Nota Bruschi su Valutazione nella scuola primaria

La nota del Capo Dipartimento Istruzione Prot. 0001515 – 01.09.2020 relativa alla valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria lascia tutti alquanto stupefatti: esattamente nel primo giorno dell’a.s. 2020-21 il Dott. Marco Bruschi ci tiene a far sapere ai dirigenti scolastici che l’emendamento con cui è stata abolita, in sede di conversione del decreto-legge n.22/2020, la valutazione finale in decimi nella scuola primaria non ha previsto l’abolizione della valutazione in decimi anche nelle valutazioni intermedie.

Come se il Parlamento avesse voluto deliberare di abolire i voti alla fine dell’anno e di lasciarli alla fine del primo quadrimestre

Ci spiega il Dott. Bruschi che “la norma, attualmente, nulla dispone per quanto concerne la valutazione intermedia, che resta dunque disciplinata ai sensi dell’articolo 2, comma 1 del Dlgs62/2017 e dunque con votazione in decimi, salvo successive modifiche che potranno intervenire in sede legislativa”.

A noi sembra una mera interpretazione burocratica, legittima sicuramente ma di certo inopportuna.

ur ammettendo che il testo di legge sia carente per aver omesso di far cenno alle valutazioni intermedie (e comunque in tal caso Bruschi avrebbe dovuto chiamare in causa l’Ufficio Legislativo per non aver rilevato l’errore!), viene da chiederci se fosse proprio necessario mettere in evidenza un deficit di natura legislativa che danneggia evidentemente l’immagine istituzionale del Ministero e del Parlamento stesso.

E ci chiediamo ancora se, a 3-4 mesi di distanza dalla prima valutazione intermedia, fosse questo il momento più adatto per porre il problema ai dirigenti scolastici che, come sappiamo, in questi giorni sono tutti presi dall’applicazione snervante di centinaia di indicazioni e protocolli per la ripresa delle attività didattiche in presenza.

O forse il Capo Dipartimento Istruzione pensa che si debbano da subito impegnare i Collegi dei docenti nell’elaborazione dei criteri per la valutazione intermedia “ai sensi dell’articolo2, comma 1 del Dlgs 62/2017”, pur sapendo che il problema sarà risolto da “modifiche che potranno intervenire in sede legislativa”.

L’ANDIS auspica che, alla luce delle osservazioni sopra esposte, il Dott. Bruschi voglia rivedere la Sua posizione e, al contempo, fa appello alla Ministra dell’Istruzione affinché riporti la questione alle Commissioni Istruzione di Camera e Senato per una modifica della norma in questione.

Il Presidente nazionale
Paolino Marotta

E “niente sarà più come prima”

E “niente sarà più come prima”.Questa volta, forse, davvero

di Gabriele Boselli

Il novum nasce dalle crisi. Nelle prevedibili contingenze determinate dal COVID la “messa in parentesi” delle usuali procedure di ricerca e insegnamento potrà indurre nelle scuole come altrove a una forte mutazione/evoluzione del conoscere, della cultura, delle percezioni categoriali e dei vissuti assiologici

“Niente sarà più come prima” è frase piuttosto abusata almeno dal 2001, l’anno in cui l’attentato islamista alle torri gemelle ridusse notevolmente per un certo periodo di tempo i fussi internazionali delle persone; poi, tranne qualche perdita di tempo agli imbarchi, tutto tornò a scorrere come e più di prima. Da quell’anno “niente sarà più come prima” è stata frase sprecatissima a ogni minimo inciampo della cronaca, dalle vittorie dei 5S o della Lega ai cambiamenti dei prezzi, all’ultimo gadget elettronico.

“Niente sarà più come prima” pare invece frase pienamente appropriata a proposito dell’ultimo virus, virus probabilmente prodotto dell’ingegneria CRISPR sfuggito ai laboratori di ricerca militare di Xi. Certamente un virus nuovo.

Ci piacerebbe tornare a lavorare, studiare, mangiare al ristorante, ballare come prima però è stata colpita pesantemente -e per un periodo di cui non si vede la fne- la vita sociale, culturale ed economica; colpite le scuole, in particolare quelle dei primi gradi di istruzione. Unica speranza appaiono i vaccini, ma non ne conosciamo l’efcacia e la loro somministrazione di massa pare comunque lontana. Si riaprirà comunque, pericolosamente, tra pochi giorni (il Governo lo ha promesso e contro ogni evidenza clinica dovrà mantenere la linea, l’opposizione -come sempre alla ricerca più del consenso elettorale che dell’utilità per la Patria- lo reclama a gran voce), magari per richiudere qualche settimana dopo la conseguente riesplosione dei contagi. Occorre allora, a partire da chi lavora nell’Istruzione, afrontare un radicale percorso di cultura per resistere a prove che altereranno -non necessariamente tutte in peggio- lo sviluppo delle conoscenze e della socialità. Mi limiterò qui a discorrere delle curvature del conoscere conseguenti a una vita scolastica allo stato prevedibile come frammentata temporalmente, spazialmente, interazionalmente. Ne scriverò adesso a partire da una personale esperienza.

Un anno di preziosa “messa in parentesi”

L’anno più importante della mia formazione fu il 19 p.G.n. (autoironicamente: post Gabriael natum). Dopo il diploma conseguito presso l’istituto magistrale, per ragioni economiche non cominciai subito gli studi universitari; tenevo molte lezioni private e frequentavo assiduamente la biblioteca della Rubiconia Accademia dei Filopatridi, leggendo avidamente testi di ogni ramo dello scibile. In quell’anno ho sviluppato i nuclei ideativi poi svolti in tutto il resto della mia esistenza e recentemente condensati in un articolo su Encyclopaideia (1). Mi confrontavo sui saperi con altri amici di Savignano sul Rubicone ma, non essendovi nessun professore a correggermi, il mio pensiero fluiva liberamente, prendendo cantonate e producendo tante sciocchezze ma anche dando una prima formulazione a qualche buona idea che poi mi avrebbe accompagnato tutta la vita. Sostanzialmente la stessa cosa si ripetè all’università: il prof. Italo Mancini ritenne che io non fossi in grado di preparare altra tesi di laurea se non quella sul mio stesso modo di pensare (Meditazioni husserliane, autopubblicazione a ciclostile, 1967 – G. Crinella (a cura di) Italo Mancini, Dalla teoresi classica alla modernità, ed. Studium, Roma 2000).

Un lockdown scolastico personale comunque assai fruttuoso per la mia formazione, approccio in singolarità alla totalità, preziosa premessa a una professione con cui poi mi sono guadagnato il pane, il companatico e anche qualche buona bottiglia.

Occasioni di autonomia intellettuale

Ora dal personale al generale: la probabile e comunque agitata crisi sistemica consentirà nel mondo dell’istruzione, da quello dell’infanzia all’università, un’ ancor maggiore autonomia di pensiero degli studenti, degli insegnanti e degli ispettori, forse anche di molti presidi colti, sia di lungo corso che di nuova nomina e miracolosamente sfuggiti alla lotteria dei test concorsuali. Per tutti, spero, potrà esservi un cambiamento di segno della cultura scolastica attuale: forse verrà meno il primato della competenza sulla conoscenza (che ora trahor exul et inops ), del criterio di utilità sulla gratuità, della docimologia basata su test, del monovalore del risultato e del disconoscimento della necessità di una costellazione di principi. Già ora molti docenti per fortuna non privilegiano la competenza sulla conoscenza e preparano i giovani alla pura, indiferenziata capacità di conoscere, matrice onde il Novum potrà prendere forma dopo il funesto passaggio del Covid. In termini di autonomia intellettuale, un possibile guadagno.

Occorrerà certo che gli insegnanti e le gerarchie scolastiche locali studino di più (per quelle romane non c’è speranza), reimparino ad amare di più il conoscere allo stato puro, non fnalizzato a far fgurar bene con i testi INVALSI. E che vogliano bene agli alunni.

Grazie alla sospensione dei corsi ministeriali di aggiornamento, augurabilmente anche quelli -iperufciali- somministrati per via informatica, le promesse di venturo sapere che i migliori insegnanti porteranno avanti nella scuola grazie al loro rinnovato confronto diretto con i libri aiuteranno ad intendere come non solo i contenuti e le forme ma anche le stesse categorie classiche della conoscenza e dell’ethos umani stiano modifcandosi. Proprio per questo andranno meglio conosciute le scaturigini.

Via dai test, ritorno al testo

Ci si rassegnerà a una oscillante sequenza di ondate virali di varia letalità e morbilità invalidante nonchè a una volatilità economica, culturale e scolastica di lungo periodo. Il mondo ha invero conosciuto tempi assai peggiori.

Il maggior problema -per gli alunni e tramite questi per i loro famigliari anziani- risiede nelle scuole dell’infanzia e nell’istruzione primaria e occorreranno fantasia e innovatività; es. nuovi poteri ai sindaci per le aule, utilizzo -nelle retrovie e quando disponibili- di bidelli, insegnanti, dirigenti e ispettori in pensione (2), per afrontare la situazione con reale efcacia e nel contempo con pur relativa tranquillità clinica. Nei gradi successivi, con i ragazzi diligentemente seduti o in corsa a cavallo di banchi e cattedre a rotelle lo spazio nella scuola azzoliniana diverrà oggetto di ogni tipo di esercitazione e coscienza intenzionale. Così pure il tempo.

Qualcosa di buono, di simile a quel che accadde a me mezzo secolo fa potrebbe succedere agli studenti e agli insegnanti di oggi. Nei casi più felici anche di ritorno al confronto personale, diretto di alunni e insegnanti con il Primo Maestro, il Libro.

Il libro, i libri. Di qui, da antiche/nuove visioni di cultura, forse una nuova felice stagione dell’umanità. Nella scienza, nella letteratura, nell’economia e perfno nella politica. E, se si smetterà di oltraggiare la natura, anche nella salute.

1) G. Boselli Inibizioni del Novum in Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.24 n.56 (2020)

2) F. Buccino Poteri ai sindaci per requisire aule – Scuolaoggi, 21 08 20

Bambini durante il lockdown

Bambini durante il lockdown: vulnerabili ma resilienti

L’indagine condotta dalla Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche Lombardia in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca evidenzia la “sostanziale tenuta” sia da parte dei bambini sia dei genitori, pur sottolineando molteplici fonti di preoccupazione: alimentazione, sonno, attenzione, irritabilità, paure

Milano, 3 settembre 2020 – Irritabile, capriccioso, svogliato, ma più affettuoso con genitori e fratelli. È quanto emerge dai primi risultati di un’indagine regionale sulla vita di bambini e genitori durante il lockdown.

L’indagine “Bambini e lockdown, la parola ai genitori” è stata condotta dalla Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP Lombardia- Marina Picca, Presidente e coordinatrice scientifica del progetto per i pediatri) con la collaborazione di un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca (Paolo Ferri e Chiara Bove docenti del Dipartimento di Scienze umane per la formazione) e della spin off dell’Università di Milano-Bicocca “Bambini Bicocca” (Susanna Mantovani, coordinatrice scientifica).

I ricercatori hanno proposto due questionari online parzialmente differenziati a seconda delle età: bambini di età compresa tra 1- 5 anni e bambini dai 6 ai 10 anni.
La ricerca ha coinvolto più di 3.000 famiglie – di cui la quasi totalità (93 per cento) madri con un titolo di studio medio alto – con bambini di questa fascia d’età residenti in tutte le province della Lombardia, la regione più colpita dalla pandemia Covid-19, allo scopo di conoscere il vissuto e l’esperienza dei genitori e dei bambini durante il lockdown

«Il focus della ricerca realizzata attraverso la rete di Pediatri di famiglia è rappresentato dai cambiamenti notati dai genitori nel comportamento dei bambini durante il periodo di chiusura, rilevati a due mesi di distanza, quando si erano ridotte le limitazioni alla vita quotidiana – afferma Marina Picca, Presidente SICuPP Lombardia». 

Il quadro che emerge dall’indagine evidenzia da un lato una “sostanziale tenuta” sia da parte dei bambini nell’accettare le limitazioni (l’80,6 per cento dei bambini più piccoli ha “accettato le limitazioni”, seguito dall’83,3 per cento dei bambini più grandi) sia dei genitori (il 60,4 per cento delle madri dei piccoli e il 54,4 per cento di quelle dei bambini più grandi dice di “avercela fatta” con “alti e bassi”) ma dall’altro anche molteplici fonti di forte preoccupazione:alimentazione, sonno, attenzione, irritabilità, paure.

Bambini da 1 a 5 anni
I genitori dei bambini più piccoli hanno riscontrato innanzitutto maggior irritabilità e un aumento dei capricci (oltre l’81 per cento), anche se sottolineano un miglioramento delle relazioni con i loro bambini (40,8 per cento) e tra i fratelli (32,8 per cento) e nello sviluppo linguistico (50 per cento).
Due aspetti fondamentali nella crescita, come alimentazione e sonno, hanno subito rilevanti alterazioni: da un lato, si è riscontrata una riduzione di appetito (32 per cento) spesso però accompagnata da un aumento del consumo di snack (44,5 per cento); dall’altro, con una riduzione delle ore di sonno (37,4 per cento) e un aumento della frequenza dei risvegli notturni (oltre il 40 per cento).
Inoltre, a preoccupare i genitori, un incremento considerevole (lo afferma il 66,6 per cento) della fruizione della televisione, un calo dell’attenzione che sfocia in svogliatezza (54,6 per cento) e un uso massiccio delle tecnologie digitali.

Bambini da 6 a 10 anni
Ben l’83 per cento dei genitori dei più grandicelli ha riportato che il bambino ha accettato le limitazioni imposte dall’emergenza, dimostrando grande resilienza.
Altro dato positivo, un miglioramento complessivo dei rapporti in famiglia: con i fratelli (lo segnalano oltre il 30 per cento) e con i genitori (38 per cento).
Al contrario dei più piccoli, in relazione alle abitudini alimentari, nel 46,7 per cento dei bambini di questa fascia d’età si è riscontrato un aumento di appetito e di consumo di snack. Alterazioni che si sommano alle difficoltà ad addormentarsi (72,4 per cento) e ai risvegli notturni (30 per cento).
Anche i genitori dei bambini più grandi hanno notato nei figli un comportamento più irritabile, unito a manifestazioni di rabbia (68,2 per cento) e una bassa e frammentata attenzione (83 per cento).

È proprio la riflessione sull’utilizzo delle tecnologie (4/6 ore al giorno) che si rende senz’altro necessaria secondo tutti i genitori: ma mentre i genitori dei più piccoli, sottolineano che i legami educativi a distanza (LEAD per i bambini 1-5, proposti dai Nidi e dalle Scuole dell’Infanzia), sono stati vissuti in modo positivo, per i più grandi la didattica a distanza, pur adeguata per il 42,2 per cento, ha evidenziato diverse criticità e limiti (dalle relazioni alla gestione familiare).

Entrambi i questionari terminavano infine con l’unica domanda aperta: “Quali sono le preoccupazioni per il futuro?”. Le prime analisi delle risposte segnalano alcune preoccupazioni “ricorrenti”: tra queste, su 1688 risposte di genitori di piccoli e 1703 risposte di genitori di bambini più grandi, ne emergono due, oggi molto attuali, su “come sarà la scuola” e “sulle relazioni sociali tra pari”.

«Quest’indagine – sottolinea Susanna Mantovani, pedagogista e coordinatrice scientifica dello spin off Bambini Bicocca– è stata un’esperienza preziosa di collaborazione tra pediatri e ricercatori in ambito educativo: è la prima fase di un percorso per monitorare se i problemi riscontrati permangono e per orientare e sostenere i genitori nel periodo della ripresa. Coinvolgeremo anche insegnanti ed educatori, oggi è essenziale fare rete. Nell’insieme i genitori ce l’hanno fatta, ma sono in ansia e hanno bisogno di supporto in questo tempo di straordinaria incertezza.» 

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Ministero dell’Istruzione con i suoi molteplici errori mette in crisi la Scuola!

Cuzzupi: il Ministero dell’Istruzione con i suoi molteplici errori mette in crisi la Scuola!

Ormai non vi sono più parole da utilizzare. Se non si mette mano urgentemente a una gestione della scuola seria e senza improvvisazione non osiamo immaginare il futuro che ci aspetta!”

Queste le parole del Segretario Nazionale UGL Scuola, Ornella Cuzzupi, nel commentare i macroscopici errori presenti nelle Graduatorie per i Precari della Scuola.

Quello a cui stiamo assistendo ha dell’incredibile. Solo pochi giorni fa il Ministro si dichiarava fiera di ciò che era stato fatto in merito a queste graduatorie e i risultati, ora, sono sotto gli occhi di tutti. A pochissime ore dall’inizio delle lezioni siamo in presenza di una tale confusione e incertezza che mette in crisi l’inizio d’anno in maniera persino più grave della stessa emergenza pandemica. Qui non si tratta di errori con banali ricadute – continua Cuzzupi –  siamo al cospetto di vere e proprie anomalie di sistema che inficiano diritti dei docenti e garanzia per gli alunni e le famiglie. Siamo tempestati da continue segnalazioni di errori e richieste di urgenti  interventi, al fine di ripristinare uno “Stato di diritto” alla cattedra che spetta a tutti i docenti che dovrebbero iniziare la propria attività a partire dal 7 settembre. Un vero disastro di cui qualcuno dovrà dar conto.”

Tra l’altro, sottolinea l’UGL Scuola, le nostre preoccupazioni erano state evidenziate da tempo e il ministro ha preferito, nonostante la manifestata disponibilità al confronto al fine di dare un contributo costruttivo, proseguire per una strada che, come avevamo facilmente preannunciato, si è rivelata fallimentare e pericolosa.

Adesso occorre porre rimedio in maniera rapida – afferma il Segretario Nazionale UGL Scuola –  è necessario che l’esecutivo trovi soluzioni valide che consentano di traguardare l’inizio dell’anno scolastico nel miglior modo possibile nonostante i macroscopici errori effettuati e le migliaia di ricorsi pronti a partire. Tra l’altro vi è ancora tutta la questione dei lavoratori e degli alunni fragili dove, anche su questo si è evidenziata un’approssimazione deleteria e persino paradossale. La Scuola è una cosa seria – conclude Cuzzupi –   e come tale deve essere trattata. I docenti, il personale ATA, i Dirigenti scolastici e tutti gli operatori del settore, gli alunni e le famiglie non possono essere abbandonati al destino. Qui si gioca il futuro del Paese!

   Federazione Nazionale UGL Scuola

Il Segretario Nazionale

Orrnella Cuzzupi

Tutelare i diritti di chi non si avvale dell’Irc

Tutelare i diritti di chi non si avvale dell’Irc.

L’Uaar scrive ai ministri Azzolina e Speranza

In vista dell’apertura dell’anno scolastico e in considerazione dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar) ha scritto una lettera ai ministri di Salute e Istruzione per verificare come intendono tutelare i diritti degli studenti che, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, in misura sempre maggiore non intendono subire l’Insegnamento della religione cattolica (Irc).

L’emergenza sanitaria rende infatti non percorribile la già inaccettabile pratica dello “smistamento” in altre classi degli studenti non avvalentisi, spesso posta in essere per ovviare alla mancata attivazione delle attività didattiche alternative all’Irc.

«La normativa è chiara», si legge nella lettera, a firma del segretario, Roberto Grendene: «Non deve essere messa in atto alcuna forma di discriminazione tra chi sceglie l’insegnamento non obbligatorio dell’Irc e chi sceglie di non avvalersene. L’Uaar chiede che fin dal primo giorno di lezione a tutti gli studenti che hanno detto no all’Irc optando per la permanenza nella scuola sia garantito un insegnante, un’attività didattica alternativa e uno spazio sicuro dal punto di vista sanitario. L’anno scolastico 2020/21 non può registrare nessun caso di “smistamento” in altre classi, né tantomeno imporre in alcun modo un insegnamento dottrinale a chi lo rifiuta».

L’auspicio è che vengano presi tutti i provvedimenti necessari, «ricordando che l’Irc è una attività didattica non obbligatoria e che gli insegnanti di religione cattolica frequentano fino a 18 classi diverse: ciò in caso di positività ai test per il coronavirus comporterebbe il blocco di intere scuole per una attività didattica opzionale. Attivare la didattica a distanza e collocare l’Irc in orario extrascolastico sarebbe un provvedimento responsabile».

L’Uaar – che, in attesa che l’Irc sia finalmente abolito, difende i diritti delle famiglie e degli studenti che optano per non avvalervisi e da sempre si batte affinché siano ad essi garantiti i diritti all’istruzione e alla libertà di coscienza, combattendo le discriminazioni infantili che ancora interessano la scuola pubblica – sollecita quindi «un impegno concreto da parte dei Ministeri dell’Istruzione e della Salute per garantire il pieno diritto all’istruzione e la salvaguardia della salute di studenti, docenti e genitori, nel rispetto della laicità delle istituzioni e della libertà di coscienza di coloro che non si avvalgono dell’Irc».

Sulle graduatorie è scontro tra i sindacati e Azzolina

da Il Sole 24 Ore 

di Redazione Scuola

È di nuovo alta la tensione tra i sindacati della scuola e la ministra Lucia Azzolina. Terreno di scontro dell’ennesimo braccio di ferro sono le Graduatorie dei supplenti (Gps) che quest’anno per la prima volta sono state interamente digitalizzate. Sono oltre 753 mila gli aspiranti che hanno chiesto, dal 22 luglio al 6 agosto, l’iscrizione nelle graduatorie, per un totale di quasi due milioni di domande visto che gli insegnanti potevano iscriversi per più classi di concorso.

Ad accendere la miccia è stata la parziale pubblicazione delle graduatorie da parte degli Uffici territoriali da cui – secondo i sindacati – sono emersi «evidenti errori nei punteggi» e un caos tale da essere foriero di innumerevoli ricorsi. E così le principali 5 sigle sindacali del settore (Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal, e Gilda Unams) hanno scritto alla ministra Azzolina un telegramma, che è un «atto di messa e mora e diffida», per chiedere di non utilizzare le graduatorie digilitalizzate e di ritornare ai vecchi elenchi.

Immediata la replica dell’Azzolina: «Insensato parlare di caos» visto che «le segnalazioni sono pochissime» e «tutte in via di risoluzione», ha detto, garantendo che le nomine per i supplenti avverranno entro il 14 settembre, come stabilito. Anzi a giudizio della ministra la novità della digitalizzazione «consentirà nomine più rapide» ed ha «permesso, in sede di valutazione delle domande presentate, di rilevare subito eventuali anomalie e dichiarazioni nulle». «Tutte le richieste sono state valutate e hanno portato all’esclusione – ha sottolineato Azzolina – di quasi 40 mila domande che presentavano anomalie» ed ha «consentito, ad esempio di individuare più rapidamente la dichiarazione di titoli inesistenti da parte di alcuni aspiranti a garanzia di tutte e tutti coloro che, invece, hanno presentato correttamente la loro domanda».

Parlare di caos per la ministra è dunque «infondato, pretestuoso e fuorviante» e significherebbe «ignorare lo sforzo fatto dal personale» e «rinviare la modernizzazione di un sistema che viveva di regole vecchie di venti anni».

Proprio i precari (Comitato Nazionale Docenti Precari) ieri hanno fatto sentire la loro voce con una manifestazione in piazza Montecitorio per chiedere «insegnanti in cattedra a settembre», «apertura in sicurezza» della scuola e per riaffermare, come scritto sui cartelli che avevano appesi al collo, «non sono un docente usa e getta».

Sul fronte della sicurezza una rassicurazione viene dal ministro della Salute Roberto Speranza: l’Italia è «l’unico paese in Europa e nel mondo – ha sostenuto – che metterà a disposizione 11 milioni di mascherine per studenti e personale scolastico» precisando che si tratta di mascherine chirurgiche e ricordando che sono obbligatorie «nei momenti dinamici». ma non quando si è al banco.

Apertura posticipata per gli studenti della Basilicata: per loro, come la maggior parte delle regioni del Sud, il nuovo anno scolastico comincerà il 24 settembre. Decisione ufficializzata dal presidente della Regione Vito Bardi dopo un incontro con i sindacati. Scelta opposta quella del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti che ha deciso di rispondere no all’appello dell’Ordine dei Medici della Liguria che chiedevano un rinvio dell’inizio delle lezioni di 10 giorni.

Altra questione aperta quella dei seggi elettorali nelle scuole. Secondo il virologo Roberto Burioni, non si dovrebbe votare negli istituti: «Che non si sia trovata una soluzione a questo problema è davvero imbarazzante», ha detto. Sulla stessa lunghezza d’onda Forza Italia, anche se «ormai siamo fuori tempo massimo», afferma Mariastella Gelmini. Ed alcuni senatori azzurri chiedono al governo di «disporre test sierologici rapidi per scrutatori, segretari e presidenti di seggio». Non mancano però, anche se sono pochi, i casi in cui ai seggi si è trovata una sistemazione alternativa: ieri è stata la volta di otto Comuni del Trevigiano.

«Tampone obbligatorio per i prof»

da Il Sole 24 Ore 

di Claudio Tucci

«Leggo, e sento dagli organi di informazione, di un 30% di insegnanti appena che sta facendo i controlli sanitari prima di rientrare in servizio. Io penso che serva una rapida moral suasion, e un salto culturale: tra una manciata di giorni affideremo a un milione di docenti e personale scolastico i nostri figli, il bene più prezioso che abbiamo, e mi aspetto che entrino a lezione in presenza in un posto sicuro, così come lo sono le fabbriche. Se non ci sarà questo atto di responsabilità e di generosità, fondamentali per tutelare l’intero ambiente scolastico, vale dire non solo chi ci studia ma anche chi ci lavora, allora mi rivolgo al governo perché preveda, per legge, il tampone obbligatorio a tutti i professori che entrano in classe».

Per Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale umano, sulla scuola non possiamo sbagliare: «Mentre si discute sul “feticcio” del banco monoposto ci sono due questioni di fondo che continuano a non trovare una loro soluzione. La prima riguarda la salute, l’altra riguarda gli insegnanti. Mi chiedo come siano divise le responsabilità fra scuola e famiglia con riferimento alla salute degli studenti. Quando si chiede alle imprese di utilizzare il termoscanner per misurare la febbre a chi entra in azienda si attribuisce una chiara responsabilità al datore di lavoro in ordine al controllo sulla salute delle persone presenti in impresa. Perché non dovrebbe essere così anche per le scuole? Quello che non si capisce è perché non si dica chiaramente che da un lato le famiglie hanno l’obbligo di controllare lo stato di salute dei figli prima di accompagnarli a scuola o di metterli su un mezzo pubblico ma, nel contempo, la scuola deve comunque accertare la temperatura dei ragazzi? Gli strumenti ci sarebbero. Serve una chiara condivisione delle responsabilità: non scaricarle solo addosso sulla scuola o, al contrario, sulle famiglie. Quello che spaventa è l’ambiguità delle scelte e la mancanza di un piano B».

Per Brugnoli il “core business” «non sono i professori e i loro certificati. Qui il problema sono gli studenti. Assecondare gli insegnanti che non vogliono fare test e tamponi fa emergere che i diritti delle nuove generazioni non sono una priorità. Non assicurarsi che la didattica sia rinnovata, premiando i bravi insegnanti e selezionando giovani talenti, conferma questa tendenza. C’è da chiedersi se il ministero dell’Istruzione sia a conoscenza e si sia fatto carico delle attuali competenze digitali dei nostri insegnanti. Sono stati preparati i docenti alla didattica a distanza, uscendo dalla logica emergenziale, visto che la pandemia non finisce oggi e continuerà? La ministra Lucia Azzolina sta, poi, pensando a delle soluzioni innovative per ricostruire il link con le imprese? Abbiamo una disoccupazione giovanile che ha superato il 30%, non è colpa del Covid ma è una questione strutturale. E si affronta solo partendo dalla scuola».

Uno studente su cinque “impreparato” in caso di didattica online: ancora non ha un device personale su cui studiare

da Il Sole 24 Ore 

di Redazione Scuola

Un nuovo lockdown delle scuole o un utilizzo massiccio della didattica digitale integrata (a supporto di quella frontale, in caso di necessità) durante il prossimo anno scolastico? Potrebbero mettere in difficoltà non pochi studenti, specie in alcune aree d’Italia. Perché, nonostante quanto successo negli scorsi mesi, molte famiglie non sembrano aver fatto tesoro delle difficoltà – soprattutto tecniche – con cui è partita la didattica a distanza. Secondo una ricerca di Skuola.net – che ha coinvolto 5mila ragazzi di scuole medie e superiori – ad oggi circa 1 alunno su 5 non ha ancora un dispositivo personale (tablet o computer) con cui studiare; al Sud si arriva a quasi 2 su 5. E, tra loro, oltre l’80% non è intenzionato a procurarselo per il ritorno su banchi, continuando ad arrangiarsi con la dotazione “di famiglia”.

Una situazione che affonda le radici ben prima dell’emergenza di quest’anno. Con la scuola che, purtroppo, non è esente da responsabilità. Visto che, stando a quanto raccontano i ragazzi, solo 1 caso su 4 il proprio istituto ha sempre incentivato l’uso di risorse digitali (eBook compresi) per lo studio. Un altro 33% ha iniziato a spingere solo a partire dalla chiusura di febbraio. Per le altre, questo poteva essere il momento propizio; ora si costruisce il corredo scolastico. Ma, a quanto pare, quasi la metà delle scuole (42%) – e nelle regioni del Mezzogiorno in media si arriva al 54% – continua a non appoggiare la svolta tecnologica. Facendo un rapido calcolo è evidente come spesso il salto verso il futuro e la dematerializzazione sia lasciato alla libera iniziativa di studenti e genitori.

Sono le stesse scuole, però, a dettare la linea. Così, anche stavolta, si farà ricorso a un uso pressoché esclusivo dei libri di testo ‘cartacei’. E, su questo, non c’è Covid né crisi che tengano. Nessun ridimensionamento: le tendenze d’acquisto sono le stesse dello scorso anno. In generale, la maggior parte delle famiglie (circa 2 su 3) si orienterà sempre verso i libri nuovi, mentre gli altri cercheranno di risparmiare con l’usato. Un dato immutato rispetto a dodici mesi fa. Solo al Sud la maggioranza (59%) preferisce puntare sull’usato (ma anche questa non è una novità). Quasi invariata, sempre se rapportata all’anno scorso, anche la spesa totale: la fetta più grande (33%) si attesterà tra i 200 e i 300 euro, subito sotto (28%) quanti pensano di spendere al massimo 200 euro, non pochi (16%) immaginano di dover sborsare fino a 400 euro.

I canali preferiti a cui rivolgersi? Qui si assiste a qualche, piccolo, cambiamento. Per quanto riguarda il nuovo, cresce ulteriormente la grande distribuzione: i supermercati che offrono tale servizio sono scelti, almeno a parole, dal 29% degli intervistati (nel 2019 erano il 25%). Ma sono sempre librerie e cartolibrerie specializzate, in ulteriore ascesa, l’opzione preferita: si rivolgerà a loro il 42% degli affezionati ai testi freschi di stampa (nel 2019 erano il 40%); con un picco del 49% al Sud. Brusca frenata, un po’ a sorpresa, per gli shop online: sfruttatissimi durante la quarantena, sui libri perdono terreno fermandosi al 28% (lo scorso anno furono interpellati in 1 caso su 3).

Equilibri simili per il mercato dell’usato. Se, infatti, togliamo quanti (29%) cercheranno di trovare i testi adottati dalla propria scuola chiedendoli ad altri studenti a cui non servono più (che in pratica assumono il ruolo rivestito dalla Gdo per il nuovo), si ripropongono le stesse dinamiche. La spuntano nuovamente le librerie (40%, che al meridione diventa 47%) e, come prima, sono in aumento quanti ci si rivolgono anche per i libri di seconda mano (nel 2019 erano al 37%). Si conferma il calo degli e-commerce: passano dal 33% al 21%. Stabile lo (scarso) appeal degli storici mercatini dell’usato: solo 1 su 10 si fida ancora di loro.

In classe il 14, al Sud dieci giorni dopo

da Corriere della sera

Giuseppe Alberto Falci

Che l’anno scolastico cominci in ordine sparso è ormai una certezza. La data unitaria del 14 settembre, proposta dalle Regioni e accettata dalla ministra Lucia Azzolina a metà giugno, non coinvolgerà almeno un terzo dell’Italia. L’Alto Adige, nel segno dell’autonomia, aveva già deciso diversamente, e riaprirà gli edifici scolastici il 7 settembre, ovvero il prossimo lunedì. Lo stesso giorno toccherà alle scuole di Vo’ Euganeo, epicentro di uno dei focolai, che ricomincerà una settimana prima rispetto al calendario previsto in Veneto.

Si registra una sorta di spaccatura tra il Nord e il Sud del Paese. Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Toscana e Lazio rispetteranno la data del 14 settembre. Il Friuli Venezia Giulia aveva optato da tempo per il 16. Deciso più che mai Enrico Rossi, governatore uscente della Toscana: «Il 14 settembre la scuola inizierà, anche perché è stato fatto un grande lavoro da parte di presidi, insegnanti, Comuni».

E se in Molise, parola del presidente Donato Toma, «a oggi la data del 14 settembre è ferma», ci sono regioni del Mezzogiorno che hanno puntato sul rinvio. La motivazione di questa scelta è legata anche alle elezioni regionali e al referendum sul taglio dei parlamentari che si celebreranno a ridosso della data cerchiata in rosso a viale Trastevere. Per questa ragione Basilicata, Calabria e Puglia posticipano il fischio di inizio dell’anno scolastico al 24 settembre. «In presenza di troppe incertezze rinviamo», spiega Vito Bardi, governatore della Basilicata. Ed è di queste ore la conferma che anche l’Abruzzo rinvia tutto al 24 settembre. «Perché incaponirsi sulla data del 14 settembre, forse è una data scritta sulle tavole della legge?» continua a ripetere in queste ore il governatore Marco Marsilio.

Un caso a parte la Sicilia guidata da Nello Musumeci. Nell’isola le scuole riapriranno il 14 ma, avverte il presidente della Regione siciliana, «diamo, comunque, la facoltà ai responsabili di istituto, se non ci fossero le condizioni minime di sicurezza, di poter posticipare l’avvio fino al 24 settembre. Pur rispettando i duecento giorni minimi di lezione». Anche la Sardegna posticipa ma distingue: ha convocato gli studenti per il 22 settembre.

Insomma, dopo il referendum e dopo le elezioni suppletive di Sassari. Trentino, Valle d’Aosta e Lazio fissano la data al 14 e dicono di rispettarla. L’Umbria, ora guidata dalla leghista Donatella Tesei, non intende posticipare la data del 14 settembre. Eppure in un paese vicino a Terni, Otricoli, il sindaco Antonio Liberati assieme al dirigente scolastico, Anna Golino, ha rinviato a mercoledì 23 settembre la data di riapertura dalle materne alle medie: «La scelta trova giustificazione nel termine dei lavori in corso alla Scuola elementare, che compromettono anche l’utilizzo della materna». La consegna dei locali è infatti prevista per lunedì 21 settembre. Nella Scuola media sono invece previste le operazioni per il referendum. «Tra preparazione e rimozione dei seggi, votazioni, scrutini e sanificazioni anti Covid-19 ne sarebbe impedito l’uso da venerdì 18 a martedì 22».

Resta l’incognita Campania. In questo caso la decisione finale arriverà nella giornata di domani quando il governatore Vincenzo De Luca si confronterà con i sindacati, i direttori scolastici di tutte le province e l’unità di crisi.

Sileri: a scuola la sorveglianza è ora la fase più importante

da la Repubblica

Il vice ministro della Salute, Pierpaolo Sileri, prova a sciolgiere i dubbi che si affollano sulla riapertura della scuola. E punta forte sulla sorveglianza.  “Se uno studente dovesse risultare positivo – spiega in un’intervista a Radio Anch’io – deve essere isolato, deve fare il tampone e poi si procederà a fare i tamponi a coloro che sono all’interno di quella classe”. E ancora: “Noi e anche la stampa ci siamo concentrati su tutto ciò che è la prevenzione – ha affermato Sileri – cioè la distanza, le mascherine e il lavaggio delle mani, ma la sorveglianza è ora la fase più importante”. C’è poi il problema degli insegnanti cosidetti fragili che non posso esposti a inutili rischi di contagio.

“Sui professori fragili c’è già un documento che li tutela, è tutto affidato al medico della Asl e dell’Inail: verrà valutato caso per caso”, spiega il viceministro. C’è anche il problema dei controlli per gli insegnanti che invece si recheranno in classe. “Alcuni professori prenotano il test sierologico alla Asl, ma passano giorni prima che vengano chiamati? Bisogna velocizzare la procedura, ma questo non accade in tutte le regioni”.

Serve quindi snellire le procedure il più possibile. Sileri, sempre parlando a Radio Uno, ribadisce anche le regole e le soluzioni sui mezzi che trasporteranno gli studenti nelle classi: “Sui trasporti si può aumentare la capienza: se si rispettano le regole, si usano disinfettante per le mani e la mascherina, soprattutto per i tragitti che non sono lunghi il rischio è basso. Sui trasporti si è detto anche troppo: distanza, mascherina e lavaggio mani sono più che sufficienti”.

Problema controlli e contact tracing

“Sui tamponi si sta facendo sempre di più, il numero sta crescendo”, dice Sileri. “Ma durante la stagione autunnale e invernale gireranno altri virus e sarà necessario avere una potenza di fuoco maggiore. Si può arrivare a 300mila test al giorno e forse qualcosa di più nelle prossime settimane, non serve oggi”. E ancora. “Pochi download della app Immuni? C’è un problema pratico in alcune circostanze, ma in Italia ci sono 80 milioni di telefonini: speriamo di arrivare almeno a 10 milioni. Se tutti avessero Immuni, il contact tracing sarebbe più facile e lo Stato risparmierebbe”.

“Faccio un esempio – continua Sileri -. Entri in un ristorante, scopri di essere positivo dopo 14 giorni: è vero che il ristorante dovrebbe prendere i numeri di telefono di tutti, ma è difficile ricordare chi era a stretto contatto. In quel caso allora dovrebbero essere messi in quarantena tutte le persone presenti anche se non servirebbe. Con l’applicazione si può fare il tampone solo a soggetti selezionati: Immuni è sinonimo di libertà, la libertà di non dovere andare in quarantena se non si è stato a stretto contatto con un positivo”.

Sospensione e 5 in condotta per punire chi non la indossa

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Chi non indosserà la mascherina a scuola? Rischia grosso alle superiori: un voto in condotta più basso in pagella e sanzioni disciplinari sino alla sospensione. Anche una punizione molto temuta dai ragazzi: due interrogazioni ogni mattina per tre giorni. A proporla all’istituto tecnologico Volta di Perugia, il più grande dell’Umbria coi suoi 1800 studenti, è la preside Rita Coccia: «È una della sanzioni già previste se gli studenti non rispettano l’ambiente scolastico, penso possa andare bene anche se non useranno la mascherina».

Lo spettro di un nuovo lockdown, il timore di non farcela in questa ripartenza se tutti non rispetteranno le indicazioni sanitarie, dalle protezioni al divieto di assembramenti, porta i presidi alla linea dura. Tolleranza zero, insomma. Lo ripete Nicoletta Puggioni, preside del polo tecnico Devilla di Sassari: «Non indossare la mascherina è un atto intollerabile che può danneggiare gli altri, i ragazzi devono capire l’importanza di questa cosa, non ci devono giocare o scherzare su. E dunque prevediamo l’allontanamento dalla scuola per chi non le indossa: magari non la prima volta, ma saremo inflessibili la seconda, dobbiamo essere rigidi sin da subito ».

Proprio in questi giorni la maggior parte degli istituti sta riscrivendo il Patto educativo di corresponsabilità e i regolamenti disciplinari. E la scuola a rischio Covid impone una riflessione sul rispetto delle nuove regole. Non tutti sono d’accordo, «non siamo sceriffi, ma educatori ». Ma prevale la linea delle sanzioni. «Così come si è multati se non indossi la mascherina sull’autobus o in un luogo dove è obbligatoria perchè non a scuola?», ragiona Carlo Braga, preside dell’istituto Salvemini, in provincia di Bologna. «Anche noi abbiamo aggiunto sanzioni, sino alla sospensione, per chi infrange le misure anti-Covid, le stesse previste per qualsiasi azione pericolosa che possono commettere gli studenti, per un cazzotto piuttosto che una spinta. Poi è chiaro, ci sarà una gradualità, ma il ragazzo che non la indossa in modo provocatorio, il negazionista sarà allontanato dalla scuola». La strettoia sarà al rientro in classe di tutti gli studenti lunedì, dopo un’estate del liberi tutti in spiaggia. «Dovranno cambiare registro nei comportamenti ». E per molti presidi è meglio farlo capire dal primo giorno. Non concorda Domenico Squillace, alla guida del prestigioso scientifico Volta di Milano: «Conosco il dibattito tra colleghi, ma se imbocchiamo la strada delle punizioni non andremo da nessuna parte». Nel suo liceo gli studenti dovranno pulire il proprio banco alla fine di ogni ora e così dovrà fare l’insegnante, «come potrebbero farlo se non con un’opera di convinzione e di condivisione, siamo una comunità».

Nelle chat si discute, i capi di istituto si scambiano i regolamenti. Tra i presidi del Lazio prevale la linea, già annunciata a luglio, di legare l’uso o meno della mascherina al voto in condotta. «Le sanzioni devono essere previste, ma siamo sempre in ambito educativo, non possiamo dimenticarlo», avverte il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli.

Nella scuola dell’autonomia non c’è una linea comune. Nel ritorno in classe, ieri per i corsi di recupero, per esempio molti dirigenti scolastici hanno fatto indossare la mascherina anche durante la lezione, sebbene non obbligatoria. «Ho redarguito un gruppetto che si era fermato davanti all’elenco delle classi, si sono subito scusati. Io confido nel loro senso di responsabilità, i ragazzi sono più disciplinati e intelligenti di quanto li rappresentiamo » osserva Flavio Filini, preside dell’istituto Copernico-Pasoli di Verona. «Ci orienteremo sul criterio del voto in condotta nel rispetto delle misure di sicurezza. Ma il lavoro va fatto soprattutto dai docenti in classe». Alla moral suasion punta Alessandra Rucci che dirige il liceo scientifico Savoia Benincasa di Ancona: «Le sanzioni siano una extrema ratio, prima puntiamo a responsabilizzare al massimo i ragazzi ». Il problema non si pone alla primaria e alle medie, dove gli insegnanti apriranno le lezioni sulle misure anti-Covid e le punizioni non sono nemmeno prese in considerazione per i bambini. «Dedicheremo settimane alla metabolizzazione delle regole – spiega Rosa Maria Lauricella, preside dell’istituto comprensivo Valente a Roma – significa evitare imposizioni, ma fare educazione civica».

“Usate la chirurgica” A scuola bandita la mascherina in stoffa

da la Repubblica

Nelle scuole vanno usate le mascherine chirurgiche. Il Comitato tecnico scientifico (Cts) ieri ha continuato a lavorare per tutto il giorno sul documento relativo all’uso dei dispositivi di protezione da parte degli studenti, i cui passaggi più importanti erano stari resi noti dal ministero della Salute già martedì sera. Tra i ritocchi del giorno dopo c’è anche quello che mette in secondo piano le mascherine di comunità, delle quali nelle scorse settimane si era ipotizzato un utilizzo durante le lezioni.

Gli esperti adesso raccomandano l’utilizzo delle chirurgiche, che vengono unanimemente considerate più sicure (sono certificate come dispositivi medici) per ridurre la circolazione del virus. C’è poi una novità rispetto a quando sono stati scritti alcuni documenti tecnici del passato: le famiglie non dovranno comprarle. Il commissario straordinario Domenico Arcuri ha infatti annunciato più volte che ogni giorno verranno inviate gratuitamente alle scuole 11 milioni di mascherine di questo tipo. Tra l’altro sono state ordinate anche di misure diverse perché siano adatte agli studenti di tutte le età, dai bambini delle elementari ai ragazzi delle superiori. Gli alunni le troveranno ogni mattina nei loro istituti, che dovranno organizzare la distribuzione in modo da non creare assembramenti all’ingresso, e avranno anche la responsabilità dello smaltimento alla fine dell’utilizzo. Con le mascherine pubbliche, tra l’altro, si avrà la certezza del ricambio giornaliero di questi dispositivi di protezione, che come ormai noto perdono efficacia se vengono indossati troppo a lungo. Se poi ci dovessero essere problemi di fornitura, studenti e anche operatori scolastici potranno usare quelle di comunità che, come spiegato dall’Istituto superiore di sanità, «hanno lo scopo di ridurre la circolazione del virus nella vita quotidiana e non sono soggette a particolari certificazioni. Non devono essere considerate né dei dispositivi medici, né dispositivi di protezione individuale, ma una misura igienica utile a ridurre la diffusione del virus». Di solito sono di stoffa o di altri materiali traspiranti.

Gli studenti possono abbassare le mascherine, ha stabilito il Cts, quando sono seduti al banco a un metro di distanza dai compagni. Nella scuola secondaria (medie e superiori) la regola vale se c’è una «situazione epidemiologica di bassa circolazione virale». Altrimenti vanno indossate sempre.

Stato di emergenza prorogato al 15 ottobre, il governo ottiene fiducia alla Camera. Cosa succede per la scuola

da OrizzonteScuola

Di Andrea Carlino

Con 276 voti a favore, 194 contrari e  un’astensione il governo ha ottenuto la fiducia alla Camera e l’approvazione del decreto che proroga fino al prossimo 15 ottobre l’emergenza sanitaria. Il decreto passa al Senato per l’approvazione  definitiva.

Il decreto, alla luce della proroga dello stato di emergenza per il coronavirus fino al 15 ottobre, prolunga l’efficacia delle disposizioni contenute nei decreti legge n..19/20201, e nel  decreto legge 33/20202, che hanno disciplinato, rispettivamente, l’applicazione delle misure per contrastare l’espandersi dell’epidemia e il loro graduale allentamento. Il decreto inoltre proroga i termini di efficacia di alcune misure e l’incarico dei direttori dei servizi di informazione per la sicurezza.

IL TESTO

SMART WORKING – I lavoratori del settore pubblico e di quello privato potranno continuare a lavorare in smart working fino al 15 ottobre. Per la Pa la proroga è fino al 31 dicembre.

SCUOLA – Per quanto riguarda l’acquisto di mascherine, test sierologici, banchi, guanti e dispenser per il disinfettante, lo stato di emergenza consente di svolgere le gare per l’approvvigionamento del materiale necessario a far ripartire la scuola con procedure semplificate e dunque accelerate. Lo stato di emergenza permette inoltre al governo di poter fissare le regole, con l’aiuto del comitato tecnico scientifico, che tengano conto di quanto potrà accadere durante le lezioni. Come ad esempio l’eventualità di uno studente o docente positivo in classe, obbligo di quarantena, misurazione della febbre, organizzazione delle gite o delle uscite dagli istituti a fini didattici. Dubbi permangono, invece, sulle modalità di effettuazione dei concorsi che potrebbero svolgersi anche telematicamente (sono previste a ottobre così come confermato dalla ministra Lucia Azzolina). Come sottolineato dalla ministra della Pa, Fabiana Dadone, si va verso la completa abolizione del cartaceo con l’adozione di supporti informatici per lo svolgimento delle prove. Sicuramente, considerata l’emergenza in atto, non ci saranno maxi preselettive: spazio, dunque, alla delocalizzazione delle procedure, da attuare grazie alle strutture pubbliche a disposizione (scuole, università etc) e legate alla residenza dei candidati. Per quanto concerne, invece, il ritorno in classe, tutto confermato per il 14 settembre.

Stato di emergenza, cosa significa

Lo stato di emergenza può essere dichiarato al verificarsi o nell’imminenza di calamità naturali o eventi connessi all’attività dell’uomo in Italia. Può essere dichiarato anche in caso di gravi eventi all’estero nei quali la protezione civile italiana partecipa direttamente.

Il Codice della Protezione Civile (Decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018), ridefinisce la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale, portandola a un massimo di 12 mesi, prorogabile di ulteriori 12 mesi.

Il Consiglio dei ministri può deliberare lo stato di emergenza nazionale, senza necessità di passare per il Parlamento, per gli eventi calamitosi di tipo C. In Italia, infatti, tali eventi sono classificati in 3 tipi in base a estensione, intensità e capacità di risposta del sistema di protezione civile: il tipo A prevede una direzione degli interventi a livello comunale, il tipo B a livello provinciale e regionale, il tipo C a livello nazionale. 

Lo stato di emergenza può essere dichiarato dal Consiglio dei ministri anche come misura preventiva, ovvero “al verificarsi o nell’imminenza di calamità naturali o eventi connessi all’attività dell’uomo in Italia”. Può inoltre essere dichiarato in caso di “gravi eventi all’estero nei quali la Protezione civile italiana partecipa direttamente”.

Allo scadere dello stato di emergenza viene emanata un’ordinanza “di chiusura”, che disciplina e regola il subentro dell’amministrazione competente in via ordinaria e quindi il ritorno alla normalità.

Finanziamenti alle scuole, via libera al CCNI: ‘cancellato’ il bonus docenti

da OrizzonteScuola

Di Andrea Carlino

Lo scorso 31 agosto  è stata sottoscritta tra Ministero dell’Istruzione e organizzazioni sindacali l’ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) sull’utilizzo delle risorse per il Miglioramento dell’Offerta Formativa (MOF) per l’anno scolastico 2020/2021.

L’accordo ora dovrà essere registrato presso i previsti organi di controllo. La somma delle risorse da assegnare alle scuole è complessivamente la stessa dell’anno scorso, ovvero 800.860.000 di euro. Questa somma, ripartita tra le scuole, servirà a finanziare i diversi istituti contrattuali previsti dall’art. 40 del CCNL 2016/2018.

Così come segnala la FLC Cgil, è chiarito definitivamente che le risorse dell’ex “bonus” docenti sono parte integrante del fondo di scuola e dovranno essere ripartite, in sede di contrattazione integrativa, tra il personale docente, educativo ed Ata per compensare i rispettivi impegni aggiuntivi così come individuati nel contratto di scuola.

Tutto questo in applicazione del comma 249 della Legge 160/2019, che ha disposto che le risorse del “bonus” docenti siano utilizzate “dalla contrattazione integrativa in favore del personale scolastico senza ulteriore vincolo di destinazione”.

Le suddette risorse, pertanto, non sono più finalizzate alla “premialità” dei docenti, e di conseguenza al Comitato di valutazione non compete più indicare i criteri per la valorizzazione del merito.

Le eventuali risorse non utilizzate negli anni precedenti possono essere impiegate senza vincoli di destinazione e quindi anche con finalità diverse da quelle di origine; Le risorse non utilizzate potranno essere impegnate nel medesimo anno a seguito di nuova contrattazione;

Burioni: non fate votare nelle scuole

da La Tecnica della Scuola

Oltre ai probabili casi segnalati di scuole che si devono ancora organizzare per l’ingresso degli studenti il 14 settembre, c’ è pure un presa di posizione di Roberto Burioni, il docente dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, secondo il quale si starebbe  consumando una “polemica che oramai assomiglia molto a una lotta nel fango a scopi politici”.

Ciò premesso, si legge su Adnkronos, “c’è una cosa” che il virologo “da scienziato” vorrebbe “dire alla politica. Il 14 settembre si aprono le scuole e il 20 settembre si vota, con il solito allestimento dei seggi negli edifici scolastici e la coda di disinfezione e via dicendo. Che non si sia trovata una soluzione a questo problema è davvero imbarazzante – scrive l’esperto sul sito ‘Medical Facts’, da lui fondato – Non si dovrebbe votare nelle scuole”, sostiene, “e luoghi alternativi dovrebbero essere da tempo identificati in modo da non intralciare ulteriormente una già tribolata attività scolastica”.

“Fregarsene – osserva ancora il docente – vuole dire tenere in poco conto l’importanza dell’istruzione che, a mio giudizio, dopo la salute, è la cosa più importante che esista”.

Acque tempestose dunque ancora sulla scuola sulla quale, a parte tutte le polemiche che la stanno attraversando, i mesi parzialmente perduti sulle spire della didattica a distanza, ora si aggiunge anche una vecchia questione, e cioè di non usare le scuole come sedi di seggio elettorale.

Dibattito antico ma mai risolto, giustificabile agli albori della Repubblica, ma ai giorni nostri con tanti edifici e locali a disposizione appare, appunto, come dice Burioni, “imbarazzante”.

Considerato inoltre che da noi, come sta accadendo per questa tornata elettorale, si vota in due giorni, il pericolo di code e assembramenti è improbabile, mentre sembra sicuro che il cambio di destinazione verso altri locali, provocherebbe un superlavoro per gli addetti agli uffici elettorali dei Comuni.