Sindacati. Profumo di sciopero

da ItaliaOggi

Sindacati. Profumo di sciopero

Le sigle si preparano a un settembre infuocato contro i provvedimenti del governo. Nella protesta possibile unione tra movimenti e confederali

Alessandra Ricciardi

Dopo giorni di fuoco e fiamme, ora è il momento dell’attesa. Se è vero che il premier Matteo Renzi, entro un paio di settimane al massimo, illustrerà le linee guida per la riforma della scuola da sottoporre alla consultazione pubblica, a breve ci sarà ben altro che gli annunci da poter commentare.

 

Ma se quegli annunci saranno confermati nei contenuti, la strada della mobilitazione, e di un eventuale sciopero, sembra l’unica percorribile. Per i sindacati più moderati, come la Cisl e la Uil scuola, e per quelli più intransigenti, come la Cgil. Una protesta che metterebbe d’accordo non solo i conferderali, ma anche i movimenti. Saldando le proteste dei docenti di ruolo e di quelli precari.

Ad accendere la miccia, il pacchetto scuola, con i dettagli sulla riorganizzazione del lavoro dei docenti, la revisione dello status giuridico, l’organico funzionale e il taglio di un anno del percorso scolastico così come anticipati dalla stampa in questi giorni. In un’intervista a ItaliaOggi, il sottosegretario all’istruzione, Roberto Reggi, getta acqua sul fuoco e apre la strada al confronto seppure con tempi contingentati. Si vedrà se questo percorso darà i suoi frutti.

Intanto ieri l’esecutivo nazionale della Uil scuola ha approvato all’unanimità il mandato a contattare tutti gli altri sindacati rappresentativi del settore per organizzare, per i primi di settembre, una manifestazione con tutte le Rsu (le rappresentanti sindacali dei singoli istituti) nella quale analizzare le norme che saranno proposte e decidere le eventuali mobilitazioni. «A prescindere da tutto, c’è un contratto di lavoro che non è stato rinnovato», spiega il numero uno della Uil scuola, Massimo Di Menna, «e se nella legge di stabilità non ci saranno le risorse, non sarà rinnovato fino al 2018. Su questo chiediamo risposte chiare. Poi c’è tutto il resto».

Tutto il resto, come quelle 36 ore di lavoro settimanali, ad oggi già previste, e che però nel piano di Renzi diventerebbero più stringenti per i docenti, il cui maggiore impegno sarebbe valutato anche ai fini sella carriera. «Siamo prontissimi a confrontarci su come definire e riconoscere carichi orari diversificati; in molti casi, peraltro, si tratterebbe soltanto di dare visibilità a oneri di maggiore impegno già oggi sopportati da tanti insegnanti, ben oltre il solo orario di cattedra», ragiona Francesco Scrima, segretario Cisl scuola (che ha preparato una tabella di sintesi sui carichi di lavoro in Europa), «ma non si pensi di poter dilatare quest’ultimo a piacimento e a dismisura, significherebbe non conoscere il lavoro di chi sta a scuola».

Lo Snals-Confsal guidato da Marco Paolo Nigi respinge l’ipotesi di compensare finanziariamente l’aumento di tempo-denaro per i docenti o l’introduzione di nuove discipline con la decurtazione di un anno delle scuole superiori (da 5 a 4 anni). E parla dichiaratamente già di sciopero Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda: «I docenti italiani lavorano quanto i loro colleghi europei, e in alcuni casi anche di più, basta considerare che le ore di insegnamento sono di 60 minuti e non di 45 o 50 come in altri Paesi Ue, l’approccio del governo è intollerabile». Attacca la Flc-Cgil di Mimmo Pantaleo: «Le proposte di Renzi si chiamano merito e carriera, ma significano tagli lineari e aumento dei carichi di lavoro». Pantaleo attacca anche le consultazioni on line, «sono di stampo grillino, non sono affatto convincenti, si apra invece un grande dibattito con docenti, Ata, genitori, studenti».

A quando una cultura scientifica in un Sistema di istruzione di pari dignità?

A quando una cultura scientifica in un Sistema di istruzione di pari dignità?

di Maurizio Tiriticco

In tanto fervore riformatore, quale quello avviato dal Cantiere della scuola del PD, in cui un massiccio intervento su cattedre e tempi di insegnamento sembra costituire il toccasana dei mali che affliggono la nostra scuola, l’amara riflessione di Carlo Rovelli su “la Repubblica” di oggi sembra riportare al nocciolo dei problemi uno dei nodi più importanti del nostro “Sistema educativo di istruzione e formazione”: l’incultura scientifica. Il che non è affatto casuale. In realtà, lungo tutte le riforme che dal dopoguerra in poi hanno interessato il nostro sistema scolastico, il pregiudizio di sempre non è mai stato intaccato. Quel pregiudizio che ha preso corpo con la riforma Gentile, ma che in effetti costituisce il male profondo di tutta la nostra tradizione culturale, o colta che sia. Si tratta del pregiudizio che vuole che la cultura classica sia quella che da sempre connota noi italiani e che, in quanto tale, possa e debba costituire il passaggio obbligato degli studi per chiunque aspiri – e ne abbia le capacità – ad accedere a studi superiori impegnativi e a far parte dell’élite intellettuale del Paese. E in effetti, per certi versi ciò corrisponde a verità. Non a caso, a tutt’oggi gli scienziati migliori sono coloro che hanno percorso gli studi classici. Però, occorre anche considerare che, a monte della scelta degli studi superiori, c’è pur sempre una “certa” famiglia che condiziona lo sviluppo/crescita di un nuovo nato. E’ più che dimostrato che ha più garanzie di successo negli studi il figlio di un ingegnere piuttosto che il figlio di un operaio. In effetti, quella parità nelle scelte degli studi e delle professioni, che è garantita dalla Costituzione, si scontra poi duramente con le reali condizioni di differenziazione sociale, che è anche culturale.
Da parte mia, e di Carlo Rovelli, nulla contro gli studi classici! Anch’io, come Rovelli, sono convinto che “studiare Alceo, Kant e Michelangelo offra a uno scienziato strumenti più acuminati di pensiero che non passare ore a calcolare integrali”. Ma la questione è un’altra e ha origini lontane: proprio in quel Seicento in cui Galileo – correttamente citato da Rovelli – sembra chiudere per sempre quella unità del pensiero e della ricerca che aveva sempre caratterizzato la nostra tradizione. Galileo è uno scienziato ma nel contempo “uomo di musica e di lettere, profondo conoscitore e amante dell’antichità classica, di Aristotele e di Platone, uomo completo del Rinascimento”, ci ricorda Rovelli. E lo stesso Dante, tre secoli prima, non era solo poeta, ma anche uomo di scienza, per come lo si poteva essere in un mondo in cui erano la fisica aristotelica a farla da padrona e l’universo tolemaico: quindi, un mondo in cui la ricerca scientifica era tutta fondata su ragionamenti apodittici. Si pensi al canto secondo del Paradiso, in cui scientificamente – si fa per dire – Beatrice spiega al poeta il perché delle macchie lunari. E forse per queste ragioni la Commedia per secoli e secoli non venne considerata alta poesia! Troppo intrisa di strani elucubrazioni! Ma nel contempo riscuoteva un continuo e indiscusso successo la poesia del Petrarca. Di qui il petrarchismo, uno dei limiti – o dei mali? – della nostra cultura.
Ed è proprio dalla fine del Seicento che hanno inizio quella separazione tra arte e scienza, tra poesia e prosa, se vogliamo – suffragata poi dal saggio crociano – e il lento prevalere delle discipline umanistiche sulle altre. Non diamo, quindi, tutta la colpa a Gentile e al suo liceo classico. Anche perché nella medesima riforma del 1923 viene istituito il liceo scientifico. Che non ebbe però l’autorevolezza culturale del classico. In effetti si trattò di un’operazione di maquillage: niente greco e qualche ampliamento nelle ore dedicate alle materie scientifiche. Di fatto venne vissuto – e ancora oggi del resto – come un liceo classico “facilitato”!
Sono quindi profonde le radici che hanno condotto a questa tripartizione gerarchica della nostra istruzione superiore: prima il liceo e poi, a scendere, l’istruzione tecnica e infine l’istruzione professionale. Ed è lungo questi tre filoni che poi si distribuiscono le iscrizioni dopo la scuola media, “confortate” anche – con tanto di virgolette – dai giudizi di orientamento degli insegnanti. E nulla conta il fatto che l’obbligo di istruzione oggi è di dieci anni e che gli studi primari essenziali devono concludersi con la certificazione delle competenze di cittadinanza e delle competenze culturali di base acquisite al termine di un primo biennio superiore ove vige – o dovrebbe – “l’equivalenza formativa di tutti i percorsi” di studio (dm 139/07, art. 2).
La situazione è grave. Se neanche nell’ultimo biennio obbligatorio riusciamo a garantire l’unitarietà degli studi essenziali, è estremamente difficile che tale unitarietà la si possa attivare nei tre trienni successivi. Ne viene a soffrire quella stessa unitarietà dei saperi proprio in una società “della conoscenza” che si fa sempre più complessa e che non fa sconti tra l’oggetto “classico” e quello “scientifico”. Occorrerebbe garantire, invece, che percorsi umanistici, tecnici e professionalizzanti fossero tutti di pari dignità e non percorsi in cui dirottare cervelli da una parte e manovalanza dall’altra. Le esigenze di una società avanzata sono ben altre e non ammettono gerarchie in verticale, ma solo in orizzontale. Pertanto, lo stesso riordino dei nostri studi secondari superiori non dovrebbe avvenire in verticale, come si preannuncia, cioè con il taglio netto del quinto anno; ma in orizzontale, cioè nel riuscire a dare pari dignità a tutti i percorsi. Non è un’operazione facile, ma è l’unica che nel tempo riuscirebbe a riallineare quelle classi sociali che da sempre sono ben separate tra loro. Si tratterebbe di un’operazione culturale e civile nel contempo! Anche perché non è vero che gli studi classici non sono altrettanto “scientifici”: basti pensare al rigore che occorre per la scrittura di un testo originale e/o per l’interpretazione di un testo! E la linguistica non è forse una scienza? E lo stesso dicasi per la filologia. E quanto ha faticato Dewey a mettere ordine in biblioteche sempre più piene di libri sempre meno rintracciabili!?
E, se non si provvede in tempo, correremo il grosso rischio di perdere pezzi e battute anche nella nostra tradizionale cultura umanistica. L’incuria per il nostro patrimonio artistico è un segnale preoccupante: Si intervenga presto su questi problemi, ma sempre con una prospettiva lungimirante. La vista corta non solo non ci porterà lontano, ma creerà solo ulteriori difficoltà. Non vorrei che la fretta “renziana” – ovviamente apprezzabile in un Paese da decenni vittima di un’insana immobilità – producesse però tanti gattini ciechi!

Scuole a tempo pieno e a spazio aperto? Le strade già ci sono Ma, in un contesto precario e di tagli, sono impercorribili

da ItaliaOggi

Scuole a tempo pieno e a spazio aperto? Le strade già ci sono Ma, in un contesto precario e di tagli, sono impercorribili

La realtà in cui intervenire è complessa, i fuochi di artificio durano solo la festa del patrono

di Maurizio Tiriticco* *già ispettore Miur

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Non è affatto un discorso nuovo quello dei tempi e degli spazi delle istituzioni scolastiche. È dal tempo dei decreti delegati – primi anni Settanta del secolo scorso – che abbiamo cominciato a porre il problema di una scuola che cessasse di essere chiusa in se stessa, per certi versi autoreferenziale, e che si cominciasse ad avviare un discorso tra scuola e società, o, se si vuole, più concretamente, tra scuola e territorio. Occorreva avviare la «partecipazione della gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica» (dpr 416/74, art.1). Di lì nacquero gli organi collegiali, i consigli scolastici provinciali, i distretti scolastici. Furono anni di estremo interesse, anche per quanto riguarda le innovazioni: seguirono, infatti, la riforma della scuola media (i nuovi programmi del ’79) e della scuola elementare (i nuovi programmi dell’85 e la legge 148/90). Per non dire degli Orientamenti del ’91 per la scuola dell’infanzia e di tutte le sperimentazioni che hanno interessato licei e istituti tecnici e professionali. E non è un caso che furono proprio i quadri tecnici usciti dai nostri istituti che contribuirono al grande slancio economico e sociale che caratterizzò il nostro Paese per tutto lo scorcio del secolo. E furono moltissime le scuole che rimanevano aperte fino a sera per l’organizzazione dei corsi delle 150 ore (ex contratto dei metalmeccanici del 1970) per restituire a quanti avevano abbandonato gli studi precocemente quei livelli di conoscenze che li aiutassero non solo per lo sviluppo di carriera, ma anche per il personale sviluppo culturale e civile.

Più tempo scuola, quindi, e spazi aperti al sociale: l’istituto scolastico inteso come centro formativo e culturale. Un’idea di scuola diversa rispetto a quella ereditata dal passato, chiusa nella sua funzione istruttiva e basta. Poi venne l’autonomia delle istituzioni scolastiche (siamo alla fine del secolo scorso) e l’apertura al territorio viene ricordata e sancita più volte, per l’elaborazione del Pof, per l’orientamento degli studenti, e implicitamente per le attività di alternanza scuola-lavoro.

Le intenzioni e gli strumenti normativi non sono mai mancati per quanto riguarda l’apertura delle scuole. Quello che, invece, è venuto a mancare dalla fine del secolo ad oggi è stata la volontà operativa. Quando si cominciano a tagliare risorse, quando non si rinnovano i contratti del personale, quando non si agisce per liquidare il precariato e si inventano inutili e cervellotici concorsi, i tempi e gli spazisono tagliati anche questi. E si ripropongono di fatto le scuole di un tempo lontano, dedicate solo all’istruzione degli alunni. Però, sempre debole, se mancano l’alimento del territorio e le prospettive oggi anche transnazionali.

In un simile contesto, assolutamente precario, certe iniziative sulle aperture stagionali e serali degli istituti scolastici e sull’incremento orario dei docenti lasciano molto perplessi. Le scuole aperte a luglio e fino a sera inoltrata? E perché no anche ad agosto? Chi, quando, come e perché le deve aprire? E, soprattutto, per quali progetti? E chi paga le spese del personale e quelle di gestione? In una società sistemica e complessa non c’è attività che non si debba avviare e realizzare all’interno di un’Idea e di un Progetto, con tanto di maiuscole, che debbono anche essere lungimiranti e, soprattutto, condivisi. Si giunse ai Decreti delegati dopo anni di discussione. E lo stesso è accaduto per l’autonomia.

Chi ha rilanciato la proposta della scuola aperta 11 mesi su 12, dovrebbe conoscere la situazione di disagio in cui si trovano le scuole e il personale tutto, dovrebbe sapere che i dirigenti non hanno il tempo, e a volte neanche la voglia, di seguire la didattica per tutti gli adempimenti burocratici di cui devono rispondere. Per non dire dei molti istituti che devono presiedere, anche come reggenti. Per non parlare del fatto che gli insegnanti, almeno da quindici anni, ad ogni apertura d’anno scolastico si trovano di fronte a innovazioni di cui nulla sanno e di cui non sono mai stati partecipi. E questo a fronte di stipendi bloccati da anni, nonostante l’aumento del costo della vita.

Le 36 ore proposte – pare che saranno volontarie – potrebbero provocare corse e contenziosi a non finire. Tutto per l’offa di una ricompensa. Magra o grassa che sia. Da quante parti sono indicati quotidianamente i mali della nostra scuola? Su un corpo malato – le eccezioni ci sono, e tutte dovute alla buona volontà di tanti dirigenti e insegnanti – non si interviene con proposte apparentemente salvifiche. Come proporre i cento metri a uno sciancato. Intervenire sulla nostra scuola è estremamente necessario. Ma non abbiamo bisogno di fughe in avanti, di carote a cui poi seguiranno ineluttabilmente colpi di frusta! Abbiamo bisogno di discutere di questi temi, e con soggetti e tempi anche definiti, ovviamente. I fuochi di artificio durano solo la festa del patrono.

Quota 96, anche il governo dice sì. La norma entra nel decreto sulla pa

da ItaliaOggi

Quota 96, anche il governo dice sì. La norma entra nel decreto sulla pa

Verso l’uscita anticipata dei 4 mila prof vittime della Fornero

Nicola Mondelli

Improvvisa accelerazione per la proposta di legge Ghizzoni (Pd) e Marzana (M5S) volta ad estendere il diritto di accesso alla pensione con i requisiti previgenti prima dell’entrata in vigore dell’articolo 24 del decreto legge 201/2011 anche al personale della scuola che tali requisiti ha maturato entro il 31 agosto 2012.
La svolta, dopo mesi di incomprensibile resistenza da parte del ministro dell’economia e delle finanze, è documentata da una dichiarazione rilasciata mercoledi scorso da Francesco Boccia (Pd), presidente della commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera, al termine dei lavori della commissione riunita per concludere l’esame della proposta di legge Fedriga e Caparini recante modifiche alla disciplina dei requisiti per la fruizione delle deroghe riguardanti l’accesso al trattamento pensionistico da applicare ai lavoratori esodati.

Fuori da questa previsione, il personale della scuola forzatamente ancora in attività di servizio non avendo avuto la possibilità di accedere al trattamento pensionistico con i requisiti anagrafici e contributivi richiesti dalla normativa previgente, appunto, l’entrata in vigore del predetto articolo 24.

In commissione bilancio, è stato però approvato all’unanimità un emendamento da inserire nel decreto legge di riforma della pubblica amministrazione 24 giugno 2014, n. 90, emendamento che riprende integralmente la risoluzione Saltamartini (Ncd). Tale soluzione, che era stata approvata all’unanimità nello scorso mese di marzo in commissione lavoro, impegnava il Governo a individuare le risorse necessarie ai fini dell’adozione di urgenti iniziative normative volte a prevedere che i requisiti per il pensionamento previgenti la riforma Fornero continuino ad applicarsi ai lavoratori della scuola che abbiano maturato gli stessi requisiti entro l’anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.

La richiesta di inserire l’emendamento nel decreto di riforma della pa, ha ricordato ancora il presidente Boccia, è stata accolta dal sottosegretario al lavoro, Massimo Cassano.

«È necessario», ha sostenuto Boccia, «consentire ai 4 mila insegnanti, come stimati dal ministero dell’istruzione, che potrebbero andare in pensione, di fare domanda entro la fine di agosto, permettendo così ad altrettanti giovani insegnanti di entrare finalmente nel mondo della scuola a tempo indeterminato».

Ora non resta che attendere la conversione in legge del decreto legge di riforma della pa per verificare che l’emendamento non incappi ancora in altri ostacoli e diventi legge.

Sprecati 500 milioni di euro. Tanto costano le bocciature, sono 300mila alle superiori

da ItaliaOggi

Sprecati 500 milioni di euro. Tanto costano le bocciature, sono 300mila alle superiori

Ripetenze, dispersione scolastica e Neet, l’allarme per un sistema scolastico escludente

Giorgio CAndeloro

~~Quasi tre milioni gli studenti iscritti alle superiori e mai arrivati al diploma negli ultimi quindici anni in Italia, un tasso di dispersione scolastica che nelle isole sfiora il 35%, con il 37% nazionale di abbandoni nei professionali. E ancora, quasi settantamila studenti dispersi al primo anno delle superiori, che salgono a novantamila nel biennio, quando quasi il 50% chi abbandona ha già operato la sua rinuncia agli studi, senza neppure arrivare, nel caso dei professionali, all’obiettivo minimo della qualifica triennale.

 

Sono questi i dati drammatici della dispersione e dell’abbandono nelle scuole superiori italiane, che raccontano di un dramma sociale ma anche economico, visto che il costo complessivo della docenza sprecata si aggira intorno al mezzo miliardo annuo. Dato questo che diventa ancora più impressionante se lo si mette in relazione al costo sociale dei cosiddetti Neet (not engaged in education, employed or training), i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non svolgono alcun tirocinio professionale e che quasi sempre si trovano in questa condizione proprio a seguito della dispersione scolastica: un esercito immobile di quasi due milioni di nuovi analfabeti lavorativi, in gran parte concentrato al sud e nelle isole, che ha perso il treno dell’istruzione e della formazione, si trova ai margini del mercato occupazionale, non contribuisce in alcun modo al sistema previdenziale e costa alla collettività, tutto compreso, la cifra astronomica di 33 miliardi l’anno.
C’è chi si chiede se tutto questo non accada anche per colpa di una scuola che boccia troppo, senza offrire agli studenti che falliscono un piano B, un’alternativa credibile alla rinuncia e all’abbandono. Quel che è certo è che in Italia, molto spesso, la bocciatura è vissuta come un fallimento esistenziale e una sconfitta personale, piuttosto che come un punto dal quale ripartire per un riorientamento dei propri interessi e delle proprie prospettive di formazione e di futuro sbocco professionale. Così come è altrettanto certo che esistono, in Europa e altrove, sistemi scolastici nei quali la bocciatura non è prevista affatto, ma, soprattutto per l’istruzione professionale, si elabora un sistema di crediti accumulabili, più alti o più bassi a seconda dei risultati conseguiti, da spendere poi nell’accesso al mondo del lavoro. Un sistema al tempo stesso più competitivo e meno rigidamente escludente del nostro.
La scuola italiana produce invece, circa trecentomila bocciati l’anno alle superiori, quinte classi escluse, quasi il 15% del totale. Certamente una buona fetta di questi va ad ingrossare l’esercito di quel 27% nazionale di abbandoni i che è il male dimenticato del nostro sistema di istruzione.
Per l’anno scolastico appena concluso dati definitivi sulla quantità di bocciature ancora non ci sono, anche se il Miur ha iniziato il monitoraggio dei risultati, che saranno completi solo da settembre, quando si concluderanno gli esami degli alunni che a giugno hanno avuto la sospensione del giudizio. Dai primi dati parziali sembra però che le cifre dei respinti siano in linea con quelle degli anni precedenti. Anche quest’anno, insomma, l’esercito dei bocciati si arricchirà di nuove leve. C’è da chiedersi se il piano di riordino complessivo della scuola annunciato dal governo, e atteso per i prossimi giorni, si farà carico anche di questo problema. Perché forse, di questi tempi, la scuola italiana non può più permettersi il costo di trecentomila fallimenti l’anno.

Contratto flessibile per i docenti

da ItaliaOggi

Contratto flessibile per i docenti

Reggi: non solo anzianità, aumenti in base agli incarichi. Il sottosegretario all’istruzione stringe sulla riforma, entro la settimana sarà in mano a Renzi

Alessandra Ricciardi

Dice che adesso, dopo le polemiche di questi giorni, è più attento alle parole, alle sfumature, «del resto lo capisco, dopo anni di tagli, i docenti stanno sul chi va là e certe reazioni sono naturali, si rischia però di perdere di vista il merito dei problemi».

 

Roberto Reggi, sottosegretario all’istruzione, finito nel mirino delle contestazioni dentro e fuori la scuola per la proposta di rivedere l’organizzazione del lavoro con carichi e compensi diversificati per gli insegnanti, annuncia: «A giorni il ministero dell’istruzione invierà le proposte di riforma al premier Matteo Renzi, a cui spetta la decisione finale. Lui ha un’idea della scuola molto avanzata e le modalità giuste per raccontarla». E poi, sulle famose 36 ore di lezione a settimana per i prof, precisa: «Non ho mai detto che i docenti passeranno da 18 ore di cattedre a 36 ore, si tratta solo di differenziare i carichi di lavoro nell’ambito degli orari previsti e che già oggi molti fanno. Ora il contratto nazionale prevede avanzamenti di stipendio solo con l’anzianità di servizio, con i sindacati invece tratteremo progressioni differenziate in base ai carichi di lavoro. Il contratto diventerà flessibile».

Domanda. Stupito delle reazioni contrarie?

Risposta. Ho ricevuto in questa settimana molte controproposte, molti elementi costruttivi. E anche qualche insulto per la verità. In generale però le cose buone sono state la gran parte, quando si parla dei problemi della scuola e delle esigenze dei ragazzi.

D. Una delle accuse è che il governo decide da solo.

R. Tocca al governo fare la proposta, ma poi su questa si ascoltano tutti gli attori in campo per costruire insieme, anche se con tempi contingentati. Governare però significa assumersi le responsabilità della scelta finale.

D. Sulla riforma della scuola farete come con la giustizia e la pa, consultazioni on line?

R. Sono convinto della necessità di confronti anche presso le direzioni scolastiche regionali, sul territorio, con chi vive la scuola tutti i giorni.

D. La consultazione rischia di avvenire in estate, quando le scuole sono chiuse.

R. Può essere l’occasione giusta per avere tempi più distesi per confrontarsi.

D. I sindacati sono già pronti a scioperare.

R. Sarebbe uno sciopero preventivo… invito tutti ad attendere la proposta finale, ora non c’è nulla, decreto legge, disegno di legge delega…

D. Cominciamo dalla proposta di innalzare il numero di ore di lavoro dei docenti in cambio di un aumento di stipendio.

R. Stiamo lavorando a costanza di orario di lezione, 18 alle ore alle medie e alle superiori, 22 nella primaria, 25 per l’infanzia, un aumento dell’orario di cattedra non è mai stato nel novero delle cose. Ci sono poi le altre ore di lavoro, a cui si assolve dentro e fuori la scuola. E è su questo che agiremo.

D. In che modo?

R. Intendiamoci, gli insegnanti bravi già fanno le cose che sto dicendo. Al di ad delle ore di correzione dei compiti e preparazione delle lezioni, c’è anche tutto il lavoro organizzativo che alcuni svolgono con i dirigenti, c’è la formazione in itinere, le attività di recupero degli studenti che vanno realizzate nell’ambito di un buon progetto educativo, così come le attività per valorizzare gli studenti bravi. Poi c’è tutto tema del tutoring dei tirocinanti.

D. Con 36 ore settimanali si faranno tutte queste cose?

R. Ad oggi il contratto nazionale prevede genericamente gli orari, e prevede che la progressione economica avvenga solo in base all’anzianità di servizio. L’esperienza è importante, ma da sola non basta più oggi. Deve esserci una quota di stipendio variabile legata a tutto il resto, per premiare chi fa di più. Serve un contratto flessibile.

D. Non è chiaro se il lavoro in più sarà pagato con le stesse risorse ad oggi disponibili oppure aggiungendo risorse fresche.

R. Questo farà parte della trattativa con i sindacati. Noi indichiamo degli obiettivi che sono importanti, se siamo d’accordo sugli obiettivi poi si costruisce la strada per arrivarci.

D. Ministero dell’economia permettendo…

R. Al ministero dell’economia devono capire che l’aria è cambiata, che c’è un altro governo. Non possono dare le stesse risposte che davano con il ministro Giulio Tremonti. Per il governo Renzi la scuola è centrale. Noi non andremo a chiedere finanziamenti per singole misure, ma presenteremo un grande pacchetto che va sostenuto.

D. Si è parlato di un incremento del 30% dello stipendio per chi accetta gli incarichi aggiuntivi.

R. Non ne ho mai parlato.

D. Chi selezionerà i docenti che faranno di più?

R. Gli organi collegiali vanno rivisti e devono avere competenze chiare. Come accade nei comuni, dove il consiglio comunale dà l’indirizzo e sindaco e giunta sono gli organi esecutivi. Il consiglio di istituto deve avere la funzione strategica, il collegio dei docenti la didattica e il dirigente scolastico la gestione.

D. I dirigenti sono pronti?

R. Devono esserlo, ogni dirigente altrove è responsabile della scelta del proprio staff. E per questo è anche valutato. Molto cambierà con la selezione delle nuove leve, ma anche con la formazione in itinere.

D. Sulle scuole aperte 11 mesi l’anno, tutto il giorno, a quale modello organizzativo pensate e con quali risorse?

R. In autunno faremo un forum di scuole aperte per individuare il modello che funziona bene. Abbiamo visto che in genere funziona l’integrazione genitori-insegnanti-privato sociale e imprenditori che danno finanziamenti per i quali prevediamo una defiscalizzazione. Lo stato non farà tutto, ma la regia resta pubblica per il progetto pedagogico. Anche la gestione deve restare unica.

D. Pensa sempre di tagliare un anno di superiori?

R. Io parto dalle esigenze dei ragazzi. Se vogliamo migliorare il loro inglese, far studiare di più e meglio le nuove tecnologie e la storia dell’arte, possiamo corprire i nuovi interventi riducendo la durata del percorso. Senza ovviamente licenziare nessuno. Sono personalmente convinto che sia meglio tagliare un anno alle superiori che non alla primaria. Ma è un dibattito aperto.

Dalla norma salva precari a quella taglia precari

da tecnicadellascuola.it

Dalla norma salva precari a quella taglia precari

All’indomani della entrata in vigore dell’articolo 64 della legge 133/2008 (il ben noto piano programmatico Gelmini-Tremonti) venne varato un decreto a favore dei docenti precari per tentare di offrire qualche opportunità di lavoro in più a chi stava perdendo il lavoro a causa dei tagli di organico. Adesso nulla di tutto questo, anzi Reggi parla addirittura di far fare supplenze ai docenti di ruolo.

Dopo la stagione del salva precari è probabile che ci toccherà assistere alla stagione del taglia precari.
Ricordiamo che subito dopo i tagli avvenuti ad opera dell’ex ministro Gelmini si pensò di edulcorare la pillola con un decreto ad hoc, il decreto 134/2009 noto come decreto salva precari.
In cosa consisteva questo decreto? Si trattava di un decreto che garantiva  corsie preferenziali di accesso alle supplenze brevi o a progetti a quei docenti che nel 2008/2009 avevano insegnato con contratti annuali e che, a causa degli ingenti tagli dovuti alla legge finanziaria 133/2008, erano rimasti tagliati fuori dal circuito delle supplenze annuali.
All’epoca della proposta del decreto suddetto, ricordiamo “nobili precari” che oggi ricoprono incarichi di responsabilità politica  in partiti di maggioranza di governo dire: “È un amaro scandalo silenzioso. Sulla scuola statale e sui docenti precari possiamo parlare ormai di accanimento terapeutico di questo governo (quello Berlusconi), di un ambito e una categoria indebolite eppur fondamentale soprattutto in Sicilia: regione col più alto tasso di disoccupazione come anche di dispersione scolastica”. Nemmeno la norma salva precari, pensata con lo scopo di attenuare l’emorragia di chi prima lavorava e poi si è trovato senza nemmeno uno straccio di chiamata, ha lenito le proteste del mondo precario e di chi lo rappresentava politicamente. Oggi che si sta pensando di intervenire pesantemente a tagliare drasticamente le supplenze brevi, fonte di sopravvivenza per i precari, chi allora guidava la protesta di ribellioni anche contro il salva precari, tace e gira la testa dall’altra parte. In buona sostanza stiamo passando dalla norma salva precari a quella taglia precari, con al timone dell’operazione il partito democratico che in un recente passato ha ritenuto nefasti e nefandi i tagli alla scuola e anche il conseguente salva precari.
Non riusciamo a vedere un barlume di coerenza ma la cronaca della politica scolastica è oggettivamente questa. Il taglia precari nasce da una valutazione fatta dal sottosegretario all’istruzione Reggi, il quale afferma: “Le supplenze brevi poiché non sono programmate, non rappresentano dal punto di vista didattico nessun valore aggiunto. A questo punto meglio utilizzare  gli insegnanti in organico di ruolo, i quali potrebbero dare la loro disponibilità a fare le supplenze in modo più organico”.
Con queste parole si gettano le basi per definire un decreto che possiamo chiamare taglia precari e che contemporaneamente troverà la complicità di tutti quei docenti di ruolo, che per qualche euro in più spazzeranno via i sogni dei precari, aprendo la strada politica alla legittimazione dell’aumento dell’orario di servizio degli insegnanti. Comunque la si voglia pensare una cosa è certa, temi come l’orario di servizio e l’organizzazione del lavoro pretendono di essere trattati e concertati nei tavoli contrattuali con le rappresentanze sindacali.
Tutto il resto fa parte di un gioco politico che vede un sottosegretario del PD sostituirsi al ministro dell’Istruzione, nel tentativo di lanciare provocazioni per vedere le reazioni del mondo della scuola. Lasci perdere sottosegretario Reggi il gioco delle parti, bisogna trovare soluzioni condivise ai problemi del precariato della scuola. Si lasci da parte il taglia precari e si risolvano le ingiustizie fatte da troppi anni sui precari della scuola prima che ci pensi irrimediabilmente la Corte di giustizia europea.

36 ore? Sì, no, magari 24. Il gioco delle “tre carte”, il “principino” e lo 0,7%

da tecnicadellascuola.it

36 ore? Sì, no, magari 24. Il gioco delle “tre carte”, il “principino” e lo 0,7%

Una girandola di dichiarazioni, poi in parte corrette o smentite, ma infine “rilanciate” sotto altre forme. Protagonista assoluto in questa calda estate Roberto Reggi, sottosegretario all’istruzione, ma il ministro Giannini non è da meno. E Renzi, per ora attende le reazioni e tace.

Reggi fa, disfa, lancia proclami, poi si scusa. 36 ore settimanali di servizio per gli insegnanti e scuole aperte 10 mesi l’anno sino alle 10 di sera (con la canicola di luglio e la grandine e il gelo di gennaio. Grande, Reggi, la scuola per risolvere i propri problemi aspettava lei). Un abbaglio? Una provocazione? “Leggende metropolitane” e “bufale palesi” (come argutamente scritto in un articolo pubblicato giorni fa su questo sito)?. Ma dopo i “fuochi pirotecnici” dell’ineffabile Roberto Reggi  e le precisazioni, con relative scuse (“Vi chiedo scusa, è stata una stupidaggine“, un po’ come dire che la nazionale italiana di calcio sarebbe arrivata almeno in semifinale ai mondiali: sempre di “chiacchiere al bar” si tratta!), durante il Cantiere Scuola organizzato a Terrasini, una lettrice commenta: “se fosse un politico serio allora si dimetterebbe. In qualsiasi altra democrazia occidentale sarebbe obbligato a farlo. Se Renzi fosse un politico serio lo dimetterebbe”. Perché, se qualcuno lo ha dimenticato, Roberto Reggi, non è propriamente uno qualunque quando parla di scuola e insegnanti, è infatti sottosegretario al Ministero dell’istruzione (un ruolo che presume competenza e misura nelle dichiarazioni).

Reggi, Reggi, certe proposte paradossali possono indurre a pensare che lei non conosce minimamente cosa si fa a scuola, quale lavoro compete ai docenti, che non sono burocrati che timbrano carte. E lei egregio presidente del Consiglio, anzi “caro Matteo” (come un po’ populisticamente si fa spesso chiamare il premier) cosa fai di fronte a simili dichiarazioni anche un po’ “provocatorie”?  …“Reggi il moccolo” e aspetti le reazioni, “principino del Machiavelli”? So che Renzi quando vuole ha un buon senso dell’umorismo e non se la prenderà per quanto appena scritto e poi… ci accomuna (forse soltanto) la passione per il colore viola della nostra “squadra del cuore” (ma io, Matteo, ho più meriti: tengo sin da bambino per la Fiorentina pur non essendo nato a Firenze!).

Un’altra lettrice, Maria, più buona, tende una mano al sottosegretario: “scuse accettate. Offro due alternative a questo signore: o si dimette o viene a lavorare con me per due mesi. Immagino che non avrà abbastanza coraggio per nessuna delle due opzioni. Allora, per favore, se mi posso permettere, non si offenda, non se la prenda a male, non si dispiaccia: ZITTO!! “.

Macchè, “super Reggi” d’estate si scatena e mette un altro “carico” sul tavolo: togliere le “supplenze brevi ai supplenti” (che si chiamano così… proprio perché fanno le supplenze). Secondo il sottosegretario, come riportato in uno dei nostri articoli, siccome queste supplenze non sono programmate, ma improvvisate, dal punto di vista didattico “non danno valore aggiunto”. Meglio, quindi, “utilizzare gli insegnanti di ruolo”.

Insomma, nello stesso giorno, il 7 luglio, dai microfoni di “Radio Anch’io” (Radio 1) da una parte… si conquista l’affetto dei docenti precari con le sue dichiarazioni sulle supplenze brevi, dall’altra precisa che “nessuno ha mai parlato di 36 ore di lezione. Le ore di insegnamento restano costanti, e quindi 18 ore per le superiori, 22 per le primarie e 25 per le materne” (come al solito avremo capito male noi giornalisti!), anche se l’orario di lavoro dovrà essere oggetto di revisione e contrattazione. Ma il ministro Giannini lo sa? Visto che lei invece ha continuato a dire pochi giorni fa, secondo quanto illustrato in un altro degli articoli riportati su questo sito, che l’intenzione del Miur di aumentare l’impegno settimanale non è campata in aria; tanto è vero che viene chiesto sin d’ora ai rappresentanti dei lavoratori di non mettersi di traverso.

Peraltro, prima della retromarcia, in effetti Reggi sembrava essere stato chiaro: più ore per tutti i docenti, 36 a settimana; magari era una ”provocazione” per poi “aggiustare il tiro” sulle 24 ore di servizio (“in realtà penso giochino al rialzo ha commentato un’insegnante – per poi contrattare arrivando alle 24 ore facendoci sentire anche fortunati x avere evitato le 36… Io a malapena sopravvivo con queste ore!!!”), e quindi gli insegnanti secondo il governo avrebbero “ingoiato il rospo” felici di aver  scampato la bastonata delle 36 ore (che grande strategia: degna del “principino del Machiavelli”!). E per Roberto Reggi aumenti di stipendio a chi si prende responsabilità oppure offre competenze specifiche, magari in ruoli organizzativi a fianco del dirigente scolastico. E poi un anno di scuole superiori in meno, quattro anziché cinque. Moltissimi educatori, docenti e pedagogisti sono contrari, ma che importa? Per l’attuale sottosegretario si tratta di “un’altra scelta europea. E poi se vuoi fare più musica, più storia dell’arte e non hai più soldi devi rimodulare quello che hai“.  Insomma, vuoi studiare storia dell’arte e pretenderesti pure di farlo per cinque anni? Anzi, se proprio vuoi passarti questo “sfizio” (e poi parliamo di sfruttare il turismo, fonte di benessere economico per il nostro Paese ricco di cultura, al contrario – spesso – di chi la gestisce o la governa) diminuiamo il monte ore delle altre discipline, riducendo di un anno il percorso di studi. Ma che importa: Reggi lo sa, ce lo impone l’Europa. E neppure questo è vero (così come non lo è dire che gli insegnanti italiani lavorano di meno dei colleghi europei), è il solito “mantra” (che fra l’altro finisce in genere per far “detestare” come “matrigna” l’Ue, che molte colpe ha, a cominciare da una unione solamente finanziaria – neppure economica – e monetaria, ma non per tutti: Regno Unito docet) perché non è vero che in tutti i Paesi europei la scuola del secondo ciclo dura soltanto quattro anni. Così come è un assioma che andrebbe verificato e analizzato con molta attenzione l’affermazione che “l’Italia è l’unico Paese europeo dove il lavoro degli insegnanti non viene valutato”.

E allora ecco la risposta di un lettore, una precisazione che condividiamo in pieno: “Nella stragrande maggioranza dei casi, gli insegnanti europei lavorano 18 ore di 45 minuti, almeno nella scuola secondaria superiore, per meno giorni, 180 versus 200; è vero il contrario quindi, i docenti italiani lavorano di PIÙ e sono pagati MENO rispetto ai loro colleghi europei. … Sono anni che noi sopperiamo con NOSTRI materiali alle mancanze del ministero, a casa lavoro con il mio Pc, il mio tablet, la mia stampante , la mia carta, il mio toner, la mia scrivania, i miei libri, senza poter detrarre nemmeno 1 euro delle mie spese . Si vergogni sottosegretario Reggi, Lei è pagato anche con i risparmi fatti sulla mia pelle e su quella dei miei studenti. Se non ci sono soldi per cambiare la scuola lo si dica chiaramente, si supporti almeno a parole chi ogni giorno va in trincea, non ci si nasconda dietro ragioni ed esigenze di adeguamento ad un’Europa molto migliore di noi”.

Pensate a comprare la carta igienica e il sapone per le mani, invece di aprire le scuole di sera. Poi ci chiederanno di fare la colletta per l’energia elettrica”, scrive un altro prof. E sono in tanti ad evidenziare un attacco alla scuola pubblica, ai docenti, ai sindacati: “24 ore per aggraziarsi l’opinione pubblica che ci ritiene fannulloni e privilegiati, 24 ore da un ministro che appartiene ad un partito ‘inesistente’, non eletto, 24 ore per mostrare il pugno forte, per ammutolire i sindacati…”.

Altri fanno notare che già i docenti devono prendere le ferie tra fine luglio ed agosto, incastrandole, soprattutto nella scuola superiore, tra esami di Stato e corsi di recupero (alla faccia… delle “ferie intelligenti”!); se le scuole restassero aperte tutto il mese di luglio, quando poter completare il periodo di ferie dovute? Allora, dice qualcuno, “ferie da prendere quando ci pare?”, come negli altri comparti della P.A. ad esempio, con enormi risparmi di spesa per le vacanze e di prenotazioni ampiamente anticipate per trovare posti liberi nel mese di agosto! O gli insegnanti possono rinunciare alle vacanze perché tanto sono… “fannulloni”?!

Ma la reazione dei docenti non si ferma qui: sono tantissime le lettere indignate, ma anche stupite per quello che è stato vissuto come un attacco frontale del Miur e in sostanza del governo. E tra le tante “testimonianze” abbiamo scelto questa: “Sapevamo anche che l’attacco neoliberista sarebbe stato sferrato a scuole chiuse, d’estate, per cogliere spiazzati i docenti e per impedire mobilitazioni massicce della categoria e degli studenti, anch’essi vittime del cinismo del Miur. Restituiteci tutto quello che ci avete tolto finora con i tagli. Vogliamo l’abolizione della riforma Gelmini. Fermate il dimensionamento e la chiusura delle scuole, cestinate il Ddl Aprea o GIannini, non chiudete le graduatorie d’istituto, non create classi pollaio, non rendete il nostro lavoro ancora più difficile, metteteci in condizioni di potere insegnare, restituiteci le compresenze, le discipline accorpate, i docenti in sovrannumero, i laboratori e le ore sottratte a tutte le discipline”. E la lettera si chiude con un monito: “Vigileremo sul nuovo contratto in cui proverete ad inserire l’aumento delle ore lavorative a scapito dei precari”.

Un monito, forse, anche per i sindacati, perché c’è chi giura che se cederanno alle pretese del governo, dopo anni di tagli al comparto scuola e di sacrifici, “stracceranno le tessere sindacali”.

In effetti, quanto “paventato” dal gruppo di insegnanti che ha scritto la lettera citata non è certamente campato in aria. Reggi si rifà per un verso alla vecchia proposta dello stato giuridico dei professori pensato da Valentina Aprea nella sua proposta di legge che poi venne definitivamente accantonata con Profumo ministro, il quale però fu l’autore della proposta relativa all’aumento dell’orario settimanale degli insegnanti (peraltro a parità di stipendio). Proposta già bocciata con forza da docenti e sindacati (i quali adesso devono dimostrare compattezza e “dignità” di fronte a come il governo intende trattare con loro: ascoltarli, per poi fare quello che aveva già deciso! Il confronto serve a venirsi incontro, non a… prendere in giro. Peraltro Reggi aveva pure detto: “la consultazione sarà aperta agli insegnanti, agli studenti, al personale amministrativo, ai cittadini comuni. Dieci giorni ancora e la nostra proposta diventerà una legge delega”. E “sul futuro dell’istruzione italiana” Reggi concede 10 giorni di consultazione, magari on line?

A proposito, sull’argomento sembra che a un certo punto nelle dichiarazioni del Ministro ci sia stata confusione tra decreto legislativo e decreto legge e rispettivi percorsi e tempi parlamentari. Ma siamo sicuri che chi vuole cambiare in modo radicale la scuola e valutare docenti e sistema di istruzione sappia esattamente di cosa si parla? Ma iniziamo allora a valutare Ministeri, ministri, e sottosegretari! A cominciare da Reggi, del Partito democratico, che indiscrezioni giornalistiche davano come possibile futuro ministro dell’Istruzione (ora… mi sembra comunque improbabile!) in caso di rimpasto di governo, dopo il flop di Scelta Civica alle elezioni europee (0,7% sotto la sigla “Scelta europea”), e a seguire con la Giannini che per il suo partito nelle elezioni europee “ci ha messo la faccia” (candidandosi e lasciando intendere che non escludeva di dimettersi da ministro dell’istruzione se fosse stata eletta al Parlamento europeo); visto l’esito elettorale non si dovrebbe applicare la sua logica di “meritocrazia” legata al risultato? Una specie… di prova Invalsi andata malissimo!!.

E un’altra dichiarazione di Roberto Reggi che ha fatto sobbalzare chi è stanco di fare un mestiere – delicato e usurante – che meriterebbe più rispetto sociale e professionale, è stata quella relativa all’obiettivo di “non fare più” della scuola italiana un “ammortizzatore sociale“. E parlando di “ammortizzatore” tutti hanno pensato ad una espressione – cara all’ex ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini – che fu usata per far passare i tagli di materie e di ore di insegnamento, nella sua riforma “epocale”.

E i sindacati (così come gli stessi lavoratori) si ricordino che i diritti non si svendono neppure per qualche euro in più, innanzitutto per ragioni di dignità professionale (e, consentitemi di dirlo, umana) e poi perché dopo aver perduto i diritti verranno chieste condizioni di lavoro complessivamente sempre meno vantaggiose, magari per ritornare in un “medioevo sociale” ma tecnologico, dimenticando che tre secoli fa si è accesa una nuova era di progresso, quella dell’Illuminismo. Io non difendo interessi corporativistici, non sono un docente, sono un “osservatore” della società, sono un giornalista libero che si occupa prevalentemente del mondo dell’istruzione e dell’università (a proposito, governanti e ministri si guardano bene, in genere, dal “fare le pulci” al mondo accademico, che pure tanti problemi ha, non sento mai questionare su quante ore di lezione frontale o di servizio svolgano i docenti universitari, di come i rettori gestiscano gli atenei, dei problemi legati al diritto allo studio degli universitari, ecc. Ma, si sa, lì “il muro è molto più alto”).

I sindacati, in effetti, sinora hanno reagito compatti.E l’Unicobas raccoglie la protesta che sta salendo dal mondo della scuola e soprattutto dalla “rete” e si prepara per una manifestazione nazionale per la seconda metà di luglio; intanto, per il 14 luglio è indetta a Roma un’assemblea nazionale aperta a tutte le sigle per organizzare la protesta contro il “piano Giannini-Reggi“. Il sindacato di base minaccia uno sciopero già a partire dai primi giorni di scuola. E Stefano d’Errico, leader Unicobas, evidenzia“la curiosa sintonia che si sta manifestando fra esponenti del Pd come Francesca Puglisi ed esponenti di punta del centro destra come Elena Centemero e Valentina Aprea”.

E forti critiche al progetto arrivano anche dall’Uds (Unione degli studenti): “il governo pensa solo a tagliare senza un’idea di scuola“. Critiche anche al “clima competitivo“, che se dovesse instaurarsi tra i docenti “metterà fortemente in difficoltà il patto educativo ed il rapporto con gli studenti“. Meglio prevedere aumenti salariali e corsi di aggiornamento piuttosto che affidarsi alla volontà del singolo dirigente scolastico. Senza dimenticare la lotta alla dispersione scolastica, assumendo i precari, aumentando gli stipendi e finanziando il Mof (Miglioramento dell’offerta formativa). Poi un attacco al ministro Giannini: “non ha un’idea di scuola: è a dir poco inaccettabile che si continui a ragionare nell’ottica dei tagli su una scuola sofferente e martoriata”.

E sul fronte politico il Movimento Cinque Stelle ha subito comunicato: “ci opporremo fermamente alle 36 ore settimanali per i docenti di ruolo e proporremo, al contrario, di affidare l’eventuale monte ore eccedente a chi attualmente non lavora o è precario”.

La scuola va cambiata, svecchiata”, ha detto il sottosegretario Reggi. Bene, allora – eventualmente – in cambio delle 24 ore si torni ai pensionamenti della “quota96”: si consenta di andare in pensione, in una professione che diventerà sempre più usurante, a 60 anni con 36 di anzianità di servizio (magari con delle modeste “penalizzazioni” sull’importo delle pensioni) e di conseguenza si consenta anche un ricambio generazionale, con il classico “largo ai giovani”.

Ma forse tutto questo “bailamme estivo”, con la proposta delle 36 ore di servizio settimanale, è un tentativo per “sviare l’attenzione”, come scrive in un suo recente articolo Lucio Ficara, da quello che è il reale intento immediato che si vuole perseguire: “il tentativo di consegnare nelle mani di una sola persona, il dirigente scolastico, un potere di natura verticistica. (…) Con questo sistema cesseranno di esistere i fondi d’istituto, le contrattazioni integrative e le Rsu. Il piano Reggi-Giannini  ha molte convergenze con quello Aprea- Gelmini”.

Peraltro, già qualche giorno prima, Reginaldo Palermo aveva scritto, sempre su questo sito: “la sensazione è che dal Ministero dell’istruzione si voglia cercare di distogliere l’attenzione dai problemi gravi e urgenti che a settembre le scuole avranno di fronte: organici inadeguati, risorse finanziarie insufficienti e fondo di istituto pressoché azzerato”.

Tra le tante cose dette, corrette, confermate e riviste da Reggi resterà celebre questa: “le scuole devono diventare il centro civico delle città, a giugno e a luglio i genitori non sanno dove mandare i loro figli. Scuole aperte 11 mesi su 12“. Ma ai prof non possono essere scaricate le varie emergenze sociali, chiedendo loro di fare gli psicologi, i tutor, le baby sitter, gli assistenti sociali (insomma, un po’ di tutto, a danno magari di quello per cui sono assunti: insegnare – bene – la propria disciplina), surrogando anche compiti che spettano alle istituzioni o alle famiglie. Ora, si sa, quella degli insegnanti è una categoria di lavoratori “mite”, abituata negli ultimi anni ad “ingoiare rospi” (contratto non rinnovato da cinque anni – ma questo vale per tutti i dipendenti della P.A. – e per recuperare gli scatti di anzianità arretrati conosciamo bene i tortuosi e lunghi percorsi seguiti; inoltre, contrazione di organici, falsità quali i soliti ritornelli che i docenti lavorano poco e hanno tre mesi di vacanza, conditi da offese per additarli come “fannulloni” e giustificare agli occhi dell’opinione pubblica i tagli), ma i politici dovrebbero ogni tanto ricordare che gli insegnanti rappresentano un grande bacino elettorale e che meritano comunque più rispetto per il ruolo (delicato e stressante) che svolgono.

Se poi si vuole parlare di incarichi aggiuntivi su base volontaria, allora la strada può essere percorribile, senza ovviamente penalizzare chi non vuole assumerne oltre il normale orario di servizio e incentivando invece coloro che si rendono disponibili: ma in tale eventualità come e quanto pagarli (perché se si pensa possano lavorare in più praticamente gratis oppure se si vogliono comunque imporre più ore settimanali immagino che arriverà un “autunno molto caldo”).

Tfa II ciclo, il tutorial del Cineca sul test preselettivo

da tecnicadellascuola.it

Tfa II ciclo, il tutorial del Cineca sul test preselettivo

Un video illustra tutte le operazioni relative allo svolgimento della prova preselettiva, a partire dalla verifica del luogo in cui si dovranno sostenere i test fino alla consultazione dei risultati. Attenzione a conservare i codici di accesso contenuti all’interno del plico

Sul sito CINECA è disponibile un video tutorial esplicativo delle operazioni relative alla prova preselettiva; è stata inoltre implementata la funzione di ricerca dell’aula alla quale si è stati assegnati.

Ricordiamo che il candidato dovrà presentarsi il giorno della prova munito di penna nera, documento di riconoscimento in corso di validità e ricevuta di pagamento.

Questi i passaggi illustrati nel video:

prima della prova

  • andare su Tfa.cineca.it ed effettuare l’accesso con le credenziali usate per registrazione al sito
  • effettuato l’accesso, verificare il luogo in cui si dovrà sostenere la prova

durante la prova

  • il giorno dell’esame, presentare il documento di identità e la ricevuta di pagamento
  • firmare il registro d’aula
  • dopo la firma, verrà consegnato un plico, che deve essere chiuso sul resto e provvisto di apposita etichetta Miur
  • in caso di anomalie, è necessario comunicarlo alla commissione o al responsabile di sala per la sostituzione del plico
  • prima di recarsi al posto, controllare e firmare l’anagrafica ovvero verificare i dati anagrafici presenti sul foglio dell’anagrafica candidato e verificare che il codice compito presente sul plico sia uguale al codice presente sull’etichetta applicata sul foglio dell’anagrafica candidato
  • firmare l’anagrafica e recarsi al posto con il plico chiuso
  • aprire il plico quando i commissari danno l’autorizzazione a procedere
  • il plico dovrà contenere: i fogli del test, due moduli risposte, una busta per la consegna del modulo risposte compilato, un foglio con i codici di accesso per vedere gli esiti on-line

come compilare il modulo risposte

  • applicare una X ben marcata sulla casella che si ritiene corretta avendo cura di restare entro i bordi della casella ed evitando il completo annerimento della casella, modalità che va utilizzata invece solo per modificare le risposte date e che si vuole correggere
  • quindi, per modificare una risposta, è necessario annerire la casella in cui si è posta la X precedentemente e scrivere una nuova X nella casella corrispondente alla risposta definitiva
  • attenzione! è possibile apportare una sola modifica per ogni risposta, quindi non si può correggere due volte la stessa domanda. Si hanno comunque a disposizione due moduli risposta, nel caso in cui si voglia correggere ancora le risposte
  • per ogni candidato la sequenza delle domande e delle risposte è posta in ordine diverso
  • terminato il testo, inserire un solo modulo risposte non piegato all’interno della busta trovata nel plico
  • chiudere la busta
  • il modulo risposte non dovrà contenere alcun segno di riconoscimento. In caso contrario, la prova sarà annullata

cosa consegnare alla commissione

  • la busta contenente il modulo risposte e separatamente il plico con tutto il materiale restante, tranne il foglio con i codici di accesso, da conservare con cura per controllare i risultati on-line

punteggi

  • risposta corretta: 0,5 punti
  • risposta sbagliata: 0 punti
  • nessuna risposta: 0 punti

dopo l’esame

  • su tfa.cineca.it/esiti si può verificare l’esito della prova
  • per maggiori dettagli sulla modalità di consultazione dei risultati sarà messo a disposizione un altro video

Educazione prescolare, il ddl Puglisi arriva a compimento

da tecnicadellascuola.it

Educazione prescolare, il ddl Puglisi arriva a compimento

Dopo un lungo confronto, il 10 luglio sarà presentato presso la Sala Nassiriya di Palazzo Madama: contiene i livelli delle prestazioni, un nuovo piano straordinario per l’estensione dell’offerta e il progressivo riequilibrio territoriale, fino a dar risposta ad almeno il 33 per cento dei bambini sotto i tre anni e alla totalità dei bambini tra i tre e i sei anni.

Dopo aver ascoltato in Commissione Cultura i pareri delle tanti parti in causa, arriva a compimento il ddl d’iniziativa della senatrice Francesca Puglisi, sottoscritto da numerosi senatori parlamentari democratici, sul diritto all’educazione prescolare: giovedì 10 luglio, alle ore 11, sarà presentato presso la Sala Nassiriya di Palazzo Madama.

L’obiettivo del disegno di legge, ha fatto sapere Puglisi, è quello di “riconoscere l’importanza dell’educazione prescolare, dalla nascita fino ai sei anni, e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento e di inclusione sociale”.

“Il testo – spiega ancora Puglisi – riprende il lavoro fatto nelle precedenti legislature dalla senatrice Anna Serafini, ma lo sviluppa e lo aggiorna alla luce della crisi attraversata dai Comuni per il mantenimento e l’estensione dei servizi educativi e scolastici. La proposta di legge traccia i livelli delle prestazioni, contiene un nuovo piano straordinario per l’estensione dell’offerta e il progressivo riequilibrio territoriale, fino a dar risposta ad almeno il 33 per cento dei bambini sotto i tre anni e alla totalità dei bambini tra i tre e i sei anni, nonché assicura un sostegno finanziario non solo per l’istituzione di nuovi servizi e scuole ma anche per la loro successiva gestione”.

“Come denunciano tutte le ricerche, il nostro Paese – ha detto ancora la senatrice Pd – è affetto da una drammatica denatalità, da un alto tasso di disoccupazione delle donne con figli, dalla povertà educativa dei minori e da una dispersione scolastica che dovremmo dimezzare entro il 2020. L’istruzione e l’educazione in tenera età è un potente strumento di contrasto alle disuguaglianze”.

Ora il progetto di legge verrà sottoposto all’iter che attende tutti i ddl. Solo pochi, è bene ricordarlo, arrivano però ad essere votati nell’Aula parlamentare.

Devolution, via libera all’autonomia regionale per Scuola e Università: ma non per chi ha i conti in rosso

da tecnicadellascuola.it

Devolution, via libera all’autonomia regionale per Scuola e Università: ma non per chi ha i conti in rosso

L’8 luglio è stato approvato un emendamento dai relatori alle riforme, attraverso la Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama: intervenendo sull’articolo 116 della Costituzione, si dà un’accelerazione al processo in atto. C’è però un cavillo: le Regioni devono garantire condizioni di equilibrio tra le entrate e spese di bilancio.  Si va verso una gestione dell’Istruzione sempre più a macchia di leopardo?

Prosegue il processo di concessione alle Regioni di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” su giustizia di pace, istruzione, turismo e beni culturali: l’8 luglio è stato infatti approvato un complesso emendamento (perché si tratta di una norma di tipo bicamerale) dai relatori alle riforme, attraverso la Commissione Affari costituzionali del Senato, che intervenendo sull’articolo 116 della Costituzione permette di accelerare il processo di devolution in atto.

Detto che la norma non riguarda Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino alto Adige e la Val d’Aosta, che rimangono Regioni a statuto speciale, la “devoluzione” prevede che le particolari condizioni di autonomia potranno essere concesse “ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali”. Le materie su cui verterà la devolution riguarderanno, in particolare, istruzione scolastica e universitaria, ricerca scientifica; giustizia di pace; beni culturali e paesaggio, ambiente, turismo, sport.

Nell’emendamento, tuttavia, si prevede che il via libera all’autonomia procede a condizioni che le singole Regioni siano “in condizioni di equilibrio tra le entrate e le spese”. Nel testo approvato, si legge, infatti che il l’autonomia verrà attuata “purchè la Regioni sia in condizioni di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”. Una ‘postilla’ che potrebbe creare differenze di gestione sempre più marcate, anche nell’ambito dell’Istruzione, poiché l’Italia è caratterizzata da gestioni regionali che hanno bilanci decorosi ed altre decisamente in rosso.

Ecco lo sponsor per i corsi di recupero e non solo

da tecnicadellascuola.it

Ecco lo sponsor per i corsi di recupero e non solo

Il sostegno dei privati nella scuola pubblica? Eccolo. Luxottica in provincia di Belluno finanzia i corsi in matematica e inglese. Ma già Reggi, su questa ipotesi, a Terrasini ne aveva fatto cenno

Se lo Stato è povero non bisogna scoraggiarsi e così alcune scuole si sono messe a caccia di sponsor, per le novità tecnologiche, ma anche per i corsi di recupero, lo scrive Il Corriere della Sera. Se il Mof viene utilizzato per pagare gli scatti di anzianità, invece di destinarlo alle scuole, pronte le aziende che, su base territoriale, decidono di aiutare gli studenti finanziando non solo corsi di recupero, ma anche esperimenti di peer education.
Ed ecco Luxottica investire fondi contro la dispersione scolastica e dallo scorso anno porta avanti una collaborazione con la provincia di Belluno dove l’azienda ha i suoi stabilimenti e l’8 per cento degli studenti sono figli di dipendenti Luxottica.
Così, in 10 scuole (licei e istituti tecnici) distribuite tra Feltre e Belluno sono stati organizzati corsi di recupero in inglese e matematica.
Come, lo spiega un dirigente dell’ufficio scolastico provinciale: «I ragazzi vengono divisi in due gruppi a seconda delle carenze (gravi da 4, o meno gravi da 5) in modo da rendere l’intervento più mirato. Ma la vera novità è che il recupero parte subito, già alla fine del trimestre o del quadrimestrale». «I risultati, sono ancora in fase di analisi, ma sono stati certamente positivi, tanto che speriamo di estendere il progetto a tutte le scuole della provincia e di incrementare le materie dei corsi di recupero, a cominciare dall’italiano».
Al liceo Giustina Renier di Belluno, inoltre, dallo scorso settembre si sperimenta la peer education in matematica, ovvero il metodo che vede gli studenti più bravi con i numeri e le equazioni aiutare i compagni in difficoltà.
Con il progetto pilota del Renier sono stati coinvolti un centinaio di ragazzi, per un totale di 10 classi dalla seconda alla quarta. Gli alunni, dieci per classe, hanno lavorato divisi in coppia, cinque gli insegnanti che hanno fatto da tutor. Le coppie hanno lavorato fuori dall’orario scolastico, con incontri periodici che sono stati valutati e monitorati dai docenti.
I risultati del progetto sono tutti molto positivi; i ragazzi hanno imparato a confrontarsi con la matematica». Il progetto sarà ripetuto l’anno prossimo, e l’intenzione è di allargarlo a livello provinciale.

Reggi: “Entro una settimana la riforma della scuola sul tavolo del premier Renzi”

da tecnicadellascuola.it

Reggi: “Entro una settimana la riforma della scuola sul tavolo del premier Renzi”

Il sottosegretario annuncia: “A giorni il ministero dell’istruzione invierà le proposte di riforma al premier Matteo Renzi, a cui spetta la decisione finale”

Continuano le discussioni riguardo il piano approntato dal Miur per il rilancio del sistema scolastico italiano. Il sottosegretario Reggi, in un’intervista ad “Italia Oggi”, annuncia che “A giorni il ministero dell’istruzione invierà le proposte di riforma al premier Matteo Renzi, a cui spetta la decisione finale. Lui ha un’idea della scuola molto avanzata e le modalità giuste per raccontarla”.

E sull’allungamento dell’orario di lavoro dice: “Non ho mai detto che i docenti passeranno da 18 ore di cattedre a 36 ore, si tratta solo di differenziare i carichi di lavoro nell’ambito degli orari previsti e che già oggi molti fanno. Ora il contratto nazionale prevede avanzamenti di stipendio solo con l’anzianità di servizio, con i sindacati invece tratteremo progressioni differenziate in base ai carichi di lavoro. Il contratto diventerà flessibile. Stiamo lavorando a costanza di orario di lezione, 18 alle ore alle medie e alle superiori, 22 nella primaria, 25 per l’infanzia, un aumento dell’orario di cattedra non è mai stato nel novero delle cose. Ci sono poi le altre ore di lavoro, a cui si assolve dentro e fuori la scuola. E è su questo che agiremo. Chi selezionerà i docenti che faranno più ore? Gli organi collegiali vanno rivisti e devono avere competenze chiare. Come accade nei comuni, dove il consiglio comunale dà l’indirizzo e sindaco e giunta sono gli organi esecutivi. Il consiglio di istituto deve avere la funzione strategica, il collegio dei docenti la didattica e il dirigente scolastico la gestione. Reggi, inoltre, parla di “una necessità di confronti anche presso le direzioni scolastiche regionali, sul territorio, con chi vive la scuola tutti i giorni”.

Ed infine apre alla possibilità di ridurre di un anno il percorso di scuola secondaria di secondo grado: “Io parto dalle esigenze dei ragazzi. Se vogliamo migliorare il loro inglese, far studiare di più e meglio le nuove tecnologie e la storia dell’arte, possiamo coprire i nuovi interventi riducendo la durata del percorso. Senza ovviamente licenziare nessuno. Sono personalmente convinto che sia meglio tagliare un anno alle superiori che non alla primaria”

Proroga utilizzazioni personale scolastico presso Scienze della Formazione primaria

da tecnicadellascuola.it

Proroga utilizzazioni personale scolastico presso Scienze della Formazione primaria

Via libera al decreto interministeriale (n.548 del 7 luglio) sull’utilizzazione di personale scolastico presso la Facoltà di Scienze della Formazione primaria, nonché presso le Facoltà interessate all’erogazione di tirocini formativi attivi.

Pubblicato sul Miur il Decreto di proroga (n.548 del 7 luglio 2014), per l’a.s. 2014/2015 per l’utilizzazione di personale scolastico presso la Facoltà di Scienze della Formazione primaria, nonché presso le Facoltà interessate all’erogazione di tirocini formativi attivi. Con il via libera del Mef il decreto è operativo per la concessione degli esoneri e semiesoneri. Inoltre viene prevista la possibilità di surroga del personale che per qualunque ragione risulta decaduto, attraverso l’utilizzazione delle graduatorie ancora utili. Sono previste  nuove procedure di selezione soltanto nei casi in cui le graduatorie risultino esaurite.

Immigrati, un minore su due non supera la scuola media

da tuttoscuola.com

Immigrati, un minore su due non supera la scuola media

La metà degli stranieri di età compresa tra i 15 e i 34 anni, arrivati in Italia tra i 6 e i 15 anni, che rappresentano la maggior parte dei giovani di origine straniera, ha un livello di istruzione, nel migliore dei casi equivalente al livello di istruzione secondaria di primo grado. Lo evidenzia il Rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), dal titolo “L’integrazione degli immigrati e dei loro figli in Italia”, realizzato su richiesta del Cnel e presentato ieri.

Il passaggio alla scuola superiore, sottolinea il rapporto, non  è facile per i giovani immigrati e, inoltre, solo 8 regioni (dati  Isfol) consentono agli studenti immigrati con qualifica professionale post-triennale di accedere ad un quarto anno di formazione e solo due regioni al quinto anno.

Contemporaneamente si registra tra i figli di immigrati un crescente tasso di abbandono scolastico e una percentuale di Neet (Not (engaged) in Education, Employment or Training), cioè chi non è impegnato nel ricevere un’istruzione o una formazione, non ha un impiego né lo cerca, pari a 1/3 degli immigrati di età compresa tra i 15 e i 24 anni.