Il dirigente riflessivo

Il dirigente riflessivo

di Stefano Stefanel

            Il ruolo del dirigente scolastico è molto cambiato negli ultimi anni, assumendo connotazioni, anche pubbliche, che non erano state previste da nessuno dei legislatori che si sono  occupati di normare la materia. Chiuso l’anno scolastico finora più difficile, se ne sta per aprire un altro che sembra essere ancora più difficile di quello precedente e chi, come me, entra nel suo ventesimo anno da dirigente scolastico si trova davanti alla necessità di aumentare il grado di riflessione in rapporto ad avvenimenti e novità impreviste, che di giorno in giorno stanno cambiando scenari già fragili. Mi accorgo, però, che il raggio della riflessione è diventato così ampio, che è difficile anche soltanto mettere in ordine le cose, sia sulla scrivania fisica dell’ufficio, sia sulla scrivania virtuale del proprio computer, sia sulla scrivania mentale, che è quella più importante. Soprattutto perché il dibattito sulla scuola va in direzioni opposte a quelle che dovrebbero animare il dibattito: pedagogia e apprendimenti, non sanificazioni e mascherine. In questo breve contributo mi permetto di sollevare alcune questioni e di cercare di riflettervi sopra.

EDILIZIA SCOLASTICA, MES, RECOVERY FUND

            Con mia grande sorpresa vedo che il problema dell’edilizia scolastica è stato improvvisamente rimosso.  Durante la chiusura delle scuole è apparso evidente a tutti che gli edifici scolatici italiani hanno tali e tante carenze, che non possono essere considerati un patrimonio adeguato alle esigenze della scuola italiana. Mi sono illuso che almeno dieci miliardi del MES sarebbero stati spesi quest’estate per costruire, creare, progettare nuovi spazi per garantire quel distanziamento che ha una certa ricaduta sanitaria ( e che quindi autorizza l’uso del MES). Invece si è andati nella direzione delle misure e dei beni mobili (banchi) senza che ci fosse da parte dei dirigenti scolastici, degli insegnanti, del personale ata, degli enti locali, delle regioni, dei parlamentari, delle opinioni pubbliche una richiesta di costruire subito nuove scuole leggere, adattabili, eco compatibili capaci di entrare nell’emergenza e di aprire possibilità per il dopo. Addirittura sono andati avanti progetti già finanziati, ma assolutamente obsoleti, pensati per scuole vecchie prime e diventate improvvisamente vecchissime.

            Tutta la progettualità nazionale prescinde dalla scuola e, infatti, di uomini di scuola non se ne sono visti nella “Commissione Colao”, ma non se ne vedono neppure oggi nelle varie commissioni che stanno sorgendo per il Recovery Fund. Forse sarà solo il Ministero dell’istruzione a parlare per conto delle scuole autonome. Questo è grave perché se c’è un soggetto che non ha il polso della situazione nazionale è proprio il Ministero dell’Istruzione, capace di attivare monitoraggi che cercano di far stare le grandi diversità della scuola italiana dentro una semplice modalità numerica e che comunque da un centro così lontano, situato in una grande metropoli, non conosce le realtà degli ottomila istituti autonomi statali. E non la conoscono neppure gli Uffici periferici del ministero, occupati ad applicare norme generali e a richiedere di non manifestare alcun dissenso.

NORME COVID E DIDATTICA

            Un altro fronte molto sorprendente è quello che tende a ridurre il problema della scuola agli ingressi, alle uscite e alle permanenze negli spazi comuni, ma non a che cosa insegnare o apprendere in quegli spazi e in quei tempi. La questione delle mascherine sta tutta qui: è possibile imparare con la mascherina addosso? è possibile insegnare con la mascherina? Legato a questo problema c’è quello di una scuola statica a fronte di una gioventù dinamica. Ma l’importante pare sia solo garantire distanze che permettano di ritornare tutti a scuola e procedure che siano a prova di giudice. Qui si apre il fronte del grande equivoco italiano, ingigantito dall’emergenza, ma presente da molto tempo: scambiare il diritto allo studio per il diritto a fare tutti le stesse cose, con gli stessi orari, dentro gli stessi edifici e tutto contemporaneamente.

            Dopo le esperienze traumatiche della Didattica a distanza, dell’esame di stato modificato dalle necessità e della promozione generalizzata, si è entrati in un’estate in cui tutti hanno cominciato a fotografare (in senso metaforico e non) la realtà modificata delle scuole al fine di far tornare tutto come prima. Il distanziamento è necessario per diminuire la pericolosità del virus e limitare i contagi: a questo distanziamento non è stata legata alcuna riflessione sulle modifiche necessarie alla didattica, ma solo un serrato dibattito sulle procedure da adottare in attesa del vaccino.

            Il curricolo che si insegnava prima non era molto efficace (visti gli esiti delle rilevazioni internazionali e nazionali) e quindi questa inattesa emergenza poteva aprire un vero “cantiere” analitico su contenuti, metodologie, valutazioni. Invece si è cominciato a misurare e a organizzare quella che sarà probabilmente una grande attesa statica di tornare tutti alla dinamica e spesso caotica normalità precedente.

            Scuole vecchie e didattica vecchia: tutti lo diciamo, ma tutti, alla fine, non facciamo niente per cercare di cambiare quel “vecchio” in “nuovo”, anche perché se il “vecchio” produceva risultati non esaltanti, magari col “nuovo” qualcosa si migliora. Questo bloccarsi davanti al progetto pur in presenza di ingenti risorse economiche (MES e Recovery Fund) mi ha molto sorpreso, ma mi ha portato alla riflessione per cui il mondo della scuola e l’opinione pubblica sono molto più interessati a rientrare a scuola, piuttosto che a discutere su cosa fare una volta rientrati.

PERSONALIZZARE IL PERCORSO

            La necessità del distanziamento, le nuove norme igieniche, le precondizioni per ritornare a scuola (assenza di problemi respiratori e febbre), lo smart working, la derubricazione dell’importanza della didattica rispetto alle norme di prevenzione, i lavoratori deboli, i mezzi di trasporto, le nuove potenzialità del web, avrebbero potuto portare ad una sospensione dell’idea di una scuola uguale per tutti, contemporanea e ripetitiva per portare verso un’idea di Curricolo dello studente, in cui ogni studente certifichi il suo reale percorso, fatto di competenze proprie, di tempi non omogenei, di presenze e assenze bilanciate dall’aiuto del web, di un’integrazione tra Didattica in presenza e Didattica a distanza, di una personalizzazione assoluta che tenga conto delle reali esigenze di tutti. Questo avrebbe potuto portare ad un’azione di verifica e valutazione interessata al processo e all’esito e non agli stanchi e stantii riti dei compiti in classe e delle interrogazioni.

            Per gli Istituti professionali qualcosa del genere è nato l’anno scorso, ma mi sembra che questa giusta modifica non sia stata colta nella sua reale portata. Siamo tutti diversi e abbiamo tutti esigenze diverse, ma dentro queste esigenze i curricolo hanno spazio per ognuno di noi. Si tratta di diversificare per non disperdere, di personalizzare per non bocciare.

            Dentro un’idea moderna di personalizzazione poteva trovare spazio il rapporto tra obiettivi della scuola ed esigenze delle famiglie: spesso le due cose non coincidono, perché le famiglie vogliono che i figli possano passare 5-8 ore al giorno a scuola, mentre le scuole vogliono ottimizzare il processo di apprendimento degli studenti dentro quelle 5-8 ore. Classi troppo numerose, studenti troppo disomogenei, orari troppo rigidi, necessità della scuola sottomesse a quelle delle parrocchie, dello sport, dell’associazionismo, degli enti locali, delle mense, del mondo del lavoro hanno reso difficile strutturare un servizio così vasto in maniera veramente efficiente ed efficace. Ma, invece di usare l’emergenza per intervenire su almeno alcuni di questi problemi, li si è tutti aggregati dentro un’idea di ripartenza in cui leggi, note, linee guida, faq, ordinanze andassero a costruire un coacervo di norme spesso inapplicabili, sulla cui applicazione, però, risponde alla fine solo il dirigente scolastico.

            Per cui sembra che lo scopo sia quello di riaprire per far entrare tutti contemporaneamente a fare le stesse cose il più fermi possibile e non quello di individuare obiettivi didattici ed educativi, strutturare alleanze locali, creare dei meccanismi di personalizzazione del curricolo che integra il lavoro a scuola con quello casalingo, con quello on line e con quello delle agenzie che sul territorio si possono occupare di operare con bambini e ragazzi quando la scuola e la famiglia non ce la fanno. Qui non sto parlando di sorveglianza, ma proprio di contenuti: quelli che la scuola deve trasmettere al fine di migliorare gli apprendimenti, quelli educativi che la famiglia deve dare in piena serenità, quelli che i vari soggetti sociali devono poter elargire a supporto o in aggiunta e che a questo punto possono essere pagati perché i soldi ci sono e ci saranno.

            Sto pensando (ma elenco in maniera semplice a livello di esempio) a scuole dell’infanzia con meno bambini e più maestre supportate da centri comunali di supporto che agiscano in parallelo in modo da operare su più spazi; parlo di scuole primarie che si colleghino al territorio e possano sdoppiarsi all’esigenza (più organico, quindi), parlo di scuole secondarie collegate al territorio in forma omogenea e complementare, con ampie possibilità di diversificare. Per fare questo servirebbe uscire dalla logica del tutto uguale per tutti ed entrare in quella personalizzazione dei tempi, delle metodologie, degli spazi che porterebbero ad un vero Curricolo dello studente, che rispetterebbe le necessità dell’apprendimento, collegherebbe queste alle esigenze delle famiglie e alle offerte della società civile. Però bisognerebbe abbandonare l’idea degli orari rigidi, dei tempi scuola obbligatori uguali per tutti, della didattica frontale come base fondativa dell’azione scolastica. I soldi ci sono, ma la volontà mi pare non ci sia.

            Un rinnovamento della scuola passa dal transitare dall’orario settimanale ripetitivo ad un monte ore annuale mobile e personalizzato per studenti e lavoratori della scuola, in cui la funzione docente accompagni i tempi di apprendimento e non li condizioni. Dentro l’idea di Curricolo dello studente va rivista completamente anche la procedura valutativa, che attualmente vuole agire per standard e non per azioni valorizzanti. Un esempio lo abbiamo avuto sia nella valutazione di fine anno, sia nell’esame di stato conclusivo del secondo ciclo: tutti promossi e in complesso con voti migliori e un esame di stato interessante e meno oppressivo del precedente. Il flebile dibattito sull’argomento ha sottolineato che l’emergenza ha creato un aumento delle valutazioni, senza però far venire in mente a nessuno che fossero sbagliate quelle di prima, non quelle di quest’anno. Come è noto qualunque misurazione altera l’oggetto o il soggetto misurato e noi scambiamo la misurazione per valutazione. E una volta tanto che, a causa dell’emergenza, abbiamo dovuto valutare e  non misurare, poi storciamo il naso perché abbiamo dato più valore ai nostri ragazzi. Da professionista riflessivo dico: se un metodo di valutazione mi da risultati migliori forse è il caso di verificare se non era il metodo di valutazione precedente (mnemonico, ossessivo, nozionistico) ad alterare il sistema.

GIORNALISMO ADDIO

            Credo che mai come in riferimento alla scuola il giornalismo abbia mostrato la sua crisi strutturale, nella sua disperata rincorsa ai social. Tra titoli scandalistici, argomenti affrontati con superficialità, ossessione nel cercare il negativo, accentuazione degli elementi generali partendo da situazioni particolari, spazio dato ai molti narcisismi (mio incluso), sintetizzazione di documenti corposi in poche righe e disegni impropri, rapporto non mediato con esperienze estere, predilezione per lo scontro e non per il confronto tutto è scivolato nel gossip, nello sconto, nella polemica, nella trasformazione del problema pedagogico italiano in una questione di banchi e centimetri. E qui la scuola è caduta nel tranello, fidando su giornalismo e social e aprendosi con parti di comunicazione ad un’opinione pubblica che della scuola e dell’istruzione non capisce nulla, dentro terminologie sbagliate, richieste inapplicabili, proteste in cui alla fine si chiede solo più rigidità, disinteresse per i risultati modesti del sistema. Tutto questo ci ha portati qui, nel punto in cui solo la riflessione ci può salvare dalla confusione.

Epigenetica Virale

Epigenetica Virale

di Paolo Manzelli

L’Epigenetica è lo studio di come il cambiamento dell’ambiente vada oltre i limiti della informazione  genetica  modulandone la espressione. Così  la diversa informazione ambientale non altera  la sequenza della informazione della genetica umana, che è unica,  ma agisce nella differenziazione cellulare modificando l’espressione della forma, la quale determina le varie  differenze etniche e culturali dell’umanità.

L’attività dei Virus fa parte integrante dell’informazione Epigenetica ,proveniente dall’ambiente esterno, che interagisce con l’informazione genetica. Di conseguenza l’Epigenetica Virale diviene importante per l’evoluzione umana, infatti almeno il 10%  del codice genetico dell’Uomo viene incluso nella sequenza dei  caratteri genetici e probabilmente ci aiuta al riconoscimento dell’informazione epigenetica dei nuovi virus che si evolvono nell’ambiente.

Il ruolo del  Sars -Cov-2 nell’Epigenetica Virale  contemporanea. 

L’azione epigenetica virale modifica i flussi di energia e comunicazione cellulare dell’ informazione. La modulazione dell’espressione genetica umana trova nel “ virus epigenetics del Sars-Cov-2. “ una nuova modalità di comprensione della funzionalita’ dei virus nell’evoluzione della vita. 

In particolare il virus Sars-Cov-2  inizia ad  esprimere la sua  funzione epigenetica  inserendosi nell’attività di comunicazione cellulare ed  alternandola  al fine di prelevare energia metabolica per tramite l’inserimento degli spikes nel tessuto cellulare al fine di liberarsi della Capside. 

In seguito l’RNA VIRALE deve trovare le condizioni ottimali, durante il  processo di maturazione del RNA-Umano, per poterlo sostituire ed effettuare la trascrizione  del proprio  RNA e quindi produrre le proteine virali che causano la infezione da Covid.19.

La maturazione del RNA-Umano  è associata al processo di differenziazione cellulare dalle cellule staminali a quelle specializzate-funzionali dei vari organi vitali. Infatti la traduzione del RNA-Virale con RNA-Umano  trova un momento critico durante la transizione della differenziazione cellulare in quanto in tale processo il RNA-Virale viene difficilmente riconosciuto.

Infine l’avvenuta sostituzione del RNA-Umano attiva la risposta immunitaria per combattere l’infezione virale allo scopo di disattivare completamente l’azione di alterazione epigenetica del Covid. Purtroppo può accadere che una eccessiva e sproporzionata potenza della risposta immunitaria (nota come: “Tempesta delle Citochine) non porti come risultato alla guarigione ma al contrario alla morte. 

Dalla precedente sintesi dello studio di “Biologia Quantica” di Egocreanet  si intuisce l’  importanza della comprensione EPIGENESI VIRALE, in quanto conoscendo la dinamica del processo biologico dell’infezione  da virus,  diviene possibile favorire una strategia di innovazione adeguata per  modificare l’azione dei confattori epigenetici ambientali per ridurre la virulenza  epigenetica del Virus .

Bibliografia on line 

Bentornata Autonomia

Bentornata Autonomia,
stella polare in piena emergenza SARS COV-02

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Succede che, a volte, strumenti pensati da menti illuminate, negli anni passati, ritornino attuali.

Strumenti frutto di un’evoluzione pedagogica della scuola italiana, che dove applicati hanno fatto la differenza.

Se la genialità di Lorisi Malaguzzi ha fatto nascere Reggio Children, stella polare dei servizi educativi per l’infanzia nel mondo, il regolamento dell’Autonomia rappresenta un capolavoro normativo, osannato dalla letteratura, alla base di idee che si sono poi cristallizzate nel movimento di Avanguardie Educative.

Erano i tempi del ministero di Luigi Berlinguer, dell’autonomia scolastica che fa delle  scuole un ente autonomo a cui sono attribuiti ampi poteri e spazi di azione.

Ed è proprio quell’autonomia che, oggi, in piena emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus SARS-CoV-02, diventa indispensabile per una riapertura in sicurezza delle scuole.

Ma anche un momento per rinnovare e rinnovarsi, per riprendere un discorso interrotto venti anni fa, ripreso con scarso successo con la legge 107/2015 e di fatto non ancora concluso e in molte scuole italiane mai avviato.

E’ il modello di scuola ottocentesco che si reitera su se stesso a frenarlo, annidandosi nei nostri archetipi, che è difficile da smantellare e fare evolvere, con il risultato di un sistema educativo obsoleto e di conseguenza un freno sullo sviluppo tecnologico e umanistico della nostra nazione.

Trovare soluzioni ad un’ emergenza del XXI secolo ancorandosi a sistemi centralizzati, a didattiche trasmissive, a scuole che non prendono decisioni e presidi che non si evolvono in dirigenti scolastici, sempre in attesa di istruzioni dagli uffici centrali e periferici, implica un sovraccarico di sistema, che nonostante le buone intenzioni e l’impegno del ministro e del ministero, si traduce in malcontento e polemiche.

Allora, qual è la soluzione? Semplice,  cogliere la grande opportunità dell’emergenza e iniziare a suonare per chi non l’ha già fatto lo splendido strumento dell’autonomia.

Con esso è possibile ridurre l’ora di lezione per integrare didattica in presenza con didattica a distanza, trovare nuove forme di insegnamento che sfruttano la libertà organizzativa per trasformare gli spazi esterni e all’aperto in innovate aule didattiche.

Allo stesso tempo, è possibile trovare soluzioni nuove, flessibili, adeguate ad ogni singolo contesto territoriale. Strumenti come parteniariati e reti di scuole, oggi sono solo applicati per mera opportunità al fine di intercettare risorse, ma non sono mai stati pensati per una collaborazione reale e fattiva nella gestione ordinaria delle istituzioni scolastiche.

Se da un lato, in un’ ottica ottocentesca di didattica frontale mancano gli spazi, applicando l’autonomia le opportunità diventano immense e gli spazi praticamente infiniti.

Basti pensare agli impianti sportivi esistenti, ai cinema, ai teatri, alle sale per conferenze, agli oratori, ai parchi urbani, ai luoghi delle istituzioni, alle piazze e, perché no, ai centri storici delle città e agli spazi aperti nella natura.

Una didattica esplorativa, esponenziale, che utilizza spazi nuovi come ambienti di apprendimento, amplia gli stimoli e imprime all’insegnamento una natura nuova.

Certo non è possibile applicarla per tutti gli insegnamenti, ma le sperimentate aule laboratorio, oggi una realtà nel movimento DADA, insegnano che il connubio classe-aula ormai è superato, ma il regolamento dell’autonomia ci dice che anche il concetto classe è superato.

Certo, in pieno Covid-19, immaginare classi aperte è difficile, ma in fondo, a pensarci bene, sarebbero gli stessi docenti muovendosi da classe in classe a portare, se contagiati, il virus.

E se lo spazio reale si amplia nel virtuale, allora la DAD diventa una modalità che ha a disposizione spazi infiniti.

Il limite, l’ancoraggio ossessivo del personale docente e non alla didattica trasmissiva, alla lezione frontale, ad una scuola del leggere, scrivere, far di conto, che fonda il suo limitato successo formativo grazie ai compiti a casa, che inevitabilmente costringono gli studenti e, per i bambini piccoli, i genitori e i nonni a stare ore e ore sui libri dopo il tempo scuola.

A questo si aggiunge la strana convivenza degli enti locali e delle istituzioni scolastiche nella gestione dell’edilizia scolastica e dei servizi.

Se da un lato la scuola può avvalersi di uffici e personale competente in materia, dall’altro non sempre il dialogo tra i due è positivo, per divergenze d’idee, ma anche per assenza di risorse.

Un ente locale deve affrontare infiniti problemi legati alla città, la scuola di conseguenza è un problema tra tanti, per l’istituzione scolastica invece l’edilizia scolastica, gli arredi e i servizi ad essa connessi, rappresentano un problema prioritario e centrale, da essa dipende l’ambiente di apprendimento e la sicurezza degli allievi e ad essa sono legate molte responsabilità del personale che ci lavora.

Pertanto la gestione dell’edilizia scolastica si auspica che possa essere in tempi brevi trasferita di competenza alle scuole, le quali potranno avvalersi, su richiesta, degli uffici tecnici degli enti locali, ma con una gestione e allocazione delle risorse da parte delle istituzioni scolastiche.

Autonomia è anche questo, una scuola libera, libera di scegliere, decidere, e gestire al meglio le proprie risorse e i propri spazi, di innovarsi e rinnovarsi, di cercare soluzioni nuove, e spazi mai immaginati.

L’alternativa una scuola con un sistema centrale sovraccaricato, con istituzioni scolastiche che svolgono compiti assegnati per adempiere a soluzioni a volte non condivise, con tempi imposti e a volte incompatibili con il contesto di riferimento.

Ma Autonomia vuol dire anche pensare di rivedere i rapporti sindacali, coinvolgere in un principio di sussidiarietà partendo dal basso, con accordi pattizi che tengano conto delle singole realtà e situazioni e che siano in grado di derogare se necessario a prassi consolidate in caso di emergenza.

La scuola intanto riapre, con enormi difficoltà; i pochi che hanno avviato processi di una rinnovata e autonoma organizzazione, riapriranno nell’entusiasmo delle opportunità aperte grazie alle nuove risorse destinate dalla politica, le altre, si affanneranno a svolgere i compiti assegnati, con il rischio di non arrivare puntuali e pronti alla data di riapertura ed inizio delle lezioni.