Ricerca CENSIS-AIPD: Non uno di meno

Ricerca CENSIS-AIPD: quasi la metà degli adulti con sindrome di Down non lavora e sta a casa
Redattore Sociale del 04/11/2022

ROMA. Fino ai 6 anni l’80% dei bambini con sindrome di Down frequenta il nido, la scuola per l’infanzia o la primaria. Tra i 7 e i 14 anni la percentuale sale al 99,1% per poi scendere sotto al 50% (48,8%) tra i 15 e i 24 anni. E chi non frequenta la scuola cosa fa? Il 16,4% sta a casa, il 10,9% frequenta un centro diurno, il 5,7% un corso di formazione professionale e l’11,1% lavora. Ma è allo scoccare dei 25 anni, quando scuola e formazione vengono meno, che la linea di demarcazione tra la condizione di giovani e quella di adulti con sindrome di Down si fa più marcata mettendo ben in evidenza come per questi ultimi manchino servizi, supporti e in generale risposte. Tra i 25 e i 44 anni, infatti, solo il 39,3% delle persone con sindrome di Down ha un lavoro ed è ben il 27,6% la quota di chi resta a casa. Dopo i 44 anni la situazione si aggrava perché appena il 9,1% delle persone lavora, il 41,3% frequenta un centro diurno e ben il 44,8% ‘non fa nulla’ e sta a casa. A metterlo in evidenza è la ricerca ‘Non uno di meno. La presa in carico delle persone con sindrome di Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale’, condotta dal Censis insieme all’ Associazione italiana persone Down (AIPD) e presentata, nei suoi aspetti principali, questa mattina in Campidoglio in occasione del convegno “Percorsi di autonomia a Roma”, promosso dall’Assessorato alle Politiche Sociali e alla Salute di Roma Capitale, in collaborazione con AIPD – sezione di Roma.

La ricerca è stata condotta da marzo a maggio 2022 attraverso la compilazione di quasi 1.200 questionari raccolti su tutto il territorio nazionale, tramite 38 sedi AIPD coinvolte, presso i caregiver delle persone con sindrome di Down.

Tra i dati principali messi in evidenza è che, indipendentemente dall’età, la tendenza a “stare a casa” è prevalente al Sud, dove riguarda ben il 33% del campione intervistato a fronte dell’8,8% delle regioni del Nord Est. E più le persone stanno a casa, più aumenta la percezione del livello di disabilità da parte dei loro caregiver. “Oltre i 45 anni, la disabilità viene percepita come grave dal 20,9% degli interessati e come molto grave dal 18,6%, con una netta impennata rispetto alla fascia d’età 25-44, quando la disabilità è percepita grave dall’8,2 % e molto grave appena dall’1%”, spiega Anna Contardi, coordinatrice nazionale di AIPD che ha seguito l’indagine.

Riguardo al lavoro, il 13,3% del campione della ricerca ha un contratto da dipendente o collaboratore, il 35,2% di questi percepisce un compenso minimo, il 35,1% un compenso normale.

Per quanto riguarda l’accesso ai servizi la ricerca ha chiesto ai caregiver se nella propria Asl di appartenenza fosse presente un servizio pubblico o convenzionato dedicato alle persone con disabilità intellettiva. Poco meno della metà ha segnalato la presenza di questa tipologia di servizio e tra questi tutti lo utilizzano. È alta la percentuale di chi non è informato (28,8%) mentre il 23,7% dichiara che questa tipologia di servizio non è presente. Il dato varia anche sulla base del livello di istruzione dei rispondenti: solo il 34,6% di chi ha il titolo di studio più basso (tendenzialmente si tratta anche dei caregiver più anziani) afferma che il servizio è presente, contro il 55,5% dei laureati. Anche la quota di chi afferma di non essere informato è più elevata tra chi ha un livello di istruzione basso (37,0% contro il 21,0%): la mancanza d’informazione condiziona evidentemente lo stesso utilizzo dei servizi.

L’indagine ha voluto poi verificare se gli intervistati potessero contare su una presa in carico da parte del servizio pubblico del loro territorio fondata sulla predisposizione di un Piano di presa in carico. Solo il 26% del campione afferma che il piano è stato realizzato, il 24% dice che è stato predisposto ma è solo formale e/o ha una applicazione parziale, mentre nella metà dei casi il piano non è stato predisposto. Ancora una volta emergono differenze significative a livello territoriale: al Sud il 73,2% dei caregiver afferma che il piano per la presa in carico della persona con sindrome di Down di cui si occupa non è mai stato realizzato.

Dal punto di vista della vita sociale quella delle persone con sindrome di Down si esprime per lo più in attività strutturate mentre risulta molto difficoltosa nelle attività informali: oltre il 50% non riceve mai amici e non va a casa di amici, oltre il 60% non esce mai con amici. Ma quasi il 90% partecipa ad attività sportive o simili. Il 24% ha una vita relazionale affettiva e il 2.5% ha una relazione sessuale, percentuale quest’ultima che sale a 4,3% tra i 25 e i 44 anni.

In generale la ricerca mette in evidenza come le difficoltà principali incontrate dai caregiver riguardino l’integrazione nella scuola e nella società (51,3%) e la fatica a orientarsi tra i servizi sociali e sanitari (48,1%).

Dal punto di vista dell’assistenza i problemi sono il reperimento di informazioni per capire a chi rivolgersi per ottenere i servizi (44,1%); la perdita di riferimenti nel momento in cui si esce dal circuito scolastico (38,1%) e la continuità della presa in carico nel momento del passaggio alla maggiore età (26,1%).

Alla domanda su quali siano ‘le cose che più hanno aiutato i genitori ad affrontare positivamente la situazione nei primi tempi’, la scelta dei caregiver ricade per lo più (circa il 40%) sul supporto relazionale di genitori, parenti e amici.

In questo contesto ciò che le famiglie italiane chiedono di potenziare in via prioritaria sono i progetti di educazione all’autonomia e i percorsi di preparazione alla vita indipendente (47,9%); l’offerta di servizi per il tempo libero (42,3%); le politiche di inclusione lavorativa (35,3%) e la presa in carico complessiva della persona (33,8%).

“Le parole d’ordine che vengono fuori dai dati illustrati sono orientamento e accompagnamento al lavoro- commenta l’assessora capitolina Barbara Funari- ossia modalità più rapide di informazione per l’accesso ai servizi e ricerca di luoghi che possano accogliere le persone con sindrome di Down e fare formazione. C’è tanta voglia di lavorare in questi ragazzi e oggi abbiamo riunito Comune, terzo settore e aziende per avviare nuovi percorsi di autonomia, dopo avere ascoltato testimonianze importanti di chi ha trovato un lavoro, storie di successo che auspichiamo si possano moltiplicare”.

L’incontro di questa mattina è stato anche occasione per presentare l’esperienza della Convenzione con Roma Capitale sui percorsi d’autonomia.

Nel 2022 sono stati 67 i lavoratori down assunti a Roma e 6 sono le persone attualmente in tirocinio. “Prima della pandemia gli assunti erano 80- precisa Vincenzo Fanelli, responsabile del servizio inserimento lavorativo dell’AIPD Roma- ma alcuni purtroppo hanno perso il lavoro. Di certo il numero di chi lavora, in generale, è inferiore rispetto a chi è in grado di farlo e potrebbe ricevere un miglioramento della qualità della propria vita”.

Dal 2018 al 2022 sono stati 43 i percorsi di inserimento lavorativo attivati nella capitale, 37 le persone coinvolte, 20 i tirocini attivati e 23 i contratti di lavoro firmati.

“Il servizio ha l’obiettivo di sensibilizzare le aziende all’inserimento di persone con sindrome di Down- spiega Fanelli- per fare questo andiamo all’interno dei posti di lavoro e facciamo un percorso formativo con i ragazzi. L’inserimento avviene tramite il tutoraggio di un educatore che lavora soprattutto sulla relazione, l’aspetto più complicato. Dopo un periodo di osservazione poi i ragazzi vengono inseriti e lasciati da soli perché l’obiettivo a lungo termine è che siano autonomi”.

Esempio di questo percorso formativo, nello specifico nell’ambito della ristorazione, è il gruppo di ragazzi AIPD che servivano il caffè a latere del convegno. “Sono ragazzi che hanno seguito un percorso formativo di 3 mesi come camerieri di sala- spiega ancora Fanelli- si tratta di un percorso che li porterà a un successivo inserimento lavorativo. Con gli anni, infatti, ci stiamo rendendo conto di come preparare i ragazzi ad accedere al mondo del lavoro gli dia possibilità concrete di riuscita nel momento in cui si attivano tirocini finalizzati all’inserimento. La cosa importante- evidenzia- è inserire la persona al giusto al posto con mansioni vere, concrete e reali perché ci teniamo che i ragazzi siano degli adulti lavoratori”.

“La convenzione con Roma Capitale è una vera e propria collaborazione finalizzata all’obiettivo di fornire occasioni di autonomia alle persone con sindrome di Down- sottolinea Daniele Caldarelli, presidente AIPD Roma- per il futuro ci aspettiamo che questa Convenzione continui e possa essere migliorata anche nei termini della sua progettazione. Non c’è niente di peggio che iniziare un percorso che conduce all’autonomia e poi interromperlo. Confidiamo che questo non accadrà e stiamo lavorando con l’assessorato in questa direzione”, conclude Caldarelli. (DIRE)

Disabilità, primo incontro delle associazioni con la ministra

Disabilità, primo incontro delle associazioni con la ministra Locatelli
Vita del 04/11/2022

Caro bollette, riconoscimento del caregiver familiare e decreti attuativi della delega sulla disabilità i temi più urgenti portati sul tavolo della ministra Alessandra Locatelli
Primo incontro, ieri, tra la ministra per le disabilità Alessandra Locatelli e le federazioni più rappresentative delle persone con disabilità, Fish e Fand.

All’incontro per la Fish hanno partecipato il presidente Vincenzo Falabella e i vicepresidenti Silvia Cutrera e Antonio Cotura. La federazione ha espresso le preoccupazioni per la situazione economica in cui versano le persone con disabilità e le loro famiglie sollecitando e proponendo alla Ministra concreti interventi da inserire nel quarto Decreto Aiuti che dovrebbe essere approvato la prossima settimana, così da dare sostegno al potere di acquisto delle persone con disabilità e le loro famiglie. Altro tema l’aggiornamento al DEF per programmare la nuova legge di bilancio. Il presidente Falabella ha chiesto al ministro Locatelli di convogliare i finanziamenti necessari per rilanciare concretamente le politiche inclusive indispensabili per rispondere ai bisogni delle persone con disabilità.

È stato poi affrontato il tema della Legge Delega sulla disabilità entrando nel merito dei decreti applicativi, chiedendo un immediato confronto con gli uffici che stanno lavorando alla stesura dei decreti. Si è affrontato anche un tema caro alla federazione, il riconoscimento della figura del caregiver familiare: proposta che da anni non riesce ad arrivare alla meta ma su cui c’è la necessità urgente di trovare risposte e diritti certi.

Anche Nazaro Pagano, presidente di Anmic e Fand ha incontrato ieri pomeriggio la ministra Locatelli. «Confidiamo che la sua esperienza nel sociale e nel settore dell’assistenza, già acquisite in passato, possa apportare un contributo prezioso ad un confronto costruttivo e concreto fra le associazioni della disabilità ed il Governo», ha detto Pagano. La discussione si è incentrata subito sui dossier più urgenti delle disabilità, fra i quali la ripresa dei lavori dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, la necessità di varare al più presto i decreti attuativi mancanti per avviare la legge delega, la piena attuazione della legge 112/2016 sul “dopo di noi” da finanziare adeguatamente e da realizzare su tutto il territorio nazionale. Ma anche il mancato adeguamento delle pensioni di invalidità e la questione tuttora irrisolta dei caregiver.

Gestire il merito all’interno dell’inclusione

Gestire il merito all’interno dell’inclusione

di Rita Manzara

Cosa significa “meritare”?

Il verbo in questione riporta le persone della mia generazione ai tempi dell’infanzia (se non addirittura dell’adolescenza) quando, se volevi ottenere qualcosa (un oggetto, un permesso, ecc.) dovevi prima fare qualcos’altro.

Spesso non si trattava di un “momento”, di un singolo risultato o fatto, ma di un percorso la cui durata serviva a garantire all’adulto (genitore, insegnante) che tu avevi preso coscienza della necessità di impegnarti per superare difficoltà e/o acquisire nuove capacità.

Anche se questi comportamenti sono ancora presenti in alcune famiglie, non è semplice tradurli in modo diffuso all’interno dell’attuale contesto sociale dove – nonostante i problemi economici –  tende a predominare il “tutto e subito”, dove non si ha il tempo di desiderare, di aspettare e – perché no? – di sognare.

Al giorno d’oggi, una strada per “produrre merito” potrebbe essere quella di incanalare l’energia  – che un tempo faceva da motore all’ “impegno per avere” –  nell’ “impegno per diventare”.

In questo senso, giocando sull’autostima, il merito è rappresentato dal saper portare a termine una sfida calcolata sulle proprie potenzialità.

Per realizzare tale obiettivo il compito della scuola dovrebbe consistere nel portare ogni minore a realizzare la migliore versione di sé sfruttando le proprie competenze personali.

Considerando, tuttavia, che non siamo tutti uguali, la valutazione del merito non può rapportarsi a standard predefiniti, ma deve essere applicata ad ogni situazione in cui viene posto in atto uno sforzo finalizzato al miglioramento.

In altri termini, “merito” non può essere – quantomeno nella scuola – sinonimo di “eccellenza”.

Il merito non deve generare insani paragoni che mettono a confronto soggetti con diverse connotazioni personali e sociali, né operare distinzioni tra “deboli” e “forti”, creare élites, scatenare rivalità.

Meritare significa – per tutti – perseguire efficacemente il proprio obiettivo di vita sin dalle prime fasi dell’età evolutiva, in un ambiente di apprendimento che usa lo strumento della valorizzazione come “premio” atto a rinforzare la conoscenza e la sicurezza di sé.

Queste affermazioni vanno poste in relazione con l’inclusione scolastica, che richiede di mettere qualsiasi soggetto in condizione di individuare progetti/percorsi di vita coerenti con le sue potenzialità e in linea con le prospettive future.

La scuola non può, quindi, inquadrarsi in una “logica di mercato” che impone di selezionare talenti in un contesto di disuguaglianze sociali.

La sua funzione, infatti, è quella di portare avanti un discorso di promozione rivolto a tutti, non basato su un’inesistente “uguaglianza” ma finalizzato ad individuare un posto per tutti nella società del domani.

È comunque necessario sottolineare che l’azione inclusiva dell’Istituzione Scolastica non può essere efficacemente compiuta in mancanza di riscontro effettivo sul piano delle politiche sociali, che devono essere svincolate da stereotipi per supportare le azioni educative condotte a livello individuale e collettivo. 

Nota 4 novembre 2022, AOODGSIP 3627

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione
Direzione generale per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico

Ai Direttori Generali e ai Dirigenti titolari degli Uffici Scolastici Regionali
Ai Dirigenti Ambiti Territoriali Provinciali
Al Dipartimento istruzione Provincia Autonoma di Trento
Alla Sovrintendenza Scolastica per la Provincia di Bolzano
All’Intendente Scolastico per la Scuola in lingua tedesca di Bolzano
All’Intendente Scolastico per la Scuola in località Ladine di Bolzano
Alla Sovrintendenza agli studi per la Regione Valle d’Aosta
Ai Dirigenti Scolastici delle Istituzioni Scolastiche secondarie di secondo grado

Oggetto: Progetto “Me.Mo. Merito e Mobilità Sociale” – Selezione a.s. 2022/2023

Lettera Ministro 4 novembre 2022

Care studentesse e cari studenti,

vi scrivo oggi 4 novembre, nella Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, perché tengo a condividere con voi il senso profondo della ricorrenza. Nella giornata di oggi si celebra infatti un percorso storico e simbolico che coinvolge le ragioni più profonde della nazione, il senso stesso del nostro essere comunità.

Il 4 novembre 1918, anzitutto, entrava in vigore l’armistizio firmato il giorno prima a Villa Giusti a Padova, l’atto che certificava la resa dell’Impero Austro-Ungarico all’Italia e, soprattutto, la fine di un massacro nel quale persero la propria vita oltre 600mila italiani, in gran parte giovani. La Grande Guerra fu una tragedia immane e nella celebrazione odierna bisogna rifuggire qualunque esaltazione bellicista, a maggior ragione di fronte alla morte e alla distruzione che sono tornate a infestare il territorio europeo. Dobbiamo tuttavia onorare quei ragazzi, quegli italiani, che in nome di un ideale alto e nobile (l’unità di un popolo, la conclusione del Risorgimento), hanno sacrificato la propria vita. Il loro ricordo deve indurci ad apprezzare ancor più profondamente la Pace e la Libertà.