La scuola oggi riparte

La scuola oggi riparte, ma è importante non spegnere i riflettori sui suoi problemi

“Pur nell’estrema varietà delle situazioni delle nostre 8.094 scuole, la scuola oggi riparte. C’è chi è in affanno e chi è pronto, chi ha già la mensa allestita per partire e chi invece dovrà aspettare, chi attende i banchi monoposto e chi ha dovuto usare la fantasia per riorganizzare, ma ogni scuola è tesa alla ripartenza. E tutto questo ci racconta del grande senso di responsabilità e dell’impegno straordinario dei dirigenti scolastici, degli insegnanti, dei collaboratori scolastici, delle famiglie e naturalmente degli studenti, che hanno fatto davvero ogni sforzo per riuscire a riaprire in presenza”. Così Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL, intervenendo oggi all’Assemblea generale della Cgil.

“Come FLC CGIL – aggiunge il dirigente sindacale – sentiamo di dover ringraziare la comunità educante se, in tempi così faticosi e pieni di paure, si dà avvio ad un anno scolastico seppur pieno di insidie e problemi ancora non risolti. La scuola riparte perché ha una forza intrinseca straordinaria, la consolidata capacità di resilienza di oltre 1 milione di donne e uomini che la amano, che per essa hanno passione e rispetto, e per essa lottano ogni giorno, contro ogni difficoltà. È stato così nei mesi del lockdown, quando la chiusura ha imposto lezioni a distanza e ha fatto smarrire relazioni umane decisive. La scuola si è risollevata e ha risposto come poteva, con le poche armi che aveva”.

“Già ad aprile avevamo indicato la strada per riaprire in presenza e in sicurezza – sottolinea Sinopoli- investimenti in personale, in edilizia scolastica, procedure straordinarie per coprire quanto più possibile i posti liberi di docenti e Ata. Come era nostro compito, abbiamo denunciato la vistosa perdita di tempo prezioso, l’incapacità di rispondere all’emergenza delle cattedre vuote con l’assunzione di personale in modalità semplificata. In tutti questi mesi abbiamo lavorato per risolvere problemi concreti come il Protocollo per lo svolgimento degli esami di maturità in presenza, il Protocollo del 6 agosto per la riapertura di settembre, la soluzione del problema dei lavoratori fragili. Più volte l’abbiamo ribadito: la pandemia cambierà l’Italia e la sua scuola, ma occorre una soggettività diversa, diversa da quella che ha parlato finora di riforme epocali ignorando il protagonismo di chi la scuola la fa. Invece abbiamo assistito ad un congelamento delle relazioni sindacali, fino alla disgustosa accusa di essere ‘sabotatori’”.

“Oggi, nel giorno in cui la scuola riparte facciamo in modo che non si spengano i riflettori su di essa – conclude Sinopoli – eliminazione della povertà educativa nel sud e nei territori deprivati, generalizzazione della scuola dell’infanzia, aumento del tempo scuola, fine delle classi pollaio, edilizia moderna, banda ultra larga per ogni scuola, collocazione di un assistente tecnico in ogni scuola del primo ciclo e di un collaboratore scolastico in più per ogni plesso del Paese, risoluzione del problema del precariato con un concorso ogni tre anni per tutte le figure professionali e il riconoscimento dei diritti acquisiti per chi ha lavorato per tre anni da supplente coerentemente con la normativa europea. Queste le basi del programma per una scuola che inveri l’articolo 3 della Costituzione e che sosterremo con le lotte a partire dalla giornata di mobilitazione di Priorità alla scuola del 26 settembreSenza scuola non ci sono diritti.

Scuole aperte ma mancano 150mila prof e 20mila Ata

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Il D-Day della scuola italiana è arrivato. In 13 Regioni su 21 – che si aggiungono all’Alto Adige partito il 7 – stamattina suonerà la prima campanella dell’anno scolastico 2020/21 e oltre 5 milioni di studenti torneranno in classe dopo 6 mesi di pausa. Altri 2,5 milioni li seguiranno da qui a 10 giorni, con il Friuli-Venezia Giulia che ripartirà il 16, la Sardegna il 22 e gran parte del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Puglia) il 24. Uno scaglionamento dovuto sia alla volontà di alcuni governatori di scavallare l’election day del 20 e 21, sia alle difficoltà di molti dirigenti scolastici ancora alle prese con edifici da sanificare, banchi da ricevere, aule esterne da affittare. Tant’è che alcuni sindaci (da La Spezia in Liguria a Rieti nel Lazio) hanno disposto lo slittamento della riapertura al 24 anche per le scuole delle loro città.

Su tutte le novità in chiave anti-contagio che gli alunni troveranno molto si è detto e scritto, anche sul Sole 24 Ore: dall’obbligo di misurare la febbre a casa perché con 37,5 gradi non si entra, alle mascherine chirurgiche a carico delle scuole, dal protocollo da applicare per i casi sospetti di Covid-19 (e relativa quarantena) al mix di didattica in presenza e a distanza utilizzabile alle superiori.

Per cui ora facciamo il punto su ciò che non ci sarà. A cominciare dai 150mila supplenti da nominare, i 20mila Ata da incaricare e i 2mila capi segreteria da reperire. Vuoti d’organico che complicheranno i primi giorni di lezione.

I vuoti da riempire

Calcolare quanti e quali docenti ancora mancano all’appello non è facile. Alle difficoltà classiche di ogni inizio d’anno si sommano quelle collegate alla massiccia (e per certi versi indispensabile) opera di digitalizzazione e sburocratizzazione del meccanismo tradizionale di organici/immissioni ruolo/ graduatorie per le supplenze voluta dalla ministra, Lucia Azzolina, che ha anche aggiunto uno step alla filiera tradizionale dell’assegnazione delle cattedre: la “call veloce” che ha portato circa 2.500 insegnanti precari a poter cambiare regione e avere un incarico a tempo indeterminato.

Nell’assenza di cifre ministeriali a fare i conti delle scoperture ci pensa la Cisl Scuola. Partendo dagli 862.623 posti in organico l’anno scorso e aggiungendo i circa 60mila docenti che arriveranno con gli 1,7 miliardi stanziati dal Governo (sui 7 miliardi complessivi mobilitati per la scuola da gennaio), si arriva a 922.623 posti totali . Di questi – secondo il sindacato – 207.220 (il 22,45%) sarebbero coperti da personale precario (di cui almeno 96.180 sul sostegno). Le stime sindacali si fermano qui ma se sottraiamo le 57mila supplenze che il ministero contava di assegnare tra ieri e l’altro ieri, ecco che arriviamo comunque a 150mila supplenti, moltissimi dei quali ancora da nominare (inclusi quelli per fare fronte all’emergenza sanitaria). E non è un caso che Maddalena Gissi, segretaria della Cisl Scuola sottolinei: «Avere tutto il personale in servizio fin dal primo giorno di scuola era una delle condizioni necessarie, la realtà purtroppo è ben diversa e i numeri ne danno una dimostrazione eloquente».

Gli altri vuoti da riempire

Un meccanismo simile, anche se con numeri più piccoli, riguarderebbe anche il personale tecnico-amministrativo. Prendendo sempre per buone le stime della Cisl Scuola, che quantifica in 25mila gli Ata che hanno già avuto o avranno a breve un contratto a termine, resterebbero comunque da nominare i circa 20mila collaboratori scolastici e bidelli deputati a gestire l’emergenza Covid-19. Con compiti cruciali, visto che vanno dall’igienizzazione dei locali alla sorveglianza degli ingressi.

E c’è poi il nodo dei capi-segreteria che non si trovano. All’appello ne mancano circa 2.200. Ad aiutarci con i numeri stavolta è Giorgio Germani, presidente dell’Associazione nazionale quadri delle amministrazioni pubbliche (Anquap). Al 1° settembre su 7.785 direttori dei servizi generali e amministrativi (Dsga) ne mancavano 3.378. Fatto sta che delle 1.985 assunzioni in ruolo autorizzate solo 1.127 sono andate a buon fine perché in 5 regioni il concorso non è mai finito. Risultato: «Siamo in grandissima difficoltà – spiega – e così va in sofferenza tutta la parte dei servizi amministrativi tanto più che alle incombenze annuali si aggiungono i compiti legati all’organico Covid». Visto che è il Dsga a conoscere il budget e – in genere – a calcolare quante unità di personale aggiuntivo il dirigente scolastico può chiedere l’emergenza. A dimostrazione del fatto che nelle scuole tutto si tiene. Come se ne esce? «Proseguiremo con i facenti funzione», commenta Germani che rilancia l’idea del concorso straordinario riservato di cui si è già parlato ai tempi del decreto Scuola. Senza successo.


Curriculum dello studente al via con 5 anni di ritardo

da Il Sole 24 Ore

di E.Bru e C.Tuc

Dopo cinque anni d’attesa, e ripensamenti in corsa, debutta ora, nel 2020-2021, il curriculum dello studente, il documento, previsto dalla Buona Scuola, da allegare al diploma di maturità, che racconta il percorso di studi svolto dal ragazzo e le competenze, formali e informali, acquisite, ai fini di un migliore orientamento, anche verso il mondo del lavoro.

Non solo quindi, mascherine, gel, banchi, supplentite; il suono della prima campanella, oggi, in gran parte d’Italia, vede il debutto anche di altre novità, non legate all’emergenza sanitaria. Un’altra, è l’educazione civica, le “famose” 33 ore “trasversali” su Costituzione, sviluppo sostenibile, cittadinanza digitale, obbligatorie nel primo e secondo ciclo, (e con un voto a sé stante). Un’altra ancora, è la nuova (e al momento doppia) modalità di valutazione alla primaria: da quest’anno, infatti, per gli alunni delle ex elementari la pagella finale dovrà contenere un «giudizio descrittivo» al posto dei numeri da 1 a 10. La valutazione intermedia, invece, no: al momento, continuerà a essere espressa con i voti in decimi, per via – lo ha ricordato, qualche giorno fa, lo stesso ministero dell’Istruzione – per una “svista” della legge, che non ha modificato per intero la riforma del governo Renzi.

Ma procediamo con ordine. Il curriculum dello studente, che non conterrà i risultati delle prove Invalsi per via di una modifica normativa fatta nei mesi scorsi, si compila online. Due terzi del documento è a cura della scuola; il restante terzo, è integrato dal singolo ragazzo. Si tratta, per gli alunni, di riportare le cosiddette «attività extrascolastiche», cioè le informazioni relative a competenze, conoscenze, abilità acquisite in ambiti informali e non formali, con particolare riferimento alle attività professionali, culturali, artistiche e di pratiche musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extra scolastico. Scuola-lavoro inclusa. Ogni ragazzo, forse a inizio 2021, riceverà le credenziali per accedere alla piattaforma.

«Il curriculum dello studente documenta non solo cosa si è fatto, ma anche come – ha detto Carmela Palumbo, dg dell’Usr del Veneto -. In quest’ottica, può rappresentare uno strumento utile anche per le aziende».

Tornando all’educazione civica, in ogni scuola dovrà essere individuato un docente referente, mentre ogni consiglio di classe indicherà il coordinatore della materia, ossia colui che assegnerà il voto allo scrutinio. Perché la vera novità sta nel fatto che l’insegnamento avrà un peso in quanto entrerà di diritto nella pagella di ogni studente.

Per eliminare invece i voti alla primaria anche a metà anno, servono modifiche normative. In assenza, per il 2020-2021, i genitori troveranno la votazione numerica al primo quadrimestre e il giudizio descrittivo nella scheda di fine anno scolastico.


Per l’Istruzione la fornitura di mascherine copre personale e studenti

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Il ministero dell’Istruzione ha inviato ai dirigenti scolastici una nota riepilogativa sul tema della distribuzione delle mascherine e su altri aspetti di carattere organizzativo e finanziario connessi alle attività per la ripresa dell’anno scolastico.

In particolare, il ministero ricorda che, a partire dai giorni 27 e 28 agosto 2020, la struttura del Commissario straordinario per l’emergenza Covid ha avviato la distribuzione di mascherine monouso di tipo chirurgico, gel igienizzante e arredi presso le istituzioni scolastiche.

Per quanto riguarda la distribuzione di mascherine e gel igienizzante, il ministero specifica nella nota che la fornitura di mascherine viene effettuata, a cura della struttura commissariale, per tutto il personale scolastico e per tutti gli studenti e che la distribuzione avviene con cadenza settimanale o bisettimanale, in relazione al numero di alunni e di personale scolastico presenti in ciascuna istituzione scolastica.

Ciascuna istituzione scolastica riceve, dunque, il quantitativo necessario a garantire la copertura del fabbisogno giornaliero di ciascun alunno e di tutto il personale scolastico e le consegne saranno effettuate presso la sede principale dell’istituzione scolastica in precise fasce orarie. La nota riepiloga anche le modalità di fornitura e distribuzione degli arredi.

Circa una settimana prima della consegna degli arredi, i referenti indicati dall’istituzione scolastica saranno contattati dall’azienda fornitrice per definire orari e modalità di consegna. L’azienda fornitrice si occuperà del montaggio dei banchi in apposito spazio che dovrà essere predisposto dall’istituzione scolastica.

In attesa del completamento del rinnovo degli arredi scolastici, nel breve periodo, seguendo le indicazioni del Cts e quanto già comunicato il 13 agosto dal ministero, potrà essere consentito lo svolgimento dell’attività didattica in presenza tramite l’utilizzo della mascherina, strumento di prevenzione cardine da adottare, unitamente alla garanzia di periodici e frequenti ricambi d’aria, insieme con le consuete norme igieniche.

Ma per Cittadinanzattiva le mascherine non sono pervenute: «Per il momento ci pensano le famiglie»

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

«Per il momento portatele da casa, perché quelle che abbiamo bastano per le emergenze e per fornirle ai docenti e a tutto il personale scolastico», è in sintesi quello che emerge da una indagine telefonica, svolta fra il 9 e il 10 settembre da Cittadinanzattiva, sulla dotazione di mascherine nelle scuole e sulle indicazioni che in questi giorni stanno arrivando alle famiglie e agli studenti in vista della prossima apertura. L’indagine ha riguardato 4 regioni del Nord, 4 del Centro e 5 regioni del Sud, per un totale di 23 città e 39 istituti coinvolti.

Il lavoro ha messo in evidenza come ci sia una profonda incertezza tra i dirigenti e il personale scolastico, le mascherine non sono arrivate o quando ci sono, spesso acquistate direttamente dalla scuola, la quantità non è sufficiente per coprire le esigenze quotidiane degli studenti e di tutto il personale docente e non docente. Dubbi anche in merito alla tipologia di mascherina che si può usare in classe.

In alcuni casi le mascherine le hanno spedite le Regioni, in altri le ha comprate direttamente la scuola, in altri casi ancora i genitori si sono organizzati ed hanno utilizzato il “fondo cassa” degli anni precedenti. La tendenza generale è comunque quella di chiedere agli studenti di presentarsi in classe con una mascherina personale (e un’altra di riserva) e di tenere quelle in dotazione della scuola come “scorta” per le emergenze.

«Nonostante gran parte degli istituti siano provvisti di mascherine, seppur in quantità diverse, è evidente come si sia lontani dalle dichiarazioni che prevedevano un quantitativo giornaliero per ogni alunno», dichiara Anna Lisa Mandorino, vice segretaria generale di Cittadinanzattiva.

«È comprensibile quindi che i dirigenti scolastici, vista l’attuale situazione, abbiano optato per la scelta di far venire gli studenti già provvisti di mascherina, anche per una serie di considerazioni che condividiamo: innanzitutto, dovendo gli studenti firmare ogni volta che ricevono una mascherina dalla scuola, una regolare distribuzione di queste all’ingresso genererebbe una grande confusione e perdita di tempo. Oltretutto molti studenti, soprattutto dai 14 anni in su, arrivano a scuola con i mezzi pubblici e quindi dovrebbero già presentarsi all’ingresso con la mascherina (essendo obbligatoria per accedere sui mezzi pubblici). È però evidente che a tutti i livelli, cominciando da quelle centrale, dovrebbero essere date indicazioni chiare e valide per tutti: dal tipo di mascherina da utilizzare in classe a come organizzare la distribuzione a scuola di quelle che, si spera in tempi rapidi, arriveranno dallo Stato», conclude Mandorino.

Cittadinanzattiva mette a disposizione l’indirizzo mail ripartenza.scuola@cittadinanzattiva.it per ricevere segnalazioni dai cittadini su eventuali disagi in vista della riapertura delle scuole, ma anche buone pratiche che gli istituti stanno mettendo in atto per assicurare un regolare avvio dell’anno scolastico.

AlmaDiploma: sulla Dad il 93,6% dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di supporto da parte della scuola

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

AlmaDiploma, con la collaborazione del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea e degli Istituti associati al sistema AlmaDiploma nell’a.s. 2019/20, ha condotto una rilevazione ad hoc via web (CAWI-Computer Assisted Web Interviewing) per comprendere meglio l’esperienza di didattica a distanza vissuta dagli studenti delle classi quarte e quinte degli Istituti superiori. L’indagine è stata avviata durante le ultime settimane del 2019/20, precisamente a partire dal 29 maggio 2020.

I macro esiti più significativi, qui sintetizzati, riguardano vari aspetti (per gli approfondimenti si rimanda al Report allegato “Indagine sulla Didattica a distanza”). Uno fra tutti la disponibilità delle attrezzature informatiche (pc, tablet, portatili o smartphone) e la connessione per seguire le lezioni: quasi la totalità dei rispondenti (93,6%) dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di supporto da parte della scuola e ha, dunque, fatto affidamento sulle sole risorse disponibili in famiglia.

Così come per gli effetti della DaD in termini di carico di studio, capacità di concentrazione e efficacia dello studio. Il 79,6% degli studenti dichiara che durante la didattica a distanza i compiti sono aumentati rispetto alle lezioni tradizionali: per il 24,7% il carico degli studi non è stato sostenibile, mentre per il 54,8%, sebbene aumentato, il carico è stato comunque sostenibile.

Altro importante dato le opinioni degli studenti rispetto agli insegnanti. Circa i due terzi degli studenti (67,4%) sostengono che durante il periodo di didattica a distanza gli insegnanti abbiano valutato con equità le prove e i compiti svolti. Come ci si poteva attendere, durante il periodo di didattica a distanza si sono, invece, emotivamente intensificati i rapporti con i componenti della famiglia o i conviventi: lo dichiara il 73,3% degli studenti.

Guardando al futuro poco meno di un terzo degli studenti (31,6%) ritiene che sarebbe utile continuare a usare la didattica a distanza, insieme alle lezioni in aula, anche dopo l’emergenza del Covid-19. Anche se poi il 72,1% degli studenti pensa che la preparazione raggiunta attraverso le lezioni a distanza sia inferiore a quella che avrebbero avuto andando a scuola; tant’è che il 42,8% degli studenti ritiene di non avere una preparazione adeguata per affrontare il prossimo anno scolastico o l’Esame di Stato per gli studenti di quinta.

Timori che si riverberano anche sul futuro occupazionale di chi li circonda: infatti il 59,7% ritiene che molte persone vicine siano preoccupate di non trovare lavoro o diventare disoccupate a causa della difficile situazione economica dovuta al Covid-19.

L’indagine ha coinvolto 246 gli istituti, con 73.286 studenti di quarta e quinta, in prevalenza liceali (57,0%), seguiti dai tecnici (33,8%) e dai professionali (9,2%). A compilare il questionario relativo alla Dad, 23.305 alunni per un tasso di compilazione pari al 31,8%.

Le famiglie si attrezzano con nuovi strumenti elettronici per il ritorno a scuola

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

A pochi giorni dall’atteso ritorno a scuola, idealo – portale internazionale di comparazione prezzi leader in Europa – ha voluto analizzare come le famiglie italiane si stanno attrezzando per essere preparate con tutto l’occorrente necessario, compresi quei dispositivi elettronici che sono diventati indispensabili per la didattica a distanza nei periodi di lockdown.
Secondo un recente sondaggio effettuato da Kantar per conto di idealo prima delle vacanze estive, una famiglia italiana su due è interessata ad acquistare un dispositivo elettronico per la didattica dei propri figli . Tra queste, più della metà ha in programma di dotarsi di un nuovo PC, vale a dire il 51,9%.

Il mercato online dei prodotti di elettronica a supporto della didattica
Idealo ha messo a confronto l’interesse online degli italiani verso i prodotti di elettronica di consumo utili per lo studio e la didattica a distanza nelle settimane che precedono il ritorno a scuola quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2019 per capire se l’esperienza della scuola da remoto nei mesi di lockdown abbia influito sulle scelte d’acquisto delle dotazioni scolastiche per i propri figli.

Dall’analisi emerge che in queste ultime settimane precedenti il “ritorno a scuola” l’interesse online nei confronti dei device elettronici ha registrato un boom rispetto allo stesso periodo del 2019 con una crescita di interesse del +155,5% nei confronti dei monitor, +151,5% nei confronti delle Stampanti multifunzione e +114,8% per i Notebook. Nella classifica dei prodotti che hanno registrato un maggiore aumento rispetto al 2019 figurano anche i Pc all-in-one (+88,3%), i tablet (+58,4%), gli smartphone (+48,7%), i router (+25,4%) e le cuffie (+20,1%). Da segnalare, infine, il netto calo dell’interesse online verso gli zaini scuola, con il -29,8% in meno di intenzioni di acquisto.

Gli acquisti si fanno online
In base al sondaggio, il 15,2% dei rispondenti ha dichiarato di avere già tutto quello di cui ha bisogno per il ritorno a scuola mentre gli indecisi sono solo l’1,9%. Invece, tra coloro che acquisteranno un dispositivo elettronico per scopi didattici, cioè l’82,9% del campione), 5 su 6 acquisteranno anche online gli strumenti elettronici per la didattica dei propri figli
Chi si occupa degli acquisti online dei prodotti per la scuola in famiglia?
Secondo i dati di idealo, il 67,4% delle ricerche è stato effettuato dagli uomini e solo il 32,6% dalle donne. Il motivo è da ricondurre al peso crescente delle categorie dell’elettronica di consumo nel Back to School ai tempi della pandemia di Covid-19.

Si tratta, infatti, di categorie le cui intenzioni di acquisto sono dovute per due terzi agli uomini (63,4%) e per un terzo alle donne (36,6%) . Tuttavia, se consideriamo solo gli Zaini scuola questo trend è diametralmente opposto con il 72,6% per le donne e il 27,4% per gli uomini .

L’età media di chi, in primis, cerca online per effettuare l’acquisto di prodotti per la scuola è tra i 25 e 34 anni (24,3%) e tra i 35 e 44 anni (22,3%), ma è rilevante anche la percentuale degli stessi studenti, quelli più grandi, tra i 18 ai 24 anni (15,9%).

Schizzano i prezzi dei prodotti di elettronica più desiderati per il back to school
È proprio sui prodotti più richiesti per il ritorno a scuola “digitale” che si sono fatti registrare gli aumenti dei prezzi maggiori: le Stampanti multifunzione, ad esempio, hanno registrato in queste ultime settimane un balzo nei prezzi del +121,7% rispetto allo stesso periodo del 2019. Aumentano del +49,0% i prezzi dei router, i dispositivi che permettono di sfruttare al meglio il segnale Wi-Fi in tutta la casa, eliminando le “zone d’ombra”. Crescono anche i prezzi dei tablet (+35,0%), dei computer (+20,7%) e dei notebook (+4,2%).

Tra i prodotti necessari per la scuola ma non “elettronici”, invece, gli aumenti più consistenti sono quelli per i diari e le agende (+92,0%), i pennarelli e i colori (+66,0%), gli evidenziatori e i Marcatori (+38,2%) e gli zaini di tutte le tipologie (+28,9%, con +1,8% per gli zaini scuola).

Le famiglie italiane cercano online l’offerta migliore per risparmiare, soprattutto per i device di elettronica, per i quali il risparmio desiderato va dal 5,0% per i Pc a oltre il 20,0% per i router, con una media del 15,9%.

Regioni italiane dove è cresciuto di più l’interesse per i dispositivi elettronici
Il Lazio è la regione dove è cresciuto maggiormente nelle ultime settimane l’interesse online per i prodotti di elettronica a sostegno della didattica o per la scuola a distanza (+68,6% rispetto allo stesso periodo del 2019). Seguono l’Umbria (+62,9%), l’Abruzzo (+58,8%), la Toscana (+52,9%) e al quinto posto la Campania (+52,1%) . La Lombardia si trova solo alla sest’ultima posizione tra le Regioni italiane (+20,9%) e all’ultimo posto si trova la Liguria (+1,9%).

«L’esperienza della didattica a distanza nei mesi di lockdown ha sensibilizzato le famiglie italiane a dotarsi di apparecchi di elettronica per far fronte alle nuove esigenze scolastiche e, di fronte alle incertezze per il prossimo anno scolastico, non ci si vuole far trovare impreparati. – ha dichiarato Filippo Dattola, country manager di idealo per l’Italia – Lo evidenzia la crescita ridotta, se non proprio una decrescita, di strumenti propri della scuola tradizionale, come gli zaini, e quella marcata di dispositivi utili ad una possibile ripresa a distanza come monitor e stampanti; sintomo che anche il mondo della scuola, come quello del lavoro, sta cambiando volto e diventa sempre più digitale per far fronte agli eventi».

La scuola alla prova più dura Conte: «Bisogna avere fiducia»

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

«Sarebbe una bugia dire che sarà tutto meglio di prima, potranno esserci delle difficoltà», ammette il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma «quest’anno si ritorna a scuola con fiducia, con una didattica in presenza» e «se ci sarà la quarantena sarà limitata». Mentre 8 mila presidi, 900 mila professori e 240 mila collaboratori scolastici stanno lavorando senza sosta per far ripartire la scuola lunedì, il premier vuole ancora una volta ribadire che anche se ci «sarà qualche cambiamento e regole nuove», il «rientro sarà in piena sicurezza». E per dimostrare che lui e il governo sono in prima linea vicini al mondo scolastico per sostenerlo e aiutarlo oggi Conte manderà un messaggio a «studenti, genitori, insegnanti, dirigenti scolastici e personale» da un social network, Instagram.

Questo non esclude che il riunirsi di dieci milioni di persone non potrà far aumentare il rischio di contagio. Lo dice anche una stima contenuta nei documenti allegati ai verbali del Comitato tecnico-scientifico che già alla fine di aprile aveva analizzato i diversi scenari in vista dell’inizio della fase 2, ai primi di maggio: con la riapertura delle scuole l’indice di diffusione del Covid-19 potrebbe salire di circa lo 0,4. Le stime sono state elaborate dall’Inail sui dati dell’Istituto superiore di sanità e della fondazione Bruno Kessler e riportati nel verbale del 22 aprile scorso. I tecnici consigliavano di adottare un «approccio progressivo nelle misure di riapertura», ribadendo la necessità dell’utilizzo delle mascherine, del distanziamento e del divieto di assembramento. E sono proprio le misure che le scuole stanno adottando perché il rischio si abbassi.

Ci sono ancora regioni, città, istituti, dove la situazione è più complessa, ma chi è sul territorio è pronto ad affrontarla. «Io ho massimo rispetto per le ansie dei genitori — ha detto il governatore del Veneto Luca Zaia —. Capisco le loro ansie. Lo sappiamo, non sarà una passeggiata: inizia una nuova fase, molto complicata, di convivenza con il virus. Ma non ci sarà un altro lockdown». Vincenzo De Luca, presidente della Campania che ha posticipato di una settimana la riapertura, è un po’ più preoccupato: «Partenza il 24 settembre? Non so, non sappiamo quanti banchi siano arrivati ad oggi né quanti siano i docenti». In Lombardia, secondo la senatrice di Forza Italia Anna Maria Bernini, «ci sono ancora trentamila cattedre scoperte, ma dappertutto arrivano segnalazioni allarmate per la mancanza di banchi, aule e insegnanti». Il ministro degli Esteri Luigi di Maio interviene: «L’autonomia regionale è sacrosanta. Ma mi fido del premier e della ministra dell’Istruzione: posso dire che non esisteva un manuale di istruzioni per ricominciare con la scuola, lo abbiamo scritto da zero e se ci saranno delle criticità le metteremo a posto». Ma con l’allerta probabilmente bisognerà imparare a conviverci: ieri 25 bambini di una scuola materna di Porto Mantovano sono stati messi in isolamento domiciliare perché sei di loro hanno accusato sintomi influenzali: l’isolamento durerà almeno fino a lunedì, quando arriverà l’esito dei tamponi.

Studenti divisi sul ritorno in aula Per il 52% è ancora troppo presto

da la Repubblica

Luigi Ceccarini

Studenti perplessi sull’avvio dell’anno scolastico. In questo modo è possibile sintetizzare i dati dell’Osservatorio sul Capitale Sociale di Demos dedicato alla scuola al tempo del Covid. La ripresa delle lezioni è stata accompagnata nei mesi scorsi da continue polemiche di tipo politico intorno alle quali si è poi concentrato il dibattito pubblico di questi ultimi giorni. Ma i cittadini in generale, le famiglie con studenti e gli studenti stessi hanno ormai maturato le loro opinioni sulla ripresa. I risultati mettono in evidenza l’apprezzamento dello sforzo fatto dalle loro scuole durante l’emergenza e in vista della riapertura. Ma restano i più scettici sulle condizioni stesse dell’avvio dell’anno scolastico. Due italiani sue tre, senza distinzioni tra studenti, famiglie e cittadini, danno alle scuole un voto in pagella pari o superiore a 6 (su 10) per come è stata gestita la crisi pandemica e il passaggio verso la didattica mista che ha caratterizzato l’insegnamento del secondo quadrimestre. Lo sforzo da parte di dirigenti scolastici e docenti, colti di sorpresa dal virus, come alunni e famiglie, è stato in una certa misura riconosciuto da tutti: studenti, genitori e italiani. Ma quando si chiede se vi siano le condizioni per la riapertura, oltre la metà degli alunni (52%) dice no. Mentre si ferma al 38% il dato complessivo dei cittadini con la stessa opinione. La crisi pandemica ha fatto apprezzare – soprattutto agli studenti – una nuova modalità di insegnamento: la DAD (didattica a distanza). La maggior parte, sette su dieci (71%), pensa alla ripresa con una didattica mista, cioè, un po’ in classe e un po’ online (quasi il doppio degli italiani: 37%). Solo una minoranza dei giovani, pari al 13%, propende per tutte le lezioni in classe. Al tempo stesso, sempre una minoranza (15%) vede la sola DAD come la soluzione. Stare in classe con i compagni evidentemente piace. Anche confrontarsi con i docenti piace. Oggi, forse più che in passato. Questa consapevolezza è diffusa tra gli studenti italiani. Tuttavia, i limiti della scuola restano. Il Covid li ha amplificati. Gli studenti, più degli altri, denunciano non solo la mancanza di risorse, ma anche il problema dell’arretratezza dei programmi, dell’insicurezza degli edifici o della dotazione tecnologica per la didattica. Gli studenti sono i primi ad esprimere una domanda di modernizzazione, ma continuano a mostrare fiducia nella scuola (60%), più degli italiani nel complesso (54%).

Speranza “Dobbiamo resistere altri sei mesi A fine inverno saremo salvi”

da la Repubblica

di Annalisa Cuzzocrea

ROMA — Resistere ancora qualche mese: «Una cura e un vaccino per il Covid sono vicini». Ritrovare lo spirito che ha caratterizzato l’Italia a marzo e aprile: «Basta polemiche inutili sulla scuola, non è un problema della ministra Azzolina, ma di tutti noi». Prendere i soldi europei per fare subito quella che più che una riforma, sarebbe una rivoluzione: «Portare il servizio sanitario nazionale nelle case delle persone. La parola d’ordine dev’essere vicinanza, prossimità.

Abbiamo un’occasione irripetibile».

Seduto sul divano bianco del suo ufficio di Lungotevere a Ripa, alla vigilia della riapertura dell’anno scolastico, il ministro della Salute Roberto Speranza dice: «Dobbiamo ancora mantenere il distanziamento, portare le mascherine, lavarci le mani, ma non è per sempre: dopo l’autunno e l’inverno vedremo la luce».

AstraZeneca ha annunciato che la sperimentazione sul suo vaccino riparte. È una buona notizia?

«Molto, il caso anomalo riscontrato non era legato al vaccino. Come Unione europea stiamo comprando un pacchetto 6+1, quello di AstraZeneca è uno dei sei ed è in fase più avanzata. Ci sono anche gli altri però. E stanno per arrivare cure innovative: a Siena il professor Rino Rappuoli sta facendo un lavoro straordinario sugli anticorpi monoclonali da cui verranno fuori farmaci efficaci».

Nel frattempo gli esperti invitano tutti a vaccinarsi contro l’influenza. Ci saranno abbastanza dosi?

«Ne abbiamo prenotato il 70% in più rispetto agli altri anni, c’è stato un rafforzamento significativo».

Domani aprono le scuole, è la prova più grande dopo la ripresa delle attività produttive. In molti però non si fidano delle misure prese, si è trascurata la sicurezza pur di ricominciare?

«Abbiamo lavorato con Regioni, Province e Comuni a partire dal documento sulla gestione dei casi Covid, approvato all’unanimità.

Abbiamo fatto più che negli altri Paesi europei. Nessuno pensa che la situazione sia perfetta, non abbiamo la bacchetta magica e i problemi della scuola italiana non nascono col Covid. Ma ci sono risorse senza precedenti, stiamo provando a investire sul personale scolastico e sulle attrezzature, forniremo 11 milioni di mascherine al giorno a tutti gratuitamente».

Perché non prevedere la misurazione della febbre a scuola con i termoscanner, prima di entrare?

«Come ha spiegato il Comitato tecnico scientifico, la febbre va misurata a casa perché il tragitto fino a scuola è già occasione di incontri. Pensi solo ai mezzi pubblici. E per evitare assembramenti fuori dagli istituti scolastici».

Ristabilirete l’obbligo di certificato medico per assenze che durino più di tre giorni?

«Ci sarà un’attestazione da parte dei medici e dei pediatri. In caso di sospetto Covid la famiglia chiamerà il medico che valuterà di cosa si tratta».

Serviranno i tamponi, ce ne saranno abbastanza?

«Abbiamo rafforzato di molto la nostra capacità di fare test e miglioreremo ancora. L’obiettivo che ci siamo dati è non lasciare soli presidi e insegnanti, rinsaldare il legame che si era perso tra le scuole e il Servizio sanitario nazionale. Se ci saranno casi Covid, saranno le Asl a intervenire e decidere come procedere. È un processo nuovo, dovremo imparare a gestire questi casi, per questo dico che servono nervi saldi».

Si aspetta molti casi?

«È statistico che c isiano,per questo serve un grande sforzo da parte di tutti.Numeri alla mano oggi l’Italiasta unpo’ megliodi altriPaesieuropei.

Dobbiamorecuperarelospirito unitario che amarzoeaprileciha permessodipiegarelacurva.Dentro questosforzolemisuredelgovernoe delleRegionisonounaparte,maserve ilcontributo ditutti: medici, pediatri, presidi,insegnanti, studenti,genitori.

Èuna sfidache riguardal’Italia,non unproblemadellaAzzolinasucuifare campagnaelettorale».

Abbasserete la quarantena a 10 giorni?

«Stiamo valutando. Ascolteremo prima il Cts e ci confronteremo anche con gli altri Paesi europei».

Il presidente della Sardegna Solinas ha emanato un’ordinanza che prevede il tampone per chi arriva sull’isola. La preoccupano le iniziative solitarie dei governatori?

«Quello che penso e che ho detto fin dal primo momento è che senza condivisione e con scelte unilaterali non si va lontano».

Il suo governo è diviso sui fondi del Mes. Chi non lo vuole ritiene che la sanità sia già in sicurezza, che l’Italia non abbia bisogno di prendere quei 36 miliardi. È così?

«I soldi servono e ne servono tanti perché abbiamo un’occasione unica: fare una riforma che non sia fatta di tagli, ma che miri a riportare la sanità dove non c’è. La chiusura di ospedali e presidi nelle aree interne ha contribuito al distacco tra centro e periferia, tra città e contado. Io sono favorevole al Mes, ma non mi interessa da dove arrivino i soldi, non ne guardo il colore: che vengano dal Mes, dal Recovery Fund, dal bilancio dello Stato, ma che arrivino».

Che riforma ha in mente?

«La parola chiave è prossimità: il primo luogo di cura deve essere la casa. Abbiamo una delle popolazioni più anziane del mondo, aumentano le cronicità che non vanno curate negli ospedali. Il Ssn deve arrivare nelle case con medici, infermieri, ma anche con la sanità digitale sul telefonino dei pazienti.

Bisogna mettere le radici più in basso possibile sul territorio».

Nella crisi del Covid è quello che è spesso mancato: alcune persone sono morte in casa, senza cure, senza avere il tempo di arrivare in ospedale.

«Il Covid ci ha mostrato fragilità, ferite, che abbiamo il dovere di sanare. Dobbiamo intervenire anche sulla spesa per il personale, sfondare i tetti stabiliti anni fa, che hanno finito per contrarre gli investimenti. Dobbiamo attrarre la ricerca farmaceutica in Italia e potenziare gli Ircss, i centri che tengono insieme ricerca e cura.

Serve un salto culturale, capire che ogni euro che si mette nella sanità non è semplice spesa pubblica, ma il più grande investimento sulla vita delle persone».

Perché non avete reso pubblico il piano pandemico di inizio marzo?

«Questo governo non ha mai secretato nulla, siamo gli unici al mondo a pubblicare tutti i verbali del Cts. A metà febbraio i nostri scienziati hanno fatto uno studio con ipotesi molto variegate sul potenziale impatto del Covid e sulle misure che si potevano mettere in campo. Uno studio che gli stessi scienziati ritenevano fosse meglio mantenere riservato. Trovo le polemiche incomprensibili».

Non crede che avvertire prima la popolazione potesse servire?

«Siamo stati sempre chiari, ma non c’era un manuale di istruzioni.

Alcune di quelle ipotesi si sono rivelate fallaci. In più, negli stessi giorni, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie scriveva che c’era una bassa probabilità di diffusione del virus in Europa».

Alle Regionali la maggioranza di governo si presenta divisa quasi ovunque e il centrosinistra rischia di uscire sconfitto.

«Si doveva fare di più per correre uniti. Ci sono regioni, come la Puglia, dove il risultato è in bilico, ma il rapporto tra forze della maggioranza e opposizione è 60-40. Il mio auspicio è che gli elettori siano più bravi di noi, che arrivino dove non sono arrivati i gruppi dirigenti con scelte intelligenti e capaci di fermare la destra».

Cosa non ha funzionato?

«Ci vuole più coraggio da parte di tutti. E parlo sempre a partire da me stesso. Non è possibile che siamo al governo del Paese e abbiamo paura di andare insieme a guidare una Regione o un piccolo Comune. Ma credo che il processo politico sia inarrestabile e che si vada verso un nuovo bipolarismo, con da una parte la nuova destra della protezione, identitaria, del sovranismo e dall’altro lato un campo democratico che dobbiamo costruire tutti insieme».

La nuova scuola ibrida e digitale che resiste al virus

da la Repubblica

Ilvo Diamanti

Lunedì riaprono le scuole. Gli studenti riprendono i loro studi e i loro corsi. Le famiglie ritrovano un po’ di serenità. Perché il carico domestico, quando i figli non vanno a scuola, cresce. Tuttavia, l’in-sicurezza permane, come emerge dall’Osservatorio sul Capitale Sociale di Demos, pubblicato oggi su Repubblica . E molte persone dubitano che vi siano le condizioni per riaprire le scuole. Perché le scuole sono luoghi di com-presenza. Dove il “distanziamento sociale”, per utilizzare un termine quanto-meno discutibile, non prevede “l’annullamento sociale”. Semmai, una “socialità controllata”. Tuttavia, come impedire agli studenti il “contatto”, se non in aula e nei corridoi? La scuola è da sempre, luogo d’incontro e di amicizie, spesso durature. Per questo motivo siamo ancora lontani dalla cosiddetta “normalità”. Perché è difficile “normalizzare” la scuola mentre il virus incombe. Però si tratta di un primo passo. Importante. Perché la scuola, non solo in Italia, costituisce un riferimento importante per una società “normale”. Per una vita “normale”. Insisto sul concetto di “normalità” perché in questi mesi “eccezionali” l’emergenza è divenuta “normale”. E la scuola è un riferimento essenziale per ri-affermare la “normalità” della vita e della società. Infatti, come mostra il sondaggio di Demos, oltre metà degli italiani, il 54% esprime fiducia nei confronti della scuola. Inoltre, circa il 60% degli intervistati e quasi due studenti su tre si fidano degli insegnanti. Li ritengono preparati.

Il principale problema lamentato, semmai, è la carenza di risorse e di fondi. Ma c’è scetticismo anche sulla sicurezza degli edifici scolastici. Cioè: sulla capacità delle scuole di garantire la sicurezza agli studenti e al personale. In questi tempi virali. Mentre oltre metà degli intervistati dubita della dotazione tecnologica delle scuole italiane. Una questione divenuta molto importante dopo il periodo di lockdown, che ha indotto a svolgere parte della didattica a distanza. “Online” piuttosto che “in presenza”. Una pratica diffusa per molti mesi che ha lasciato il segno. Infatti, coloro che pensano di riproporre principalmente la didattica “in presenza”, sono una minoranza. Soprattutto fra gli studenti. Così il virus, oltre al distanziamento “sociale” – e fisico – nella scuola, ha imposto, o almeno: diffuso, un modello “ibrido”. Che combina l’insegnamento a distanza e in presenza. Anche da ciò nasce la sensazione, diffusa, che la scuola abbia affrontato in modo efficace e adeguato i problemi sollevati dal virus. Secondo l’Osservatorio sul Capitale Sociale di Demos, si tratta di un’opinione condivisa da oltre due terzi di italiani. Con poche differenze interne. Tra gli studenti e le altre categorie di persone. Mentre, gli orientamenti degli italiani si dividono quando si tratta di valutare l’attenzione dimostrata dal governo di fronte ai problemi della scuola di fronte alla pandemia. La maggioranza dei cittadini, infatti, la considera adeguata, ma una larga quota di persone, oltre 4 su 10, la pensa diversamente. Gli studenti, in particolare, appaiono critici e insoddisfatti.

Così, lunedì prossimo le scuole riaprono. Non dovunque, visto che 7 Regioni hanno deciso di posticipare questa scadenza. E, comunque, con molti dubbi e non molte certezze. Sul modo in cui è stata affrontata la crisi, in particolare dal governo. Ma soprattutto sulla scelta di fondo. La riapertura, appunto. Vista con preoccupazione da una gran parte di cittadini, che, fra gli studenti, divengono la maggioranza. D’altronde, a scuola ci vanno soprattutto loro. E perché proprio loro, i più giovani, sono divenuti “soggetti a rischio”, nell’ultimo periodo. Anche perché avevano “sottovalutato il rischio”… Ora non più, sembrerebbe, dal sondaggio di Demos.

Di certo, dopo questa pandemia, la scuola non sarà più come prima. Cambieranno i metodi e le tecniche di insegnamento. In particolar modo, si allargherà il ricorso alle tecnologie che permettono l’insegnamento a distanza. Così crescerà anche la “confidenza” delle persone verso questi metodi e questi strumenti. Anzitutto, fra i docenti (soprattutto) più giovani. Mentre gli studenti sono, perlopiù, “nativi digitali”. E, dunque, largamente “educati” ed esperti, sul piano tecnologico. Nonostante che la “diffusione” di pc, nelle famiglie, non sia così “diffusa”… Così, si ripropone, per la scuola, la questione di combinare l’educazione e la formazione. E la socializzazione. Funzioni che non si possono separare. Per questo è importante sviluppare una “didattica ibrida”. Che combini presenza “fisica” e “digitale”. Distanza e prossimità. Perché la tecnologia supera i rischi del contatto fisico, ma rischia di indebolire la socialità. E la “prossimità” è fondamentale per costruire rapporti personali e di amicizia. Ma diventa un problema, in tempi “virali”. È importante, per questo, coltivare e costruire “reti” di relazioni. In presenza e in “rete”. Diventare e formare “cittadini ibridi” in questa “democrazia (da tempo) ibrida”.

Insomma, lunedì torniamo a scuola. Tutti.

Scuola, caos nomine e i supplenti non arrivano

da la Repubblica

Corrado Zunino

ROMA – Ha detto ieri la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina: “In questi giorni si stanno facendo le convocazioni per i supplenti, sia a Biella che in altre province”. Era in visita nella porzione di Piemonte dove è stata insegnante, ma solo a 57 chilometri di distanza – a Novara – cinquanta precari protestavano davanti alla Prefettura. ”Il sistema informatico per assegnare le cattedre a tempo determinato non funziona”, spiegavano, “con le Graduatorie per le supplenze non è garantita trasparenza. Solo il ritorno al sistema tradizionale, quello con convocazioni in presenza, può consentire una attenta scelta delle cattedre disponibili”. Hanno chiesto all’Ufficio scolastico provinciale un passo indietro e così nella vicina Verbania. E ad AlessandriaAsti e la stessa Biella della ministra si stanno facendo, appunto, le nomine in presenza.

Nel Paese sulle nomine online – le Gps, fortemente volute dalla ministra – ci sono pesanti ritardi, soprattutto nelle grandi città. I provveditori devono inventarsi piattaforme e metodi per poter portare un’aliquota di docenti precari in cattedra. Gli scontri Roma-periferia sono continui.

Ieri sera l’Ufficio scolastico provinciale di Torino, esausto, visto che il lavoro sulle graduatorie non era concluso, dichiarava di voler far ricorso alle vecchie Gae e alle Graduatorie d’istituto affidandone la gestione ai dirigenti scolastici. Pressato dalla Cisl, però, il dirigente ci ha ripensato e ha annunciato che da martedì le convocazioni arriveranno via Webex.

La situazione più complicata è a Milano. Il provveditore Marco Bussetti, ex ministro, a fronte di nomine che non arrivavano giovedì 10 settembre ha scritto ai presidi di chiamare il personale dalle vecchie Graduatorie cartacee. E le lettere di convocazione sono partite. La direttrice generale dell’Ufficio scolastico provinciale è intervenuta per imporre la novità azzoliniana, la scelta dalle graduatorie online: “Il decreto parla chiaro, bisogna procedere con le nomine via Gps”. Retromarcia di Bussetti: “Come da indicazioni recentemente ricevute, si comunica che la nota di questo ufficio del 10 settembre è da considerarsi revocata a ogni effetto”, ha recapitato ai presidi. Ma il cambio di metodo in due giorni – oltre a lasciare interdetta e frustrata una larga fetta di precari in attesa di posto – non ha accelerato le convocazioni: ci sono 112.000 domande da evadere e, segnalano i sindacati, le posizioni da rivedere sono la maggior parte. Si sono avvistati seri problemi di punteggio legati al sistema informativo. A fronte del  titolo di abilitazione da inserire in Istanze on line, per esempio, chi ha correttamente digitato il punteggio ha ottenuto in media 5-6 punti, chi ha cliccato su un “flag” presente nel modulo digitale ne ha ricevuti automaticamente 12. E con 6-7 punti in più si possono scalare le graduatorie per l’ottenimento della cattedra annuale. “Controlliamo i punteggi in presenza”, è ora il mantra dei gruppi Facebook che radunano categorie di precari.

A Brescia, ancora, l’Ufficio scolastico provinciale ha deciso di spostare in avanti le sue nomine: troppi errori, impossibile chiamare supplenti per l’inzio dell’anno scolastico.

E i docenti fragili non potranno insegnare neppure da casa

da la Repubblica

I docenti che risulteranno inidonei all’insegnamento in classe per le sue malattie pregresse, patologie che possono diventare rischiose di fronte a un contagio da Covid, non potranno insegnare da casa. Saranno messi in malattia e, tutt’al più, potranno richiedere mansioni laterali: organizzazione della biblioteca scolastica e dei laboratori, per esempio.

Seguendo una circolare del 4 settembre scorso dei ministeri della Salute, del Lavoro e delle Politiche sociali, l’Istruzione venerdì scorso ha inviato ai dirigenti scolastici una nota in cui si certifica che “la fragilità è temporanea ed esclusivamente legata all’attuale situazione epidemiologica”. Terminata la quale, l’insegnante tornerà alle sue naturali funzioni.

Ogni lavoratore della scuola potrà chiedere sorveglianza sanitaria all’Inail, all’Asl di riferimento e ai Dipartimenti di Medicina legale e Medicina del lavoro delle università.Per fragilità si intende “uno stato di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto”. L’età, da sola, non rappresenta un elemento che possa indicare “fragilità”. La famosa soglia dei 55 anni è un’indicazione statistica. L’età può diventare una questione sanitaria se accompagnata da malattie pregresse, la cosiddetta “presenza di comorbilità”.

I passaggi di un docente che intenda sottoporsi a una visita che attesti “fragilità” sono questi: il lavoratore richiede al dirigente scolastico l’attivazione della sorveglianza sanitaria; il ds avvia la richiesta al medico competente e mette a disposizione i locali scolastici per il controllo; quindi fornisce al medico competente una dettagliata descrizione della mansione svolta dal lavoratore, della postazione-ambiente di lavoro dove presta l’attività e offre le informazioni sulle misure di prevenzione e protezione adottate per mitigare il rischio da Covid-19 all’interno dell’istituto scolastico. Sulla base della visita, il medico “esprimerà il giudizio di idoneità fornendo, in via prioritaria, indicazioni per l’adozione di soluzioni maggiormente cautelative per la salute del lavoratore e riservando il giudizio di inidoneità temporanea solo ai casi che non consentano soluzioni alternative”. La visita dovrà essere ripetuta periodicamente anche in base all’andamento epidemiologico.

Tre giudizi clinici

Sono tre i possibili giudizi medici: “Idoneità”“Idoneità con prescrizioni”“Inidoneità temporanea del lavoratore fragile in relazione al contagio”. Se idoneo, iil lavoratore continua a svolgere o è reintegrato nelle mansioni del profilo di competenza. Qualora il medico competente indichi al datore di lavoro prescrizioni e misure di maggior tutela – ad esempio, l’adozione di mascherine FFp2, un maggiore distanziamento – il dirigente scolastico dovrà fornire i dispositivi di protezione adatti e adeguare gli ambienti di lavoro. Il preside, laddove le prescrizioni mediche risultino “non compatibili con l’organizzazione e l’erogazione del servizio”, scrive il capo Dipartimento Marco Max Bruschi, il preside può richiedere una revisione del giudizi.

L'”inidoneità temporanea” del lavoratore fragile può essere intesa “come l’impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa nel contesto dato oppure solo relativamente alla specifica mansione svolta”. Il personale docente “non idoneo” viene messo in malattia, ma può chiedere, al momento della visita “e senza indugio”, di essere utilizzato in un ruolo diverso da quello ricoperto prima degli accertament medici. La richiesta di utilizzo deve partire dal soggetto protagonista: sarà il dirigente scolastico a valutare la possibilità di utilizzo e a portare quell’orario di lavoro a 36 ore settimanali. Il lavoratore riconosciuto fragile potrà essere impiegato in questi servizi: biblioteca e documentazione, organizzazione di laboratori, supporti didattici ed educativi, supporto nell’utilizzo degli audiovisivi e delle nuove tecnologie informatiche, attività per il funzionamento degli organi collegiali. Questi servizi potranno essere realizzati da casa, in modalità “lavoro agile”. Al docente, e al lavoratore amministrativo, potrà essere chiesto di trasferirsi in un’altra scuola, all’Ufficio scolastico regionale o addirittura in un’altra amministrazione pubblica.

Arriverà un supplente

Il posto del docente riconosciuto fragile sarà sostituito con una supplenza: la circolare non prevede la possibiltà per “un fragile” di continuare a insegnare a distanza.

La circolare riconosce che potrebbe essere più difficile trovare un lavoro a distanza equivalente per collaboratori scolastici e cuochi. Il personale a tempo determinato individuato come fragile, sia docente, sia amministrativo, sarà messo in malattia, senza possibilità di lavori alternativi.

La ministra Lucia Azzolina ha assicurato che, ad oggi, i docenti che hanno fatto richiesta per la “fragilità” sono cinquecento, ma con la stesura delle regole interne potrebbero arrivare ad alcune migliaia. Sempre la ministra ieri ha detto che al Consiglio superiore della pubblica istruzione è pronta un’ordinanza dedicata agli studenti fragili: “Nulla vieta alle scuole in cui ci sono le attrezzature”, ha detto, “di stabilire collegamenti che permettano agli studenti che sono a casa di videocollegarsi”.

Ritorno in classe, Azzolina: “Misurazione della temperatura a casa è una scelta ponderata”

da OrizzonteScuola

Di Andrea Carlino

La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, è intervenuta a Domenica Live – Non è la D’Urso, su Canale 5, in vista del ritorno in classe previsto per domani, lunedì 14 settembre.

“Gli esami di Stato li abbiamo fatti, li ha fatti mezzo milione di alunni, ora abbiamo una notte ancora più importante, devono rientrare tutti, sono molto emozionata. La temperatura si misura a casa. E’ molto più sensato  misurargli la temperatura a casa che non metterlo su un autobus o in luoghi dove potrebbe contagiare i compagni. A maggior ragione se fosse malato di Covid. Abbiamo lavorato in una ottica di prevenzione  assoluta. Anche la Francia ha deciso di misurare la temperatura a  casa. Mi fido delle famiglie italiane”.

Io mi fido delle famiglie italiane, so che la misureranno. Sarà anno complesso e difficile, serve responsabilità di tutti. Abbiamo scritto Protocolli molto seri  con l’Istituto superiore di Sanità. Se un bambino è positivo, la
scuola ha un registro di contatti con cui il bambino è stato in  contatto e nelle Asl abbiamo creato un ufficio dedicato solo alla  scuola. Significa che la Asl si attiva per fare test rapidi a tutti i  bambini con cui ha avuto un contatto, anche al personale scolastico’. Una notte importantissima, sono molto emozionata. Mascherina?  Anche l’insegnante che vuole muoversi in classe deve tenere la mascherina. In aula se c’è il metro di distanza la mascherina può essere tolta ma se qualcuno si sente più sicuro indossandola può tenerla. I bambini possono mangiare in classe o in mensa, le scuole si stanno organizzando. Stiamo lavorando di per garantire la sicurezza in un anno di straordinarietà. In Italia le regole sono state stringenti. Sui banchi non si è mai investito, ritardo che dura da 20 anni”.

Infine sui banchi: “I dirigenti scolastici ci hanno chiesto 2,4 milioni di banchi: 2 milioni sono quelli tradizionali e 450.000 sono quelli con le rotelle. Alcuni sono già stati consegnati, ora tutti gli altri sono in consegna da qua a fine ottobre. Il fatto che non ci sia il banco singolo non significa che la scuola non possa iniziare. Laddove il metro di distanza non è garantito a tutti si metterà la mascherina. Sui banchi in
questo paese non si è mai investito. Il ritardo è di vent’anni, non è il nostro. Siamo partiti dalle zone che hanno subito di più. Quando ero prof sa quanti paia jeans ho rotto nelle sedie e nei banchi vecchi? Le famiglie vedranno la differenza tra i vecchi arredi e i nuovi e saranno soddisfatte”.

Ritorno in classe, Arcuri annuncia: “Già distribuiti 94 milioni di mascherine e 400mila litri di gel”

da OrizzonteScuola

Di Andrea Carlino

Il commissario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, in vista del rientro in classe previsto per domani, lunedì 14 settembre, annuncia: “Sono stati distribuiti 94 milioni di mascherine e 400mila litri di gel igienizzante”, afferma al TG1.

“Abbiamo distribuito ai 19mila istituti scolastici italiani 94 milioni di mascherine chirurgiche che sono già  nella disponibilità dei dirigenti scolastici. Domani mattina gli 8,5 milioni di studenti e il milione e mezzo di docenti avranno la mascherina chirurgica, come avevamo detto, che gli servirà per svolgere le attività in sicurezza. Questo si ripeterà tutti i giorni fino alla fine dell’anno. Abbiamo fatto tutti insieme uno sforzo ciclopico e siamo molto contenti del risultato raggiunto”.

”Domani le scuole avranno anche 400mila litri di gel igienizzante – ha aggiunto – In pochi mesi abbiamo fatto uno sforzo straordinario. Riteniamo che nessun altro paese del mondo sia riuscito in così poco tempo a fare tanto”.

”Voglio dire una cosa ai ragazzi: domani è un giorno di festa finalmente riapre la scuola, finalmente abbiamo l’evidenza più esplicita che la stagione più buia del lockdown è finita. Viviamolo come un giorno di festa, emozioniamoci e rimaniamo sereni”.