Non udenti, il progetto della Sardegna primo in Italia

Non udenti, il progetto della Sardegna primo in Italia

Redattore Sociale del 09/12/2020

L’iniziativa della regione, che punta ad abbattere le barriere comunicative, ha ottenuto il punteggio più alto nel bando della presidenza del Consiglio dei ministri. Solinas: “Il risultato conferma l’eccellenza dell’isola nell’innovazione”

CAGLIARI. Promosso a pieni voti dal governo, il progetto sperimentale della Regione Sardegna finalizzato all’abbattimento delle barriere comunicative per i non udenti. L’iniziativa “Innovare, informare, partecipare-nuove metodologie per la comunicazione delle persone con ipoacusia”, fa sapere l’ufficio stampa della Regione, ha ottenuto il punteggio più alto a livello nazionale nella graduatoria del bando indetto dalla presidenza del Consiglio dei ministri, a cui hanno partecipato diciassette Regioni, per il finanziamento di progetti a favore delle persone non udenti o affette da ipoacusia, in particolare per la diffusione di servizi di interpretariato in lingua dei segni (Lis) e video interpretariato.

Il progetto, promosso dall’assessorato della Sanità, con la collaborazione di Sardegna Ricerche e Crs4, riceverà un finanziamento di 360.000 euro. In particolare, il lavoro presentato dalla Regione a Roma punta ad abbattere le barriere nei servizi offerti dalla pubblica amministrazione attraverso lo sviluppo di una piattaforma cloud che sarà implementata sui dispositivi mobili e conterrà tutte le soluzioni tecnologiche più idonee per la comunicazione fra operatori e utenti (e quindi in grado di interpretare e tradurre il linguaggio dei segni). “La Sardegna conferma la propria eccellenza nel campo dell’innovazione tecnologica con un progetto di grande rilievo sotto il profilo socio-sanitario- spiega il presidente della Regione, Christian Solinas- che ha l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità”.

Prosegue il governatore: “Non abbiamo semplicemente presentato un progetto, ma proponiamo un modello di lavoro virtuoso di sperimentazione attiva, che prevede il coinvolgimento dei cittadini, gli utenti finali, e potrà essere applicato a iniziative analoghe nell’ambito dell’innovazione. La Regione punta su ricerca e sviluppo, comparti irrinunciabili per il futuro della nostra isola”.

La partecipazione a questa iniziativa, sottolinea l’assessore regionale alla Sanità, Mario Nieddu, “ribadisce la grande attenzione della Regione per i temi legati alla disabilità. Un’indagine Istat stima in Sardegna la presenza di 81.000 persone, di 15 anni e più, con gravità delle limitazioni nell’udito. Il riconoscimento da parte del governo è una conferma dell’eccellenza e della qualità espresse nella nostra isola”. (DIRE)

Disabilità e caregiver

Disabilità e caregiver, dalla presidenza del Consiglio la richiesta di un protocollo

Redattore Sociale del 09/12/2020

Andrea Venuto, disability manager di Roma Capitale: “Ho sottoposto allo staff di Conte la necessità del protocollo chiesto dai caregiver. E la presidenza ha inviato richiesta ufficiale al ministero della Salute, da cui attendiamo riscontro. Problema molto serio, per pazienti con disabilità, anche sensoriale”. E sui vaccini: “Chi ha assistenti domiciliari, è più esposto a rischio, a causa dell’avvicendarsi di questi”

ROMA. Mai più pazienti non autosufficienti in ospedale da soli. Mai più caregiver lasciati fuori, senza permettere loro di prendersi cura, come fanno da una vita, dei loro familiari. É l’auspicio, la richiesta e l’appello che, indirizzata dalle associazioni di caregiver Oltre lo Sguardo ed Hermes al ministero della Salute, ora viene rinforzata anche della presidenza del Consiglio, che allo steso dicastero ha rivolto ufficialmente una richiesta di protocollo dedicato. E’ quanto riferisce a Redattore Sociale Andrea Venuto, Disability manager di Roma Capitale. “Ho letto e condiviso l’appello e la lettera delle associazioni – spiega – e ritengo la questione assolutamente prioritaria. Il cargiver è una soluzione, non un problema – afferma – Bisogna immediatamente costruire un protocollo utile a garantire le strutture sanitarie e soprattutto le persone con disabilità. Per questo, ho chiesto al governo di approfondire la questione, affinché ci sia un indirizzo politico chiaro e condiviso su questo tema. Subito”,

L’occasione si è presentata quando lo stesso Venuto è entrato in contatto con il commissario Arcuri e con lo staff di Conte: “Il tema dell’interlocuzione erano i vaccini: avevo infatti inviato una nota al commissario, chiedendo che almeno le persone con disabilità gravissima fossero considerate come beneficiarie prioritarie nelle prime fasi della vaccinazione. Ho approfittato, in quella circostanza, per parlare con lo staff del premier Conte che si occupa di disabilità anche della questione ospedali e della necessità di un protocollo specifico. E posso oggi annunciare un’evoluzione positiva: un paio di giorni fa, la stessa presidenza del Consiglio ha ufficializzato la richiesta al ministero della Salute, da cui ora attendiamo fiduciosi un riscontro”.

La questione, insomma, è sul tavolo del ministero della Salute, “a cui spetta il compito di definire e dettagliare il protocollo stesso. L’obiettivo è porre fine alla discrezionalità con cui oggi le singole direzioni sanitarie decidono se far accedere o meno il caregiver familiare, in caso di ricovero di paziente con disabilità. Noi possiamo pensare che una simile richiesta venga sempre accolga, ma in assenza di protocollo preciso, è sempre possibile che il caregiver sia lasciato fuori. Ora, l’azione politica e amministrativa è stata fatta: tocca al ministero attivarsi e mi auguro che lo faccia al più presto, essendo la questione urgente e prioritaria”.

Tanti sono infatti, in tutta Italia, i casi di persone non autosufficienti per le quali si renda necessario il ricovero a causa del virus. “In questi casi, è indispensabile che il caregiver familiare supporti l’attività del personale socio sanitario. Immaginiamo un ragazzo o un adulto autistico dentro un reparto Covid: è prevedibile quante problematiche anche gravissime si possano creare. Tanti sono i familiari, soprattutto di ragazzi con autismo, che mi contattano per manifestare la propria preoccupazione, terrorizzati dal pensiero che il figlio possa risultare positivo e avere necessità di essere ricoverato”.

Il problema, naturalmente, riguarda anche tanti anziani, “spesso anche loro non autosufficienti e impossibilitati a comunicare con il personale sanitario. Lo stesso problema di comunicazione riguarda i pazienti con disabilità sensoriale, in particolare quelle sorde: la comunicazione orale è alla base del rapporto sanitario-paziente e, quando questa sia compromessa, si rende indispensabile una intermediazione, o tramite servizi dedicati (in LIS, per esempio) o tramite appunto il caregiver”. Un problema da affrontare con urgenza, nell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando: “Ma questo deve rappresentare solo il primo step di un’attenzione che sarà necessario estendere, in generale, alla questione complessa dell’accesso alle cure e agli ospedali da parte di persone con disabilità e caregiver familiari”.

Vaccino e assistenza domiciliare: una priorità
C’è un’altra questione, che Andrea Venuto ha sollecitato presso il premier Conte e il commissario Arcuri: la somministrazione del vaccino anti-Covid, non appena sarà disponibile. La richiesta è che siano considerate “tra le categorie di persone fragili da sottoporre prioritariamente alla vaccinazione, quella relativa a coloro i quali usufruiscono dell’assistenza domiciliare integrata”. Come ricorda Venuto, tale servizio è rivolto “a persone non autosufficienti con patologie solitamente oncologiche o croniche ed ha come obiettivo quello di garantire loro un’assistenza sanitaria adeguata nell’ambito del proprio domicilio e al di fuori di un contesto ospedaliero o di una RSA, ed è integrata con i servizi socio-assistenziali. La presente richiesta – precisa Venuto – che tra l’altro si inserisce nella più ampia e seria problematica concernente il riconoscimento della stabilità assistenziale da parte degli operatori domiciliari, è dettata appunto dal fatto che gli assistiti in questione sono pazienti ad alta intensità assistenziale colpiti da malattie rare e degenerative, con alta percentuale di ricorso a ventilazione meccanica assistita invasiva h24, bisognosi di un’assistenza continua che purtroppo, allo stato attuale, non è caratterizzata dalla prerogativa della esclusività prestazionale”.

Da qui deriverebbe la maggiore esposizione di queste persone al rischio di contagio: l’alternarsi degli operatori domiciliari (OSS ed Infermieri), che non operano in contesti ospedalieri ma presso l’abitazione di questi pazienti, aumenta il rischio di innalzare la probabilità di contagio da Covid-19 con inevitabili conseguenze letali configurando per questi pazienti con disabilità gravissima la fattispecie di “soggetto altamente fragile e maggiormente esposto al contagio”. Tra l’altro, tali operatori sanitari, non saranno i primi ad essere vaccinati in quanto, operando in regime domiciliare e alle dipendenze – se non addirittura in regime di libera professione – di soggetti erogatori che non rispondono prontamente agli obblighi dei vari decreti in materia sanitaria, saranno di difficile vigilanza dal punto di vista vaccinale. Gli stessi familiari di questi pazienti saranno soggetti che verranno vaccinati comunque in seguito e quindi possibili portatori del virus all’interno dell’abitazione dove è presente il soggetto con disabilità gravissima e altamente fragile.

A titolo ricognitivo si evidenzia che sul piano nazionale risulterebbe che il numero degli assistiti ADI si aggiri a circa 20.000 persone (circa 600 solo per la Regione Lazio) le quali, come sopra rappresentato, non godendo in alcuni casi di molte garanzie sull’erogazione delle misure anti Covid- 19 (spesso mancano gli adeguati DPI perché non correttamente forniti al personale sanitario dagli erogatori dei servizi assistenziali), costituiscono una realtà di accertata incompatibilità tra le condizioni di salute dei pazienti e il profilo dell’assistenza domiciliare rappresentando di fatto un fattore aumentato del rischio quoad vitam nel caso di infezione da Covid -19”.

di Chiara Ludovisi

MOTIVATO APPELLO SU LA ABOLIZIONE DEI BREVETTI SUI VACCINI

MOTIVATO APPELLO SU LA ABOLIZIONE DEI BREVETTI SUI VACCINI

Paolo Manzelli  , www.egocrea.net

I “Vaccini Genetici” di nuova generazione quali quelli prodotti in USA dalle Aziende Pfizer e Moderna e con modalita’ differenti di ingegneria genetica  diverse Europea Astra-Azeneca,   entrambi utilizzano  come strategia comune quella di sostituire il messaggero m.RNA umano con un m-RNA –Sinteticamente  progettato, per trasferire la informazione genetica al sistema Ribosoma dell’ Uomo per ottenere la sintesi “trans-genica” della Proteina Spike caratteristica del Virus Sars.Cov.2. e attivare la risposta immunitaria .

Rf.1.) https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=138821

RIBOSOMA : IL CONTROLLO GENETICO DELLA PRODUZIONE DI PROTEINE

Il RIBOSOMA Umano è l’insieme strutturale specifico della Cellula Biologica che è responsabile della sintesi delle differenti proteine che coabitano nel nostro sistema cellulare. L’ insieme Ribosomiale è costituito da due tipi di Ribosomi situati nelle Cellule : 1) quelli “Liberi” che si muovono nel Citoplasma e 2) quelli “ Legati alle Membrane Cellulari “. I  due tipi di Ribosomi si spartiscono la azione di a) Riconoscimento del m.RNA e b) della stabilita  Peptidica e c)  del rilascio controllato (Exit) della nuova Proteina .

Per spartirsi il controllo efficace della produzione proteica e renderla coerente con la genetica del  proprio  DNA  i due tipi di  Ribosomi 1)   sia quelli del controllo di ingresso “legati” perche inclusi nella membrana cellulare che 2) quelli “Liberi” di circolare nel Citoplasma , si scambiano “Segnali  BIFOTONICI” per rendere “coerente” la produzione proteica di ciascun individuo . Quindi il RIBOSOMA Umano e’ naturalmente impegnato nel rifiutare  in uscita ( Exit) ogni variante non opportunamente codificata di proteine, sia  come sequenza genetica, che come stabilita , prima di immetterle nel circuito del rinnovo primario della vita cellulare dell’ Uomo. Ref.2.) https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=94320


In seguito a queste ben note conoscenze Biologiche  e di Biofotonica,  consegue la necessita’ di domandarsi

come è possibile che la naturale Azione di Controllo Genetico-Ribosomiale venga del tutto elusa dalla iniezione dei Vaccini di Nuova Generazione che iniettano un pacchetto di   //m.RNA .sintetici //  nel corpo umano assieme ad “adenovirus “  (vettori debolmente  replicativi ed infettivi per l’uomo) che diffondono il Vaccino Genetico in tutte le cellule “. ????????

Rf.3.) https://www.my-personaltrainer.it/benessere/adenovirus.html

Tutti i Vaccini Genetici di Nuova Generazione sono prodotti per la  prossima Campagna di Vaccinazione di Massa , si comportano in modo “ingannevole”  , mimata da quella del mito del //CAVALLO di TROIA // al fine di eludere ogni naturale sorveglianza dei RIBOSOMI dell’ Uomo , la quale e espressamente finalizzata a rendere coerente la produzione proteica alla Codificazione Genetica di ciascun individuo,.

Tale trucco, che permette di oltrepassare il Controllo Genetico Dei Ribosomi, è ancora ignoto e questa mancanza di conoscenza pubblica , conduce ad avere importanti dubbi sulla Campagna di Vaccinazione con Vaccini Genetici i quali  costringono il “Sistema Ribosomiale Umano” a produrre la proteina Transgenica Spike, allo scopo  di innescare una risposta immunitaria specifica che si ritiene utile al  contrasto della  Pandemia Covid.19.

Purtroppo attualmente non viene fornita dalla Aziende che producono i “Vacini Genetici “ alcuna spiegazione di come venga “cortocircuitata la attivita’ di controllo dei “RIBOSOMI” che dovrebbe naturalmente attivarsi per proibire la produzione in uscita della Proteina Transgenica Spyke .

Ciò vuol dire che nei liquido dei “Vaccini Genetici”  viene introdotto un “ qualcosa” che ,”non ci dicono”, che serve a “imbrogliare” la capacità di Controllo Naturale del Ribosoma Umano.

Purtroppo questa segretezza anti-scientifica viene normalmente approvata sulla base di un criterio che vede nella Vaccinazione un bene sociale assoluto che oltrepassa il diritto sociale di conoscere  .

La “Dittatura Sanitaria” che stiamo vivendo si basa infatti su l’ idea che : <ciascuno può valutare cos’è meglio per sé, ma non è libero di nuocere alla salute altrui >.cosi che la vaccinazione di massa potra’  essere imposta “obbligatoriamente” ritenendo “non-democraticamente ”  la salute un bene sociale dominante rispetto a quello individuale .

Infine esiste sempre un “Brevetto  che copre la produzione dei Vaccini Genetici” , il quale ci impedisce di conoscere  appropriatamente cosa ci iniettano in via intramuscolare come” Vaccino anti Covid 19”  , che ci induce a produrre la proteina Trans-genica SPYKE per indurre una risposta immunitaria .

Per uscire da questa alterata situazione,  Egocreanet  www.egocrea.net , in collaborazione con ALFASSA (https://www.alfassa.net/), chiede pertanto a tutti gli amici e conoscenti di sostenere  l’appello di “EMERGENCY sulla ABOLIZIONE DEL MONOPOLIO DELLA PROPRIETA INTELLETTUALE SUI VACCINI “Ref.4.) https://www.corrierenazionale.net/2020/11/22/119230/

LA ABOLIZIONE  DEI BREVETTI SUI VACCINI E ALTAMENTE NECESSARIA PERCHE IL VACCINO VENGA EFFETTIVAMENTE CONSIDERATO UN BENE COMUNE DELLA UMANITA  …QUINDI NON PIU BASATO SULLA PAURA DEL VIRUS E SUL CONSENDO DELLA GENTE FONDATO SULLA  IGNORANZA.

NB: A coloro che ritengono di collaborare a questo motivato Appello, si richiede di inviare una e Mail a: <egocreanet2016@gmail.com>

Paolo Manzelli .08. 12.2020 Firenze  , www.egocrea.net .

M. Righetto, I prati dopo di noi

Righetto, come finire e come iniziare

di Antonio Stanca

   A Settembre di quest’anno il giornalista e scrittore padovano Matteo Righetto ha pubblicato, con Feltrinelli nella collana “Narratori”, I prati dopo di noi.

   Nato a Padova nel 1972, Righetto a Padova si è laureato in Lettere ed è docente di Letteratura Italiana presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha iniziato a scrivere su giornali mostrandosi interessato a problemi di attualità culturale e sociale, ha esordito come scrittore nel 2012 col romanzo Savana Padana e tra il 2017 e il 2019 ha scritto la “Trilogia della Patria” composta dai romanzi L’anima della frontiera, L’ultima patria e La terra promessa. E’ stata un successo, è stata tradotta in molte lingue e ha fatto di Righetto uno scrittore molto apprezzato. Ha scritto anche per il teatro e riduzioni cinematografiche hanno avuto alcuni suoi romanzi. In questi è diventato facilmente riconoscibile poiché gli ambienti, i personaggi, le situazioni, le intenzioni si ritrovano, ritornano. Il rapporto tra l’uomo e la natura è una componente costante delle sue narrazioni, un rapporto che diventa uno scambio vero e proprio, una comunicazione, un’intesa, una lingua in comune. E costante è pure il proposito dell’autore di compiere, scrivendo, un’azione di educazione, di formazione, di attribuire a quanto rappresentato una funzione d’istruzione.

  Ne I prati dopo di noi succede ancora di trovarsi in un ambiente montano, tra le Alpi e con personaggi solitari. Stavolta sono tre, il vecchio Johannes, il giovane Bruno e la piccola Luni. Tutti vengono da tristi esperienze familiari: Johannes, che vive solo tra le montagne, ha perso la moglie e due figli poiché devastato dall’acqua e dal fango era stato il loro villaggio in seguito ad una frana; Bruno è nato e cresciuto con misure eccessive, era un gigante già da ragazzo, era considerato un tonto e d’allora era stato affidato dai familiari ad un convento di benedettini, dove sarebbe stato lasciato per sempre; Luni è una bambina molto sveglia ma sordomuta. Anche lei è stata abbandonata dalla famiglia in un orfanotrofio.

   Sole sono rimaste queste persone tranne Bruno che, per un certo periodo di tempo, troverà nel monaco Isak un amico, un compagno capace di capirlo, riabilitarlo da quella stoltezza che gli era stata attribuita e indicargli la via della salvezza da un mondo che ormai è finito poiché vittima di quei guasti, di quella rovina che i tempi moderni, “i nuovi barbari” hanno comportato e che nel romanzo viene raffigurata con fiamme altissime che avanzano in un paesaggio diventato quasi completamente arido, deserto. Questo sarà l’ambiente, sarà uguale ovunque e in esso lo scrittore farà vedere i suoi personaggi che fuggono dalle fiamme per salvarsi poiché i soli che lo meritano. I simboli diventano i tre della parte giusta dell’umanità, di quella che di fronte alla fine del mondo potrà sfuggire alla morte. Un mondo devastato è da essi percorso, un mondo nel quale Righetto li mostra mentre procedono, prima da soli e poi insieme, verso una meta collocata tra le cime dell’Ortles, verso l’unico posto dove la vita c’è ancora perché ancora c’è acqua, ancora c’è verde. Vi giungeranno, gli sforzi richiesti dal lungo e faticoso percorso saranno premiati ma non potranno evitare l’ennesima devastazione che non risparmierà nemmeno quel posto.

   Si conclude il romanzo senza la possibilità, neanche per i giusti, di salvarsi dal “Grande Rivolgimento” che ha investito l’universo e lo ha fatto finire. Dopo di loro, però, riprenderanno a verdeggiare gli alberi, ritorneranno i fiori, ricompariranno i prati.

  Un messaggio sembra contenere questo romanzo del Righetto: sembra voglia mostrare quanto si debba soffrire per poter migliorare, come si debba finire e come iniziare.

In Italia ragazzi ancora avanti in matematica rispetto alle ragazze

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Ragazzi italiani ancora avanti in matematica (+12 punti), rispetto alle ragazze. Ma le bambine migliorano le loro performance rispetto al 2015 e recuperano terreno rispetto ai loro coetanei. A dirlo è il Rapporto Timss, l’indagine internazionale promossa dalla Iea che rileva l’apprendimento della matematica e delle scienze, nelle classi di quarta primaria e di terza secondaria di primo grado.

Il rapporto Timss
Lo studio evidenzia che la differenza di genere in matematica alle elementari e alle medie è a favore dei maschi che ottengono il punteggio medio di 521 punti contro i 509 delle femmine. A livello internazionale nelle scuole medie in 26 paesi non si evidenziano differenze di genere statisticamente significative tra maschi e femmine. In 7 paesi questa differenza è a favore delle femmine e in 6 paesi, tra cui l’Italia, la differenza è a favore dei maschi. In Italia la differenza nel rendimento a favore dei maschi è di circa 12 punti, una delle più alte. Anche in scienze l’Italia è uno dei 6 paesi a livello internazionale in cui i ragazzi – sia alle elementari che alle medie – vanno meglio delle ragazze (8 punti di differenza). I ragazzi italiani in scienze ottengono un punteggio significativamente superiore delle femmine di 7 punti.

Le divergenze territoriali
Nei risultati disaggregati per area geografica per la matematica si osserva alle elementari che nel Nord Est e Sud Isole le differenze tra maschi e femmine non sono statisticamente significative. Anche il Sud, sebbene la differenza di genere permanga significativa a vantaggio dei maschi, oggi presenta un’incidenza più contenuta (pari a 15 punti di differenza in Timss 2019) rispetto al precedente ciclo di indagine (24 punti di differenza in Timss 2015). La stessa situazione si osserva in media nelle scuole del Nord Ovest dove, sebbene la differenza di genere sia ancora significativa, l’attuale svantaggio delle ragazze (-11 punti, nel 2019) risulta comunque dimezzato rispetto al 2015, quando in media 23 punti separavano le performance di bambini e bambine. Il Centro rappresenta un caso anomalo rispetto a questa tendenza e oggi è l’area geografica con la maggiore incidenza della differenza di genere sulla media nazionale (23 punti a favore dei maschi, 18 punti nel 2015).

I risultati internazionali
Gli studenti italiani di quarta elementare in matematica hanno un punteggio medio di 515, significativamente superiore a quello medio internazionale. Anche in terza media il rendimento degli studenti italiani in matematica è in linea con quello internazionale, con un punteggio medio di 497 punti. Gli studenti del nord hanno punteggi superiori a quelli del centro e del sud. A livello internazionale, i paesi dell’Est Asiatico primeggiano e distanziano ampiamente gli altri Paesi. Lo studio evidenzia inoltre che le differenze di rendimento degli alunni italiani dovute allo status socio economico e culturale sono già presenti in IV elementare e tendono ad aumentare in III media. Inoltre dalla quarta elementare alla terza media la percentuale di studenti a cui non piace la matematica raddoppia.

L’impatto dalla Dad
«Lo sforzo fatto negli ultimi 12 anni in matematica dalla scuola italiana non è stato trascurabile». E poichè presumibilmente la matematica risentirà più di altre materie della crisi pandemica, «questi dati saranno la base per un nuovo traguardo da raggiungere, per stabilire insomma il traguardo per la ripresa» dopo la chiusura delle scuole e la didattica a distanza. Lo hanno detto il dirigente di ricerca Invalsi Roberto Ricci ed Elisa Caponera, Co-National research coordinator Timss, alla presentazione dei risultati in matematica e scienze in IV primaria e III secondaria di primo grado dell’indagine Iea Timss 2019. I numeri dello studio, è stato spiegato nel corso della presentazione, non possono far fare una stima di quanto avvenuto con la didattica a distanza in questi ultimi mesi, possono semmai essere un punto di partenza e costituire una sorta di benchmark. Il dirigente Invalsi ha spiegato che già a giugno 2021 l’Istituto potrà dare risposte sull’incidenza della Didattica a distanza sull’apprendimento. «A questi buoni risultati raggiunti fino al 2019 dobbiamo tornare – ha affermato la presidente di Invalsi Anna Maria Ajello – sono dati che inducono a sperare bene». Alcuni studi mostrano che in matematica con la didattica a distanza c’è un arretramento maggiore rispetto ad altre materie «questo ci dovrebbe allarmare, è prevedibile che ci sia un danno per l’apprendimento della matematica, lo vedremo alla prossima edizione», ha concluso.

Sono 320 milioni gi studenti senza scuola nel mondo

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Il numero di studenti colpiti dalla chiusura delle scuole a causa del coronavirus nel mese di novembre è cresciuto del 38%, mettendo ulteriormente sotto sforzo i progressi per l’istruzione e il benessere di altri 90 milioni di bambini a livello globale. Secondo i dati Unesco, al 1° dicembre, le classi per circa un alunno su 5 nel mondo – 320 milioni – erano chiuse: un incremento di circa 90 milioni rispetto ai 232 milioni dello scorso primo novembre. Al contrario, nel mese di ottobre il numero di studenti colpiti dalla chiusura delle scuole era diminuito di tre volte.

La direzione sbagliata
«Nonostante tutto quello che abbiamo imparato sul Covid-19, sul ruolo della scuola nella trasmissione nella comunità e sui passi che possiamo fare per mantenere i bambini al sicuro a scuola, ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata e lo stiamo facendo molto rapidamente – ha commentato Robert Jenkins, responsabile Unicef a livello globale per l’Istruzione -. Gli studi mostrano che le scuole non sono il canale di diffusione principale della pandemia. Eppure, stiamo assistendo a una tendenza allarmante per cui i governi stanno ancora una volta chiudendo le scuole come primo ricorso piuttosto che come ultima risorsa. In alcuni casi, questo viene fatto a livello nazionale, piuttosto che comunità per comunità, e i bambini continuano a subire gli impatti devastanti sul loro apprendimento, sul benessere fisico e mentale e sulla sicurezza». A suo giudizio, «quello che abbiamo imparato sulla scuola durante il periodo di Covid è chiaro: i vantaggi di tenere aperte le scuole superano di gran lunga i costi della loro chiusura, e la chiusura delle scuole a livello nazionale dovrebbe essere evitata a tutti i costi», ha concluso Jenkins.

Nuovi lockddown in vista
Intanto la lista delle chiusure delle scuole continua a crescere. Prendiamo la Germania. Da lunedì anche la Sassonia chiuedrà scuole, gli asili e i negozi, per tentare di far calare il numero dei contagi.

Docenti italiani all’estero, l’ultimo concorso rischia di rivelarsi inutile

da Il Sole 24 Ore

di Francesca (Rivoli)

Del sistema scolastico italiano fanno parte anche diverse istituzioni all’estero: le scuole italiane, i corsi, le sezioni italiane delle scuole europee, i lettorati all’università. Chi vi insegna con comando dall’Italia, ha l’onore e l’onere di contribuire alla diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero.
Per questo motivo hanno luogo a intervalli regolari concorsi dedicati a individuare quali docenti inviare; il penultimo, tenuto nel 2012, era – di fatto – un concorso per soli titoli (meglio stendere un pietoso velo sulla prova linguistica a crocette). Quello nazionale svolto nel 2019 in base alla nuova normativa, molto più articolato, prevedeva anche una prova orale in presenza a Roma, in cui venivano valutate l’idoneità relazionale al servizio all’estero e le competenze linguistico-comunicative, oltre alla conoscenza del sistema scolastico italiano all’estero, dei sistemi di istruzione locali, degli strumenti di promozione culturale così come della normativa di riferimento.
Oggi chi ha superato il concorso del 2019 si trova in nuove graduatorie di durata sessennale da cui si attinge per nominare; per i colleghi ancora all’estero grazie al vecchio concorso, valgono invece norme transitorie.
Nella finanziaria che sta per venire approvata potrebbero però passare emendamenti che stravolgerebbero di fatto le modalità di nomina, permettendo a chi è già all’estero in base alle graduatorie ormai scadute, di prolungare in automatico la durata del suo soggiorno (senza l’obbligo dei 6 anni metropolitani di “pausa”, previsti dalla vigente normativa); si permetterebbe inoltre anche a chi può garantire solo 3 anni di servizio, di ricevere lo stesso un comando, non solo raddoppiando le spese dello Stato legate alle indennità di trasloco, ma creando docenti “usa e getta” che, non appena si orientano bene nella nuova realtà e riescono ad diventarvi incisivi, sono tenuti a tornare in Italia.
Per chi ha svolto il concorso nel 2019 si tratterebbe ad ogni modo di una colossale presa in giro: grazie a possibili modifiche in corso d’opera con regole ad personam la stragrande maggioranza dei futuri comandi andrebbe al personale del 2012, che di fatto scavalcherebbe i colleghi selezionati l’anno scorso (sic). Questi pensavano – ingenuamente – che si sarebbe continuato ad attingere dalle nuove graduatorie, valide fino al loro esaurimento, e che prima o poi quindi sarebbero stati loro partire.
A chi giova tutto questo?

Il rompicapo del 75% A scuola con i turni e ingressi fino alle 10

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Sospirano i presidi: «Le nostre preoccupazioni restano sui trasporti e sul tracciamento dei contagi». Ma, finalmente, «riavremo i ragazzi a scuola». Nel ritorno tra i banchi dopo le feste di Natale, la didattica a distanza rimane al 25 per cento imposto dal Dpcm e qualcosa di più per gli istituti che non ce la facevano già prima. In presenza iragazzi delle superiori dovranno essere al 75 per cento.

Chi lascerà a casa 5-8 ragazzi a turno, per classe: seguiranno le lezioni connessi in contemporanea ai compagni in aula. Chi manterrà intere classi a rotazione collegate online per uno o due giorni a settimana. Chi darà la priorità alle quinte, «hanno l’esame di Stato, hanno già perso molto e non possiamo diplomarli con lacune nelle competenze», spiega Nicoletta Puggioni, dirigente dell’istituto tecnico Devilla di Sassari.

Certo è che si procede in ordine sparso in vista del 7 gennaio: si discute di doppi turni e di ingressi alle 10. E molti nodi ancora si ripresentano irrisolti. Per non parlare del caso Campania, dove oggi riapriranno solo le materne e le prime e seconde elementari, mentre 140 Comuni hanno ancora ordinanze di chiusura di tutto e dopo le vacanze chissà: le superiori potrebbero tornare in presenza, ma con percentuali al 50%, le medie avranno forse ancora qualche giorno in Dad.

Un’Italia a più velocità, o lentezze, nel garantire il diritto all’istruzione. La Basilicata riapre oggi elementari e medie, il Piemonte ha tenuto a casa 75mila alunni delle medie nonostante il passaggio in zona arancione e le proteste contro il governatore Cirio. Qui i presidi stanno ragionando sulla proposta della Conferenza dei servizi di un doppio turno di ingressi alle 8 e alle 10. «Non sarà semplice per i ragazzi entrare alle 10. Significherà che chi abita a un’ora di autobus dalla scuola arriverà a casa alle 17. E poi c’è il problema dei pasti » spiega Rossella Landi, alla guida dell’istituto Majorana di Moncalieri dove al tecnico torneranno in presenza le prime e le quinte, mentre le altre classi faranno didattica mista; al liceo faranno Dad un giorno su sette. Stessi orari scaglionati, alle 8 e alle 10, indicati a Modena. I prefetti si stanno muovendo sui trasporti, impresa simile alla quadratura del cerchio. «Siamo un po’ in difficoltà — osserva Puggioni — perché non sono state trovate ancora soluzioni ». «Gli ingressi scaglionati? Non sono fattibili» mette le mani avanti Maurizio Franzò, voce dell’Anp della Sicilia e preside dell’istituto Curcio di Ispica, in provincia di Ragusa. «Il rientro sarà con la didattica mista, non abbiamo la capienza delle aule. Questo non risolve il problema delle connessioni: la fibra arriva fino a Catania». Giuseppe Gelardi, preside del tecnico Severi di Gioia Tauro ha programmato di tenere a casa 5-6 ragazzi a turno, collegati a distanza: «Se i trasporti ci danno una mano ce la possiamo fare». Sulla necessità di tornare tra i banchi non ha dubbi la preside Maria Rosaria Rao del liceo Campanella di Reggio Calabria, «però il 75% penso sia un po’ troppo. A settembre eravamo partiti con il 50%». Rebus percentuali. Al liceo Newton di Roma l’insegnamento sarà «inevitabilmente misto, gli spazi non sono cambiati» afferma la preside Cristina Costarelli. Per salvaguardare la socializzazione, il classico Mamiani punta a mantenere le classi tutte in aula o a casa, «lavoriamo sulla percentuale, speriamo di poter arrivare al 75% in presenza — dice la preside Tiziana Sallusti — e ci auguriamo che i tavoli coi prefetti funzionino». Anche perché, osserva Alessandra Francucci di Andis Emilia Romagna, «questi tavoli sono tardivi».

“La scuola insegni a immaginare”

da la Repubblica

Enrico Franceschini

“Imagine”, canta John Lennon nel brano diventato un inno globale: immaginate che non ci siano l’inferno e il paradiso, che non ci sia nulla per cui uccidere o morire, che tutta la gente viva in pace. E poi conclude: «Si potrebbe dire che io sia un sognatore, ma non sono l’unico, spero che un giorno vi unirete a noi e il mondo sarà un’unica entità». Ebbene, qualcuno ci sta provando a immaginare un mondo migliore e ha scritto un manuale per spiegare come si fa a realizzarlo. Si chiama Rob Hopkins, è un ambientalista inglese di 52 anni, fondatore del Transition Movement, il movimento nato nel 2010 a Totnes, delizioso borgo del Devon dove lui vive e in cui ha lanciato l’idea delle “città sostenibili”: pannelli solari su tutte le case, soltanto mezzi pubblici e biciclette, un orto dietro ogni casa, alberi da frutto lungo le strade da cui ognuno può cogliere nutrimento. Dieci anni più tardi sono sbocciate in mezza Europa tante Transition Towns sul suo modello, una anche in Italia, a Monteveglio, in provincia di Bologna. I tempi devono essergli sembrati maturi per la mossa successiva: Immagina se… ,

il libro uscito da poco in Inghilterra e pubblicato nel nostro paese da Chiarelettere. Immagina se potessimo vivere in modo diverso, è il concetto di fondo: più che mai attuale, dopo che il modo in cui abbiamo vissuto finora ha provocato disastri come il cambiamento climatico e la pandemia da Covid 19. «Dobbiamo riprendere un vecchio slogan del ’68», dice Hopkins, «l’immaginazione al potere».

Lei esorta a “immaginare” un mondo migliore, Hopkins: si sente un sognatore come John Lennon?

«Ilmessaggio della canzone miè sempre piaciuto, ma l’ispirazione per il libro viene da una frase della celebre saggistae attivista canadese Naomi Klein: ilcambiamentoclimatico è un fallimentodell’immaginazione. Ho pensatoche servirebbe un’iniezione di fantasiaper reinventare il mondo. E nel miolibrosuggerisco come alimentarla».

“I have a dream”, per citare Martin Luther King.

«Esattamente.Unodeiproblemi del mondod’oggi è che non cisono politici capacidi farci sognare: leader come LutherKingo BobKennedy,ingrado dientusiasmare con unpensiero radicalmentenuovo».

Se la transizione descritta dal suo libro fosse già avvenuta, non avremmo avuto la pandemia che ha paralizzato il pianeta?

«Comeminimoavremmopotuto affrontarla meglio. Non era difficile immaginarechela continuaviolazione dellanatura da partedell’uomo avrebbeprovocatounapandemia comeil Covid19, ancheperchéera già successoin precedenza. E succederà di nuovo,senoncambiamo.Cosìcome nonera difficileimmaginare che servissero più forti strutture sanitarie per essere pronti al peggio».

Qualche progresso c’è stato: da Greta Thunberg a Extinction Rebellion fino all’ultimo documentario di David Attenborough, la difesa dell’ambiente è un’opinione sempre più diffusa.

«Sì, maè ancora insufficiente. Basta guardare alle presidenziali Usa: gli americanichehannovotato per Trump, circa metà diquelli andati alle urne, sono ancora convinti che il cambiamentoclimaticosia un’invenzione della sinistra».

Di cosa c’è bisogno, affinché il mondo segua i consigli del suo libro?

«C’è bisognodi più desiderio.Quando NeilArmstrong andò sulla Luna,il mondoera prontoperchépolitici comeJohn Kennedy, la letteratura, il cinema, avevano già suscitato la voglia dellacorsa allo spazio. E per creare una voglia simile rispetto all’energia sostenibile, alle città verdi, alla lotta contro l’inquinamento,serve un atto di storytelling, una migliore e diversa narrativa. Che si accende soltanto con l’immaginazione».

Una delle sue esortazioni è prendere i giochi sul serio.

«Nelsenso chegiocareè una cosaseria mai bambininonlofanno quasipiù. E anchenoiadulti dovremmoimpararea giocare,che è il modo migliore di immaginare ilfuturo. Come sifaceva da piccoli, dicendo: facciamo che eravamo dei pirati, o degli astronauti, o deicowboy».

Un’altra è che l’immaginazione va insegnata come una materia scolastica.

«In realtà è già stato fatto, proprio in Italia, negli asili e nelle scuole di Reggio Emilia,chedalprimo dopoguerrasono diventatiun esempiostudiato in mezzomondo peril tipodi educazione aperta,creativa e immaginativa che riuscivanoa dare. Gli adulti in grado di nonfarsi manipolare da politici populistinascono sui banchi di una scuolache li sprona a mettere in dubbio, a ragionare conla propria testa,a immaginare una realtà migliore».

Viene in mente lo slogan del ’68, l’immaginazione al potere.

«Sononatoun mesedopola rivolta studentescadel maggiofrancese di quell’annoindimenticabile e credoche la sua lezione non si sia esaurita. Il ’68 fu una rivoluzione culturale, ora ne serveun’altranon meno dirompente, se vogliamobattere il populismo, il sovranismo, il nazionalismo. È chiaro cheun progressismotimido ecauto nonha gli strumentiper farlo. Serve un altro slogan sessantottino: dobbiamo essere realisti e chiedere l’impossibile».

Qualcuno direbbe che è l’ennesima utopia.

«Tutti gli studi scientifici più autorevoli dicono cheabbiamo 10-15anni di tempopercambiare sistemaprimache siatroppo tardi. Per creareun mondo diverso da quello odierno, in cui forse viaggeremodimeno,masaremopiù felici, meno ansiosi e più sani. In cui spenderemodimenoper compitidi poliziae di più per soccorrere le periferie emarginate in cui nasce il crimine. In cui i trasporti saranno tutti gratuiti, le città verdi e i lavori dignitosi e gratificanti, con meno catene di supermercati e piùmercati rionalidi prodotti locali. Non ci arriveremo a piccoli passi, bensì soltanto con una nuovavisione, un grande sforzo di immaginazionecollettiva. Che deve partire dall’alto, dai leader politici, ma anche dal basso, dai piccoli comportamentiquotidianidi ognuno dinoi. L’immaginazione al potere è la cartapersconfiggere iDonald Trump dioggiedi domani».

Una casa bella per la scuola

da la Repubblica

Andrea Gavosto

Il presidente del Consiglio ha ribadito il 5 dicembre a la Repubblica l’importanza di istruzione e formazione nei progetti che l’Italia presenterà ad aprile all’Unione Europea nell’ambito di Next Generation Eu. I dettagli non sono ancora noti, ma dalla discussione parlamentare emergono due investimenti prioritari: la formazione digitale dei docenti e l’edilizia scolastica. Se confermate, sono le scelte giuste: migliori competenze professionali di chi insegna e spazi di apprendimento più moderni sono davvero i primi pilastri della scuola di domani. Molto, però, dipenderà dal metodo e dalla visione su cui si fonderanno.

Per la prima volta durante il lockdown molti insegnanti hanno imparato a usare le piattaforme digitali. Spesso, però, il loro impegno ammirevole si è ridotto a una serie di videoconferenze. Eppure sappiamo che l’insegnamento online, integrato a quello in presenza (quel blended learning, che in altri sistemi educativi sta dando esiti promettenti), sarà importante anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Ma allora lezioni e ogni altra attività di classe andranno ripensate affinché le risorse digitali possano dare il meglio di sé, coinvolgendo gli studenti in modo attivo. La didattica digitale è innanzitutto didattica, non solo accesso, ed è proprio sulla capacità di variare le strategie di insegnamento, a seconda delle esigenze degli studenti e dei contenuti, che la scuola italiana è in grande ritardo.

Non meno urgente è intervenire sugli edifici. Il nostro patrimonio di edilizia scolastica risale in gran parte agli anni Sessanta e Settanta e richiede importanti lavori, per almeno tre ragioni. La prima è la sicurezza: molte scuole sono da esaminare a fondo per capire se soffrono di problemi strutturali e per adeguarle alle norme antisismiche. La seconda ragione è di sostenibilità: quasi tutte le strutture scolastiche sono inefficienti sul piano energetico e molto va fatto per migliorare isolamento, impianti termici e illuminazione. La terza — guai a scordarla — è che gli edifici non sono meri contenitori. Lo spazio, al contrario, condiziona il modo di insegnare e la qualità della didattica. E le nostre scuole sono state progettate ieri con in mente un unico modello: la lezione dalla cattedra. Oggi gli spazi scolastici — tutti gli spazi, interni ed esterni, non solo le aule — dovrebbero essere ripensati per strategie di insegnamento più varie, incluso il blended learning.

Secondo le stime della Fondazione Agnelli, per rinnovare i 40.000 edifici scolastici occorrono circa 200 miliardi, l’11% del Pil annuale, da distribuire su un arco di molti anni, con priorità definite. I fondi europei sono quindi indispensabili. Come lo è una programmazione seria degli interventi, che è quello che più ci preoccupa. In particolare, quali siano le priorità sul fronte dell’edilizia scolastica non si sa. I dati sullo stato delle strutture a livello regionale sono disponibili, ma non risulta che il ministero ne abbia avviato un’analisi, immaginando modelli e un dialogo con le comunità scolastiche. C’è il rischio che, nella fretta di presentare ad aprile qualcosa all’Unione Europea, si chieda a Comuni e Province — gli enti proprietari delle scuole — di tirare fuori dai cassetti vecchi progetti. Che sarebbero inevitabilmente disorganici e forse inutili, perché privi del denominatore comune che tiene insieme sicurezza, sostenibilità e qualità didattica. Uno spreco inaccettabile di denaro. E anche di idee: negli ultimi anni architetti e urbanisti hanno ripreso, infatti, a riflettere sulle scuole come migliori luoghi di apprendimento, ma anche nodi essenziali della nostra vita civile. Sarebbe imperdonabile non coinv olgerli nel ripensare la principale infrastruttura sociale del Paese

Andrea Gavosto è direttore della Fondazione Agnelli

La valutazione alla Primaria, il Curricolo verticale di Educazione Civica e il PTOF: in allegato la nuova rubrica di valutazione

da OrizzonteScuola

Di Antonio Fundarò

Il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2020, n. 41 aveva già previsto che, da quest’anno scolastico, la valutazione periodica e finale degli apprendimenti delle alunne e degli alunni delle classi della scuola primaria fosse espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel Documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento.

La valutazione e l’O.M. 2158 del 4 dicembre 2020

La valutazione prevede, infatti, la realizzazione di rubriche di descrizione dei livelli di padronanza, non solo del comportamento ma anche di abilità e conoscenze degli argomenti trattati e competenze sviluppate e tiene conto delle novità introdotte dall’Ordinanza Ministeriale 2158 del 4 dicembre 2020, relativa alla “Valutazione scuola primaria – Trasmissione Ordinanza e Linee guida e indicazioni operative”.

L’educazione civica e le nuove linee operative

La necessità di un curricolo verticale di Educazione Civica è legata alla Legge 92 del 20 agosto 2019 (e al Decreto ministeriale attuativo n. 35 del 22-06-2020, Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, ai sensi dell’articolo 3 della legge del 20 agosto 2019, n. 92 e Allegati) che istituisce l’insegnamento trasversale di Educazione civica nel primo e secondo ciclo di istruzione. Introdotta nella scuola italiana nel 1958 da Aldo Moro, questa disciplina ha una lunga storia, dai Programmi della scuola Media del 1979 e della scuola elementare del 1985, fino alle Indicazioni Nazionali del 2012. A livello internazionale i riferimenti sono la Raccomandazione del consiglio europeo del 22 maggio 2018 e l’Agenda ONU 2030 che ha posto l’attenzione sul tema della sostenibilità, trasversale a tutte le discipline. L’insegnamento di educazione civica richiede l’intervento della scuola nella formazione di una cultura della cittadinanza attiva, della partecipazione alla comunità, della responsabilità sociale e del rispetto della legalità.

Le discipline e l’educazione civica

Tutte le discipline, e in particolare quelle coinvolte nell’insegnamento frontale della materia (art. 2, comma 4 della Legge 92 del 20 agosto 2019), interagiscono per il perseguimento di questo obiettivo, in quanto tutti i saperi e tutte le attività partecipano alla finalità principale dell’istituzione scolastica che è la formazione della persona e del cittadino autonomo e responsabile, in grado di utilizzare le proprie risorse per il benessere della comunità, la salvaguardia del bene comune e il miglioramento degli ambienti di vita. Come previsto dall’art. 2 comma 6 della Legge 92 del 20 agosto 2019, l’insegnamento trasversale dell’educazione civica è oggetto delle valutazioni periodiche e finali previste dal decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62 e dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122.

Gli ordini di scuola e i cambiamenti sulla valutazione

Per la scuola dell’Infanzia, la valutazione, da parte di tutti i docenti contitolari, prevede la realizzazione di rubriche di descrizione dei livelli di padronanza, non solo del comportamento ma anche di abilità e conoscenze degli argomenti trattati e competenze sviluppate.

Per la scuola primaria l’insegnamento della disciplina (per un monte orario totale di 33 ore annue) è affidato ai docenti del team. La valutazione risente degli effetti dell’O.M. n. 2158 del 4 dicembre 2020, ovvero dell’introduzione del giudizio. Nello specifico l’ordinanza compie alcune scelte di fondo. Rimangono invariate, così come previsto dall’articolo 2, commi 3, 5 e 7 del Dlgs 62/2017, le modalità per la descrizione del processo e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti, la valutazione del comportamento e dell’insegnamento della religione cattolica o dell’attività alternativa. I giudizi descrittivi delle discipline sono elaborati e sintetizzati sulla base dei quattro livelli di apprendimento (In via di prima acquisizione – Base – Intermedio – Avanzato) e dei relativi descrittori, in analogia con i livelli e i descrittori adottati per la Certificazione delle competenze, e sono da correlare agli obiettivi delle Indicazioni Nazionali, come declinati nel curricolo di istituto e nella progettazione annuale della singola classe per la costituzione, ai fini della necessaria omogeneità e trasparenza, di uno standard di riferimento che le istituzioni scolastiche possono comunque implementare. È anche proposto dalle Linee guida, attraverso l’esempio A/1, un modello base di Documento di valutazione.
In ottemperanza a quanto previsto dal decreto legislativo n. 62/2017, ogni Istituzione Scolastica, nell’esercizio della propria autonomia, potrà peraltro elaborarlo e arricchirlo, tenendo conto delle modalità di lavoro e della cultura professionale della scuola, avendo però sempre come riferimento l’efficacia e la trasparenza comunicativa nei confronti di alunni e genitori. A questo proposito, gli esempi A/2 e A/3 riportano, a mero titolo esemplificativo, due possibili variazioni, che raccolgono le esperienze di alcune istituzioni scolastiche che già hanno lavorato sui giudizi descrittivi quali accompagnamento del previgente voto numerico.

L’applicazione dell’O.M. nella prima fase

In questa prima fase di applicazione della normativa, con riferimento alle valutazioni periodiche per l’anno scolastico 2020/21, anche in ragione del fatto che la modifica interviene a ridosso delle scadenze previste, le Istituzioni Scolastiche possono correlare i livelli di apprendimento direttamente alle discipline e gli insegnanti operare la determinazione del livello anche in coerenza con le valutazioni in itinere già effettuate, da commisurare comunque rispetto ai descrittori. Non è peraltro particolarmente complesso trasporre le valutazioni in itinere (in gran parte effettuate attraverso un voto numerico) nei livelli (a mero titolo esemplificativo, 9/10: avanzato; 7/8: intermedio, etc), ma è opportuno sottolineare l’esigenza di sfuggire da semplicistici automatismi e rapportare le valutazioni in itinere e il complesso dei traguardi raggiunti dagli alunni ai descrittori.
Vanno comunque, per la valutazione finale del corrente anno scolastico, individuate le modalità più opportune per associare gli obiettivi oggetto di valutazione ai quattro livelli di apprendimento indicati dall’ordinanza, tenendo conto della progettazione di classe, eventualmente integrata dal PIA (Piano di integrazione degli apprendimenti), se è stata prevista una riprogettazione disciplinare con obiettivi di apprendimento non affrontati lo scorso anno scolastico.

La valutazione nelle Scuole Secondarie di I e di II grado 

Per la scuola secondaria di primo grado, l’insegnamento della disciplina (per un monte orario totale di 33 ore annue) è affidato ai docenti di Italiano, Storia, Geografia, Arte, Scienze, Scienze Motorie, Tecnologia, Musica.

Per la scuola secondaria di secondo grado, l’insegnamento della disciplina (per un monte orario totale di 33 ore annue) è affidato ai docenti delle discipline caratterizzanti il corso di studio.

Valutazione della disciplina

La valutazione periodica e finale dell’insegnamento di Educazione civica, espressa ai sensi della normativa vigente nei percorsi della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado (art.2 comma 1 e art. 3 delle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica) e della citata Ordinanza Ministeriale 2158 del 05.12.2020, seguirà i criteri di valutazione che hanno specifici indicatori riferiti all’insegnamento dell’educazione civica, al fine dell’attribuzione della valutazione di cui all’art. 2, comma 6 della Legge n.02 del 20 agosto 2019. Ogni consiglio di classe/team pedagogico, tra i docenti contitolari dell’insegnamento di Educazione civica, nomina un coordinatore (art. 2, comma 5 della Legge 92 del 20 agosto 2019) che formula la proposta di voto espresso in decimi, acquisendo elementi conoscitivi dai docenti a cui è affidato l’insegnamento dell’educazione civica.

La valutazione del comportamento

Il combinato disposto dell’articolo 2, comma 5 e dell’articolo 1, comma 3 del D. Lgs. 62/2017, relativamente al primo ciclo di istruzione, prevede che la valutazione del comportamento “si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto educativo di corresponsabilità e i Regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche, ne costituiscono i riferimenti essenziali”. Pertanto, in sede di valutazione del comportamento dell’alunno da parte del Consiglio di classe, si può tener conto anche delle competenze conseguite nell’ambito del nuovo insegnamento di educazione civica, così come introdotto dalla Legge, tanto nel primo quanto nel secondo ciclo di istruzione, per il quale il D. Lgs. n. 62/2017 nulla ha aggiunto a quanto già previsto dal D.P.R. n. 122/2009.
Il voto di educazione civica concorre all’ammissione alla classe successiva e/o all’esame di Stato del primo ciclo di istruzione.

Il curriculo e la rubrica di valutazione ai sensi dell’O.M. 2158

Il curricolo verticale e la rubrica di valutazione presentati da un lato rimangono fedeli alle tematiche stabilite dalla Legge 92 del 20 agosto 2019, sia nelle attività curricolari che negli arricchimenti extracurricolari presenti nel PTOF sia agli effetti dell’O.M. n. 2158 del 4 dicembre 2020. Già alcune scuole avevano lavorato in tal senso. L’Istituto Comprensivo Renato Guttuso di Carini (Pa), ad esempio, con un’ottima performance organizzativo non solo del dirigente scolastico la professoressa Valeria La Paglia, ma anche del responsabile di istituto per l’Educazione Civica, la professoressa Angela Giancana; ma anche l’Istituto Comprensivo Statale Frosinone 3 di Frosinone diretto dal Dirigente Scolastica la prof.ssa Monica Fontana. Compito, adesso, di tutti gli istituti è quello, visti i tempi ristretti, elaborare la delibera collegiale dei criteri di valutazione, così come previsto dall’articolo 4, comma 4 del DPR 275/99. A tal riguardo le Istituzioni Scolastiche, stante l’aggiornamento del Piano Triennale dell’Offerta Formativa entro la data di inizio delle iscrizioni, possono aggiornare la sezione relativa alla valutazione entro la data prevista per la chiusura delle stesse (25 gennaio). Si tratta, comunque, di una elaborazione in fieri, chiamata ad aggiornarsi e a meglio definirsi sulla base delle esperienze condotte. Ogni documento è, innanzitutto, uno strumento volto a raggiungere la missione educativa delle istituzioni scolastiche, e non rappresenta una finalità: e ciò è particolarmente vero per quanto riguarda la valutazione, strumentale agli apprendimenti, e non viceversa.

“Ricambio d’aria per abbassare rischio contagio”: l’areazione delle aule tra inverno, raffreddori e terza ondata Covid

da OrizzonteScuola

Di Ilenia Culurgioni

“Il ricambio dell’aria è molto importante: laddove c’è ricambio d’aria c’è minore probabilità di diffusione dell’infezione da SarsCov2. E’ assolutamente importante non fare ristagnare l’aria”. A ricordarlo l’epidemiologo Gianni Rezza alla conferenza stampa sull’analisi della situazione epidemiologica

E, seppur riferito alle case private, sullo stesso tema è intervenuto Gaetano Settimo, del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, affermando che “negli ambienti domestici abbiamo una scarsa attenzione ai ricambi dell’aria e questo può rappresentare un elemento di criticità per la diffusione delle particelle virali di sarsCov2“.

Insomma appare chiaro che il ricambio dell’aria è fondamentale per abbassare il rischio contagio.

Diversi studi affermano che le goccioline minuscole (aerosol) attraverso starnuti o colpi di tosse possono essere causa di contagio da Covid. “I luoghi critici sono gli ambienti chiusi di dimensioni ridotte e con limitata ventilazione, soprattutto con un tempo di permanenza elevato”, è quanto rilevato da Giorgio Buonanno, professore ordinario di Fisica tecnica ambientale all’Università degli Studi di Cassino e alla Queensland University of Technology di Brisbane (Australia). Anche le aule sono dei luoghi chiusi a rischio elevato di trasmissione.

Un aspetto su cui si sono basate diverse analisi di Lettera150, il think tank che riunisce oltre 250 esperti di diverse discipline, nato durante il lockdown per proporre soluzioni per l’uscita in sicurezza dall’epidemia e per la ricostruzione del Paese. “L’installazione di impianti di areazione in grado di garantire il ricambio dell’aria e controllare il livello di umidità avrebbe potuto permettere la riapertura delle scuole in sicurezza, ma spiace constatare che a nove mesi dalla prima ondata del Covid-19, il governo si accinga a riaprire le scuole il 7 di gennaio con le lezioni in presenza senza che sia stato fatto nulla sull’areazione”, evidenzia il coordinatore Giuseppe Valditara.

Il problema dell’areazione degli edifici scolastici è stato posto più volte e da più parti. Secondo l’Anp “siamo alle libere interpretazioni”. “Tra Covid o freddo – evidenziava Giannelli alcune settimane fa -, meglio il male minore, stare cioè in classe col cappotto”. A tal proposito è intervenuto il ministero dell’Istruzione con una Faq, fornendo indicazioni specifiche per il settore scolastico, tra cui sanificazione periodica delle suppellettili e degli arredi, uso della mascherina, costante areazione dei locali e igiene delle mani degli alunni e del personale nel corso della giornata di attività, e appunto la possibilità di portare i cappotti in classe.

Ma le finestre aperte, si sa, con le temperature rigide dell’inverno possono comportare raffreddori e influenze, condizione che impedisce a docenti, Ata e alunni di recarsi a scuola perché sintomi compatibili con il Covid. “Tutti gli inverni l’influenza affolla gli ospedali, c’è rischio strage con la terza ondata Covid“, ha affermato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, in un’intervista a La Stampa. Per il virologo Andrea Crisanti una terza ondata “è una certezza in questa situazione, non c’è bisogno di previsioni“, e aggiunge “Natale, con scuole chiuse e fabbriche a ritmo ridotto, va sfruttato per ridurre i contagi”.

Le scuole superiori si preparano intanto al rientro il 7 gennaio, situazione epidemiologica permettendo. Qui le indicazioni dell’ultimo documento redatto dall’Inail con l’Iss.

Riapertura scuole: orari differenziati, più mezzi e controlli anti assembramento. Documento Inail-Iss

da OrizzonteScuola

Di redazione

In previsione della ripresa delle attività in presenza per tutte le scuole di ogni ordine e grado, l’Inail e l’Istituto superiore di sanità hanno elaborato un nuovo documento tecnico che fornisce dati ed elementi utili per la riflessione sulle misure di contrasto alla diffusione del nuovo Coronavirus nelle attività che avvengono al di fuori degli edifici scolastici, con particolare riferimento al trasporto pubblico locale, che può rappresentare una rilevante occasione di contagio per gli studenti e, più in generale, per tutta la popolazione.

Nel documento, condiviso con il Comitato tecnico scientifico istituito presso la Protezione civile nella seduta del 4 dicembre, si sottolinea la necessità di creare un sistema di collaborazione diretta tra il mondo della scuola e chi assicura i servizi di mobilità per identificare e attivare misure organizzative specifiche.

Si va quindi verso la differenziazione degli orari di accesso rispetto alle fasce orarie di punta, a rafforzare l’offerta di trasporto pubblico, anche mediante l’impiego di mezzi aggiuntivi di superficie resi disponibili dal privato in maniera mirata rispetto alla mappatura delle criticità emerse per linee, stazioni e orari, a potenziare il personale dedicato alle stazioni di scambio più critiche per afflusso, allo scopo di assicurare maggiore controllo per la prevenzione di assembramenti, e a incentivare la mobilità sostenibile, anche tramite accordi e/o sovvenzioni per l’utenza scolastica.

Altro aspetto analizzato nel documento riguarda le attività extra scolastiche. Le aggregazioni nei pressi della scuola, in entrata e uscita – si legge – rappresentano un punto di criticità e richiedono l’applicazione di misure di prevenzione. Viene quindi promossa la responsabilità individuale (sui comportamenti in particolare, per esempio l’uso costante e corretto della mascherina) e il ricorso a forme alternative di mobilità.

Il documento

Concorso di religione, chi l’ha visto? Se il bando non esce entro fine mese rischia pure di saltare

da La Tecnica della Scuola

A tre settimane dalla fine del 2020, tanti si chiedono che fine abbia fatto l’atteso concorso di religione cattolica previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 1bis della Legge 159 del 2019, tramite cui assumere 6.600 docenti di cui un terzo precari. Il ritorno del concorso ordinario dopo oltre 15 anni di astinenza si è rivelato difficile: l’opera di mediazione dell’ex capo dipartimento Lucrezia Stellacci, oggi consigliere della ministra Lucia Azzolina, per mettere d’accordo Cei, ministero dell’Istruzione e sindacati, si è dimostrata più complessa del previsto.

Accordo complicato

Troppo distanti si sono dimostrate le posizioni sulla procedura selettiva che avrebbe portato ad assumere sui tanti posti vacanti. Con una parte delle cattedre di religione messe a bando, al massimo 2.500, che si sarebbero riservate ai precari con almeno 36 mesi di servizio svolto.

Le assunzioni in ruolo da graduatoria, nel frattempo, si sono sempre più assottigliate e sono andate a dir poco a rilento: quest’anno se ne sono attuate appena 472, a fronte di un numero di precari che supera ormai ampiamente quota 10 mila.

A questo punto il confronto tra i vescovi e i dirigenti del palazzo bianco di Viale Trastevere, potrebbe portare al nulla di fatto. Nel frattempo, i sindacati sono tornati a spingere per l’immissione in ruolo di tutti i docenti precari di religione.

Ben sapendo, però, che per fare questo bisogna prima cancellare la norma che prevede che il 30% dell’organico dei docenti di religione debba comunque andare a supplenza: un altro punto sul quale c’è da superare l’ostracismo dei vescovi.

Favilla (Uil): nessuna comunicazione ufficiale

Giuseppe Favilla, oggi coordinatore nazionale Uil Scuola IRC dopo una lunga militanza nello Snadir, ha tenuto a dire che il sindacato ad oggi “non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte del Ministero dell’Istruzione riguardo l’emanazione di alcun nuovo bando”.

Il sindacalista coglie l’occasione, come “richiesto unitariamente alle altre organizzazioni sindacali il 20 di giugno, il 17 luglio e il 10 settembre” scorsi, per ricordare “i punti irrinunciabili” prima di bandire il concorso ordinario.

La priorità, dunque, dice Favilla va alla “risoluzione dell’annosa questione degli idonei del concorso 2004, garantendo il totale scorrimento delle graduatorie regionali su base diocesana”.

Ma anche a “predisporre una procedura assunzionale straordinaria riservata ai docenti che hanno maturato almeno 36 mesi di servizio” previo “concorso per soli titoli e servizio con prova orale finale, innalzamento della quota del 70% fino al 90%, favorendo il maggior numero dei posti a concorso anche in quelle regioni dove ad oggi non risultano posti disponibili; graduatorie ad esaurimento regionali su base diocesana” per chi ha “partecipato al concorso”.

Pittoni: semplicemente non si fa

A non spingere per il concorso, così come presentato, è anche il senatore leghista Mario Pittoni: “l’eventuale mancato rispetto della scadenza dei termini per bandire il concorso per insegnanti di religione, non comporta alcun problema”, sostiene Pittoni.

Se non ci sono le condizioni, semplicemente non si fa. Se ne riparla quando il concorso rispetterà l’impegno con i precari”, ha tirato corto il vice-presidente della Commissione Cultura.

La posizione dello Snadir

Intanto, lo Snadir ha chiesto al ministero dell’Istruzione di “posticipare la scadenza dei termini” del bando, assieme alla riscrittura della Legge 159/19, con aumento della quota destinata ai precari storici e l’avvio “di una procedura d’assunzione straordinaria per il personale docente di religione con oltre 36mesi di servizio”.

Sempre il Sindacato nazionale autonomo degli insegnati di religione ha tenuto a ricordare che le intese precedenti tra i sindacati, il Servizio nazionale IRC della CEI e lo stesso Ministero auspicavano il reclutamento sia tramite concorso “straordinario”, per coloro che avessero maturato almeno 36 mesi di insegnamento con incarico su cattedra vacante, e sia con lo scorrimento della graduatoria dell’unico concorso del 2004 fino ad esaurimento.

La legge n. 159/2019 attesta però una realtà diversa – ha detto Orazio Ruscica, segretario nazionale Snadir -. A fronte di concorsi già svolti e da attuarsi con procedure straordinarie per i precari delle diverse discipline, solo per i docenti di religione precari è stata prevista una procedura ordinaria da bandire entro il 2020. Adesso, la fine dell’anno è alle porte, ma la situazione di assoluta straordinarietà che stiamo vivendo a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, rende impossibile lo svolgimento dei concorsi in assoluta sicurezza”.

Alla luce di ciò, lo Snadir ha chiesto al ministero dell’Istruzione di impegnarsi a posticipare la data entro cui bandire il concorso per l’assunzione in ruolo di circa 6.600 docenti.

Ruscica, inoltre, rivendica una “procedura straordinaria per l’assunzione del personale docente di religione con oltre 36 mesi di servizio”, oltre che la “necessaria revisione del vincolo normativo del 70% delle cattedre da assegnare a ruolo”.

Il leader dello Snadir chiede quindi di “bandire per questi docenti un concorso preferibilmente per soli titoli, culturali e di servizio, sul modello di quanto posto in essere dalla provincia autonoma di Trento, o in alternativa con solo una prova orale non selettiva sul modello previsto per gli abilitati della scuola secondaria e dei diplomati magistrali”.

Fermi alle proposte

A tre settimane dalla fine del 2021, però, siamo ancora nel campo delle proposte e delle ipotesi.

Anche se più di qualcuno parla di uscita imminente del testo in Gazzetta ufficiale, sulla pubblicazione del bando del concorso ordinario di religione non si hanno certezze.

Con oltre 10 mila docenti precari della disciplina che continuano a rimanere al palo e senza prospettive.

Per alcuni di loro l’attesa è comunque quasi finita: il paradosso è che a settembre andranno in pensione da precari!

Ritorno in classe, gli studenti come arrivano a scuola? Parte il monitoraggio per scoprire che servono più bus e metro

da La Tecnica della Scuola

A meno di un mese dal ritorno in classe degli studenti delle superiori, anche se a turno un quarto dovrà continuare a fare DaD, ci si è dunque affidati ai Prefetti per evitare che nei grandi centri si torni agli assembramenti su bus, pullman e metropolitane che abbiamo vissuto tra la fine di settembre e quella di ottobre (fino al ritorno comune alle lezioni in ‘remoto’): l’alta aspettativa è stata espressa anche da Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, che tra i punti punti imprescindibili per tornare a fare lezione in presenza ha menzionato “trasporti, monitoraggio sanitario e possibilità di assistenza da parte delle Asl“. Nel frattempo, però, anche altre istituzioni interessate al problema si muovono: si tratta, scrive La Repubblica, di Inail e Istituto superiore di sanità che hanno redatto un nuovo documento tecnico “sulla gestione del rischio di contagio da Sars-Cov-2 nelle attività correlate all’ambito scolastico con particolare riferimento al trasporto pubblico locale”.

Cosa serve

Inail e Iss si accingono a chiedere alle scuole perché facciano pervenire informazioni su quali mezzi pubblici utilizzino i loro studenti per recarsi a scuola, così da fornire informazioni utili ai Comuni.

In questo modo si forniranno informazioni utili ai “tavoli di coordinamento presso le Prefetture in coerenza con la normativa vigente”, così da potenziare i mezzi di trasporto dove effettivamente servono: in modo mirato.

Sempre La Repubblica sottolinea che “la gestione di questi problemi dunque non è più in capo alle Regioni, con le quali l’estate scorsa il Cts ha a lungo dibattuto sul tema percentuale di occupazione dei mezzi pubblici, ma si lavora a livello provinciale”.

L’obiettivo ultimo è quello, quindi, si “sapere dai ragazzi, specialmente delle superiori, come si spostano”, così da “permetterebbe, ad esempio, di chiedere un autobus in più a una certa ora all’azienda di trasporto pubblico”.

Cosa si vuole capire

Il documento Inail-Iss, sulla falsa riga delle indicazioni del Comitato tecnico scientifico, punta a capire dove è necessario “differenziare gli orari di  accesso a scuola  rispetto  alle  fasce  orarie  di  punta, a potenziare l’offerta del trasporto pubblico, magari attraverso convenzioni con i privati, di aumentare “il personale dedicato alle stazioni di scambio (tra metropolitana, ferrovie e capolinea bus) più critiche per afflusso”, di incentivare la mobilità sostenibile “anche mediante accordi e/o sovvenzioni specifiche per l’utenza scolastica”.

Ad esempio si potrebbe usare il bike sharing. Andranno comunque responsabilizzati gli utenti, “per garantire il distanziamento sociale, le  misure igieniche,  nonché  per  prevenire  comportamenti che possano aumentare il rischio di contagio”.

Gli obiettivi

Inail e Istituto superiore di sanità puntano quindi ad affrontare il problema degli assembramenti fuori gli istituti, che si attuano “nei luoghi di ritrovo in entrata e in uscita dalla scuola”: per tali casi si punta al “potenziamento di personale dedicato al controllo dei punti di accesso alle scuole e dei luoghi limitrofi”. E anche a limitare che gli studenti si ritrovino nella stessa casa per svolgere computi o semplicemente per vedersi.

Gli obiettivi del piano sono condivisibili. Il problema è che la decisione di avviare il piano arriva quasi a metà anno scolastico, tra l’altro con le festività natalizie che incombono.

I dubbi

La domanda allora da porsi è: perché non si è provveduto a realizzare il monitoraggio durante l’estate, considerando che la seconda ondata di contagi era pressoché scontata e che sui mezzi pubblici delle città gli assembramenti si formavano anche prima del ritorno a scuola?

Ma, soprattutto, poiché si dà per scontato che vi sono mezzi di trasporto utilizzati certamente in massa dagli studenti (come le metropolitane o determinate linee di bus di Roma, Milano e Napoli), cosa si sta facendo per incrementarne le corse? Cosa accadrà quando a fine dicembre l’Istituto superiore di sanità e l’Inail diranno che indispensabile che passi una metropolitana ogni due minuti anziché ogni tre? I Comuni di Roma, Milano e Napoli hanno a disposizione mezzi aggiuntivi o bus sostituivi?

Perché ai monitoraggi devono fare seguito le azioni. E pure in tempi estremamente rapidi.