Covid, la variante Delta si insinua tra i giovani asintomatici: meno male che le scuole sono chiuse

da La Tecnica della Scuola

La variante Delta del Covid-19 comincia a preoccupare. Lo dicono gli esperti. E anche i rappresentanti politici. Roberto Speranza, ministro della Salute, a margine di un incontro a Napoli con il candidato sindaco del centrosinistra Gaetano Manfredi, sabato 26 giugno ha detto che “abbiamo chiaramente la massima attenzione su tutte le varianti. Riteniamo che ci sia bisogno di fare un lavoro coordinato a livello internazionale per seguire con grandissima attenzione l’evoluzione della variante Delta e di tutte le altre varianti. L’Italia sta investendo il più possibile sul sequenziamento, sul tracciamento e continuerà a farlo”.

Sta crescendo

Anche in ambito scientifico c’è molta attenzione per la variante Delta. I sequenziamenti dei tamponi positivi “evidenziano che la Delta sta crescendo. Presto rimpiazzerà la Alfa, il ceppo inglese, oggi ancora predominante”, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera Anna Teresa Palamara, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità.

È “il destino di tutti i virus come il Sars-CoV-2, ad Rna, predisposti a modificare il proprio genoma – ha aggiunto -. I cambiamenti sono dovuti a errori di replicazione. Da alcune di queste varianti il virus trae vantaggio, da altre no”.

Non arretrare con i sistemi protettivi

Per evitare la variante Delta bisogna confermare le disposizioni che già conosciamo: “mantenere la mascherina al chiuso, evitare assembramenti all’aperto, prestare attenzione a situazioni che potrebbero essere rischiose”.

Dobbiamo aspettarci l’arrivo di tante varianti: “Questa è una gara tra noi e il virus. Vince chi ha più intelligenza. Dunque noi, a patto di riuscire a impedirgli di circolare vaccinandoci e rispettando le regole”.

Comunque, ha sottolineato Palamara, c’è “allerta, non allarme”. Anche perché ad oggi, “il numero complessivo dei tamponi positivi in Italia è in diminuzione ed è merito della vaccinazione e delle misure di contenimento intraprese”.

Guardiamo al Regno Unito

La Delta “è un avvertimento. Sembra voler ricordare che con il Sars-CoV-2 non ci si può distrarre. Guardiamo il Regno Unito: ha il record di sequenziamenti eppure sta ripensando il programma delle riaperture perché i contagi aumentano”.

La virologa dice poi che è aumentata anche “la capacità di sequenziare con l’introduzione di una nuova piattaforma, un sistema informatico dove vengono raccolti i dati inviati da circa 60 laboratori regionali “.

Intanto, in Italia si moltiplicano i casi di variante Delta: sempre sabato 26 giugno, un focolaio si è sviluppato nel lodigiano, in Umbria, nel biellese, in Piemonte. E nelle Marche: sono stati individuati dal laboratorio di Virologia in tre campioni provenienti da Fermo e Senigallia. Si tratta di altrettante donne (due straniere a Fermo e una italiana a Senigallia) non vaccinate.

La previsione: numeri in aumento

“Era solo questione di tempo – ha detto all’Ansa il professor Stefano Menzo, direttore del Laboratorio di Virologia degli Ospedali Riuniti di Ancona -, considerando la diffusione della varante. Si tratta di pochi casi ma credo che assisteremo ad un aumento, anche di poco, dei contagi“.

Menzo sottolinea l’importanza del tracciamento sul territorio: “il virus al momento circola soprattutto tra i giovani, che sono per la maggior parte asintomatici, così ci accorgiamo dei contagi in caso di persone con sintomi e di una certa età”. “Imprevedibile” l’andamento epidemiologico: intanto però le scuole sono chiuse per la fine delle lezioni “e questo aiuta” non poco, ha concluso il virologo.

Urgente adeguare la legge 107/2010 per riconoscere i diritti delle persone sordocieche

Urgente adeguare la legge 107/2010 per riconoscere i diritti delle persone sordocieche
Vita del 26/06/2021

La Lega del Filo d’Oro e l’Unione italiana ciechi e ipovedenti in occasione della IV Giornata Nazionale delle persone sordocieche chiedono un urgente adeguamento della legge 107/2010 per la sua piena attuazione e per riconoscere alle persone sordocieche i loro diritti.
In occasione della IV Giornata Nazionale delle persone sordocieche del 27 giugno, la Lega del Filo d’Oro e l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti tornano a chiedere modifiche urgenti alla Legge 107/2010 “Misure per il riconoscimento dei diritti alle persone sordocieche”. Sebbene infatti in Italia la sordocecità sia stata riconosciuta nel 2010, il testo di legge presenta incongruenze che assottigliano il numero dei sordociechi che possono essere riconosciuti tali. In Italia, una persona si può definire sordocieca se alla minorazione visiva – che può essere insorta durante tutto l’arco della vita – si aggiunge anche una disabilità uditiva purché la minorazione sia congenita o, se acquisita, sia insorta durante l’età evolutiva e sia tale da aver compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato. Di conseguenza, per la legge, non possono essere considerate sordocieche le persone che, pur non vedenti, siano diventate sorde dopo il dodicesimo anno di età, o coloro che, nati senza alcuna minorazione sensoriale, siano stati colpiti da sordocecità in età successiva ai 12 anni, lasciando quindi in un limbo normativo – e di conseguenza in un limbo di diritti – moltissime persone.

Secondo uno studio condotto dall’ISTAT in collaborazione con la Lega del Filo d’Oro, si stima che in Italia le persone affette da problematiche legate sia alla vista che all’udito siano 189mila. Di esse, circa 108mila sono di fatto confinate in casa, non essendo in grado di provvedere autonomamente a se stesse a causa di altre gravi forme di disabilità che si aggiungono ai problemi di vista e udito. Circa la metà circa delle persone sordocieche (il 51,7% del totale) presenta anche una disabilità motoria, per 4 disabili su 10 si riscontrano danni permanenti legati ad insufficienza mentale, mentre disturbi del comportamento e malattie mentali riguardano quasi un terzo dei sordociechi (il 32,5% dei casi).

Grazie alla Legge 107/2010, la sordocecità è stata riconosciuta come disabilità specifica unica. Eppure tale legge oggi appare inadeguata al fine di una tutela giuridica collettiva che includa tutte le persone con disabilità aggiuntive. È dunque necessario e urgente renderla più attuale, adattandola a un contesto sociale in evoluzione in cui i moderni strumenti di comunicazione e di conoscenza devono garantire un processo inclusivo, dando la possibilità a tutte le persone sordocieche di realizzare sé stesse e di accedere al mondo del lavoro

Per Rossano Bartoli, Presidente della Lega del Filo d’Oro, «per garantire pari opportunità alle persone con disabilità visive ed uditive nell’educazione, nell’accesso ai servizi, all’istruzione ed alla formazione occorre proseguire nel percorso del riconoscimento dei loro diritti. Risulta essenziale fare chiarezza sull’applicazione della legge 107/2010 e promuovere un coordinamento efficace fra il livello centrale e le regioni per superare le discrasie operative e soprattutto far in modo che siano riconosciute sordocieche le persone affette da una minorazione totale o parziale combinata della vista e dell’udito, sia congenita che acquisita, che comporta difficoltà nell’orientamento e nella mobilità, nonché nell’accesso all’informazione e alla comunicazione».

«La sordocecità è solo la punta di un iceberg che riguarda le disabilità plurime e complesse che affliggono oggi migliaia e migliaia di cittadini che attendono risposte specifiche, efficaci e innovative», aggiunge il Presidente di Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Mario Barbuto. «Come UICI siamo impegnati per realizzare modelli di educazione e formazione dedicati, con attività di supporto, sostegno e accoglienza estesi anche alle famiglie. Ma dobbiamo oggi compiere un ulteriore e significativo passo in avanti che guardi alle necessità delle persone sordocieche anche oltre l’età scolare o giovanile, per accompagnarle in età adulta. Per queste ragioni riteniamo importante la creazione di idonee strutture di accoglienza che sappiano sostenere le persone sordocieche in un’ottica di lungo periodo, affinché possano individuare e costruire il loro progetto di vita, in autonomia e dignità. Le risorse attese con il PNRR e gli adeguamenti legislativi e normativi che sono divenuti una urgenza imprescindibile, saranno gli elementi fondamentali del nostro impegno accanto alle persone con pluridisabilità e in particolare con sordocecità».

Bianchi: “Lavoriamo per escludere la Dad. E sulle mascherine deciderà il Cts”

da La Tecnica della Scuola

In visita a Firenze, dove ha prima visitato l’I.C. Piero della Francesca e poi la sede dell’Indire, il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi ha affrontato a SkyTg24 vari temi del mondo della scuola:

“Non c’è possibilità di rilancio delle economie senza investire di più e meglio nella scuola. Bisogna avere attenzione nell’inclusione, nessuno deve rimanere indietro. E poi c’è la necessità di una grande alleanza a livello internazionale per riporre la scuola al centro dello sviluppo. In questo periodo di cambiamento, tutti si sono resi conto della centralità della scuola, della formazione. In quest’epoca che chiamiamo la società dell’informazione c’è più bisogno di scuola di prima”.

Dad

“La Dad in una prima fase non era l’alternativa alla scuola, era l’alternativa all’abbandono totale. I nostri docenti hanno utilizzato gli strumenti di cui disponevano e rapidamente hanno imparato che quello strumento poteva essere utilizzato in maniera diversa. Abbiamo raccolto centinaia di buone esperienze a distanza ma non la Dad che sostituisce l’insegnante o la scuola”.

PNRR

“La scuola italiana non era tutta arretrata. Come tutti i Paesi c’erano delle macchie, delle situazioni molto differenziate. Bisogna recuperare queste macchie e permettere a tutti i bambini e le bambine di avere le stesse disponibilità. Su questo il PNRR ci permette di avere strumenti per poter intervenire sulla povertà educativa, sulle nuove professioni, in particolare nell’area della formazione professionale dotando le nostre scuole di tutti gli strumenti. È un impegno che ci siamo presi, ce lo siamo presi noi come governo, ma ce lo siamo presi anche come G20 cioè i governi più importanti al mondo”.

Mascherine

“È giusto che sia il Cts a darci le indicazioni sull’uso delle mascherine a scuola. Ci adegueremo sulla base del principio di autonomia che regge le nostre scuole. Faremo una gestione assolutamente cauta”.

“Stiamo lavorando per escludere la Dad l’anno prossimo e non trovarci nella situazione dell’anno scorso. Lavoriamo per una scuola in presenza che dia molta attenzione alla società, c’è il bisogno dei bambini di tornare a trovarsi, facendo attenzione a quel recupero di tutte le conoscenze che in un anno così difficile, sono state più carenti”.


Riapertura scuole settembre. Giannelli: che fine ha fatto l’organico Covid?

da La Tecnica della Scuola

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto sulla ripresa della scuola a settembre.

Ha auspicato la costruzione di un piano di rientro che tenga conto dell’esperienza acquisita durante questo anno scolastico, così profondamente segnato dalla situazione emergenziale. Le sue parole: “Soprattutto in vista dell’autunno, quando riapriranno le scuole, dobbiamo essere pronti, non vogliamo ritrovarci nella stessa situazione dello scorso anno. Dopo un anno dobbiamo pur avere imparato qualcosa!”

Il Presidente nazionale ANP, Antonello Giannelli, commenta: “Mancano poco più di due mesi all’inizio del nuovo anno. Non sappiamo ancora come si esprimerà il CTS sulla ripartenza ma non è irragionevole immaginare – anche in considerazione della variante Delta e delle dinamiche della pandemia – che distanziamento e dispositivi di protezione continueranno a essere la norma. Alla luce di questa considerazione condivido appieno l’invito del Presidente del Consiglio a far tesoro dell’esperienza, a non ripetere gli errori del passato e chiedo al decisore politico di non agire tardivamente ricorrendo a soluzioni improvvisate e inefficaci“.

Continua il Presidente dell’ANP: “L’ANP chiede che siano resi noti al più presto i passaggi attraverso i quali le scuole dovranno pianificare il rientro a settembre: deve essere definito un cronoprogramma preciso che consenta ai colleghi dirigenti di valutare l’uso delle risorse disponibili sulla scorta dell’esperienza maturata.  Non è più pensabile mantenere un clima di incertezza che incide non solo sul personale scolastico ma anche sulle famiglie e sugli alunni”.

Conclude Giannelli: “Se distanziamento e mascherine saranno confermati, ritengo necessario che l’Amministrazione comunichi ai dirigenti delle scuole in tempi brevissimi se esse potranno ancora contare sul cosiddetto organico COVID, di cui a oggi non si hanno notizie, e soprattutto se potranno organizzare le attività d’aula e di laboratorio in presenza senza dover subire le difficoltà – riconosciute persino dal Presidente del Consiglio – dovute ai trasporti”.

Draghi sulla riapertura scuole: non vogliamo ritrovarci nella stessa situazione dell’anno scorso

da La Tecnica della Scuola

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, giovedì 24 e venerdì 25 giugno ha partecipato al Consiglio europeo e alla riunione dell’Eurosummit a Bruxelles. Nella conferenza stampa conclusiva ha chiarito alcuni temi di dibattito, anche in relazione all’Istruzione e alle scuole.

In generale, avverte il Presidente del Consiglio: “La pandemia non è finita, non ne siamo ancora fuori, va ancora affrontata con determinazione, attenzione e vigilanza”.

Tra gli argomenti discussi all’Eurosummit, Draghi riferisce della questione vaccini e precisa: “Il vaccino Sputnik, forse non otterrà mai l’ok dell’Ema.”

E sempre sull’Ema: “L’ultimo anno ha visto una certa difformità di pronunciamenti tra l’Ema e le autorità nazionali, anche in relazione al fatto che tutti noi apprendevamo in corso d’opera, però si è vista una notevole confusione. L’Ema credo abbia bisogno di essere rafforzata anche per esercitare quei poteri che le spettano”.

Riapertura scuole

Sulla variante Delta e sulla gestione della pandemia: “In Italia si deve continuare con vigilanza e con una efficace campagna vaccinale, ma anche aumentando i test e i tamponi e individuando per tempo i focolai nelle regioni. In Inghilterra questa variante sta creando incertezza nella ripresa economica. Soprattutto in vista dell’autunno, quando riapriranno le scuole, dobbiamo essere pronti, non vogliamo ritrovarci nella stessa situazione dello scorso anno. Dopo un anno dobbiamo pur avere imparato qualcosa!”

Investimenti sull’Istruzione

“Puntare sugli investimenti che faranno diversa la nostra società, investimenti sulla transazione ecologica, sull’Istruzione, sul capitale umano”. Se questi investimenti saranno fatti bene porteranno più produttività. Nel lungo periodo potremo ridurre il debito e produrre meno disallineamenti rispetto alle politiche economiche e fiscali dell’UE, sostiene il Presidente.

Servizi prestati nella scuola paritaria: valutabili ai fini della carriera?

da La Tecnica della Scuola

Si è tenuta il 23 giugno l’udienza pubblica innanzi alla Corte Costituzionale in merito al giudizio di legittimità costituzionale sull’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994 per contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

La disposizione sospettata di incostituzionalità

In particolare, secondo la formulazione dell’art.485 del Testo unico della scuola, non sarebbero valutabili ai fini della carriera (quindi sia ai fini della mobilità che della ricostruzione di carriera), in quanto non espressamente menzionati, i servizi di insegnamento prestati nella scuola paritaria.

La posizione dei giudici di merito

Inizialmente alcuni tribunali e corti d’appello erano favorevoli alla valutabilità di detti servizi, sia ai fini della ricostruzione di carriera che ai fini della mobilità, ed altrettanti erano contrati; tuttavia, dopo l’intervento della Corte di Cassazione (con le sentenze n. 32386 e n. 33137 del 2019, e l’ordinanza n.25226 del 2020), la giurisprudenza di merito sembrava ormai essersi quasi del tutto adeguata alla posizione dei giudici di piazza Cavour.

L’orientamento della Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione infatti, sia ai fini dell’inquadramento e del trattamento economico dei docenti, sia ai fini delle operazioni di mobilità, “non è riconoscibile il servizio preruolo prestato presso le scuole paritarie in ragione della non omogeneità dello “status” giuridico del personale, che giustifica il differente trattamento, nonché della mancanza di una norma di legge che consenta tale riconoscimento, contrariamente a quanto avviene ai fini della costituzione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato per il servizio prestato nelle scuole pareggiate oltre che in quelle materne statali e comunali”.

La Corte d’Appello di Roma solleva la questione di costituzionalità

Tuttavia, a distanza di un anno dalle predette pronunce della Cassazione, la Corte d’Appello di Roma (con ordinanza del 9 novembre 2020) è andata in controtendenza.

I Giudici d’appello romani hanno infatti portato la norma in questione innanzi alla Corte costituzionale, sostenendone il contrasto con l’art.3 della Costituzione.

Giorno 23 si è tenuta l’udienza a Palazzo della Consulta, relatore Giuliano Amato, e si attende da un giorno all’altro il deposito della sentenza.

Solo dopo il parere della Corte Costituzionale si avrà quindi definitiva chiarezza circa la valutabilità, ai fini della mobilità e della ricostruzione di carriera, dei servizi prestati presso la scuola paritaria.

Scrutini 2021, più bocciati per abbandono scolastico, meno per il rendimento

da La Tecnica della Scuola

Vanno concludendosi gli scrutini di fine anno scolastico 2020-2021 in tutti i gradi di scuola. E anche gli esami di Stato procedono in modo spedito, vista la prova unica (discussione dell’elaborato) che accorcia i tempi e semplifica i calendari dei colloqui.

Ricordiamo che rispetto all’anno scorso, il primo condotto in pandemia, quest’anno si torna a bocciare, a dispetto di qualche contestazione. Questo significa, in parole povere – spiega il nostro direttore Alessandro Giuliani – che non assisteremo, come nell’anno passato, alla disapplicazione dei commi 5 e 6 del Regolamento sulla valutazione, che di fatto, nella scuola secondaria, ha evitato bocciature e sospensioni del giudizio, con passaggi automatici, tranne casi eccezionali, all’anno successivo, anche qualora vi fossero medie complessivamente inferiori ai 6 decimi.

Bocciature da dispersione scolastica

Sebbene non si abbiano ancora stime precise, si teme che molte delle bocciature possano avvenire per via del fenomeno della dispersione scolastica, di cui si è parlato molto nei giorni del G20 di Catania e sul quale ha riferito anche il nostro vice direttore Reginaldo Palermo. Un numero elevato di ragazzi, infatti, non si è presentato al cospetto dei docenti in DaD e a seguire non è tornato in classe neanche dopo. Per il resto, tra gli alunni che non hanno abbandonato i banchi, i dati delle bocciature dovrebbero essere inferiori a quelli del 2019, quindi del pre-pandemia, in quanto il Ministero dell’Istruzione ha raccomandato di tenere conto delle criticità da Covid-19 e da didattica a distanza, come abbiamo già riferito.

Chiarisce, infatti, il MI, con la Nota ministeriale n. 699, firmata dal Capo dipartimento del ministero Stefano Versari: è opportuno richiamare l’attenzione sulla necessità che la valutazione degli alunni e degli studenti rifletta la complessità del processo di apprendimento maturato nel contesto dell’attuale emergenza epidemiologica.

L’indagine Save the children, ad esempio, sottolinea che da marzo 2020 a gennaio 2021 nel 28% delle classi superiori, ogni studente ha avvistato l’addio di almeno un compagno. Un dato, quello della dispersione scolastica, che pare stia quindi tornando a crescere, dopo un triennio in discesa (tra l’anno scolastico 2017/2018 e il 2019/2020).

Valutazione apprendimenti in DaD

Nella valutazione di fine anno si tiene conto, naturalmente, anche degli esiti degli apprendimenti in fase di didattica a distanza, come da integrazione del Contratto collettivo nazionale sulla Didattica digitale integrata, che fa a sua volta riferimento al Decreto Ministeriale n. 89 del 7 agosto 2020, con il quale vengono esplicitate le modalità da attuare sul fronte delle metodologie e degli strumenti di verifica, oltre che della stessa valutazione, in relazione alla funzione docimologica ai docenti e ai criteri approvati dal Collegio dei Docenti e collocati nel Ptof.

Pubblicazione degli esiti

A livello tecnico – stabilisce la NOTA 13914 DELL’11 GIUGNO 2021 – gli esiti degli scrutini, con la sola indicazione per ogni studente “ammesso” e “non ammesso” (compresi, per le classi terminali, i crediti scolastici attribuiti) sono pubblicati, distintamente per ogni classe, solo ed esclusivamente nell’area riservata del registro elettronico, cui accedono tutti gli studenti della classe di riferimento.

Prima di tutto il FUN

L’ANP incontra il neo Capo Dipartimento Risorse: prima di tutto il FUN!

L’ANP ha incontrato ieri pomeriggio il Dott. Jacopo Greco, recentemente nominato Capo del Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero dell’istruzione.  

Il Presidente Giannelli ha colto l’occasione per rinnovare gli auguri di buon lavoro al Dott. Greco e per ribadire l’urgenza assoluta della certificazione dei FUN 2017/2018, 2018/2019 e 2019/2020. Il Presidente dell’ANP ha sottolineato l’assoluta necessità di dimostrare con i fatti la centralità dei dirigenti delle scuole per la ripartenza del paese. Ad avviso dell’ANP, sbloccare la situazione del FUN e creare le condizioni per realizzare, col prossimo CCNL, una equità retributiva effettiva rappresentano il concreto segnale di riconoscimento che la categoria merita. 

Il Capo Dipartimento ha comunicato che il Ministero, dopo aver ricevuto i rilievi dell’UCB, ha provveduto tempestivamente a rivedere i decreti di costituzione dei FUN 2017/2018 e 2018/2019 e ad inviarli di nuovo all’ufficio di controllo. Si è anche impegnato personalmente affinché la certificazione, ormai imminente, consenta di avviare e sottoscrivere i relativi contratti integrativi regionali entro la fine del prossimo luglio.  

Il Dott. Greco ha dichiarato, inoltre, che il Dipartimento da lui diretto è già al lavoro insieme al Dipartimento per l’istruzione al fine di formulare i criteri per la graduazione delle “fasce” di complessità delle istituzioni scolastiche, così come previsto dall’art. 5, c. 3, lett. b del CCNL 8/7/2019. Tale importante innovazione consentirà, una volta messa a regime, di snellire significativamente la procedura di certificazione della contrattazione integrativa da parte dell’UCB, evitando il rischio di restituzioni stipendiali e degli altri deleteri effetti dell’ultrattività.

L’ANP è fermamente convinta che la forza e la serietà di un sindacato professionale si manifestino davvero – specie nei momenti di maggiore criticità – attraverso la ricerca di una serrata interlocuzione con la controparte datoriale, perché è così che si tutelano al meglio i diritti della categoria. 

Riapertura delle scuole a settembre

Draghi interviene sulla riapertura delle scuole a settembre: l’ANP chiede un cronoprogramma con soluzioni nuove, rapide ed efficaci

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi, intervenendo di recente alla Camera, si è espresso sulla ripresa della scuola a settembre. Ha auspicato la costruzione di un piano di rientro che tenga conto dell’esperienza acquisita durante questo anno scolastico, così profondamente segnato dalla situazione emergenziale. In particolare, Draghi ha sottolineato che, pur a fronte di ingenti stanziamenti di fondi, le criticità sui trasporti hanno determinato ricadute negative sullo svolgimento delle attività didattiche in presenza.  

Di fatto, sono stati soprattutto gli studenti del secondo ciclo a vivere un ulteriore anno tribolato, con continui stop and go e presenza fisica in classe limitata. Tale situazione ha condizionato ancor più negativamente gli studenti degli istituti tecnici e professionali: le attività di laboratorio – centrali nel loro curricolo e con valenza determinante ai fini dell’acquisizione di specifiche competenze in prospettiva professionalizzante – sono state limitate nei tempi e nelle modalità operative. Non sorprende che proprio questi istituti, pur nevralgici per il mondo del lavoro, abbiano registrato una flessione delle iscrizioni.  

Mancano poco più di due mesi all’inizio del nuovo anno. Non sappiamo ancora come si esprimerà il CTS sulla ripartenza ma non è irragionevole immaginare – anche in considerazione della variante Delta e delle dinamiche della pandemia – che distanziamento e dispositivi di protezione continueranno a essere la norma.  

Alla luce di questa considerazione condividiamo appieno l’invito del Presidente del Consiglio a far tesoro dell’esperienza e a non ripetere gli errori del passato. Chiediamo, pertanto, che il decisore politico non agisca tardivamente ricorrendo a soluzioni improvvisate e inefficaci.  

Se distanziamento e mascherine saranno confermati – e le scuole in tal caso saprebbero già come operare – riteniamo necessario che l’Amministrazione comunichi ai dirigenti delle scuole in tempi brevissimi se esse potranno ancora contare sul cosiddetto “organico COVID”, di cui a oggi non si hanno notizie, e soprattutto se potranno organizzare le attività d’aula e di laboratorio in presenza senza dover subire le difficoltà – riconosciute persino dal Presidente del Consiglio – dovute ai trasporti.  

L’ANP chiede, pertanto, che siano resi noti al più presto i passaggi attraverso i quali le scuole dovranno pianificare il rientro a settembre: deve essere definito un cronoprogramma preciso che consenta ai colleghi dirigenti di valutare l’uso delle risorse disponibili sulla scorta dell’esperienza maturata.  

Non è più pensabile mantenere un clima di incertezza che incide non solo sul personale scolastico ma anche sulle famiglie e sugli alunni. 

“Speriamo di avere imparato queste cose e di farle bene”, ha detto il Presidente Draghi. L’ANP auspica il superamento dell’orizzonte della speranza: la scuola pretende certezze. 

Persone sordocieche

Persone sordocieche: “in molti in un limbo, urgente adeguare la legge”
Redattore Sociale del 25/06/2021

Lega del Filo d’oro e Unione italiana ciechi e ipovedenti accendono i riflettori sulla Legge 107/2010 in vista della Giornata nazionale (27 giugno). “Fare chiarezza sull’applicazione e riconoscere sordocieche le persone con minorazione totale o parziale, sia congenita che acquisita”

ROMA. Le persone con problematiche legate sia alla vista che all’udito in Italia si stima siano 189 mila. “Nel nostro paese una persona si può definire sordocieca se oltre alla minorazione visiva – che può essere insorta durante tutto l’arco della vita – si aggiunge anche una disabilità uditiva purché la minorazione sia congenita o, se acquisita, insorga durante l’età evolutiva e sia tale da aver compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato. Non sono, quindi, considerate sordocieche le persone che, pur non vedenti, siano diventate sorde dopo il dodicesimo anno di età, o coloro che, nati senza alcuna minorazione sensoriale, siano stati colpiti da sordocecità in età successiva ai dodici anni lasciando quindi in un limbo normativo, e di conseguenza di diritti, moltissime persone che nel nostro paese aspettano un riconoscimento della loro condizione. Lo sottolineano la Lega del Filo d’oro e l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti che accendono i riflettori sulla Legge 107/2010 “Misure per il riconoscimento dei diritti alle persone sordocieche” in vista della Giornata nazionale (27 giugno).

“Grazie alla Legge 107/2010, realizzata sulla base degli indirizzi contenuti nella dichiarazione sui diritti delle persone sordocieche del Parlamento europeo del 12 aprile 2004, la sordocecità è stata riconosciuta come disabilità specifica unica (in precedenza si riferiva alla sommatoria delle due minorazioni). – si legge in una nota congiunta – Eppure, oggi appare inadeguata al fine di una tutela giuridica collettiva che includa tutte le persone con disabilità aggiuntive. È dunque necessario e urgente renderla più attuale, adattandola a un contesto sociale in evoluzione in cui i moderni strumenti di comunicazione e di conoscenza devono garantire un processo inclusivo, dando la possibilità a tutte le persone sordocieche di realizzare sé stesse e di accedere al mondo del lavoro”.

“Per garantire pari opportunità alle persone con disabilità visive ed uditive nell’educazione, nell’accesso ai servizi, all’istruzione ed alla formazione occorre proseguire nel percorso del riconoscimento dei loro diritti – dichiara Rossano Bartoli Presidente della Lega del Filo d’Oro. – Risulta essenziale fare chiarezza sull’applicazione della legge 107/2010 e promuovere un coordinamento efficace fra il livello centrale e le regioni per superare le discrasie operative e soprattutto far in modo che siano riconosciute sordocieche le persone affette da una minorazione totale o parziale combinata della vista e dell’udito, sia congenita che acquisita, che comporta difficoltà nell’orientamento e nella mobilità, nonché nell’accesso all’informazione e alla comunicazione”.
“La sordocecità è solo la punta di un iceberg che riguarda le disabilità plurime e complesse che affliggono oggi migliaia e migliaia di cittadini che attendono risposte specifiche, efficaci e innovative – ha dichiarato il Presidente di Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Mario Barbuto – Come UICI siamo impegnati su questo fronte per realizzare modelli di educazione e formazione dedicati, con attività di supporto, sostegno e accoglienza estesi anche alle famiglie, grazie alla nostra rete di 107 sezioni territoriali, con strutture di ascolto, servizio di orientamento e assistenza psicologica, centri di consulenza tiflo-didattica. Ma dobbiamo oggi compiere un ulteriore e significativo passo in avanti che guardi alle necessità delle persone sordocieche anche oltre l’età scolare o giovanile, per accompagnarle in età adulta. Per queste ragioni riteniamo importante la creazione di idonee strutture di accoglienza che sappiano sostenere le persone sordocieche in un’ottica di lungo periodo, affinché possano individuare e costruire il loro progetto di vita, in autonomia e dignità. Le risorse attese con il PNRR e gli adeguamenti legislativi e normativi che sono divenuti una urgenza imprescindibile, saranno gli elementi fondamentali del nostro impegno accanto alle persone con pluri-disabilità e in particolare con sordocecità”.

La Giornata nazionale delle persone sordocieche, istituita nel 2018 dall’Unione Europea dei Sordociechi (EDbU) e fissata per il 27 giugno, promossa in Italia dalla Lega del Filo d’Oro e dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, è nata proprio con l’obiettivo di fare luce sulla condizione delle persone che vivono con questa disabilità sensoriale nel nostro Paese, al fine di garantire loro maggiore inclusione sociale, autodeterminazione e autonomia.

Secondo uno studio condotto dall’Istat in collaborazione con la Lega del Filo d’Oro, in Italia 108 persone con problematiche legate sia alla vista che all’udito sono confinate in casa, non essendo in grado di provvedere autonomamente a se stesse a causa di altre gravi forme di disabilità che spesso si aggiungono ai problemi di vista e udito. Più del 55% dei disabili sensoriali sperimenta importanti restrizioni alla propria autonomia non potendo uscire di casa a causa di altre forme di disabilità che si sommano a quelle di vista e udito: la metà circa delle persone sordocieche (il 51,7% del totale) presenta anche una disabilità motoria. Per 4 disabili su 10, invece, si riscontrano danni permanenti legati ad insufficienza mentale, mentre disturbi del comportamento e malattie mentali riguardano quasi un terzo dei sordociechi (il 32,5% dei casi).

Nove ragazzi su dieci chiedono lo psicologo scolastico

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Il protocollo Cnop-ministero Istruzione del settembre 2020 ha portato all’attivazione del servizio di psicologia scolastica in circa 6.000 scuole su 8 mila, soprattutto a partire da ottobre-novembre 2020. Da una prima rilevazione tale servizio si è occupato di supporto agli studenti (33% attività svolta, ad esempio gestione disagi, supporto emotivo, potenziamento risorse), consulenza all’organizzazione scolastica (28%, ad esempio gestione comunicazioni, sistemi di monitoraggio organizzativo e di clima psicorelazionale), supporto al personale (22%, ad esempio benessere psicologico, strategie attività online e gestione classe, promozione risorse studenti), supporto alle famiglie (17%, ad esempio coordinamento azioni scuola/studenti/famiglia; gestione delle situazioni a casa). Sono oltre un milione i soggetti che hanno usufruito del servizio di ascolto e sostegno dedicato ai ragazzi, alle famiglie e al personale della scuola.

Le attività degli psicologi scolastici sono state supportate da una task force di esperti guidata dalla professoressa Daniela Lucangeli (Università di Padova) che ha elaborato linee guida basate sulla più recente letteratura scientifica. «La psicologia scolastica serve a potenziare le risorse del sistema scuola nel suo complesso e svolge una funzione fondamentale di prevenzione e di promozione delle competenze psico-emotive, relazionali, comportamentali e di apprendimento» sottolinea la Lucangeli.

I dati mostrano come la pandemia abbia incrementato i problemi psicologici: sei bambini su dieci sotto i sei anni e sette su dieci sopra i sei anni mostrano problemi psico-comportamentali con il rischio di sviluppare disturbi più severi tre volte maggiore rispetto al pre-pandemia.

Tutte le agenzie internazionali e nazionali, dall’Oms all’Istituto superiore di Sanità evidenziano l’effetto iceberg (una quota di disturbi più seri ed evidenti e una mole prevalente di situazioni di malessere e disagio) che richiede strategie di prevenzione e sviluppo risorse, quella che l’Oms chiama “thrive toolkit”, strategie per favorire una crescita psicologica consapevole. La psicologia scolastica ha questo ruolo fondamentale in tutti i paesi europei e serve anche a sgravare il compito dei servizi sanitari, chiamati a curare le situazioni più gravi.

Il Centro Studi ha inoltre effettuato, tramite l’Istituto Piepoli, un sondaggio sulla popolazione italiana (21 giugno 2021) che mostra come l’81% degli italiani chieda lo psicologo scolastico, percentuale che sale al 94% nella fascia d’età 15-18 anni. Secondo gli intervistati le attività più importanti sono ascolto e sostegno (54%), prevenzione del disagio (41%), supporto alle famiglie (29%), consulenza al sistema scuola nel suo complesso e supporto ai docenti (18%). Tra gli studenti (15-18 anni) sette si dieci scelgono la voce “ascolto e sostegno”, evidenziando così il bisogno di comunicare.

«Si tratta di dati significativi che evidenziano come la presenza di uno sportello psicologico a scuola aiuti alunni e studenti a prendere coscienza di eventuali disagi prima e a chiedere aiuto poi. Fornire alle scuole questa competenza significa renderle uno spazio completo di crescita e maturazione per i giovani, soprattutto ora all’indomani di una pandemia che ha stravolto le loro vite», sottolinea Antonello Giannelli, presidente nazionale Anp. Lazzari (presidente Cnop): «Ora c’è bisogno di dare continuità a questa esperienza, sarebbe tragico se venisse interrotta, anche perché abbiamo bisogno di “vaccini psicologici” per la psicopandemia, e la psicologia scolastica è un presidio fondamentale».

Adolescenti e pandemia: oltre la metà ha sperimentato disagi psico-fisici

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Sfiduciati e provati dalla pandemia, ma ricchi di proposte e richieste, anche pressanti, alle istituzioni politiche e alla scuola per “riprendersi il futuro”. Quel futuro che oggi vedono così minaccioso che, come dice Francesca, valdostana di 17 anni parafrasando Ennio Flaiano «faccio progetti per il mio passato»; Marco stessa età e residente in Campania ha solo voglia di «riprendere da dove mi sono fermato, recuperare, colmare i vuoti e riprendermi ciò che di diritto di adolescente mi spetta: la mia vita». Sono le voci dei 5.713 giovani che hanno partecipato, tra aprile e maggio di questo anno, alla indagine online “Ora parliamo noi”, promossa da Cittadinanzattiva, con il sostegno non condizionato di Assosalute – Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica – e rivolta direttamente a ragazzi dai 14 ai 19 anni o attraverso le scuole con cui Cittadinanzattiva collabora.

Chiedono in primo luogo di essere ascoltati, ad esempio attraverso audizioni degli studenti in Parlamento e prevedendo rappresentanti delle istituzioni più competenti e vicine al mondo giovanile, perché dicono «non siamo delle marionette da manipolare», (Flavia quindicenne della provincia di Lecce), «prima di decidere su scelte che ci riguardano devono ascoltarci perché a volte alcune loro decisioni sono dannose per noi ragazzi» (Federica, 17enne della periferia milanese).

«Le testimonianze dei ragazzi esprimono sofferenze e disagi profondi anche perché per 16 mesi si sono sentiti non considerati, silenziati, invisibili. Ora chiedono, attraverso “raccomandazioni” dirette e concrete, di essere ascoltati dalle Istituzioni in merito a tutte le decisioni e ai progetti che verranno messi in opera e di poter contribuire a migliorare il proprio presente e futuro. Dopo aver raccolto bisogni, attese e richieste con questa indagine, ci impegneremo per promuoverle presso le istituzioni perché trovino risposta, e nello stesso tempo metteremo a punto programmi ed iniziative specifiche per far fronte ai problemi non rinviabili da loro evidenziati», dichiara Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva. Il primo passo da compiere è quello di trovare modalità consultive per ascoltare i ragazzi, a tutti i livelli».

«L’indagine mette in luce le tante difficoltà che i ragazzi si sono trovati ad affrontare in questi mesi di pandemia e come questa abbia cambiato le loro abitudini. Tuttavia, la ricerca evidenzia anche come i giovani tendano ad adottare comportamenti adeguati in ambito salute, discutendo del proprio benessere in famiglia e rivolgendosi alle figure di riferimento – medico e farmacista – quando si tratta di avere indicazioni sulla propria salute», afferma Salvatore Butti, presidente Assosalute. «La pandemia ha messo in luce la crucialità di avere ragazzi e futuri cittadini consapevoli e informati in ambito salute. Per questo chiediamo di investire affinché l’educazione sanitaria entri nelle scuole e permetta di creare e rafforzare i percorsi di empowerment dei ragazzi in ambito salute».

Giovani e norme anti-covid
Più della metà degli intervistati non ha difficoltà all’utilizzo della mascherina nei luoghi chiusi e sui mezzi pubblici. L’abitudine di lavarsi frequentemente le mani con il sapone è ormai acquisita per il 66%. Le difficoltà aumentano quando entrano in gioco i rapporti con gli amici con i quali ben il 58% dichiara di avere difficoltà a mantenere la mascherina per tutto il tempo dell’interazione; un terzo dichiara di non aver rinunciato all’abitudine di passarsi bicchiere o bottiglia; il 57% non rinuncia facilmente a scambiarsi baci e abbracci con gli amici e, in percentuale analoga (58%), anche con parenti non conviventi.

Riguardo al distanziamento a scuola, per il 58% è difficile garantirlo in classe, ma ancor di più nelle pause, all’entrata e all’uscita di scuola (64,5%).

I disagi psicofisici degli adolescenti
Più di 1 su 3 (37%) ha avuto l’esperienza diretta di persone care contagiate e addirittura di una perdita quasi per 1 su 4 (23%). I due terzi dei ragazzi/e hanno grande paura di contrarre il virus. Più della metà (58%) riconosce che sono aumentate tra i loro pari le forme di disagio psico-fisico. Tra i principali motivi di sofferenza in ordine di importanza vengono indicati: la lontananza dalle persone più care (75%); il divieto di potersi muovere liberamente (74%), quello di incontrare amici e compagni di scuola (71%). Ad una certa distanza ma in una percentuale superiore alla metà degli intervistati, compare la noia nello stare chiusi in casa (59%) e nell’impossibilità di praticare attività sportive (50%).

Anche l’assenza della scuola in presenza ha rappresentato motivo di sofferenza per più di un intervistato su tre (37%). Difronte ad un malessere fisico il 68% dei ragazzi si rivolge ai propri genitori o prende tempo per vedere se si tratta di un disturbo passeggero (49,2%). Quasi uno su sei cerca nell’armadietto di casa qualcosa che faccia al proprio caso (18%) e uno su sette (14,3%) si affida alla rete.

Uso di farmaci e di altri prodotti per la salute
Poco meno della metà (43,3%) dichiara di non aver utilizzato nell’ultimo anno farmaci o prodotti per la salute. Tra quelli più usati, invece, al primo posto vi sono gli integratori alimentari e le vitamine (40%), seguiti dagli anti dolorifici (23%) e dai farmaci da banco (17%). Uno su venti ha fatto uso di ansiolitici e anti depressivi e circa il 5% di prodotti dietetici o per perdere peso. Per procurarsi questi farmaci e prodotti si ricorre innanzitutto ai propri genitori (57%), ma anche al proprio medico (52%), o si chiede consiglio al farmacista (36%). I ragazzi dunque ricorrono responsabilmente a figure di riferimento familiari o professionali quanto devono affrontare un problema di salute, affidandosi in maniera residuale al consiglio degli amici (3%) e all’acquisto di farmaci su internet (2%).

Connessi ma non solo
Ben il 63% dei ragazzi e delle ragazze è connesso oltre tre ore al giorno in aggiunta a quelle impiegate per la Didattica a distanza. Quando sono “disconnessi”, ascoltano o producono musica (57%), incontrano gli amici (55%). Poco meno della metà (48%) conversa con genitori, parenti e amici, pratica un’attività sportiva e fa una passeggiata rispettivamente il 44% ed il 38%. Si dedica alla cucina il 28% e legge il 25%.

Cambiamenti nei comportamenti
Nell’ultimo anno la stragrande maggioranza dei giovani intervistati ha sperimentato sbalzi di umore (63%), seguiti dai disturbi del sonno (57%). Al terzo posto vengono dati in aumento i disturbi dell’alimentazione (46%), seguiti dal desiderio di stare soli (39%), e dalla consapevolezza di essere iper connessi (quasi 38%); a seguire i comportamenti verbali e fisici di aggressività verso gli altri (32,5%) ma anche episodi di autolesionismo (18%).In aumento anche l’accesso e la visione di materiale pornografico (30%), il consumo di tabacco (31%) e di alcolici (24%), così come quello di droghe (13%) e del gioco d’azzardo (10%). Desta preoccupazione anche l’aumento degli episodi di cyberbullismo: un ragazzo su sette dichiara di avervi assistito e uno su dieci di esserne stato vittima.

Come si sentono…in famiglia, con gli amici, con i profIl clima in famiglia in questo periodo viene definito sereno (52%), piacevole (34%) e divertente (28%) ma anche altalenante (35%), agitato (21%), fino a diventare invivibile (5%). Poco meno della metà degli intervistati segnala come i rapporti con i propri compagni e docenti non abbiano subito modifiche (rispettivamente nel 46% e nel 48% dei casi). Per la parte restante i rapporti sono mutati in meglio rispetto ai propri compagni (31,1%) ma in peggio nei confronti dei propri docenti (30,4%).

Cosa chiedono alle istituzioni e alla scuola
Non sono affatto convinti della utilità dei corsi estivi (il cosiddetto Piano estate) e chiedono fondi per il rinnovo e l’ammodernamento degli istituti scolastici, sia dal punto strutturale che didattico, al fine di “migliorare le strutture o creare di nuove, migliorare i laboratori e le esperienze extrascolastiche”; “cambiare le scuole e renderle più vivibili”, “rendere più sicuri i mezzi di trasporto, aumentandoli e sanificandoli di più”.

Ai professori e ai dirigenti chiedono che la didattica sia ripensata perché hanno subito lo stress delle eccessive verifiche ed interrogazioni nelle settimane in cui erano in presenza. Per il nuovo anno chiedono modalità e spazio per dare ascolto e considerazione ai loro bisogni e per riuscire a formalizzare il vissuto di questi 16 mesi e ristabilire una relazione significativa con i propri docenti e compagni.

E sulla didattica a distanza, che tanti hanno mal sopportato ma della quale molti altri hanno intravisto gli aspetti positivi, chiedono corsi di formazione per i docenti, possibilità di alternare i gruppi a distanza e in presenza in modo da non perdere i contatti con l’intera classe, dispositivi adeguati per tutti (in comodato d’uso o attraverso bonus per l’acquisto). Chiedono bonus per tante esigenze: per lo psicologo perché «nella mia classe la maggior parte dei ragazzi sono seguiti da una psicologa o psicoterapeuta e fino all’anno scorso quasi nessuno» (17enne di Aosta); per fare i viaggi in estate ma anche per le uscite didattiche del prossimo anno; per acquistare strumenti tecnologici e libri, non solo per lo studio; per praticare le attività sportive.

Sul contenimento della emergenza sanitaria, guardano al prossimo anno scolastico e chiedono misure per migliorare la situazione igienica delle scuole, ad esempio attraverso la sanificazione frequente delle aule almeno una volta al mese, dispositivi più efficaci (non solo gel, ma anche ad esempio appositi dispositivi per il riciclo dell’aria). Chiedono di estendere la campagna vaccinale ai più giovani senza incertezze e con messaggi chiari, assicurare tamponi agli studenti alla ripresa delle attività scolastiche e ad intervalli regolari, dotarli di mascherine adeguate e confortevoli («Vogliamo quelle blu da chirurgo e non bianche con due lacci dietro la testa», dice Mattia, 17enne di Aprilia).

Un Manifesto per la nuova scuola

da Il Sole 24 Ore

di Alfonso Molina*

Recentemente è stato diffuso un interessante Manifesto che stimola il dibattito sul futuro della scuola italiana [https://www.change.org/p/manifesto-per-la-nuova-scuola].
L’obiettivo generale è lodevole e condivisibile: una scuola pubblica che ha al centro la crescita della dimensione integralmente umana degli studenti, che potranno diventare cittadini liberi e consapevoli, in grado di contribuire a un autentico progresso della società. In questa scuola l’insegnamento e l’apprendimento toccano tutte le dimensioni dell’essere umano – intellettuale, razionale, affettiva, emotiva, relazionale, corporea – tra loro interconnesse e inscindibili.

Per realizzare questo obiettivo, il Manifesto propone un insieme di elementi interrelazionati per modificare profondamente l’attuale percorso del sistema scolastico. Tra questi, la centralità della trasmissione della conoscenza e del sapere, il ruolo dell’insegnante come esperto, motivatore e trasmettitore libero della passione per la conoscenza e del sapere agli studenti, anche in un senso personalizzato, l’ora di lezione disciplinare come unico indispensabile progetto e la classe di 20 studenti al massimo. Si chiede anche la deburocratizzazione del lavoro dell’insegnante e che tutti gli strumenti e i metodi di insegnamento, compresi quelli legati all’uso delle tecnologie digitali, tornino a essere dei semplici mezzi.

Usando anche espressioni squalificanti come “progettificio” o “didattichese”, il Manifesto critica fortemente il percorso fatto dal sistema scolastico italiano negli ultimi vent’anni e soprattutto la focalizzazione sull’acquisizione di “competenze”, considerate come una categoria restrittiva nata nel mondo aziendale e produttivo. Le innovazioni didattiche digitali sono viste con poco entusiasmo e la “didattica a distanza” (Dad) è definitivamente bocciata.

Il risultato generale è una chiamata a smantellare una serie di riforme “devastanti” fatte nelle due decadi scorse con interventi precisi e profondi, come, ad esempio, rivedere l’autonomia scolastica, eliminare i test Invalsi e l’alternanza scuola-lavoro, e tutte le attività burocratiche considerate inutili. In un certo senso, il Manifesto propone una “reinnovazione” del sistema scolastico italiano che sarebbe un “ritorno al futuro”, ma sappiamo che non è possibile ritornare alla situazione di vent’anni fa.Non è l’intenzione di questo contributo entrare nel merito di ognuna delle critiche e delle proposte del Manifesto. Sono invece interessato al potenziale di cambiamento sistemico che ha il documento e il movimento di firmatari che lo ha sottoscritto. Per questo è necessario considerare l’insieme della complessità e delle sfide che qualsiasi cambiamento sistemico della scuola italiana dovrà affrontare.

Ricordo una lunga conversazione con il professore Tullio De Mauro in cui si ragionava di scuola. Per sottolineare la complessità dei sistemi di istruzione a De Mauro bastava una battuta. «La scuola non è un sostantivo singolare», diceva, è «plurale». E aggiungeva: «La scuola è l’organizzazione più complessa della società». Lo evidenziano anche i dati del Miur che per l’anno scolastico 2020-21 identificano 8.183 istituzioni scolastiche statali, 40.658 sedi, 369.048 classi, 683.975 posti comuni e di sostegno, e 7.507.484 alunni di variegate età, abilità e tutti in percorsi di crescita, cioè in costante cambiamento e apprendimento. Inoltre il sistema scuola non esiste in isolamento dal mondo circondante che, mai come negli ultimi 25 anni, è entrato in una accelerazione di cambiamento scientifico e tecnologico in tutti gli ambiti della società: economia, industria, lavoro, organizzazioni e, certamente, il mondo educativo.

La trasformazione scientifica e tecnologica si intreccia con le cosiddette sfide globali come l’ambiente, la diseguaglianza, e tante altre, come ad esempio, quelle contenute nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazione Unite. L’intreccio inseparabile è alla base del mondo complesso del 21° secolo e mi piace immaginare che è il territorio del viaggio della vita, innanzitutto dei giovani ragazzi e ragazze che oggi vanno a scuola e che devono attrezzarsi per costruire una vita piena. Basti pensare che oggi un ragazzo di 15 o 20 anni, con la aspettativa di vita già esistente, potrebbe raggiungere quasi la fine del secolo.

Se consideriamo il progresso della genetica questa ipotesi diventa una certezza. Così, se questo è il territorio del viaggio della vita nel 21° secolo, i ragazzi sono i viaggiatori o i viandanti che la scuola deve contribuire ad attrezzare. Non a caso, l’educazione, l’apprendimento, la scuola, sono stati al centro di proposte teoriche e pratiche da parte di studiosi come Edgar Morin, Howard Gardner, Ken Robinson, e policy maker di istituzioni come Unesco, Ocse, Cec, e Nrc (Usa).

Nella Fondazione Mondo digitale ho disegnato il “Modello di educazione per la vita nel 21° secolo”, con un’attitudine aperta alle possibilità esistenti ed emergenti e ho cercato di mettere insieme in un unico schema (non statico) gli elementi che possono contribuire all’educazione e allo sviluppo pieno di una persona come cittadino responsabile: non solo contenuti disciplinari codificati, ma anche competenze chiave o trasversali, valori fondamentali, aspetti caratteriali. E poi le diverse modalità di insegnamento (sempre in evoluzione), in contesti più o meno formali, in spazi tradizionali e innovativi, in tempi diversificati.

Al centro del modello ci sono le persone, gli studenti, gli insegnanti, e sempre di più una comunità educante, perché come dice il proverbio africano: «Ci vuole una comunità o un villaggio per crescere un bambino». Il modello cerca di generare consapevolezza sulle tante possibilità e combinazioni per una educazione per la vita, non cerca di prescrivere, perché è il ruolo dell’insegnante, dei ragazzi, della scuola di scegliere e applicare i migliori percorsi. Certamente le migliore scelte verranno da insegnanti e presidi curiosi, appassionati, esperti, consapevoli e aperti, che lavorando insieme per il bene dei ragazzi sedimenteranno il futuro del paese. E questo mi fa pensare che una scuola concentrata principalmente sulla ora di lezione frontale potrebbe essere limitante. Come siamo messi? Sappiamo che la scuola italiana ha giocato un ruolo storico centrale nella alfabetizzazione di milioni di persone e sappiamo anche che adesso la scuola vive un periodo di grande crisi riflessa in una varietà di indicatori che posizionano il paese tra i meno sviluppati dell’Europa. Basta riprendere alcuni degli aspetti sottolineati dal Pnrr riguardo l’istruzione e la ricerca: – carenze strutturali nell’offerta di servizi di educazione e istruzione primarie; – gap nelle competenze di base, alto tasso di abbandono scolastico e divari territoriali- bassa percentuale di adulti con un titolo di studio terziario- skills mismatch tra istruzione e domanda di lavoro- basso numero di ricercatori e perdita di talenti.E altri come l’altissimo numero di Neet, la povertà educativa, e il basso status degli insegnanti italiani comparati agli insegnanti di altri paesi (terzultimi tra 35 paesi nel Global Teacher Status Index 2018).

E poi c’è un altro elemento cruciale di sottofondo, la difficoltà dell’Italia di implementare processi d’innovazione sistemici di lungo periodo. Nella visione della Fmd, una innovazione educativa sistemica coinvolge simultaneamente il contenuto educativo, gli strumenti, ambienti e programmi educativi, la gestione dei processi didattici e della scuola, la formazione degli insegnanti e presidi, la governance e le politiche educative a livello nazionale/regionale, e una varietà di processi sotto sistemici spinti dalla scuola e da altri attori del mondo scolastico, come le organizzazioni del terzo settore. E non solo, il processo deve avere il tempo, le risorse e la stabilità per arrivare a un impatto visibile e misurabile.

Credo che la proposta del “Manifesto per la nuova scuola” appartenga a questa categoria di innovazione. Il problema è che questo livello di innovazione educativa raramente accade in Italia, soprattutto se una proposta viene posizionata in una contrapposizione conflittuale. In pratica, la storica instabilità politica e la mancanza di priorità data alla scuola da molto tempo si è tradotta frequentemente in processi frammentati che si interrompono senza un impatto di miglioramento duraturo e che, invece, possono finire per incrementare la carica burocratica e indebolire la possibilità che ha l’insegnante di fare ricerca per identificare e applicare una effettiva didattica personalizzata. Tuttavia sono tanti gli insegnanti, le scuole, anche insieme ad altre organizzazioni, che cercano di innovare per offrire il meglio agli studenti in viaggio attraverso il “territorio della vita nel 21° secolo”.

Adesso arriva un’opportunità storica, e forse irripetibile, con il finanziamento messo a disposizione dal Recovery Fund europeo. Ci auspichiamo che questa sarà la volta buona per trasformare sistemicamente la scuola italiana, migliorando l’infrastruttura e raccogliendo e potenziando tante esperienze educative positive che esistono nel paese. Ci sarà bisogno di un Patto nazionale per la scuola italiana, per assicurare la stabilità e lungimiranza necessarie. Questo Patto richiede una attitudine generosa da tutte le parti, con un solo grande obiettivo, dare ai ragazzi italiani la miglior chance di attrezzarsi per crescere e sviluppare una vita piena nei tanti anni avvenire. Non c’è una formula più effettiva per assicurare simultaneamente il futuro dell’Italia.

*Direttore scientifico Fondazione Mondo digitale e personal chair in Strategie delle tecnologie all’Università di Edimburgo.

Troppe assenze a scuola E dopo un anno di Dad aumentano i bocciati

da la Repubblica

di Valeria Strambi e Ilaria Venturi

Tornano i bocciati a scuola. E l’effetto di due anni pandemia, dopo i tutti- promossi nel 2020, si fa sentire negli scrutini. Crescono i rimandati e soprattutto chi deve ripetere l’anno perché sparito dal computer e dalle aule, per quel poco che sono state aperte. Troppe assenze. Sono i ragazzi dispersi, il fenomeno più allarmante.

L’attesa, dunque, non è di un aumento dei bocciati rispetto al 2019, l’anno prima del Covid, perché molti istituti hanno seguito l’invito del ministero a tenere conto delle difficoltà dovute all’emergenza sanitaria. Ma non è stato così dappertutto e sono le storie di ogni singolo istituto che contano: chi ci è andato con la mano pesante e non ha fatto sconti, arrivando a stoppare fino a tre o quattro studenti per classe. Chi s’è inventato di tutto per riacciuffarli.

I ragazzi perduti

All’istituto Devilla di Sassari i bocciati sono passati dal 6 all’11% tra il 2019 e quest’anno. Ed è leggermente aumentato il numero di non scrutinabili, dal 12 al 13%. «Questo dato in realtà non descrive in modo chiaro il fenomeno — ragiona la preside Nicoletta Puggioni — La scuola infatti negli ultimi anni era riuscita ad abbassare molto le percentuali di abbandono, pertanto in una condizione di normalità il dato sarebbe probabilmente più basso di almeno 2-3 punti. La pandemia invece ha accentuato la tendenza di alcuni ragazzi a lasciarsi andare e rinunciare a una frequenza regolare, fino a interromperla completamente». Così per i non ammessi alla Maturità. «Da noi sono passati dal 6% del 2019 all’11% — continua la dirigente — la Dad ha creato delle grosse lacune. Alcuni studenti si sono letteralmente arresi, rinunciando alla frequenza alla fine dell’anno scolastico e alla presentazione dell’elaborato per l’esame».

In una decina di istituti di Palermo i bocciati sono stati il 4%, ma altrettanti sono i non scrutinati per troppe assenze. All’istituto alberghiero Buontalenti di Firenze i bocciati sono oltre 180 su 1.200 alunni (il 2,63% in più rispetto al 2019): «Abbiamo preso questa decisione drastica per il bene dei ragazzi — specifica la preside, Maria Francesca Cellai — . Le lacune erano tali che si sarebbero trovati in difficoltà con la conseguenza di soffrire ancora di più dopo e di perdersi definitivamente». Per 80 studenti non è stato neppure possibile fare gli scrutini poiché hanno smesso di frequentare o di collegarsi con il computer: «Il dato più allarmante è che molti, anche delle prime, hanno patito così tanto la distanza a livello psicologico, da abbandonare la scuola». Anche l’aumento delle bocciature allo scientifico Fermi di Bologna (da 60 nel 2019 a 72) ha la stessa motivazione: studenti non scrutinati per frequenza discontinua.

I bocciati dopo due anni

«Dopo un anno e mezzo terribile non potevamo fingere che nulla fosse accaduto. Abbiamo tenuto conto della didattica a distanza, delle chiusure, delle quarantene e delle difficoltà emerse — spiega Domenico Squillace, preside del liceo scientifico Volta, dove i bocciati sono 20 — . Si tratta di bocciature che riguardano due anni. Promuovere tutti nel 2020 ha avuto conseguenze».

L’opinione è comune. E spesso le bocciature sono frutto dell’accumulo di due anni di insufficienze e nascono da un accordo con le famiglie. «In alcuni casi, anche in accordo con le famiglie, si è convenuto che fosse necessario ripetere l’anno» spiega Patrizia Cocchi, preside dello scientifico Vittorio Veneto, dove i fermati sono poco più di una decina su 54 classi. Al tecnico per il turismo Marco Polo di Firenze, i bocciati sono scesi al 6,9%, nel 2019 erano il 7,6%. «La scelta di bocciare è avvenuta solo per le situazioni estreme: chi, ad esempio, ha superato di molto il limite del 25% delle assenze o chi aveva insufficienze gravi che si portava avanti dallo scorso anno — afferma il preside Ludovico Arte — . In alcuni casi sono state proprio le famiglie a chiederci di valutare la possibilità di far ripetere l’anno ai figli o gli stessi ragazzi a “bocciarsi” da soli, essendosi resi conto di non riuscire ad andare avanti soprattutto per motivi psicologici legati ai contraccolpi della pandemia».

A ostacoli l’esordio alle superiori

Quelli che hanno vissuto per due anni solo la scuola a distanza hanno sofferto di più. Al liceo Pellico-Peano di Cuneo i bocciati (3%) e i ripetenti (15%) sono in linea con gli anni pre-pandemia. «Le maggiori difficoltà si sono registrate al biennio», spiega il preside Alessandro Parola. Il rush finale del ritorno in presenza a maggio ha permesso il recupero: «Prima delle vacanze pasquali avevamo inviato circa 150 comunicazioni ad alunni potenzialmente a rischio di bocciatura. Poi due su tre si sono risollevati anche grazie alla fine della Dad». Nei collegi docenti si è discusso molto. «I consigli di classe hanno lavorato in modo inedito valutando con occhio diverso i risultati degli studenti. La pandemia, del resto, ha segnato tutti e ha reso umanamente più vicini, davanti e dietro ai monitor, in attesa di rioccupare banchi e cattedre». Racconta la preside Liliana Gilli, del liceo classico Galileo di Firenze: «Abbiamo pensato a un sistema per dar loro più tempo per recuperare. Chi aveva tra il 5 e il 5 e mezzo è stato ammesso all’anno successivo, durante il quale però dovrà sostenere delle verifiche in più e dimostrare di aver superato le sue debolezze». Le scuole hanno fatto molto per recuperare i ragazzi. «Noi abbiamo dati tra bocciati e sospesi simili al 2019, è stato fatto un lavoro piuttosto di fino» spiega Giovanna Morini, preside del liceo Muratori San Carlo di Modena. Ma non è stato così in tutte le scuole.

I rimandati

Nel Lazio, secondo le prime stime, è previsto un calo delle bocciature rispetto al 5,8% del 2019. Ma sono in aumento gli studenti col giudizio in sospeso. Al liceo Mamiani di Roma, spiega la dirigente Tiziana Sallusti, «abbiamo dato la possibilità di recuperare a settembre, tenuto conto della situazione anomala e difficile ». Insomma: molti più ragazzi dovranno recuperare tante materie. All’artistico di Ravenna un lieve aumento di bocciati (9%) e rimandati, in particolare nelle materie culturali (15%) c’è stato. E siamo sempre lì, la Dad. «Non ha contribuito — commenta la preside Mariateresa Buglione — ad aiutare gli studenti più deboli, che hanno bisogno della presenza e della guida degli insegnanti».

— Hanno collaborato SaraBernacchia e Valentina Lupia