Una ripresa in salita. Occorre un Piano Programmatico

Cuzzupi: “Una ripresa in salita. Occorre un Piano Programmatico per salvare la scuola!”

“Abbiamo atteso e sperato sino all’ultimo che tutto andasse per il meglio. Abbiamo fatto il tifo contro le nostre previsioni auspicandoci che fossero sbagliate ma purtroppo, già da queste prime ore di avventura scolastica, occorre prendere atto che avevamo visto giusto”.

Queste le amare e crucciate parole di Ornella Cuzzupi, Segretario Nazionale di UGL Scuolache continua: “L’approssimazione con la quale si è affrontata la questione e le gravissime difficoltà in cui si stanno trovando docenti, dirigenti, personale ATA e famiglie non hanno né possono avere scusanti. Non ci riferiamo a casi limiti ma alla situazione complessiva sotto gli occhi di chi vive quotidianamente questa realtà. Avendo chiaro lo scenario da aprile c’era tutto il tempo di trovare soluzioni, confrontandosi senza pregiudizi, pianificando interventi e adoperandosi affinché almeno le più banali anomalie fossero preventivamente superate. Si è invece preferito dar voce alla propaganda lasciando poi drammaticamente sola la scuola vera, quella fatta di persone ed esigenze”.

Il Segretario Cuzzupi, evidenzia in maniera cruda lo spaccato della scuola in questo momento: “Decine di migliaia le cattedre non assegnate, alunni con disabilità passati in secondo ordine d’interesse, oltre due milioni di banchi monoposto mai consegnati, istituti che denunciano la mancanza del 50% di personale, scuole che non avendo aule e docenti in numero sufficiente hanno avviato l’anno scolastico dimezzando le classi ma anche i giorni di scuola per alunno, lezioni svolte in siti di emergenza perché mancano gli spazi. Insomma un quadro devastante sul quale esprimersi è persino banale”.

L’UGL Scuola però non si ferma alla denuncia e propone una strada per cercare di cambiare in meglio la scuola.

Paradossalmente – riprende Cuzzupipotremmo ancora cercare di ridisegnare in maniera equilibrata e funzionale la scuola. Occorre però un Piano Programmatico d’interventi sul quale confrontarsi con tutte le varie realtà e, di qui a pochissimo, dare inizio a una nuova era basata sull’adeguamento immediato degli organici attraverso l’assunzione dei precari, sull’identificazione di un’edilizia scolastica mirata su quanto esistente e recuperabile in modo rapido, sull’adeguamento degli strumenti per una corretta e moderna didattica. Occorre però il coraggio di metter mano “all’universo scuola” con l’obiettivo di farne una risorsa e un valore. Tutto il resto sono chiacchiere inutili che demoliscono il Paese. Noi abbiamo le idee chiare e siamo pronti al confronto a patto che esso sia scevro da interessi partitici e mirato solo ed esclusivamente al bene della scuola”.                  

   Federazione Nazionale UGL Scuola

Il Segretario Nazionale Orrnella Cuzzupi

24 E 25 SETTEMBRE SCIOPERO

UNICOBAS Scuola & Università

DI FRONTE ALLE INADEMPIENZE DEL GOVERNO
CHE RIAPRE LE SCUOLE NON IN SICUREZZA
GIOVEDI’ 24 E VENERDI’ 25 SETTEMBRE SCIOPERO
E MANIFESTAZIONE A LIVORNO IN PIAZZA GRANDE

Ministero ed Uffici Scolastici con l’organico di diritto hanno validato ancora le “classi pollaio”, non calcolando neppure il tasso di ripetenza. Il Ministero ha preso un’unica misura per l’anno scolastico 2020/2021: un solo metro fra le “rime buccali” (che consente persino 80 cm. di distanza fra i banchi): metro “statico” (neppure “dinamico”).
Ciò produce in media ben oltre 20 alunni per classe.
Ventiduemila assunzioni arriveranno SOLO per il prossimo anno, le altre latitano, come ancora il 15% di un organico assolutamente sotto-stimato. Più della metà dei posti chiesti in più dai Presidi in sede di organico di fatto viene in questi giorni negato dal Ministero, persino nelle scuole Primarie.
Manca almeno il 50% degli insegnanti di sostegno. In Belgio massimo 10 alunni con 4 metri quadrati a testa, per Germania e Regno Unito gruppi di 15 e separazione di 2 metri (previsti anche in Spagna). Per non assumere, dispongono ridicole “distanze” per la scuola, se messe a
confronto con un semplice esercizio postale o commerciale.

DI FRONTE A QUESTO SFASCIO DELLA SCUOLA PUBBLICA L’UNICOBAS CONFERMA GLI SCIOPERI E LE MANIFESTAZIONI DEL 24 E 25 SETTEMBRE CHE CI SARANNO IN TUTTA ITALIA
A LIVORNO IL 24 E IL 25 MATTINA MANIFESTAZIONE-PRESIDIO IN PIAZZA GRANDE (giovedì 24 h. 9-12,30 e 17-19,30 e venerdì 25 h. 9-12,30) PER VENERDI’ MATTINA ABBIAMO CHIESTO UN INCONTRO COL PREFETTO PER ILLUSTRARE LE NUMEROSE PROBLEMATICHE INERENTI ALLA RIAPERTURA DELLE SCUOLE

GOVERNO BOCCIATO: LE NOSTRE PRINCIPALI RIVENDICAZIONI:

-Ribadiamo ciò che abbiamo chiesto con forza, in presenza, al Governo Conte nel corso degli Stati Generali: massimo 15 alunni per classe ed assunzione di 240mila insegnanti (il terzo necessario in più per ridurre il numero di alunni per classe), molte più stabilizzazioni di quanto previsto, anche per il personale Ata e nella Scuola dell’Infanzia, escluso dai concorsi banditi.
-NO al precariato “usa e getta” (assunzioni a singhiozzo con licenziamento previste dal Ministro Azzolina in caso di nuovo lockdown).
-Le linee guida e le indicazioni del Cts sono confuse e contraddittorie, non garantiscono né sicurezza, né buona didattica.
-Troppo pochi gli investimenti strutturali, senza un radicale cambiamento di orientamento delle ormai trentennali scelte politiche di impoverimento e dequalificazione della scuola. La Scuola deve venir posta al centro di un vero progetto di ripresa del Paese.
-Stabilizzazione diretta degli specializzati di sostegno,
-Assunzione di almeno 50mila collaboratori scolastici e 20mila fra personale di segreteria e tecnici.

Mattarella a Vo’: «Non ci si può dividere sulla scuola»

da Il Sole 24 Ore

di Lina Palmerini

Il senso del suo discorso e della sua presenza a Vo’ Euganeo, nel giorno in cui si torna ai banchi dopo sei mesi di chiusura ,sta in quell’ultima frase. «Conosco i ritardi e le difficoltà e so bene che vi saranno inevitabili polemiche. So anche che vi sono risorse limitate. Ma un Paese non può dividersi sull’esigenza di sostenere e promuovere la sua scuola». È questo il passaggio in cui Sergio Mattarella cerca di cambiare il clima da ring che si è creato sul ritorno in classe tra maggioranza e opposizione e tra i vari protagonisti, istituzionali e non. «Alla riapertura guarda tutto il Paese e a questo impegno è chiamata la Repubblica, in tutte le sue istituzioni statali: le Regioni, i Comuni: ciascuno ha una parte di sua competenza da svolgere». Dal punto di vista politico, dunque, c’è di nuovo collaborazione istituzionale con il Governo e con la ministra Azzolina. Non si sente, insomma, quell’aria di gelo – come pure alcuni tra le quinte suggeriscono – con il Conte II.

Ma in questo sostegno non c’è alcun tentativo di nascondere quello che non va o potrebbe non andare. E tra i suggerimenti che arrivano al premier e ai suoi ministri, il primo riguarda il Recovery Fund. «La nostra partecipazione al programma Next Generation Eu è una straordinaria opportunità che non possiamo perdere. Un’occasione anche per un vero rilancio della scuola». E poi cerchia in rosso quattro capitoli su cui l’Esecutivo e il ministero sono in ritardo: insegnanti di sostegno, tempo pieno, reclutamento dei professori per la carenza storica di personale dopo anni in cui non sono stati programmati i concorsi necessari, divario digitale. Problemi pratici, su cui il Governo deve dare risposte ma intorno ai quali, secondo Mattarella, deve vivere un mondo di valori, di senso civico, di solidarietà che le scuole devono alimentare. Il simbolo di questi valori per il capo dello Stato oggi è Willy, pestato a morte per aver difeso un amico. «Siamo sconvolti per la sua morte. Il suo volto sorridente resterà come un’icona di amicizia e di solidarietà, che richiama i compiti educativi e formativi della scuola e dell’intera nostra comunità».

E poi ritorna alle fasi in cui è stata presa la decisione più «dolorosa» ma necessaria di chiudere le aule. Una fase di sofferenza per tutti gli alunni ma non tutti hanno pagato allo stesso modo quel distacco. «A subire le conseguenze più pesanti sono stati gli studenti con disabilità. Nella ripartenza, l’attenzione a questi studenti deve essere inderogabile, a cominciare dall’assegnazione degli insegnanti di sostegno». E poi l’altra grande sfida che l’emergenza-Covid ha messo sui banchi è quella tecnologica, fattore nevralgico di uguaglianza. «Hanno sofferto pesanti esclusioni i ragazzi senza computer a casa, quelli che erano privi di spazi sufficienti, coloro che già vivevano una condizione di marginalità. Dobbiamo evitare che il divario digitale diventi una frattura incolmabile. C’è l’urgenza e l’assoluta necessità di disporre della banda larga ovunque nel Paese».

Un tema che è sul tavolo del Conte II così come lo è quello più urgente dei concorsi per colmare i vuoti d’organico. «Da anni è carente un’adeguata programmazione del reclutamento degli insegnanti». Non solo. Serve dare un peso sociale diverso agli insegnanti. «Dobbiamo fare in modo che i migliori laureati abbiano come obiettivo l’insegnamento. Professione di valore e gratificante, che deve riscuotere il dovuto riconoscimento sociale». Infine, ma non ultimo, il problema del tempo pieno. «La riapertura avverrà inevitabilmente con carattere di gradualità ma con l’obiettivo, irrinunciabile, di assicurare il tempo pieno che, per molti alunni e tante famiglie, è strumento di eguaglianza e garanzia di opportunità».


La partita delle nomine per le cattedre resta la grande sfida

da Il Sole 24 Ore

di M.Lud.

La scuola riparte, palazzo Chigi sottolinea lo sforzo compiuto in piena emergenza Covid-19. Ma incognite e incertezze, da sempre in prima linea a ogni inizio dell’anno scolastico, stavolta sono e pesano di più. In primis la carenza dei docenti: 100mila, secondo alcune stime, circa 150mila in base al Sole 24 Ore del lunedì. Poi ci sono le variabili imprevedibili dei contagi e della sicurezza sanitaria: per ora, tuttavia, solo pochi casi isolati. La fornitura di mascherine negli istituti scolastici si dimostra finora efficiente. Le procedure di prevenzione, invece, stressano la vita scolastica in ogni classe: si vedrà se la distanza del «metro tra le rime buccali» tra studente e studente sarà efficace, di certo è impossibile rispettarlo al 100 per cento.

A Palazzo Chigi ieri per la scuola si riunisce mezzo governo: oltre al presidente del Consiglio Giuseppe Conte – in mattinata ha accompagnato il figlio Nicolò in una scuola romana vicino piazza Mazzini – ci sono i ministri Lucia Azzolina (Istruzione), Roberto Speranza (Salute), Francesco Boccia (Affari Regionali), il commissario Domenico Arcuri e il capo della Protezione civile Angelo Borrelli. Nel comunicato finale Conte sottolinea come «la scuola è ripartita e le attività scolastiche sono riprese in modo ordinato, nel rispetto delle regole sanitarie». E specifica: «A oggi sono state fornite gratuitamente 136 milioni di mascherine chirurgiche nelle scuole di tutta Italia e 445mila litri di gel igienizzante. Ogni giorno verrà assicurata la distribuzione gratuita di una mascherina chirurgica ad ogni studente. La distribuzione proseguirà con cadenza settimanale». Per la fornitura dei banchi monoposto, aggiunge il comunicato, «in dieci giorni sono stati messi a disposizione 200 mila banchi, pari alla stessa quantità che ordinariamente viene prodotta in Italia in un anno intero. Entro fine ottobre saranno distribuiti agli istituti scolastici 2 milioni di banchi monoposto e 400mila sedute innovative».

I banchi monoposto al momento sono, in base ad alcune stime, il 10% di quelli necessari. A Genova scoppia la polemica per una classe dove gli studenti sono in classe in ginocchio e interviene anche il governatore Toti ma il dirigente scolastico garantisce che da oggi ci saranno i banchi e parla di un equivoco. Resta poi l’incognita delle presenze nel trasporto pubblico così come, davanti agli istituti, c’erano assembramenti evidenti di genitori in attesa all’uscita dei propri figli.

Ma la vera criticità, la più ardua da risolvere perchè annosa e costosa, è quella della carenza dei docenti. Da integrare con l’incertezza della loro presenza in caso di necessità di Dad, l’ormai famosa didattica a distanza, non obbligatoria: potrà diventarlo solo con un’integrazione alla disciplina del contratto. Il rischio, insomma, di carenze nell’insegnamento a distanza, anche gravi, già verificatosi l’anno scorso, può ripetersi.

Ma, soprattutto, al di là delle stime tra i 100mila e i 150mila docenti mancanti, è proprio la partita delle nomine nelle cattedre la grande sfida del ministero dell’Istruzione e dell’efficienza della qualità delle scuole pubbliche. «Abbiamo un turn over di 60-70mila insegnanti da colmare» ricorda Mario Rusconi, numero uno dell’Associazione nazionale presidi del Lazio.

Ma, aggiunge, «dobbiamo terminare i concorsi per i dirigenti amministrativi, il personale Ata, per gli ispttori parliamo di procedure lunghe oltre sette anni». E per gli stessi dirigenti scolastici «le prove sono mnemoniche quando invece si dovrebbe valutare il curriculum di un docente che partecipa a un c0oncorso, le sue esperienze nella scuola ormai sempre più richieste». Il timore è invece che a fronte di un concorso a cattedra con decine se non centinaia di migliaia di concorrenti con le procedure Covid-19 tutto vada a rilento. E le nomine a cattedra continuano a farsi attendere.

Le scuole riaprono con il doppio rebus tamponi e banchi

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

L’Alto Adige ha già riaperto le scuole. E ieri lo hanno seguito le altre Regioni italiane. Tranne il Friuli Venezia Giulia, dove la prima campanella suonerà il 16, e i territori che hanno deciso di scavallare l’election day del 20 e 21 settembre: la Sardegna, che ha optato, per il 22; la Basilicata, la Calabria, la Campania e la Puglia, che hanno scelto il 24. Già questa divergenza di date la dice lunga su quanto sia stato complicato organizzare il rientro in classe di 8 milioni di studenti italiani dopo 6 mesi di chiusura, tra lockdown e vacanze. Perché se è vero che il calendario scolastico è sempre stato di competenza regionale stavolta, vista l’emergenza, ci si era orientati su una data unica. E quasi tutti i governatori l’avevano accettata. Fino alle retromarce degli ultimi giorni. Ma se l’inzio delle lezioni è certo, il prosieguo lo è un pò di meno. Complici i rebus che saranno risolti solo dopo la riapertura: dai tamponi per i supplenti (ed eventualmente per gli alunni) ai prof che mancano fino agli spazi esterni da affittare e ai banchi monoposto da consegnare.

I punti fermi (e non)

La certezza principale è che tutte le scuole riapriranno e si presenteranno rinnovate rispetto al 5 marzo quando le attività didattiche in presenza sono state sospese ovunque per la pandemia. Non sono mancate le novità: ingressi e uscite differenziate, orari scaglionati per ordine di scuola o per singola classe, cartelli e indicazioni per il distanziamento, banchi singoli anziché doppi, dispensatori di igienizzanti e mascherine distribuite all’ingresso («Si provvederà a continuare a distribuire 11 milioni di mascherine chirurgiche al giorno, per la totalità degli studenti e del personale docente e non docente, nonché 170.000 litri di gel igienizzante per settimana», ha ricordato il commissario straordinario Domenico Arcuri in una recente lettera ai dirigenti scolastici).

Per accedere all’edificio bisogna avere misurato la febbre a casa (ma alcune scuole si stanno dotando di termoscanner) e non aver più di 37,5 così come non avere sintomatolagia respiratoria o essere stati a contatto con persone in quarantena. Ma proprio la gestione di eventuali quarantene nelle scuole rappresenta uno dei principali punti interrogativi. Pur essendo già stabilito che ogni scuola abbia un responsabile Covid-19 e una procedura di isolamento da seguire se c’è un sospetto di positività in classe, non si può dire in partenza quanti contagi serviranno per disporre la chiusura dell’istituto (verrà deciso dall’Asl). Che non si tratti di un’ipotesi peregrina lo dimostrano i lockdown di singole scuole che si stanno verificando in Francia o Germania. Con un punto fermo però: i genitori di un minore di 14 anni positivo hanno diritto allo smart working o al congedo retribuito.

Degni di nota, tra i punti meno fermi, è innanzitutto la somministrazione volontaria dei test sierologici agli insegnanti (a cui deve seguire obbligatoriamente il tampone entro 48 ore per i positivi) – che in una prima fase ha riguardato solo i prof di ruolo. Mentre per gli studenti , al momento in cui questa Guida è andata in stampa, si stava ragionando di test rapidi per tutti gli alunni in caso di contagio così da limitare le chiusure forzose. In questa sede ci limitiamo a citare il caso dei banchi monoposto. Alcune scuole hanno già risolto, perché l’ente locale proprietario si è mosso per tempo o perché sono già state raggiunte dalla fornitura gestita da Arcuri (2,4 milioni di sedute) ; altre lo saranno entro fine mese (se primarie) o solo a fine ottobre (le superiori del Sud). Ai presidi la scelta di usare le semplici sedie per le lezioni frontali o – per le sole secondarie di II grado – il collegamento via web.

Le novità in arrivo

A rendere speciale l’anno scolastico 2020/21 non c’è però solo la pandemia. Almeno due le novità da segnalare in partenza. Da un lato, l’introduzione dell’educazione civica obbligatoria (inclusa quella ambientale o digitale) per 33 ore annuali nelle scuole di ogni ordine e grado. Dall’altro, il ritorno dei giudizi alle elementari. Ma solo a giugno perché – per una dimenticanza del legislatore – nel primo quadrimestre restano i voti. E anche questa è la scuola italiana.

Il difficile non è riaprire ma mantenere l’apertura

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

È dall’8 aprile che il Governo lavora al ritorno in classe dei nostri studenti. Quei giorni ce li ricordiamo tutti: eravamo in pieno lockdown, le terapie intensive traboccavano di pazienti, la curva dei contagi e dei morti dovuti al Covid -19 era ancora alta, le scuole erano chiuse da oltre un mese e ancora non si sapeva quando avrebbero riaperto. Ma il Governo correva ai ripari con un decreto che, da un lato, metteva in sicurezza gli esami di maturità del 2019/20 e, dall’altro, già guardava al 2020/21. Affidando alla ministra Lucia Azzolina il compito di decidere con ordinanza su tante questioni aperte: dalla data di rientro in classe ai corsi di recupero; dalla proroga di 12 mesi dei libri di testo alla nuova tempistica delle assunzioni. E un paio di settimane dopo veniva anche nominata una task-force, guidata da Patrizio Bianchi, con il compito di lavorare alla riapertura.

Da allora sono passati oltre 5 mesi. Il lockdown è finito. I nuovi casi di coronavirus nel nostro paese sono prima calati e poi, dopo le movide e gli assembramenti agostani (in Italia e all’estero), di nuovo cresciuti. Le ordinanze ministeriali sono arrivate. Gli esperti sono stati salutati. E la scuola è ancora chiusa. Ma si appresta a riaprire con i punti fermi e le incertezze che questa Guida prova a raccontare nel dettaglio. Nel frattempo il decreto di aprile è diventato legge – seppure tra aspri contrasti dentro e fuori la maggioranza, ad esempio sui concorsi da 78mila posti, che ancora oggi lasciano strascichi – e almeno altri tre Dl (Rilancio, Semplificazioni e Agosto) sono intervenuti sull’avvio del nuovo anno. Con i risultati che ognuno di noi, da genitore, docente, studente o semplice osservatore, scoprirà a partire da dopodomani quando la prima campanella suonerà quasi ovunque.

Per come è stata pensata, con al centro l’autonomia scolastica, la ripartenza inevitabilmente divergerà da istituto a istituto. Ogni preside, dopo essersi consultato con l’ufficio scolastico territoriale, l’ente locale proprietario e l’autorità sanitaria, ha scelto la strada da seguire per assicurare il distanziamento di un metro e garantire il rientro tra i banchi in sicurezza: doppi turni, ingressi e uscite scaglionati, gruppi spalmati su più aule (alcune volte contigue, altre distanti), tensostrutture, prefabbricati, spazi in affitto in parrocchie, università, teatri, padiglioni fieristici e – alle superiori – lezioni in parte miste e in parte a distanza. Sulla base di un piano organizzativo che in molti casi dovrà comunque essere rivisto, considerando che le nomine dei supplenti sono ancora in corso e che la consegna dei nuovi banchi proseguirà a ottobre.

Per i dirigenti scolastici trovare la quadra non è stato facile. E non solo per la “spada di Damocle” della responsabilità penale in caso di contagio sopravvenuto che pende sulla loro testa. Ma anche per la mole di fonti (normative e non) da tenere presenti: il piano scuola 2020/21, il protocollo per la riapertura in sicurezza, l’ordinanza per la didattica digitale integrata, le linee guida (con annesso protocollo di sicurezza) per la classe 0-6 anni. E poi i verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts) e i rapporti dell’Istituto superiore di sanità (Iss). O ancora le circolari dei ministeri dell’Istruzione e della Salute, negli ambiti di rispettiva competenza, e le note degli uffici scolastici territoriali. Atti quasi sempre preceduti o seguiti da indiscrezioni e smentite sui media (si pensi solo al plexiglass nelle aule o ai banchi a rotelle) o accompagnati dalle immancabili polemiche politiche. A ogni livello: tra il governo e l’opposizione, tra il centro e la periferia, tra la ministra e una parte della maggioranza, tra il ministero e i sindacati. Perfino all’interno di viale Trastevere con un sottosegretario (Giuseppe De Cristofaro, LeU) che, nel bel mezzo del tourbillon organizzativo per il nuovo anno, si è spostato al dicastero “cugino “ guidato da Gaetano Manfredi (Università).

Uno spirito molto diverso da quell’“Uniti ce la faremo” riecheggiato quasi ovunque durante le fasi più dure della pandemia. Speriamo che un po’ tutti lo recuperino almeno adesso perché, a giudizio di molti esperti di cose scolastiche, il difficile non è tanto riaprire le scuole quanto mantenerle aperte. I focolai e i cluster già all’orizzonte rischiano di trasformarsi in “tanti piccoli fuochi” dell’omonimo brillante romanzo di Celeste Ng. Ma è un pericolo che non possiamo correre perché l’incendio trasformerebbe in cenere i bisogni e i sogni dei più giovani. Che si vedrebbero privati di un altro anno di scolarizzazione e, dunque, di un altro spicchio di futuro.

Già partiti corsi di recupero e collegi docenti (ma a distanza)

da Il Sole 24 Ore

di Laura Virli

Lo scorso anno scolastico è stato sconvolto dall’emergenza coronavirus; per questo motivo agli scrutini di giugno, in ossequio a direttive ministeriali, pressoché nessuno ragazzo è stato bocciato, ed è stato spostato all’anno scolastico il 2020-2021 il recupero degli obiettivi di apprendimento non raggiunti dagli studenti. I dirigenti scolastici sono stati chiamati, pertanto, nell’esercizio del potere organizzativo loro riconosciuto dalle vigenti norme, a seguito della delibera del collegio dei docenti, a definire con propri atti le procedure di espletamento delle attività di recupero e integrazione.

I corsi di recupero per Pai e Pia

Agli scrutini di giugno, per ogni studente ammesso alla classe successiva con insufficienze in una o più materie, è stato, previsto un Piano di apprendimento individualizzato (Pai), allegato alla pagella, con l’indicazione, per ciascuna disciplina, degli obiettivi di apprendimento da recuperare il prossimo anno.

Inoltre, per tutti gli studenti di ogni classe è stato predisposto dal consiglio un Piano di integrazione degli apprendimenti (Pia) con i contenuti eventualmente non svolti per ogni disciplina, a causa del rallentamento delle lezioni svolte a distanza, rispetto alla programmazione iniziale.

Le attività ordinarie relative al piano di integrazione degli apprendimenti, e al piano di apprendimento individualizzato, hanno avuto inizio a decorrere dal primo settembre 2020. Ove necessario, proseguiranno per l’intera durata dell’anno scolastico 2020/2021, secondo criteri generali deliberati dal collegio dei docenti. Gli studenti potranno recuperare attraverso l’utilizzo di numerose strategie didattiche che il collegio docenti ha stabilito nelle riunioni che si sono tenute tra giugno e i primi di settembre. Come si svolgeranno questi corsi di recupero? Varie le modalità organizzative.

Qualche scuola ha programmato, già dal 1° settembre, i recuperi utilizzando le frazioni orarie che saranno perse dalla riduzione dell’orario giornaliero annuale in attuazione della flessibilità didattica e organizzativa prevista dall’autonomia scolastica. Ad esempio, se le ore di lezione fossero da cinquanta minuti, i dieci minuti persi, sommati, formano dei pacchetti che possono essere ridati agli studenti sotto forma di attività di recupero svolte dai docenti, prima dell’inizio delle lezioni o nel corso dell’anno. In questo caso i docenti non vengono retribuiti con fondi aggiuntivi perché svolgono le attività all’interno del loro monte orario di servizio. Dalla lettura attenta delle regole ministeriali, ordinanza n. 11 del 16 maggio 2020, si deduce, infatti, che questi interventi di recupero debbano intendersi quale attività didattica ordinaria da collocarsi nell’alveo degli adempimenti contrattuali ordinari correlati alla professione docente e non automaticamente assimilabili ad attività professionali aggiuntive da retribuire con emolumenti di carattere accessorio.

Ciò, come si legge nella nota ministeriale n. nota n.1494 del 26 agosto 2020, vale però, solo per il periodo intercorrente tra il 1 settembre 2020 e l’inizio delle lezioni ordinamentali, come previsto dai calendari regionali.

Qualora non fosse possibile declinare le attività nella modalità dell’ordinaria attività didattica all’interno dell’orario di cattedra spettante al singolo docente e, comunque, qualora le attività di recupero e integrazione dovessero proseguire dopo l’inizio delle lezioni, dovendo ricorrere alla prestazione di ore aggiuntive da parte del docente, i dirigenti scolastici, sulla base della contrattazione integrativa di istituto, attingeranno per il pagamento di tali prestazioni in eccedenza sia alle eventuali economie delle risorse del fondo dell’istituzione scolastica (Fis) riconosciuto per l’anno scolastico 2019-2020, che a quello ordinario 2020-2021. In pratica, qualora i collegi abbiano deliberato attività di recupero pomeridiane a partire dall’inizio delle lezioni, soprattutto nei casi in cui non sono ancora stati completati i protocolli di sicurezza per la prevenzione del contagio, i docenti individuati o resisi disponibili saranno retribuiti extra stipendio mensile qualora abbiano effettuato l’intero orario di cattedra settimanale.

I primi collegi post-Covid

Molte le scuole in cui la scelta organizzativa del dirigente è stata di svolgere ancora le riunioni a distanza, almeno fino al termine dell’emergenza sanitaria prevista per il 15 ottobre 2020. Questo per ragioni di cautela, tenuto conto la responsabilità che ricade sui presidi nel caso di contagio del personale. E soprattutto quando i locali adibiti alle riunioni collegiali non permettono il corretto distanziamento sociale pre contagio. Altri presidi più coraggiosi si sono avventurati in riunioni in presenza, al fine di dare un segnale di ritorno alla normalità, naturalmente sempre nel rispetto delle misure di prevenzione dettate dal Cts.

Ma cosa si sta deliberando in questi giorni? Intanto la scelta del tempo scuola. Trimestri, quadrimestri o pentamestri? Poi il piano delle attività, le modalità di ricevimento delle famiglie, le modalità di svolgimento dei Pia e dei Pai. Uno spazio di discussione importante in seno ai collegi sarà dedicato alla elaborazione della programmazione per l’insegnamento dell’educazione civica, neonata disciplina trasversale, in linea con la legge n. 92/2019.

Saranno oggetto di delibera anche il Piano per la didattica digitale integrata e il piano di formazione annuale. Nelle scuole superiori si metterà anche mano alle linee guida per la scuola-lavoro (Pcto), prevedendo anche attività da svolgere on line. Non si prevede, invece, alcun spazio per delibere su viaggi di istruzione, almeno finché l’emergenza sanitaria non diventerà che un brutto ricordo.

Dalla lotta al virus occasione storica per avere scuole migliori

da Il Sole 24 Ore 

di Lucia Azzolina

Quella che si sta per aprire non è solo una nuova stagione scolastica, carica delle sue abituali attese ed ansie, dei suoi riti. È una pagina tutta nuova da scrivere nella storia della nostra scuola, che non è mai stata così tanto al centro dell’attenzione del Paese: nei mesi della chiusura, tutti ne hanno finalmente riscoperto l’importanza.

Alla ripresa delle lezioni siamo davanti ad una svolta. E sta a noi cogliere questa occasione. Possiamo infatti affrontare questo settembre e questo anno scolastico come una ripresa da mettere semplicemente “sotto osservazione”, perché c’è un virus da tenere sotto controllo, ci sono i contagi da monitorare, precise regole da far rispettare. Oppure possiamo proseguire quel cammino, intrapreso già durante il periodo della didattica a distanza, per accelerare l’innovazione di un sistema che ha bisogno di semplificazioni, di maggiori certezze, di formazione di qualità per tutto il suo personale, di risorse per migliorare gli spazi, per dare più opportunità alle studentesse e agli studenti.

Come Governo non abbiamo dubbi: siamo pronti a cogliere questa sfida. Abbiamo le idee e il coraggio per realizzarle. Guardiamo all’immediato: apriremo le scuole, lo faremo in sicurezza. Lo sforzo collettivo fatto da tutti coloro che si sono adoperati per la ripresa ha dato i suoi frutti. Ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che il rischio zero non esiste. E che servirà rispettare con attenzione le regole previste dalle autorità sanitarie e attuare tutti i Protocolli che sono stati messi a punto. La stessa responsabilità dovremo averla anche fuori dalle aule.

Stiamo ridando la scuola a 8,5 milioni di ragazze e ragazzi. Perché era un dovere morale farlo e perché, nonostante le tante Cassandre che hanno cercato di pronosticare il peggio, il mondo dell’Istruzione ha saputo dare grande prova di resilienza, ha lavorato a testa bassa per questo obiettivo. Lo ha fatto per tutta l’estate. C’è stata in queste settimane la collaborazione di tutti: dirigenti scolastici, insegnanti, personale Ata, studenti, genitori, organizzazioni sindacali, associazioni che rappresentano gli alunni con disabilità, amministrazioni locali, scuole paritarie. Si vince solo se si lavora tutti insieme. Lo abbiamo fatto. Continueremo in questa direzione.

Il Paese sarà fiero della scuola, dovrà esserlo. Non tutto sarà perfetto, ma dovremo avere la consapevolezza di quanto è stato fatto. Continueremo a spiegarlo alle famiglie, al personale. Ribadiremo che nessuno è stato lasciato solo, che la stagione dei tagli è finita, che sono stati messi 2,9 miliardi solo per la ripresa, che stiamo consegnando 2,4 milioni di banchi in tutta Italia. Un’impresa criticata, ma che, di fatto, rappresenta un investimento storico: mai lo Stato aveva messo tanti soldi sull’arredamento scolastico, con tempi così celeri di intervento. I banchi stanno arrivando. Così come gli Enti locali stanno completando le opere di edilizia leggera, finanziate questa estate con 330 milioni, e hanno trovato nuovi spazi per gli istituti, grazie ai 104 milioni investiti per gli affitti di edifici alternativi e per la loro sistemazione. Alle scuole abbiamo dato 70mila in più fra docenti e Ata per questa ripresa così eccezionale dopo i mesi della chiusura.

Abbiamo una documentazione completa, fatta di un preciso Piano per la ripartenza, consegnato a giugno, di Protocolli di sicurezza, di documenti sanitari. Siamo l’unico Paese in Europa ad aver fatto tanti investimenti e ad aver seguito, passo dopo passo, l’andamento dell’epidemia, aggiornando costantemente il piano d’azione. Tanto è stato fatto. Ma non ci fermeremo. Come dicevo poco fa abbiamo idee per la scuola del futuro e il coraggio per realizzarle. Soprattutto abbiamo la voglia di farlo. Sarebbe un delitto sprecare l’occasione di rilanciare l’Istruzione proprio ora che tutti, ma davvero tutti, ne hanno compresa la centralità.

La scuola non si è mai fermata, ma la lontananza dalle aule è pesata ad un Paese intero, ora davvero consapevole di quale potente strumento l’Istruzione rappresenti nelle vite di ciascuna bambina e ciascun bambino. La conoscenza è fondamentale per guardare con fierezza e sicurezza al proprio futuro. Alla scuola ciascuno di noi deve molto. Quando la scuola chiude, la società perde un pilastro. Per questo la scuola merita più di quanto avuto in questi anni. Come Governo abbiamo un obiettivo preciso, da raggiungere in tempi certi anche grazie alle risorse in arrivo dall’Europa, quelle del Recovery Fund: dotare il nostro Paese di scuole migliori, più sicure e funzionali alle esigenze di studentesse e studenti.

Abbiamo cominciato la nostra battaglia contro le classi sovraffollate, nate da scellerate norme approvate nel 2008, i famosi tagli alla scuola che ancora oggi pesano sul mondo dell’Istruzione. La porteremo avanti. Così come continueremo a lavorare sull’innovazione didattica e la formazione di tutto il personale, senza dimenticare la lotta ad ogni forma di povertà educativa e il contrasto alla dispersione scolastica. Per una scuola al passo con i tempi, nella quale nessuno resti indietro e che possa davvero offrire il meglio ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, che li metta al primo posto, che sia per loro una casa in cui crescere, formarsi, diventare cittadini consapevoli.

Continueremo a digitalizzare tutti i processi amministrativi. Quest’estate abbiamo cominciato con le graduatorie dei supplenti e le immissioni in ruolo. Sono innovazioni che consentono più trasparenza, più controlli e una maggiore rapidità nelle operazioni. Il cammino è tracciato. La rotta sugli investimenti invertita: da gennaio ad oggi abbiamo mobilitato oltre 6 miliardi sull’Istruzione .Nei prossimi giorni riapriremo le scuole, affidandoci alle autorità sanitarie per la gestione dei casi sospetti, soprattutto consentiremo a studentesse e studenti di riprendere la loro vita e il loro studio in modo pieno. Ci confronteremo sulle criticità. Le affronteremo, come è normale che sia. Rimetteremo in moto la scuola. E poi guarderemo al futuro. Lo faremo subito, abbiamo già cominciato. Perché non c’è tempo da perdere. La scuola non può più aspettare.

Responsabilità penale da rivedere come avvenuto per l’abuso d’ufficio

da Il Sole 24 Ore 

di Antonello Giannelli

Il Sole 24Ore ha ospitato, pochi giorni fa, un mio intervento in materia di responsabilità penale datoriale che, come è noto, coinvolge direttamente anche i dirigenti delle scuole. Da molto tempo, come Anp, chiediamo di rivedere tale responsabilità per renderla sostenibile da parte dei colleghi. I nostri appelli, ben antecedenti all’inizio dell’emergenza Covid-19, sono purtroppo rimasti inascoltati da tutti i Governi succedutisi negli anni.

È pur vero che l’articolo 29-bis del decreto “liquidità”, introdotto in sede di conversione in legge, ha limitato – relativamente alla sola emergenza Covid-19 – la responsabilità civile datoriale di cui all’articolo 2087 del codice civile, precisando che l’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori si intende assolto mediante la (sola) applicazione delle prescrizioni contenute nei vari protocolli condivisi di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del contagio.

Ma, a parte la limitata efficacia temporale di tale disposizione, il profilo penale datoriale è rimasto invariato. L’Anp ha suggerito alcune ipotesi di intervento legislativo di depenalizzazione, sulla scorta di quanto previsto per le professioni sanitarie ex art. 590-sexies del codice penale, per scusare la colpa lieve per imperizia in caso di infortunio. Vi sono varie ragioni alla base di tale richiesta: 1) il numero di competenze necessarie per gestire la sempre crescente complessità degli ambienti di lavoro – e delle scuole in particolare – è molto elevato e continua ad aumentare in virtù del progresso scientifico-tecnologico; 2) l’eterogeneità di tali competenze è estrema, in quanto spazia dalla logistica all’elettrotecnica, dalla tossicologia alla virologia, dall’acustica alla radioattività ma l’elenco è di fatto illimitato; 3) il livello di specializzazione richiesto per ciascuna competenza è parimenti crescente. Una tale mole di perizia non può essere posseduta ed esercitata quotidianamente da alcun dirigente scolastico – o da alcun piccolo imprenditore – nemmeno avvalendosi del supporto del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e del medico competente.

Non chiediamo alcuno “scudo penale”, infelice espressione generalmente riferita a soggetti che, dopo aver commesso reati di vario genere, si ravvedono per ragioni opportunistiche e, in cambio di ingenti contropartite economiche, evitano la condanna penale. Come dirigenti dello Stato respingiamo con forza qualsiasi accostamento a figure di trasgressori in cerca di impunità. Al contrario, essendo costantemente impegnati per tutelare l’incolumità di alunni e personale, chiediamo solo quello che è giusto: che non sia qualificato come reato un sinistro determinato dalla impossibilità materiale di tenere sotto controllo tutte le cause che hanno concorso a produrlo.

La recentissima modifica del reato di abuso di ufficio, operata dall’articolo 23 del decreto “semplificazioni” offre spunti di riflessione molto interessanti e consente di ipotizzare un’analoga – mutatis mutandis – revisione della responsabilità in questione.

La nuova formulazione dell’articolo 323 del codice penale, infatti, precisa che la condotta commissiva dell’abuso d’ufficio va individuata nella «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità» mentre quella previgente riferiva tale violazione, ben più genericamente, alle «norme di legge e di regolamento».

Risulta evidente, quindi, l’intento del legislatore delegato di specificare meglio quali siano i precetti da osservare per non incorrere nel reato in questione. Questo modus operandi persegue, condivisibilmente, il duplice obiettivo di rendere più intellegibile la norma penale e, soprattutto, di aumentare l’efficacia di quei precetti. È proprio questo secondo aspetto, più che la ricerca del “capro espiatorio”, che interessa maggiormente la collettività e che costituisce, in definitiva, la vera ragione dell’esistenza del diritto penale.

Si potrebbe quindi procedere analogamente per riformare il profilo penale del datore di lavoro, introducendo nel codice penale un articolo che delimiti la responsabilità colposa in caso di infortunio alla fattispecie di violazione di regole di condotta specifiche. Tali regole, in analogia con quanto affermato dal nuovo art. 323 cp, dovrebbero essere previste da atti aventi forza di legge o da appositi protocolli condivisi che, in ogni caso, non dovrebbero consentire margini di discrezionalità.

Una simile prospettiva garantirebbe ai lavoratori la migliore tutela possibile, assicurata dall’adozione per tutti delle stesse regole antinfortunistiche – quelle di volta in volta più avanzate, in accordo al progresso delle conoscenze tecnico-scientifiche – e solleverebbe il datore dalla ricerca, non necessariamente coronata da successo, di soluzioni talvolta discutibili. Quale garanzia ulteriore potrebbe mai offrire un piccolo imprenditore – o un dirigente scolastico – rispetto a quelle previste da un protocollo generale, frutto dello studio dei migliori esperti del settore? La figura datoriale potrebbe così concentrarsi sulla rigorosa applicazione del protocollo e, così facendo, assolverebbe al proprio obbligo di garanzia.

Ci attendiamo che questa proposta trovi finalmente accoglimento: è compito della politica individuare una soluzione legislativa che coniughi l’esigenza della più ampia tutela dell’incolumità dei lavoratori con la possibilità, per i datori di lavoro, di operare serenamente e con la certezza di avere attuato le migliori misure antinfortunistiche.

Stop emergenza, la scuola torni priorità assoluta ogni giorno

da Il Sole 24 Ore 

di Gianni Brugnoli

Sta per cominciare il più difficile anno scolastico della storia recente. Forse, anzi, il più difficile dal Dopoguerra: quel drammatico periodo di ricostruzione in cui, tra le altre cose, nasceva il diritto allo studio per tutti, un diritto scolpito in quella carta fondamentale che i nostri Padri costituenti, sopravvissuti alle macerie di un’ignoranza diffusa, ci hanno lasciato in eredità.

È curioso, considerando la stretta attualità, che l’articolo 34 della Costituzione esordisca così: «La scuola è aperta a tutti». Ecco in questa crisi pandemica senza precedenti, il luogo istituzionale più prezioso rischia di restare chiuso, o comunque non aperto a tutti. Non sappiamo infatti cosa succederà dal 14 settembre in poi, quando più di 8 milioni di studenti dovranno tornare tra i loro banchi, rigorosamente, si fa per dire, monoposto. Forse, come spesso succede per gli italiani, alla fine troveremo la forza e l’energia, anche creativa, per dare seguito a quella frase – “andrà tutto bene” – che tanti bambini scrivevano sui loro cartelli esposti ai balconi, per colorare la loro “scuola” fatta in casa durante il lockdown.

Sta di fatto che ci si presenta davanti a quello che la politica ha chiamato più volte “priorità assoluta” del Paese, la riapertura delle scuole, con tante incognite che solo i prossimi giorni scioglieranno, sperando non diventino vere e proprie criticità. Ma visto ciò che è avvenuto (o non avvenuto) nei mesi scorsi sappiamo già, ed è una certezza, che o la scuola diventa priorità assoluta ogni giorno, oppure l’Italia continuerà a disperdere i suoi talenti.

Per ora l’unica sicurezza sono i banchi monoposto, il “feticcio” tanto celebrato negli ultimi mesi. Sappiamo anche che ci saranno 11 milioni di mascherine chirurgiche, record mondiale, ma pare sia possibile portare anche mascherine di stoffa. Abbiamo molti docenti che non sono messi in grado di fare i tamponi, e quindi garantire la sicurezza del nostro bene più prezioso, i giovani. Abbiamo, a dire il vero, anche docenti che si rifiutano a priori di fare i tamponi e i test sierologici. Abbiamo poi graduatorie inesatte, che comunque dovranno essere utilizzate. E dobbiamo chiamare centinaia di migliaia di supplenti che dovranno essere selezionati in fretta e furia. C’è poi il tema dei nuovi docenti: come verranno selezionati e, soprattutto, saranno valutati anche per le loro conoscenze informatiche? È probabile che si debba ancora ricorrere alla didattica a distanza. Siamo preparati a farlo? Il 12% di giovani che a marzo non avevano né PC né tablet per studiare da casa, è diventato lo 0%? Sono tutti connessi? Ancora: la febbre chi la misurerà? In alcune Regioni sarà la scuola, in altre, la maggior parte, toccherà alle famiglie: un gioco alla condivisione massima delle responsabilità che, in fondo, significa nessuna responsabilità.

È spaventosa l’ambiguità delle scelte e la palese mancanza di piani alternativi. Non è fare polemica osservare che l’unica strategia adottata sembri voler tornare, a tutti i costi, alle vecchie
abitudini. Come se il virus non ci
fosse mai stato.

I problemi della scuola italiana non nascono però con il Covid-19. Non è un caso che la scuola italiana si presenti così male davanti ad una crisi pandemica senza precedenti, ma anche davanti ad un periodo di profondo cambiamento tecnologico, innescato dal 5G, di cui ancora oggi non conosciamo tutte le enormi possibilità. Basti sapere che, durante la terribile crisi finanziaria 2008-2012, mentre tutti i paesi avanzati investivano in formazione del capitale umano, l’Italia sacrificava la scuola sull’altare della spending review.
Nel frattempo iniziavano a circolare i primi smartphone e il mondo era totalmente connesso, nelle nostre tasche, nel nome del 4G.

Il sistema di istruzione si è trovato impreparato, il Covid-19 è stato solo un severo giudice. E no, non sarebbero bastati soltanto più soldi. Sarebbe servita anni fa ma oggi più che mai, una visione. La scuola ha bisogno di una visione. Non ci stancheremo di ripeterlo. Tutti dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza e metterci al lavoro per costruire una scuola davvero aperta. Scuola aperta all’innovazione, con una didattica a distanza fatta come si deve, grazie alla selezione di insegnanti maestri di competenze Ict, mentre oggi solo 1 insegnante su 4 ha competenze informatiche minime. Scuola aperta alle imprese, con una alternanza scuola-lavoro che torna al centro dei curriculum, riconoscendo a tante imprenditrici e imprenditori l’impegno quotidiano nell’orientare giovani. Scuola aperta ai territori, con laboratori e spazi condivisi che permettono a tutta la cittadinanza, a partire dalle fasce più deboli, di avere una casa della conoscenza, con ad esempio corsi base di formazione digitale per anziani e per tutti coloro che si sentono fuori dal mondo “virtuale” che, tuttavia, è reale.

Siamo nell’era dell’intelligenza artificiale che sfida l’uomo. Costringe tutti a farsi domande e la scuola deve formare cervelli, mani e cuori per trovare delle risposte. Allora coraggio, nonostante tutto ce la faremo anche stavolta. Ma la vera lezione di questa pandemia, da insegnare-imparare già dal primo giorno, fuori e dentro le aule, è che l’istruzione è il bene comune più prezioso di tutti e che serve programmazione. Serve, già oggi, rimettere al centro dell’agenda la riforma dell’intero sistema educativo affinché diventi primo motore di sviluppo della nostra società. E magari troveremo anche la coesione per rinnovare la Costituzione aggiungendo, da degni figli della Repubblica Italiana, una parola in più, molto semplice, a quel meraviglioso articolo 34: «La scuola è aperta a tutti. Sempre».

Le tre urgenze: reclutamento, didattica, edilizia scolastica

da Il Sole 24 Ore 

di Andrea Gavosto

Le scuole provano a ripartire. Fra mille difficoltà: alcune inevitabili per la natura stessa delle dinamiche del contagio; molte altre evitabili, ma causate da una gestione tardiva, incerta e litigiosa da parte di governo, regioni, amministrazioni locali, sindacati ed esperti. Ancora maggiori – alla luce di un’emergenza sanitaria che resta assai minacciosa e non finirà a breve – saranno le difficoltà a dare al nuovo anno scolastico efficacia e continuità, evitando che focolai epidemici circoscritti inneschino “effetti a catena” e portino così a nuovi lockdown estesi, con conseguenze educative, sociali ed economiche ancora più gravi. Di tutto ciò, con ricchezza di analisi, parla questa Guida.

La preoccupazione per i problemi generati dal Covid non deve, però, farci dimenticare che la scuola italiana soffre da tempo di criticità importanti che la pandemia non ha creato. E che non scompariranno quando l’emergenza sarà finita. Diffido delle narrazioni buoniste, secondo le quali il Covid è un’occasione per migliorare la scuola italiana. Certo, presto avremo abbondanza di fondi europei da investire in istruzione. Ma l’Italia ha spesso dato dimostrazione di non sapere utilizzare le risorse a disposizione.

La principale criticità della scuola in Italia riguarda ovviamente la qualità degli apprendimenti degli studenti, inferiore a quella degli altri paesi avanzati. La dispersione scolastica è solo la punta dell’iceberg: oltre alla scomparsa di troppi ragazzi dai radar della scuola e della formazione professionale, ne abbiamo infatti un terzo che, pur conseguendo il diploma, non sa abbastanza per un lavoro e una vita sociale soddisfacenti. La grave perdita di apprendimenti generata dal lockdown può essere la goccia che fa traboccare il vaso, ma il vaso era già colmo ben prima.

E ben prima del Covid erano chiari anche i tre ingredienti principali – non gli unici – di una possibile ricetta per migliorare gli apprendimenti nel nostro Paese: un nuovo modello di reclutamento e di carriera degli insegnanti, una didattica rinnovata nel contesto di una scuola estesa al pomeriggio, interventi sostanziali sull’edilizia scolastica.

Il meccanismo di reclutamento arranca da anni e ora si è inceppato: in molte materie e regioni non si trovano più insegnanti con le giuste qualifiche e capacità didattiche verificate. Questo mismatch disciplinare e territoriale ogni anno lascia scoperte sempre più cattedre di ruolo rispetto alle disponibili (quest’anno due terzi o poco meno delle 85mila autorizzate). Di conseguenza, ogni anno cresce patologicamente il numero di supplenti: quest’anno 250mila, ma senza il Covid sarebbero comunque stati 200mila; la risposta classica sono periodiche sanatorie, nelle quali si assumono docenti per sola anzianità di servizio, senza che mai ne siano state verificate le competenze. Cambiare è necessario, ma difficile. La situazione è forse troppo deteriorata per un ritorno all’antico, cioè a un regolare e selettivo regime di concorsi pubblici. D’altra parte, la chiamata diretta del docente da parte delle scuole, che è adottata in molti paesi, per il momento non convince il mondo della scuola ed è osteggiata dai sindacati.

Una volta in ruolo, gli insegnanti hanno pochi stimoli a migliorarsi. A differenza di qualunque altra organizzazione, la scuola non offre un percorso di sviluppo a chi si impegna, a chi ha doti di leadership e a chi dimostra di saper progredire nel suo mestiere. In assenza di una carriera, diventa difficile attrarre all’insegnamento i miglior laureati nelle varie materie.

Che la didattica in Italia sia arretrata – specie nelle secondarie, dove la lezione ex cathedra resta prevalente – sono gli stessi docenti a riconoscerlo nelle indagini, anche se poi pochi si sforzano di rinnovarla. Gli incentivi a investirvi scarseggiano, ma soprattutto nel nostro Paese l’importanza di “come” si insegna è da sempre ignorata. Con la complicità del sistema universitario, sopravvive la falsa convinzione che se sai le cose, sai anche insegnarle. Ciò avviene sia in fase di formazione iniziale dei docenti – pochissima preparazione teorica alla didattica, inesistente quella pratica – sia a carriera avviata, durante la quale l’aggiornamento incomprensibilmente non è obbligatorio. Il caso della didattica a distanza durante il Covid è emblematico di un modo d’agire ricorrente. L’innovazione è lasciata all’improvvisazione e – quando per avventura dà risultati incoraggianti, ma comunque imperfetti – manca lo sforzo sistematico per perfezionarla ed estenderla. Soltanto la formazione dei docenti a una didattica più versatile, attiva e coinvolgente potrà, però, consentire quel tempo scuola esteso che è una delle chiavi per combattere la dispersione e i divari di apprendimento.

Nella medesima direzione, infine, devono andare gli interventi per l’edilizia scolastica. Non tanto quelli – comunque utili – che questa estate hanno aiutato a fare più spazio al distanziamento anti-Covid, quanto i progetti ben più significativi ai quali dare un posto di rilievo nell’uso dei fondi Next Generation Eu. Accanto a maggiore sicurezza e sostenibilità degli edifici, dovremo essere capaci di immaginare spazi più accoglienti e flessibili, all’interno dei quali il rinnovamento della didattica e il miglioramento degli apprendimenti diventino obiettivi più credibili e realistici.

Scuola, sarà un anno precario

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Un anno all’insegna delle cattedre vuote. Dalle 12 regioni dove ieri è suonata la prima campanella del nuovo anno è un profluvio di dati sulla mancanza di docenti. Secondo stime sindacali le cattedre scoperte, tra ordinarie, aggiuntive Covid e sostegno, arriverebbero a 200 mila. Tra l’altro sarebbero state fatte solo 22 mila assunzioni a tempo indeterminato su 80 mila autorizzate dal ministero dell’economia, dato peggiore di quello raggiunto sotto la guida del ministero di Marco Bussetti, quando su 55 mila se ne fecero 21 mila per mancanza di candidati. Altri 25 mila sono gli Ata, il personale ausiliario, tecnico e amministrativo, che mancano all’appello.

Dati che al momento non vengono confermati dal ministero dell’istruzione, che parla di situazione in evoluzione. Ma che portano realtà come il Lazio a rinviare l’apertura in circa il 30% degli istituti, altre come la Sicilia ad autorizzare gli istituti in difficoltà, in particolare nella primaria, a posticipare al 24. In Piemonte si denuncia la mancanza di 20 mila docenti titolari, «soprattutto quelli di sostegno. Nell’anno del Covid, e con tre mesi di tempo per prepararsi, è ingiustificabile», ha commentato il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio.

Altri 30mila docenti mancherebbero in Lombardia, il territorio più martoriato dall’epidemia. Carenze che danno un senso di precarietà a anno già precario, dove i nuovi banchi arrivati per l’inizio delle lezioni sarebbero meno del 20% di quelli previsti, 2,4 milioni di euro. Dove per il primo giorno di scuola l’invito giunto agli studenti in molti istituti è stato a portarsi le mascherine da casa. Un anno sotto la spada di Damocle del contagio da Covid, della chiusura di classi, se non di scuole intere, con la messa in quarantena di studenti, docenti e relative famiglie. Il presidente della repubblica, Sergio Mattarella, con il ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina, ieri era a Vo’ Euganeo, città simbolo dell’epidemia, per l’inaugurazione del nuovo anno scolastico: «La riapertura della scuola è decisiva», ha detto Mattarella, che si è appellato al senso di unità: «Conosco i ritardi e le difficoltà e so bene che vi saranno inevitabili polemiche», ha ammesso il capo dello stato, «so anche che, in atto, vi sono risorse limitate. Ma un Paese non può dividersi sull’esigenza di sostenere e promuovere la sua scuola». Il premier Giuseppe Conte, in un video messaggio: «Ci saranno disagi all’inizio, ognuno deve fare la sua parte». E il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli: «Non riapriamo per richiudere. Ma un aumento di contagi è inevitabile. Serve la collaborazione di tutti».

«Si riparte grazie all’impegno straordinario di dirigenti, insegnanti, collaboratori scolastici, famiglie e studenti. Purtroppo i problemi restano», commenta Francesco Sinopoli, segretario della Flc-Cgil. «Già ad aprile avevamo indicato la strada per riaprire in presenza e in sicurezza», sottolinea Sinopoli che declina: «Investimenti in personale, in edilizia scolastica, procedure straordinarie per coprire quanto più possibile i posti liberi di docenti e Ata. E invece, i fondi che sono stati appostati ancora non risultano tutti spesi, le procedure sono farraginose…». Dice Pino Turi, numero uno della Uil scuola: «Giusto celebrare l’avvio dell’anno, giusto ridare una scuola in presenza ai ragazzi, ma il giorno dopo ci ritroveremo ad avere le stesse difficoltà e carenze della vigilia. Tutte prevedibili. Non andava gestita così questa riapertura di anno. Servivano procedure semplificate per le assunzioni. Serviva muoversi per tempo».

Per Lena Gissi, segretario della Cisl scuola, «sarà difficile conciliare la vita delle famiglie con una scuola a singhiozzo ma non è colpa del personale e dei sindacati se questo accade». I sindacati saranno in piazza il 26 settembre per la prima manifestazione nazionale di protesta del nuovo anno.

Distanziamento Covid? Bastava far rispettare le regole del 1975

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Se tutte le aule fossero state costruite ed adeguate rispettando gli standard di superficie previsti dalle norme in vigore dal 1975, il distanziamento sarebbe cosa fatta e non ci sarebbe bisogno delle mascherine in classe. È quanto si evince confrontando le norme anti-Covid, riportate nelle ultime disposizioni ministeriali, con quelle già in vigore. E cioè le regole contenute nel verbale n. 104 del 31 agosto 2020 del comitato tecnico scientifico, riportate nella nota 1529 emanata dal ministero del 10 settembre scorso, e le misure contenute nel decreto 18 dicembre 1975.

La nota reca alcuni chiarimenti sulle attività in essere per l’avvio dell’anno scolastico e pone in evidenza l’esigenza del distanziamento e le precauzioni da seguire. L’amministrazione ha spiegato che, per garantire il rispetto delle regole anti-Covid-19, la distanza di sicurezza tra le rime buccali dei singoli alunni deve essere di almeno un metro. Se la distanza non potrà essere rispettata, i ragazzi dovranno tenere la mascherina anche in classe. Perlomeno fino a quando l’amministrazione non potrà assicurare il distanziamento con i nuovi banchi monoposto. Che dovrebbero arrivare a breve nelle scuole che ne hanno fatto richiesta. Le mascherine arriveranno a scuola tramite corriere.

La questione del distanziamento pone in rilievo lo scarso grado di vigenza della normativa che fissa gli standard delle superfici, che dovrebbero essere ordinariamente assicurati nelle aule scolastiche. Si tratta delle misure contenute nella tabella 5 del decreto 18 dicembre 1975. Che prevedono 1.80 metri quadri netti per ogni alunno e docente nelle scuole dall’infanzia alla secondaria di I grado e 1,96 metri quadri netti nelle scuole secondarie di secondo grado.

Prendendo a modello una classe di 25 alunni + un docente, per garantire gli standard di superficie previsti dal decreto del ’75, comprendendo anche un minimo di aree di passaggio, sarebbe necessaria un’aula di 46,8 metri quadri. Azzerando i corridoi di passaggio tra i banchi attualmente in dotazione, il distanziamento anti-Covid, sebbene di stretta misura, potrebbe essere garantito se le aule fossero a norma.

Ma siccome i corridoi sono necessari per garantire le vie di fuga, ecco spiegato il perché dei nuovi banchi monoposto che garantiscono un minore ingombro. Che altro non sono se non poltroncine attrezzate con un supporto per scrivere, che occupano uno spazio ridotto rispetto ai banchi monoposto tradizionali. E che hanno le rotelle che ne agevolano lo spostamento. Più facile garantire l’ampiezza minima dell’aula se scende il numero di alunni.

Per esempio, se in un’aula vi sono 21 alunni e un docente, sempre dalla scuola dell’infanzia alla media, la superficie minima scende a 39,6 metri quadri. Resta il fatto, però, che in prima battuta il comitato scientifico aveva previsto un distanziamento di almeno 2 metri tra un alunno e l’altro. Distanziamento che è stato applicato durante gli esami di stato. Ma se questi vincoli non fossero stati rivisti, per rispettarli sarebbe stato necessario dimezzare le classi. Tale ipotesi, peraltro, era stata presa in considerazione dal ministero. Tant’è che la ministra Lucia Azzolina aveva dichiarato pubblicamente che le classi sarebbero state divise in due gruppi e gli alunni avrebbero frequentato a giorni alterni. E mentre un gruppo fosse stato in presenza, l’altro avrebbe seguito la stessa lezione a distanza e viceversa. Ma poi è stata accantonata e, probabilmente, si è preferito ricalibrare le norme anti-Covid sulla base delle risorse esistenti. E cioè dimezzando la distanza tra alunni. Ma anche così, in diversi casi, non sarà possibile rispettare gli standard. Anche se rivisti al ribasso. E bisognerà ricorrere ai dispositivi di protezione individuale.

Il calo demografico in atto (lo scorso anno il numero degli alunni è calato di 60mila unità) potrebbe costituire un’occasione per tamponare questo stato di cose sul medio periodo. Anche in via ordinaria e senza Covid. Ma sarebbe necessario rivedere la normativa sugli organici abbassando il limite massimo di alunni per classe che, ad oggi, prevede la possibilità di inserire in una sola classe anche più di 30 alunni (si veda il decreto del presidente della repubblica 81/2009). E ciò comporterebbe la rinuncia ai risparmi che deriverebbero dalle riduzioni di organico conseguenti agli effetti del calo demografico. Fermo restando che potrebbe costituire una soluzione dell’annoso problema delle classi pollaio e, probabilmente, si tradurrebbe anche in una diffusa maggiore efficacia del processo didattico-apprenditivo. Un minor numero di alunni per classe, infatti, potrebbe consentire anche l’adozione di interventi didattici individualizzati, meno tempo da destinare alle verifiche e alle valutazioni e più tempo da destinare alla didattica in senso stretto. Quanto alle modalità di consegna dei dispositivi di protezione individuale, del disinfettante e dei banchi monoposto, il ministero ha ricordato che la struttura preposta presso il commissario straordinario per l’emergenza Covid ne ha avviato la distribuzione già dal 27 agosto scorso.

La fornitura di mascherine viene effettuata per tutto il personale scolastico e per tutti gli studenti e avviene con cadenza settimanale o bisettimanale, in relazione al numero di alunni e di personale scolastico presenti in ciascuna scuola. A ciascuna istituzione scolastica viene consegnato il quantitativo necessario a garantire la copertura del fabbisogno giornaliero di ciascun alunno e di tutto il personale scolastico. E le consegne vengono effettuate presso la sede principale dell’istituzione scolastica dalle 08.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle18.00.

L’amministrazione centrale ha fatto presente che i giorni e gli orari di consegna variano in relazione al corriere responsabile della stessa. Ed ha raccomandato ai dirigenti scolastici di assicurare la massima disponibilità nel ricevere le consegne, anche considerata la straordinarietà dell’operazione.

In ogni caso, nell’ipotesi in cui la consegna non dovesse andare a buon fine, è previsto un servizio di riconsegna dei materiali previsti. Per quanto riguarda la consegna degli arredi richiesti dalle istituzioni scolastiche (banchi monoposto, sedute standard e sedute didattiche di tipo innovativo), il ministero ha spiegato che circa una settimana prima della consegna degli arredi, i referenti indicati dall’istituzione scolastica saranno contattati dall’azienda fornitrice per definire orari e modalità di consegna. L’azienda fornitrice si occuperà del montaggio dei banchi in apposito spazio che dovrà essere predisposto dall’istituzione scolastica. Sarà invece cura dell’istituzione scolastica la sistemazione dei banchi e delle relative sedute nelle aule, nonché la gestione, in coordinamento con gli enti locali, delle operazioni di smaltimento o deposito dei banchi e delle sedute non più necessarie per l’attività didattica.

La domanda per la fragilità al preside

da ItaliaOggi

Carlo Forte

I lavoratori della scuola che ritengono di avere diritto ad essere dichiarati lavoratori fragili devono presentare una domanda al dirigente scolastico per essere mandati a visita. La domanda dovrà essere indirizzata al dirigente scolastico, dovrà recare le generalità dell’interessato, la richiesta di essere sottoposto a visita e non dovrà essere corredata dalla documentazione sanitaria. Sono questi alcuni dei chiarimenti contenuti nella circolare 1585 emanata dal ministero dell’istruzione l’11 settembre scorso. Il provvedimento fa seguito all’analoga circolare emanata dal ministero del lavoro e dal dicastero della salute il 4 settembre (si veda Italia Oggi di martedì scorso) e reca le disposizioni per dare attuazione alla normativa vigente sulla tutela anti-Covid dei lavoratori a rischio.

Il dirigente scolastico dovrà acquisire la domanda e provvedere ad inviare a visita il lavoratore interessato presso il medico competente o, in mancanza, presso l’Inail, l’azienda sanitaria provinciale o presso i dipartimenti di medicina legale o del lavoro delle università. Per garantire il diritto alla riservatezza del richiedente, il dirigente scolastico non acquisirà la documentazione sanitaria, che dovrà essere presentata dal lavoratore direttamente al medico competente ad altra autorità sanitaria presso la quale sarà sottoposto a visita. Il dirigente dovrà fornire all’autorità sanitaria procedente anche i dati utili per consentire al medico di conoscere il contesto all’interno del quale il lavoratore svolge la propria attività. Così da consentirgli di individuare le misure utili a tutelarne l’integrità psicofisica qualora l’accertamento non dovesse prevedere l’inidoneità a qualsiasi proficuo lavoro.

Il medico procedente, infatti, potrà disporre eventuali ulteriori misure di protezione volte a consentire al lavoratore di svolgere la propria attività lavorativa. Ma se dovesse accertare l’inidoneità alle mansioni specifiche, il lavoratore fragile avrà diritto a scegliere tra due possibilità: l’utilizzazione in altre mansioni, secondo le disposizioni previste dal contratto specifico sull’utilizzazione in altri compiti oppure la fruizione di un periodo di malattia per tutto il periodo indicato dal medico competente o dall’altra autorità sanitaria che avrà provveduto all’accertamento.

Se dall’accertamento dovesse risultare l’inidoneità a qualsiasi proficuo lavoro, il lavoratore dovrà fruire necessariamente del periodo di malattia indicato dal medico. Qualora il dirigente scolastico dovesse venire a conoscenza di elementi tali da necessitare l’adozione di un provvedimento cautelare d’urgenza nelle more dell’accertamento sanitario, la fruizione dell’assenza per malattia potrà essere disposta direttamente dal dirigente senza attendere l’accertamento. Salvo uniformarsi alle risultanze della visita successivamente. Per il personale a tempo determinato, anche in caso di inidoneità alle sole mansioni, non sarà possibile fruire dell’utilizzazione in altri compiti. E dovrà essere disposta l’assenza per malattia d’ufficio.

Paritarie, spuntano 300 mln Dal Mef un decreto ad hoc

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Trovato un accordo tra i ministeri dell’istruzione e dell’economia per sbloccare i 300 milioni di euro che il decreto Rilancio ha destinato alle 12 mila scuole paritarie, colpite dalla crisi provocata dalla pandemia. Dopo giorni di stallo ed a un mese e mezzo dall’approvazione del decreto si è raggiunta l’intesa per queste risorse con l’obiettivo di coprire, almeno in parte, il mancato versamento delle rette da parte delle famiglie durante i mesi di sospensione delle lezioni in presenza. Il Mef scriverà un decreto specifico per la variazioni di bilancio del ministero dell’istruzione, sganciato dal blocco delle modifiche contabili chieste dagli altri dicasteri. Così da accorciare i tempi, assicurano al Mi. Già 96 scuole paritarie hanno chiuso a causa della crisi sanitaria secondo il calcolo del sito www.noiinvisibili.it, pari a 3.833 studenti in meno che da questo anno frequenteranno le scuole statali con un aggravio di costi aggiuntivi per lo Stato stimato in 32.580.500 euro. Nella maggior parte sono nidi e materne, anche in zone dove i servizi asili statali mancano: chiuse le paritarie, il servizio 0-6 sarà completamente assente. A soffrire per il lockdown, infatti, sono state soprattutto le materne, in molti casi le meno attrezzate per la didattica a distanza. Dall’altra parte, la fetta maggiore dei 300 milioni di euro arriverà proprio ai servizi educativi dell’infanzia: 180 milioni per nidi e scuole dell’infanzia. Mentre 120 milioni sono destinati alle scuole, andando a coprire l’intero percorso, fino alla V classe delle superiori. «Adesso è necessario accelerare l’iter burocratico, perché le paritarie, non va dimenticato, non ricevono un euro da marzo», commenta il deputato di Iv Gabriele Toccafondi. Dalle associazioni della parità scolastica, poi, la speranza è che la scuola paritaria, parte del sistema pubblico di istruzione, possa accedere a bandi e finanziamenti previsti proprio per sostenere i costi della ripartenza e il potenziamento della didattica. A preoccupare in particolare gli asili della Fism sono le criticità legate al «pre e post scuola, che alle condizioni richieste comporteranno nuovi oneri che chiediamo non vengano riversati sulle famiglie», commenta il segretario nazionale Luigi Morgano.