. Lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa nei livelli di istruzione della popolazione, pur riducendosi nelle classi di età più giovani, resta comunque marcato. La strategia Europa2020 aveva tra i target per l’istruzione l’innalzamento della quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario, considerato un obiettivo fondamentale per una “società della conoscenza”.

Se però si confronto la quota di giovani laureati, l’Italia resta dunque al penultimo posto nell’Ue, in posizione davvero isolata, seconda solo alla Romania. La bassa quota di giovani con un titolo terziario risente anche della molto limitata disponibilità di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, in Italia erogati dagli Istituti Tecnici Superiori.

Nonostante questi corsi siano diffusi solo in alcuni Paesi europei, in Spagna e in Francia danno origine a circa un terzo dei titoli terziari conseguiti.

Il divario con la media europea è ancora più marcato se si considerano i giovani stranieri: nel 2019, in Italia, solo il 12,8% dei 30-34enni stranieri ha un titolo terziario, a fronte del 38,7% nell’Ue (34,3% in Germania, 31,3% in Spagna, 42,8% in Francia e 55,7% nel Regno Unito).

Al Sud istruzione scarsa eppure “premia”

L’Istat ha anche evidenziato che la popolazione residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella nel Centro-nord: poco più della metà degli adulti ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore e nemmeno uno su sei ha raggiunto un titolo terziario (al Centro oltre i due terzi è almeno diplomato e quasi uno su quattro ha conseguito la laurea).

Le differenze territoriali nei livelli di istruzione permangono, indipendentemente dal genere. Nel Mezzogiorno, i vantaggi occupazionali dell’istruzione sono maggiori rispetto al Centro-nord; in particolare le donne residenti nel Mezzogiorno che raggiungono un titolo terziario aumentano considerevolmente la loro partecipazione al mercato del lavoro e riducono il divario con gli uomini e con le donne del Centro-nord.

Ciononostante, i tassi di occupazione nel Mezzogiorno restano molto più bassi che nel resto del Paese e quelli di disoccupazione molto più alti, anche tra chi ha un titolo di studio elevato.

Stranieri poco istruiti e occupati

Secondo i dati Istat, lo scorso anno solo il 47,3% degli stranieri ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore (o un titolo equivalente) e appena il 12,0% un titolo terziario; tra i cittadini italiani le quote salgono al 64% e al 20,6% rispettivamente.

Il gap di cittadinanza è ampio anche nella media Ue, seppur con sostanziali differenze tra i Paesi. Tuttavia, mentre nell’Ue e nei principali Paesi dell’Unione il livello di istruzione degli stranieri nel corso del tempo ha registrato importanti aumenti, in Italia la quota di stranieri con almeno il titolo secondario superiore si è molto ridotta (dal 2008, -6,3 punti contro i +4,7 punti nella media Ue) e quella di chi ha un titolo terziario è rimasta invariata (dal 2008: -0,5 punti; +8,9 punti nella media Ue).

Nel 2008, il tasso di occupazione degli stranieri residenti in Italia era più elevato di quello medio Ue, per tutti i livelli di istruzione; l’impatto della crisi economica sull’occupazione straniera, però, è stato più forte che nel resto d’Europa, in particolare per i titoli di studio medio-alti, e anche la ripresa successiva è stata più flebile.

Di conseguenza, nel 2019, il tasso di occupazione degli stranieri con titolo di studio medio-alto è risultato significativamente inferiore a quello medio europeo.